Gorgia di Lentini
di Daniele Lo Giudice
Gorgia nacque a Lentini, in Sicilia, probabilmente nel 484 a.C. Fu allievo di Empedocle e crebbe in un ambiente culturale che si alimentava del contrasto tra seguaci dell'eleatismo, la setta pitagorica ed i sostenitori di Empedocle.
Visse a lungo, si dice 109 anni. Fu soprattutto un retore, diremmo noi: più un critico letterario ed un avvocato che un filosofo, ma scrisse un'opera, da alcuni giudicata semiseria, di chiaro contenuto antieleatico e, soprattutto antiparmenideo, che molti ritengono una sorta di burla.
Di essa vi è un ampio stralcio in Sesto Empirico ed un altro importante riferimento si trova nel testo di un anonimo pseudo-aristotelico del III secolo dopo Cristo.
In genere è conosciuta come Intorno alla natura, ma il vero titolo potrebbe essere stato Del non essere, giacchè la conclusione paradossale cui essa perviene è che nulla esiste, e che se qualcosa esiste non è conoscibile e comunicabile.
Tale radicale attacco aveva un duplice bersaglio: il razionalismo eleatico e l'empirismo, o meglio, il semiempirismo ionico ed eracliteo che ad esso si contrapponeva, muovendo dalla constatazione che la realtà è il molteplice, il divenire delle cose, la natura e non l'essere immobile di Parmenide.
La conclusione gorgiana preannunciava un radicale nichilismo ed un altrettanto radicale scetticismo ma, secondo diverse interpretazioni contemporanee, essa andrebbe intesa, piuttosto, come una denuncia della pretesa umana di avere certezze incrollabili, e di avere quindi una scienza della realtà.
In tale ottica, il senso delle confutazioni gorgiane sarebbe quello di far osservare ai più che le nostre convinzioni intorno alle cose non sono il frutto di ragionamenti logici o di autentiche esperienze, ma di un processo di autopersuasione dovuto ai discorsi che abbiamo letto od ascoltato.
In altre parole: vi sarebbe in Gorgia una sconcertante anticipazione di quella che è la nostra condizione attuale: pochissime esperienze dirette, pochissime conoscenze di prima mano, una conoscenza solo libresca e virtuale fondata sulla fiducia che assegniamo ai giornali, alle tv, alla scienza ufficiale, oppure alla stampa alternativa ed alla controinformazione.
Francamente tutto questo mi pare eccessivo, anche perchè in nessun frammento di Gorgia si può in qualche modo trovare la traccia di una concezione così vasta e profonda.
Di Gorgia si può solo dire, a mio avviso, che a differenza di Eraclìto, il quale intendeva il logos come comprensione e ragione delle cose e del loro fluire, concepì il logos come semplice discorso, e quindi come semplice capacità rappresentativa ed argomentativa.
Per Gorgia non vi era, dunque, un'opposizione tra discorso e realtà, ma solo un'opposizione tra discorso e discorso.
Tra le opere di Gorgia, sono particolarmente note ed importanti l'Encomio di Elena e la Difesa di Palamede, perchè è in esse che Gorgia diede davvero il meglio di sé come retore e come avvocato, ma ci sono giunti anche alcuni frammenti di un Epitafio, cioè un discorso commemorativo sui caduti in battaglia, di cui diremo in chiusura, per mostrare la dottrina etica di Gorgia.
Quando penso a Gorgia non posso sottrarmi all'idea dell'avvocato del diavolo, non già nel senso di difensore di cause che paiono impossibili a sostenersi, se non per illimitato credito che attribuiamo all'accusato e per la fede nella sua innocenza, quanto all'abilità che Gorgia dimostrò nel discolpare diversi tipi di accusati.
Fosse vivo oggidì, Gorgia non esiterebbe a difendere madri che uccidono i loro figli e figli che uccidono i loro genitori, non già per mancanza di un qualsiasi senso morale, ma per un senso umano forse più ampio del consueto.
Ciò che in fondo nobilita Gorgia è che egli non investì il proprio talento per accusare innocenti, come tanti procuratori dell'Inquisizione nel medioevo, ma solo per difendere presunti colpevoli, spesso condannati solo dalla normale inclemenza e dal sommario senso della giustizia del volgo.
E' tuttavia da notare che il tema di Elena non è il tema di Medea, la madre che uccise i suoi figli. Gorgia si scelse, per l'esercizio retorico, un oggetto più semplicemente difendibile e meno scabroso.
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Orbene, con Gorgia, siamo ad un punto altissimo della teoria della difesa. Non esistono cause perse in partenza. Anche Hitler, Milosevic o Bin Laden sono difendibili. Tutto sta ad intendersi su cosa sia la responsabilità, su cosa si possa applicare, in quale contesto, con quali motivazioni.
Ecco perchè, in Gorgia, la potenza del discorso, la sua capacità di abbagliare e persuadere è tutto, ovvero la cosa più importante.
Quello che in Protagora era un principio non portato fino alle estreme conseguenze, ovvero che è possibile organizzare su diversi argomenti un discorso del tutto alternativo, ma comunque vero, fondato su precise esperienze e ragioni, in Gorgia diviene un'applicazione del tutto sviluppata.
Tuttavia, a differenza di Protagora che assegnava grandissima importanza alle sensazioni ed alla percezione soggettiva delle cose e degli eventi, in Gorgia la percezione è di nuovo inganno dei sensi.
Per Protagora tutto è vero; per Gorgia tutto è falso, è impossibile la verità stessa. Le ragioni e le esperienze nascono dal discorso stesso, ed in esso tramontano. Tra discorso e realtà non c'è più comunicazione, perchè l'unica realtà, ormai, è la chiacchiera.
Gorgia è un finissimo ragionatore sia dove ci confonde, o comunque ci prova, sia dove, in fondo, cerca solo di chiarire in che senso una giustificazione è davvero una giustificazione e non un pretestuoso nascondersi dietro il classico dito.
La prima cosa che va compresa è la seguente: per Gorgia, ma non solo per lui, perchè la situazione si presentava simile per tutti quelli che bazzicavano agorà e tribunali, la società civile, la polis, aveva prodotto un mondo di leggi e di regole ben ordinato.
In questo mondo relativamente sicuro, in cui ognuno, perfino lo schiavo privo di diritti, poteva sentirsi al riparo dalla prepotenza dei più forti, il delitto, il furto, l'azione criminosa, la vendetta, l'adulterio, l'offesa, rappresentavano l'irruzione dell'irrazionale, una sfida non solo nominale alla legge ed all'ordine, bensì una sfida reale alle più ovvie convinzioni sulla razionalità.
L'essenza del tragico, secondo alcuni, stava proprio in questo: il fato e gli dei si incaricavano di ridicolizzare ogni umana pretesa di assicurare l'ordine e la sicurezza. Il caos ed il disordine rientravano da ogni lato della vita. E gli autori tragici si incaricarono di rappresentarlo.
Edipo non voleva uccidere suo padre, così come aveva decretato l'oracolo; eppure finì con l'ucciderlo.
E' facile comprendere che, se questo fatalismo è parte fondamentale della mentalità dominante, nessuna filosofia potrà averne ragione. Nemmeno la new age inaugurata da Pericle e dai suoi intellettuali: Anassagora e Protagora.
L'illusione della libertà umana, l'illusione di poter sfuggire ai decreti del cielo è regolarmente smentita dai fatti.
Che poi non siano fatti, ma solo storie di poeti, è tutto da dimostrare. La tragedia incontra il favore popolare non già perchè racconta storie fantastiche, ma perchè incrocia la realtà, pur esagerandola.
A Pericle che sostiene che "non è vergognoso l'essere povero, ma il non far nulla per non esserlo", la realtà stessa risponde che "solo uno su mille ce la fa, e, se ce la fa, è perchè così il cielo ha decretato."
In questo pessimismo di fondo, che si nutre di un dubbio radicato su quale sia la vera giustizia degli dei, ha buon gioco la tesi gorgiana dell'innocenza degli uomini, e si noti, persino delle donne.
Fu Gorgia, nell'Encomio di Elena, a rompere con il maschilismo ed il patriarcato. Era nell'aria, d'accordo, ma nessuno aveva osato tanto in modo così esplicito. La donna, secondo gli uomini, ma anche secondo le donne, doveva guardare al modello Penelope ed Andromaca: sposa fedele, buona madre.
Con la difesa di Elena, Gorgia, rovesciò una serie incredibile di principi, attingendo, si faccia attenzione, non già ad un mondo alieno ed inesistente, ma al mondo delle credenze e delle esperienze, al senso profondo del tragico che gli stessi greci coltivavano.
In sostanza, disse Gorgia, se noi crediamo che l'individuo non sia libero di fare le scelte che preferisce, allora nessuno è colpevole di niente.
Nessuno si è chiesto, per quanto ne sappia, se Gorgia abbia davvero creduto in quello che affermava. Personalmente credo di no.
Ma questa tesi, in fondo, era la risposta che molti si aspettavano. Una sorta di giustificazione dei loro errori, delle loro intemperanze e delle loro prepotenze.
Senza rendersene conto fino in fondo, come dimostrerà Platone nel dialogo Gorgia, il retore di Lentini aveva indicato la via maestra all'individualismo più sfrenato, alla ripulsa delle regole e delle leggi, al diritto del più forte di fare quello che più gli piace nella società.
L'encomio di Elena
Nella difesa di Elena, il ragionamento di Gorgia fu molto più sottile di come l'ho presentato finora. Esso abbracciava tutti i possibili punti di vista, tranne uno, quello per il quale la donna Elena era in grado di opporsi per fondata decisione al rapimento di Paride.
Si dirà che questo punto non poteva essere preso in considerazione, perchè Gorgia non postulava la sovranità della donna su sé stessa, ma la sua totale condizione di dipendenza. Ma questo non poteva significare che non c'era libertà di scelta, ma solo che Elena aveva innanzi a sé solo una scelta limitata: o la schiavitù in casa di Menelao, o quella in casa di Paride, in terra straniera, tra persone che potevano anche esserle ostili.
Più fondata mi pare l'obiezione di chi sostiene che, nel tentativo di giustificare, Gorgia abbia sortito un effetto opposto alle sue possibili intenzioni: chiese l'assoluzione per incapacità totale di intendere e volere. Non si può condannare una deficiente.
Ma, andiamo con ordine.
Gorgia sostenne che Elena poteva essere stata indotta a seguire Paride per quattro diverse ragioni: o per decreto divino, o per violenza, o perchè persuasa dal logos di Paride (cioè dai suoi discorsi di spasimante), o per decreto della necessità. Potrebbe sembrare che i sentimenti di attrazione o di amore dipendono, in Gorgia, più logos di Paride che non dal suo aspetto fisico. Ma, il significato gorgiano di logos si deve intendere come una sorta di discorso interno: è Elena che parla a sè stessa, è una voce che prende vita come persuasione e si nutre anche dell'apparenza sensibile.
Cosa intendeva Gorgia per decreto della necessità?
Mi pare che la risposta più plausibile sia questa: sia che si creda agli dei, sia non vi si creda, la condizione umana è tale per cui a Elena risultava necessario, ovvero indispensabile, pena la vita stessa, seguire Paride. Ne sarebbe morta, o fisicamente o spirtualmente, se non l'avesse fatto.
Questo argomento è il più sottile ed il più razionale, per quanto sembri riconoscere l'irrazionalità dei sentimenti.
Anzi, è tanto più razionale in quanto riconosce l'irrazionale. In questo sta il suo valore. Per quanti sforzi l'uomo possa fare per ordinare il mondo ed i costumi secondo leggi, norme e consuetudini, verrà sempre il momento nel quale una qualsiasi Elena ed un qualsiasi Paride, violeranno queste regole per loro necessità vitale.
Il filosofo razionalista rischia di non capire; il moralista fa naufragio, l'uomo comune condanna e persino si accinge a tirar pietre per la lapidazione.
La difesa di Palamede
Quest'opera è di più difficile interpretazione perchè i frammenti sono molto scarsi.
L'Untersteiner vi rinviene diversi temi, che probabilmente meriterebbero più ampia trattazione, non ultimo quello che sembrerebbe riportare Gorgia alla convinzione che la civiltà non è un dono del divino all'uomo, ma una conquista faticosa dell'uomo stesso.
Ma la tesi di fondo della difesa di Palamede pare essere stata quella dell'impossibilità tragica di dimostrare la verità, quando la dimostrazione stessa non può contare su dati e testimonianze di fatto, ma solo su una logica che si contrappone ad un'altra logica.
Il non-essere secondo Gorgia
Sia che la si prenda sul serio, come opera filosofica a tutti gli effetti, sia che la si consideri solo come un'esercitazione retorica, o addirittura una burla composta in età giovanile, il trattato sul non-essere ha fatto discutere gli storici del pensiero filosofico.
Persino Aristotele se ne occupò, peraltro in un trattato andato perduto. Nella Metafisica il nome di Gorgia non ricorre, e questo potrebbe sembrare strano, ma in realtà, dimostra solo che, forse, ai tempi dello stagirita, era già chiaro che il lavoro di Gorgia era nientaltro che una presa in giro dei filosofi seriosi.
Tuttavia, in chiusura del Libro IV della Metafisica, Aristotele dice: sia quelli (Protagora) che affermano che tutto è vero, sia quelli che affermano che tutto è falso (Gorgia, per l'appunto), cadono in una clamorosa autoconfutazione delle proprie posizioni, in quanto, se tutto è vero, sarà anche vero quello che dice che diciamo il falso, e contemporaneamente, se tutto è falso, sarà anche falsa la proposizione che afferma che tutto è falso.
Chi prende sul serio le tesi di Gorgia, tuttavia, non ha torto del tutto.
Il ragionamento ha un punto forte e di eccezionale rilievo nella sua conclusione, che, peraltro, non ha quasi nulla a che fare con le premesse e le confutazioni precedenti.
Gorgia dice, infatti, che se anche l'essere fosse, non sarebbe nè pensabile, nè comunicabile. E questo, pur facendo le debite considerazioni e precisazioni, viene comunque a presentarsi come un dato di tante situazioni, anche moderne. Infatti, l'essere potrebbe venire qui inteso da Gorgia come totalità. E legando strettamente il concetto di totalità a quello di verità, pare a Gorgia impossibile sia pensare che comunicare questo senso profondo dell'essere.
Ma andiamo con ordine: le tesi di Gorgia erano sostanzialmente tre, legate l'una all'altra, ma non dipendenti l'una dall'altra.
1) Nulla esiste; 2) Se anche qualcosa esiste, non è conoscibile; 3) Se anche fosse conoscibile, non è comunicabile agli altri.
In tutta franchezza, per chiudere il cerchio, se ne poteva aggiungere una quarta, ovvero: se anche fosse comunicabile, non sarebbe comprensibile a chi riceve la comunicazione.
Ma vediamo come giustifica la tesi che nulla esiste.
Per Gorgia, il non essere è non essere, dunque non esiste, perchè se ci fosse, sarebbe insieme essere e non essere, il che è assurdo. D'altro canto, l'essere, se ci fosse, dovrebbe essere o eterno o generato, oppure eterno e generato insieme. Se fosse eterno, sarebbe infinito, e se infinito, non sarebbe in alcun luogo, ovvero non sarebbe affatto. Inoltre, se fosse generato, dovrebbe provenire o dall'essere o dal non essere; ma dal non essere non nasce nulla, e se fosse nato dall'essere, c'era già prima di nascere. Conclusione: l'essere non può essere né eterno, né generato, e neppure le due cose insieme, perchè l'una esclude l'altra. Allora? Allora, né l'essere, nè il non essere esistono. Non ho mai compreso come le premesse giustifichino una simile conclusione, ma essa è lì ed ognuno è libero di trarre le sue conclusioni.
La seconda tesi gorgiana è: se anche l'essere esistesse, non sarebbe pensabile, perchè se tutto ciò che esiste fosse pensabile, non esisterebbe più il falso, e quindi tutto ciò che si pensa sarebbe vero, anche la favola di cocchi che corrono sulla superficie del mare o quell'altra di Bellerofonte che vola.
Anche qui, a ben vedere, è palese che per affermare il falso di un Bellerofonte che vola, bisogna comunque muovere da un'esperienza sensibile vera, ovvero che gli uomini non volano, ma questo non sembra preoccupare Gorgia, che procede imperterrito, affermando che se è vero che non esiste ciò che pensiamo, allora sarà vero che ciò che esiste noi non riusciamo a pensarlo, e quindi risulta inconoscibile.
La terza tesi afferma che se anche fosse pensabile, l'essere non sarebbe comunque comunicabile, giacchè tra parole e cose c'è una bella differenza in quanto le parole non sono le cose, ovvero i fenomeni, ed il suono può solo essere udito, ed il colore può essere solo visto. Quando dico "rosso" non dico la cosa, ma solo un suono che potrebbe significare "rosso". E poichè ogni uomo, secondo una dottrina di estremo pessimismo, non percepisce allo stesso modo, ma ognuno capisce solo la propria persuasione, la parola, così come il discorso intero, potrebbe essere equivocato.
Il tragico della vita è nel costante equivoco che genera inganni continui.
Nei testi scolastici l'interpretazione più ricorrente di questo testo gorgiano è quella che afferma l'avvenuta distruzione delle tesi eleatiche attraverso i suoi stessi procedimenti dialettici.
A me pare che, in realtà, Gorgia non abbia distrutto alcunchè, e non già perchè le tesi eleatiche siano ancor vive e vegete, ma perchè esse, pur nella loro incompletezza e parzialità, rappresentarono pur sempre un mozzicone di verità, la realtà dell'esistente, rispetto alla sua completa negazione.
Gorgia è stato abile nel procedere alla scomposizione del nesso eleatico tra essere, pensiero e discorso, evidenziando in particolare la decisiva preponderanza del discorso sia sul pensiero che sull'essere. Il discorso, per Gorgia, è in grado di far essere ciò che non è, e di far sparire ciò che è, ovviamente solo nel pensiero, perchè nella realtà, né le cose, né le tracce, né i segni possono sparire mai del tutto.
Tuttavia, questa abilità non poteva e non può, in nessun caso, aver ragione delle cose stesse, le quali sono non solo sotto i nostri occhi, ma sotto le nostre mani, la nostra abilità tecnica nel manipolarle.
Nel nostro mondo quotidiano le cose esistono. Non c'è miglior argomento.
L'etica di Gorgia
Bisogna guardarsi dal credere che Gorgia fosse un immorale nel senso che noi oggi attribuiamo al termine.
Come gli altri sofisti, anch'egli, sia pure con meno enfasi, si presentò come un maestro di virtù, ma pose in chiara evidenza un dato, poi ripreso da Aristotele negli scritti di Politica, ovvero che non ci sono virtù assolute, ma solo virtù relative, che sono enumerabili. Diversa è la virtù del giovane, diversa è la virtù del cittadino maturo, diversa quella della donna e quella dell'anziano. E persino diversa saranno le virtù per un cittadino ateniese, per un barbaro e per uno spartano. L'importanza di un valore è data dal contesto in cui esso vive e dall'individuo che lo esprime.
L'Untersteiner valuta questo atteggiamento etico come irrazionale. Francamente non sono d'accordo, per il semplice fatto che a me pare del tutto irrazionale la pretesa di fondare un'etica assolutistica muovendo dal supremo concetto del bene e del male.
Del resto, se persino Platone riconobbe che anche in una banda di ladri devono vigere principi di reciproco rispetto e di legalità, pena il disfacimento della banda stessa, è evidente che il principio dell'etica non è diverso da quello della necessità che lo ispira: su quali basi è possibile una convivenza tra individui così irascibili, prepotenti, volubili e vanitosi come gli esseri umani?
Il punto da considerare, in Gorgia, è che egli anticipò Machiavelli nell'intendere che in guerra tutto è lecito.
Ognuno di noi, ovviamente, è libero di pensarla diversamente, ma intanto, i capi di stato continuano a pensarla così. I terroristi la pensano così. Tanti loschi affaristi credono di essere in guerra anche quando siamo in pace.
I politici credono di essere in guerra con il polo opposto, i colpi bassi si sprecano: tutti provano un fortissimo dolore sotto la cintura e le lacrime che si versano ogni giorno, in ogni parte del mondo, sono più numerose delle gocce di pioggia che provocano inondazioni.
Nell'Epitafio, un discorso di grande efficacia retorica, Gorgia scrisse, riferendosi ai caduti in guerra: "questi ispirati da dio possedevano il valore, di umana natura il destino di morte; ed effettivamente spesso si decisero per la bontà del vero giusto più che per l'arroganza del diritto positivo, e spesso più che per il rigore della legge per la perfezione del ragionamento, perchè credevano che questa legge è divina e universale: il dire e il tacere, il fare e il tralasciare ciò che si deve nel dovuto momento."
A coronamento della teoria della morte e del sacrificio su esposto, non potevano seguire parole più efficaci e persuasive, che hanno fatto scuola imperitura, purtroppo non solo tra i demagoghi. Quando il dovere chiama, con uno squillo di tromba, tutti a combattere, senza chiedersi il perchè.
Ma, ora, forse, è venuto il momento: sterminate masse umane, perchè?
Letture consigliate:
Mario Untersteiner - I sofisti - Bruno Mondadori - Milano 1996