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Antonio Gramsci: com'è difficile essere comunisti
Nel maggio del 1921 si votò: il partito socialista ottenne quasi 1.600.000 voti; il PCd'I non arrivò a 300.000 voti e conquistò solo 15 seggi. La differenza tra la realtà e le aspettative era sensibile. La classe operaia stava ancora con il vecchio partito, ora, per giunta, nemmeno più riformista. Eppure, quei 300.000 voti erano espressione di una minoranza decisa e compatta. Bordiga, e con lui buona parte del gruppo dirigente, vedeva nel partito socialista il maggiore ostacolo alla vittoria della rivoluzione. C'era una chiara sottovalutazione del pericolo fascista. La dottrina del "fronte unico" postulata dall'Internazionale non fu realmente applicata, anche se spontaneamente, alla base, singole organizzazioni comuniste e addirittura singoli militanti, aderirono agli "Arditi del Popolo", un'esperienza unitaria di resistenza armata alle squadracce fasciste. Bordiga e i suoi avversarono la commistione e ordinarono ai comunisti di costituire formazioni militari di partito. Il II congresso del marzo 1922, svoltosi a Roma, confermò a larga maggioranza che nessuna intesa anche parziale con il partito socialista era possibile. Bordiga riteneva inutile e assurdo invocare "il ritorno all'autorità dello Stato", cioè una difesa dello stato di diritto. L'Internazionale prese le distanze dalle posizioni del Congresso di Roma, e il contrasto tra Mosca e Bordiga si fece più acuto dopo che nell'ottobre del '22 i riformisti di Turati, Treves e Matteotti erano usciti dal partito socialista e si erano mostrati disposti ad appoggiare un governo capace di ricostruire la legalità.
Dal canto suo, il Comintern, visti eliminati i riformisti dal partito socialista, fece energica pressione per la riunificazione del partito comunista e di quello socialista. Però solo una piccola minoranza guidata da Angelo Tasca e Graziadei si pronunciò a favore delle tesi provenienti da Mosca. Bordiga era sprezzante e accusò Serrati di collaborazione con i fascisti. Scrive Giorgio Bocca: «Il piccolo, debole partito non viene a patti con nessuno, non teme nessuno, accetta obtorto collo l'alleanza sindacale con i socialisti, ma respinge ogni comune azione politica, e perciò stesso deve negare l'evidenza di un fascismo trionfante che, nel giro di sei mesi, ha fatto incendiare o saccheggiare 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 fra sezioni e circoli comunisti o socialisti, 100 circoli di cultura, 28 sindacati di categoria, con la tecnica delle incursioni rapide, degli uomini raccolti in luoghi diversi e concentrati su un solo obiettivo. E sarà vero che i socialisti, da Serrati a Turati, sembrano colti da profondo avvilimento fino a consigliare pazienza e rassegnazione, ma anche Bordiga commette errori capitali di giudizio, continuando a ironizzare sul colpo di stato a destra, "spauracchio" agitato dai socialisti in un paese in cui nessuno avrebbe interesse "a retrocedere dal regime liberale sulle sorpassate forme dell'assolutismo".
Quindi no al fronte antifascista; no agli arditi del popolo, le formazioni armate degli operai sorte spontaneamente, di cui non ci si fida ideologicamente e a cui in nessun caso il partito dei comunisti "puri" può delegare l'organizzazione della resistenza armata: no ai vari delegati dell'Internazionale, come Rakosi, come Humbert-Droz che non possono non vedere il vicolo cieco in cui il partito si è cacciato.» (1)

Qual'era la posizione di Gramsci? Si sentiva vincolato alla disciplina del nuovo partito, che era davvero isolato da tutto il mondo politico, dai socialisti stessi, dal vertice alla base. In tale situazione, Gramsci si limitò ad osservare che non era certo colpa dei neonati comunisti se le cose andavano così male. Togliatti fu ancora più mimetico di Gramsci, perfettamente allineato a Bordiga. Giunse a scrivere che "il tiranno bieco contro il quale dovranno insorgere tutte le energie [...] si chiamerà, insieme, Turati, don Sturzo e Mussolini." (2)
Erano posizioni estremistiche, che l'Internazionale non poteva accettare,anche se da Mosca il "fronte unico" non venne mai inteso come un'alleanza con le forze democratiche, ma come "unità dal basso" delle forze operaie e contadine. Da Mosca giunsero pressioni su Gramsci perché si facesse avanti come alternativa a Bordiga. Nel maggio del '22 era stato inviato a Mosca come rappresentante del PCd'I al Comintern. Qui venne a sapere da Zinoviev che l'Internazionale era per liquidare Bordiga ed imporre ai recalcitranti italiani la linea del fronte unico. Probabilmente fu da quel momento che Gramsci pensò seriamente di diventare il capo del partito.
Nel frattempo la situazione precipitava. Il fascismo non faceva solo demagogia e non si limitava alla violenza. Proprio nel maggio del '22, Italo Balbo riuscì a mobilitare 40.000 contadini delle campagne ferraresi portandoli ad occupare Ferrara, chiedendo al governo lavori pubblici e sovvenzioni. E li ottenne. Nel cuore stesso dell'Italia più rossa, i fascisti riuscirono a cambiare il colore della protesta, a farla vincere per la prima volta. Nemmeno di fronte ad avvenimenti come questo, o come l'occupazione fascista di Rimini, l'intransigenza di Bordiga fu scossa. Il suo commento fu agghiacciante: «I fascisti vogliono buttar giù il baraccone parlamentare? Ma noi ne saremmo lietissimi.» Continuava a non fare differenze tra liberali, fascisti, socialisti: tutti nemici da abbattere.

In tale contesto non si deve mitizzare il ruolo del Comintern quale esempio di acutezza e lungimiranza. Di fronte al pericolo reazionario, al sorgere di nazionalismi estremi e fascismi di vario genere, i cervelli dei comandanti in capo del movimento comunista internazionale furono lenti a mettersi in moto, e non presero poi esplicitamente posizione per la costruzione di una unità democratica e antifascista delle forze politiche volta a difendere le democrazie. Essi furono convinti per un certo tempo che dalla situazione postbellica di sfascio economico sarebbero sorte facilmente le condizioni per una rivoluzione in alcuni paesi europei. I tentativi non mancarono ma furono tutti fallimentari. Il movimento operaio fu sconfitto in Italia, in Germania e in Ungheria in modo schiacciante. E, come abbiamo visto, solo in Italia la sconfitta fu mitigata da conquiste salariali. In Germania la repubblica dei consigli in Baviera fu schiacciata nel sangue. In Ungheria, le truppe cecoslovacche e romene ebbero facilmente e drammaticamente ragione dei comunisti di Bela Kun. In questo scenario caddero molte illusioni e Trotzskj lo riconobbe apertamente durante il III congresso dell'Internazionale che si svolse dal 22 giugno al 12 luglio del 1921. Nella relazione che apriva il dibattito sul primo punto all'ordine del giorno, la crisi economica mondiale, egli ammetteva: «Per la prima volta, oggi sentiamo e vediamo di non essere più così vicini all'obiettivo finale, alla conquista del potere, alla rivoluzione mondiale. Nel 1919 ci eravamo detti: è una questione di mesi, oggi diciamo che è una questione forse di anni.» (3)
Non furono pochi quelli che si opposero a tale visione pessimistica. Al punto che sia Lenin che Trotzskj dovettero intervenire pronunciando discorsi durissimi contro l'estremismo dei sognatori, quelli come l'ungherese Josef Pogàny, che voleva scrivere nei documenti che la crisi economica sarebbe stata "l'epoca della crescita dell'azione proletaria, della guerra civile". Le conclusioni del congresso furono quindi molto più caute che in passato. Invitavano ad intensificare la lotta unitaria per gli interessi immediati del proletariato, aumentando l'influenza comunista nei sindacati, e la pressione politica su altri partiti appoggiati dalle masse operaie.
Ma questo invito suonava ancora inattuale ed in larga parte inattuabile. I socialdemocratici europei non erano facilmente disposti a collaborare coi comunisti ed a farsi risucchiare da questi. Le masse operaie erano stanche, disorientate, e poco propense a lottare per la rivoluzione o obiettivi politici. E come si è visto, non mancarono nei vari partiti comunisti le resistenza alla linea Lenin-Trotzskj. Che non fosse tempo di travolgenti avanzate divenne ancora più chiaro nell'autunno del 1923, quando il movimento operaio tedesco levò definitivamente bandiera bianca.
Intanto, nell'ottobre del '22 i fascisti, trascinati da Mussolini, erano arrivati a Roma. Dal governo e dal re non arrivò nessun ordine di spazzarli via, e così, l'esercito da operetta vinse la più improbabile delle battaglie. Mussolini venne incaricato di formare il nuovo governo e lui lo formò. L'intero gruppo dirigente comunista e i massimalisti di Serrati si trovavano a Mosca, per una riunione del Comintern. Al loro rientro in Italia, trovarono il fascismo al potere.

In tutta questa fase, Gramsci stesso, come s'è visto, non riuscì a combinare granché, stretto nella disciplina di partito e costretto ad una innaturale posizione attendista, imposta da Bordiga.
Quando il Comintern cercò di imporre al partito italiano la riunificazione con i socialisti massimalisti di Serrati, l'intera direzione si dimise per protesta. Si era all'inizio del 1923. Tra febbraio ed aprile Mussolini fece arrestare quasi tutti i componenti del comitato centrale, insieme a 72 segretari provinciali. Fu Gramsci, che si trovava a Vienna, a rendersi conto per primo che la situazione non era più sostenibile. Cominciò allora a lavorare alla costruzione di un nuovo gruppo dirigente. Rientrato in Italia nel 1924, dopo la sua elezione a deputato, riuscì a radunare attorno alle proprie posizioni, che erano quelle del Comintern, dirigenti influenti come Terracini, Togliatti, Leonetti, Grieco e Scoccimarro. Questo nuovo gruppo non aveva ancora la maggioranza del partito. Al congresso di Como dell'aprile 1924 la fazione di Bordiga ottenne 41 delegati su 67. Al gruppo di Gramsci andarono solo 9 delegati e alla destra di Tasca ne andarono 8. Ma solo due anni dopo, al Congresso di Lione, svoltosi in Francia per motivi di sicurezza, Gramsci ebbe finalmente la maggioranza.
Nei documenti ufficiali si scorge finalmente l'impronta di Gramsci, anche se pare sia stato Togliatti a scriverne la stesura finale. L'analisi dei rapporti di forza appare molto più lucida che in passato, la valutazione del fascismo pare finalmente centrare la natura del fenomeno, le ragioni della sua consistenza. Dopo il congresso, Togliatti partirà per Mosca. Gramsci aveva deciso che il numero due del partito doveva dedicarsi anima e corpo a rinsaldare i rapporti con il Comintern e il gruppo dirigente sovietico. A Mosca era in corso una lotta durissima per il potere. Stalin e Trotzskj, dopo la morte di Lenin si disputavano la successione. Ma, stranamente, nel 1926, il più deciso a combattere Trotzsky era Bucharin, non Stalin. L'oggetto del contendere era la NEP, la nuova politica economica che di fatto reintroduceva elementi di amministrazione capitalistica nella conduzione delle fabbriche.
Gramsci era in fibrillazione, molto preoccupato, e Togliatti non l'informava a sufficienza. Di fronte alla disputa politica, Gramsci scelse di stare con Stalin e Bucharin, ma in un corsivo sull'Unità del luglio '26, si sentì in dovere di difendere Trotzskj dalle calunnie. Poi scrisse una lettera che rispecchiava lo stato d'animo del gruppo dirigente del partito italiano e la inviò al comitato centrale del partito comunista sovietico. Pur dimostrandosi d'accordo con la linea di Stalin, Gramsci non esitò a criticarne i metodi: «... voi siete stati - scriveva Gramsci - in questi nove anni di storia mondiale, l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi: la funzione che voi avete svolto non ha precedenti in tutta la storia del genere umano che la uguagli in ampiezza e profondità. Ma voi oggi state distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzionedirigente che il Partito comunista dell'Urss aveva conquistato con l'impulso di Lenin; ci pare che la passione violenta delle questioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti internazionali dellequestioni russe stesse.» (4)
Ma la lettera, giunta a Mosca nelle mani di Togliatti, non fu mai consegnata ai compagni del comitato centrale del partito sovietico. Togliatti la fece vedere al solo Bucharin, il quale ebbe una reazione negativa, giungendo ad accusare Gramci di "essere sulla china del trotzskismo". Un'accusa ridicola. Togliatti scrisse allora a Gramsci una lettera molto aspra, criticando l'astrattezza dei rilievi mossi da Gramsci ai sovietici. Gramsci si infuriò e riscrisse a Togliatti, criticandolo a sua volta di astrattezza. e di schematismo. Gramsci ammetteva la difficoltà di richiamare i russi all'unità del partito e alla correttezza, ma ciò «non toglie che sia nostro dovere assoluto richiamare alla coscienza politica dei compagni russi, e richiamare energicamente, i pericoli che i loro atteggiamenti stanno per determinare. Saremmo dei rivoluzionari ben pietosi e irresponsabili se lasciassimo passivamente compiersi i fatti compiuti, giustificandone a priori la necessità. ... Questo tuo modo di ragionare perciò mi ha fatto un'impressione penosissima. ... Nessuna frase fatta perciò ci smuoverà dalla persuasione di essere nella linea giusta, nella linea leninista per il modo di considerare le questioni russe. ... Il bolscevismo consiste precisamente anche nel mantenere la testa a posto e nell'essere ideologicamente e politicamente fermi anche nelle situazioni difficili. ... Oggi dopo nove anni dall'ottobre 1917 non è più il fatto della presa del potere da parte dei bolscevichi che può rivoluzionare le masse occidentali, perché esso è già stato scontato ed ha prodotto i suoi effetti: oggi è attiva ideologicamente e politicamente la persuasione (se esiste) che il proletariato una volta preso il potere può costruire il socialismo .... Mi dispiace sinceramente che la nostra lettera non sia stata capita da te, in primo luogo, e che tu, sulla traccia del mio biglietto personale, non abbia in ogni caso cercato di capir meglio: la nostra lettera era tutta una requisitoria contro le opposizioni, fatta non in termini demagogici, ma appunto perciò più efficace e più seria.» (5)

Questa lettera fu praticamente uno degli ultimi atti di Gramsci da uomo libero. Non riuscì mai ad arrivare all'appuntamento in Val Polcevera con Humbert-Droz, il delegato dell'Internazionale. Pochi giorni dopo venne arrestato.

(1) Giorgio Bocca - Palmiro Togliatti - Laterza 1973, ora Mondadori 1991
(2) P. Togliatti - Destra e sinistra - articolo su "L'Ordine Nuovo" del 27 luglio 1922
(3) A. Bordiga - corsivo su "L'Ordine Nuovo" del 26 luglio 1922, giusto il giorno prima del già menzionato articolo di Togliatti.
(4) parte del testo in Giorgio Bocca - Palmiro Togliatti - Laterza 1973, ora Mondadori 1991
(5) ivi
moses - 29 gennaio 2006