Anno 529 d.C.: l'insegnamento della filosofia
viene proibito dall'imperatore Giustiniano
Una pagina nera nella storia del cristianesimo
di Guido Marenco
La data è di quelle difficili da ricordare,
ma ha la sua importanza. Segna il tramonto
definitivo del mondo antico, della religiosità
greco-pagana, della stessa filosofia antica.
Peggio di così non poteva finire, anche se
qualcuno osservò che i maestri di filosofia
avevano ormai ben poco da dire e che la filosofia
antica era già un cadavere da qualche decennio.
Peccato, invece, perchè laddove c'è qualcuno
che "pensa" veramente, ci sarebbe
sempre qualche frutto da raccogliere.
Si è spesso teso a sorvolare sull'avvenimento
per motivi che gli storici non hanno mai
chiarito a sufficienza.
Giustiniano, si sa, fu considerato a lungo
un "grande" imperatore ed un campione
della fede cristiana, al pari se non di più
dello stesso Costantino.
Eppure i suoi esordi non erano stati entusiasmanti.
Tutt'altro che mite e benevolo, di carattere
chiuso ed autoritario, anche se a volte esitante
ed indeciso, spesso tracinato a prendere
partito dalla moglie Teodora, cominciò a
farsi notare per la spregiudicatezza con
cui aveva risolto i primi gravi problemi,
facendo passare a fil di spada verdi ed azzurri,
esponenti di partiti avversi, all'ippodromo
di Bisanzio.
Era figlio di un contadino proveniente dalla
provincia, da qualche parte nei Balcani.,
si presume la Macedonia. Divenne, secondo
lo storico Georg Ostrogorsky, "lo spirito
più raffinato e colto del secolo". (1)
E ciò sarebbe stato merito della forza civilizzatrice
che aveva la capitale bizantina. Non saprei,
perchè com'è ovvio, non c'ero. Però il metro
di misura è un po' lo stesso in troppi libri
di storia. Il fine giustifica i mezzi, ovvero,
come scrive ancora Ostrogorsky: « Gli
aspetti negativi del suo carattere, pur gravi
e numerosi, impallidiscono di fronte alle
grandi qualità del suo spirito universale.
» (idem)
In cosa consistesse questo spirito è presto
detto: Giustiniano voleva la restaurazione
dell'impero romano e la cristianizzazione
dei suoi abitanti. Perseguì tali obiettivi
con tutti i mezzi, pacifici e violenti, sottili
e pesanti, senza prestare grande attenzione
agli effetti che la sua politica aveva sulla
condizione delle plebi e la vita dei suoi
soldati. Il numero di morti procurati dall'Augusto
è imprecisato ed imprecisabile, ma farebbe
invidia a Napoleone. Ebbe la fortuna di avere
al suo servizio abili generali quali Belisario
e Narsete; il secondo era eunuco..
E come Napoleone, anche Giustiniano non ce
la fece ad imporre un nuove ordine. Le sue
imprese fortunate gli consentirono successi
temporanei, ma il suo fine complessivo contrastava
con le dinamiche storiche più profonde. Per
questo, alla sua morte, si ebbe una crisi
collassante. I suoi successori ereditarono
un impero esausto, le casse vuote, un diffuso
malcontento e focolai di rivolta accesi dappertutto..
Pur riuscendo a coprirsi le spalle ad oriente
con un trattato di pace con il re persiano
Khusraw I Anosharawan (531-579), per volgersi
decisamente alla riconquista dell'Occidente,
alla fine si trovò con in mano un pugno di
mosche ed i persiani sempre più aggressivi.
Già nel 540 Khusraw I irruppe in Siria, distrusse
Antiochia ed avanzò fino al mare. I soldi
versati alla Persia come tributi non erano
stati sufficienti a comprare la sicurezza
ad Oriente. In compenso le tasche dei sudditi
erano state disinvoltamente svuotate con
tasse di una pesantezza inenarrabile.
Il fulcro dell'impresa di Giustiniano fu
il Corpus iuris civilis, ovvero la stesura di un nuovo codice di
leggi che da un lato aggiornava il diritto
romano e dall'altra accoglieva, o sembrava
accogliere, alcuni principi di mitezza e
clemenza cristiana. L'imperatore fu abile
nel scegliersi i collaboratori. Il merito
dell'enorme lavoro fu di tale Triboniano
e l'opera venne portata a termine in un tempo
eccezionalmente breve.
«La codificazione del diritto romano
servì di base giuridica unitaria allo stato
bizantino centralizzato - scrive Ostrogorsky.
Il diritto romano, come viene presentato
nella codificazione dei giuristi bizantini,
con insuperabile chiarezza di pensiero e
pregnanza d'espressione, stabilisce le regole
per tutta la vita pubblica e privata, per
la vita dello stato come dell'individuo e
della sua famiglia, le relazioni reciproche
dei cittadini, i rapporti economici e di
proprietà. Ma nello stesso tempo il Corpus
iuris civilis non è una riproduzione meccanica
e quindi fedelissima del diritto romano antico.
I giuristi di Giustiniano abbreviarono e
anche alterarono in certi punti il diritto
romano classico, per adeguarlo alle esigenze
della società del tempo, per renderlo compatibile
con i comandamenti della morale cristiana
e con il diritto consuetudinario dell'Oriente
ellenistico... Ma nello stesso tempo l'esclusivismo
dogmatico del cristianesimo portò a negare
la protezione delle leggi ai fedeli delle
altre religioni. Il codice giustinianeo proclama
la libertà e l'uguaglianza di tutti gli uomini,
ma nella pratica si era lontani dall'applicare
questo principio.» (idem)
Le idee di Giustiniano, come testimonia lo
storico Ernesto Buonaiuti (2), venivano in
buona parte da Eusebio di Cesarea, considerato
padre della chiesa. Si trattava della primitiva
formulazione del cesaro-papismo e risaliva
all'epoca di Costantino. «Essa si trova
alla base delle convinzioni di Giustiniano,
persuaso come egli era del suo dovere di
restaurare nella sua totalità l'Impero Romano
unico...» (2)
Buonaiuti non lesina elogi: «Fosse
egli stato un semplice conquistatore, il
suo nome non meriterebbe di essere più conosciuto
che quello di altri sovrani guerrieri di
Bisanzio, quali Niceforo Foca e un Basilio
II. Se invece il nome di Giustiniano è rimasto
così profondamente e vastamente popolare;
se il Medioevo intiero ha conservato in un
alone di luce il ricordo del grande imperatore,
fino all'esaltazione fattane da Dante nel
Paradiso, la ragione va cercata in qualcos'altro
che non siano le campagne militari dei suoi
generali Belisario e Narsete. E la sua grandiosa
opera legislativa, la sua risolutiva azione
religiosa che gli hanno meritato così larga
e persistente eco nei secoli.» (2)
Fortunatamente, godendo il nostro di una
certa obiettività, poche righe più avanti
riconoscerà che tutta questa grandezza risultava già offuscata da vicende non del
tutto irrilevanti.
Convinto della necessità di una sola chiesa
in un solo stato, egli convisse con una donna
di idee radicalmente opposte alle sue. Teodora
era monofisita, in altre parole "eretica".
Seguiva dunque la dottrina di una sola natura
di Gesù, quella divina. L'opposto esatto
della dottrina di Ario, che negava la divinità
del Figlio e ammetteva solo la divinità del
Padre.
L'imperatore, dunque, non riusciva ad imporre
la sua dottrina nemmeno tra le mura domestiche.
Tuttavia, volle imporsi al di fuori, sentenziando
che "E' giusto spogliare dei beni terreni
coloro che non adorano più il vero Dio."
«La legge pertanto esclude gli eretici
- scrive Buonaiuti - da tutte le funzioni
pubbliche, civili e militari, e nel medesimo
tempo da tutte le dignità municipali....
esclude gli eretici da tutte le professioni
liberali, interdicendo così la professione
legale, come quella dell'insegnamento...
E' fatto divieto agli eretici di riunirisi,
di raggrupparsi sotto capi propri, di amministrare
il battesimo o l'ordinazione sacra. Le chiese
ariane come le sinagoghe sono chiuse dall'imperatore
e o se ne ordina la trasformazione in templi
ortodossi.»
Triste sorte riservata ai dissidenti della
chiesa. Figurarsi con chi cristiano non era.
Sicchè l'ordine di chiusura dell'Accademia
ateniese non fu tanto segno di una incrollabile
volontà di evangelizzazione (perchè questo
comunque è il senso della vera propoganda cristiana in ogni epoca ed in
ogni luogo) quanto di un'intolleranza di
fondo nei confronti di tutte le voci fuori
del coro, cioè di vero e proprio integralismo,
ciò che noi moderni stiamo cercando di contrastare.
Si tratta di capire se la responsabilità
fosse solo imputabile politicamente al dispotico
Giustiniano, o non investisse anche religiosi
e vescovi del tempo, e se alle spalle di
questi non vi fosse un'ulteriore responsabilità
teologico-filosofica di alcuni padri della
chiesa. S'è detto di Eusebio di Cesarea e
delle sue visioni.
L'influenza esercitata da questo personaggio
fu rilevante. Secondo Buonaiuti egli fu il
teorizzatore del doppio regime: di qua i
cristiani perfetti, monastici, ascetici,
tutti volti alla contemplazione ed al servizio
di Dio. Di là i cristiani un poco compromessi
con il "mondo", i padri e le madri
di famiglia, tutta la gente che viveva una
vita normale, produceva ricchezza ed anche
cercava di accumulare fortune. Il rischio
di questa teorizzazione era già implicito
nella formulazione e produceva una frattura
non sempre sanabile tra gli ideali della
vita cristiana e lo stare al mondo secondo
le regole non scritte dell'economia antica.
Ne veniva la tolleranza verso un cristianesimo
di pura facciata, del tutto esteriore. Ne
veniva soprattutto la tentazione di un uso
politico dello stesso, anzi di tutti e due
gli atteggiamenti, considerata la profonda
verità del detto "dividi et impera."
Tant'è vero che una delle grandi bugie della
storia è che "i puri non si fanno usare",
come non fosse vero, per fare l'esempio più
eclatante, che Gandhi ebbe rapporti con Hitler
per combattere il colonialismo inglese.
Diventando religione ufficiale dello Stato,
il cristianesimo smise di essere vangelo,
cioè annuncio di una buona novella, la resurrezione
di Dio ed il suo imminente ritorno, un messaggio
d'amore e fratellanza universale, una dura
condanna per il vecchio mondo, per diventare
un puntello del potere imperiale. In "Hoc
signo vinces", questa era stata la grande
novità. I Cesari avevano sia il dovere che
il diritto di difendere l'impero dalla calata
dei barbari. Non è questo il punto in discussione.
Ciò che si deve esaminare è la diffusa convinzione
che la conversione degli imperatori avesse
significato automaticamente l'avvento del
regno di Dio sulla terra, quando in realtà,
dal punto di vista della giustizia sociale,
le cose erano solo peggiorate.
Eppure questo era stato il segnale inviato
in tutte le direzioni.
Tutti i nuovi sovrani trovarono molto comodo
il famoso passo della lettera ai Romani di
San Paolo nel quale si afferma che "le
autorità sono costituite da Dio", dimenticando
con troppa disinvoltura che esiste un passo
del Vangelo nel quale lo stesso Gesù afferma
il contrario, ovvero che "il mondo è
in potere del maligno".
Sono i due poli di una dialettica drastica,
per dirla con Umberto Eco, tra apocalittici
ed integrati. Una dialettica in cui è difficile
stare medianamente e con spirito di moderazione
ed equilibrio. L'estremismo radicale, l'ispirazione
fondamentale, portano gli spiriti più puri
a rifiutare ogni compromesso. Più seguaci
di sette estreme sull'esempio di Giovanni
il Battista che autentici fedeli a Gesù (accusato
di essere un gaudente che mangiava e beveva
accanto a pubblicani e prostitute), i radicali
erano insieme fastidiosi e patetici. Ma dall'altra
parte le cose non andavano meglio. I cristiani
di facciata, peraltro sempre più potenti,
ostentavano un'incoerenza tra vita e pensiero
da far vomitare. Ancora una volta, un passo
di San Paolo tornava comodissimo: siamo giustificati
dalla fede. Non cerchiamo di giustificarci
con le opere perchè non ce la faremo mai.
"Io stesso - uso parole mie, ma cito
a memoria - sono talmente imbranato che voglio
il bene e faccio il male che non voglio."
Parole che rasentano l'ambiguità, quando
è evidente che il comportamento corretto
vive di pochissimi principi. Non calunniare
e non rendere falsa testimonianza contro
qualcuno, non rubare e non imbrogliare, non
uccidere e non usare violenza. Fai agli altri,
cioè tratta il tuo prossimo, come vorresti
che loro trattassero te. E se tutto questo
porta un po' di male, pazienza. Accadesse
il contrario, sarebbe molto peggio. Vivremmo
in un mondo di lupi e di menzogna, di ingiustizia
e di tenebra.
Usiamo il cervello, quindi, il meglio possibile.
Questo era stato il nucleo della legge mosaica,
ma sempre più col tempo era diventato il
codice del galantuomo, uguale ad ogni latitudine
sia per i giudei che per i pagani, sia per
i greci che per i barbari. Eppure molti cristiani
faticavano a starci dentro e la cosa riguardava
sia i pesci piccoli che quelli grandi, le
masse dei fedeli come i personaggi più potenti.
Com'era e com'è stretta quella porta che
conduce al "giogo leggero"!
La mia opinione è che la tentazione integralista
non sia nata a caso. Se da un lato rispondeva
ad un'isteria teologica, dall'altra essa
era politicamente mirata a spegnere l'autenticità
cristiana, a mettere tutto sotto chiave e
sotto controllo, dunque sotto tutela. Cessando
di essere un movimento, il cristianesimo
era diventato istituzione, partito di governo,
occulto centro di potere.
Epperò, secondo Ostrogorsky, sbaglieremmo
nel vedere Giustiniano come una sorta di
burattino nelle mani dei capi della chiesa.
Semmai questo fu proprio il caso contrario,
la dimostrazione di un'ingerenza politica
più che vergognosa. Fu infatti Giustiniano
ad usare la chiesa, ad interferire nella
sua vita interna, a scegliere vescovi, ad
istituire concilii, a diramare dottrine e
circolari operative, in pratica a dettare
la linea.
«La Chiesa cristiana ebbe in Giustiniano
non solo un protettore ma anche un capo -
scrive Ostrogorsky. Infatti, pur essendo
cristiano, Giustiniano restava fondamentalmente
un romano e l'idea dell'autonomia della sfera
religiosa gli era completamente estranea.
Considerava papi e patriarchi come suoi servi.
Nello stesso modo in cui dirigeva la vita
dello Stato dirigeva anche quella della Chiesa.,
intervenendo personalmente in ogni singola
questione dell'organizzazione ecclesiastica,
riservandosi il potere di decidere anche
nelle questioni dogmatiche e liturgiche,
dirigendo concili, scrivendo trattati teologici
e inni chiesastici....nessun altro imperatore,
né prima né dopo di lui, ebbe un'autorità
altrettanto illimitata sulla Chiesa.»
(1)
Le fonti più attendibili per la storia di
questo periodo sembrano essere gli scritti
di Procopio di Cesarea in Palestina, che
fu segretario di Belisario e prese parte
alle campagne contro i Vandali, I Visigoti
ed i Persiani, scrivendo poi 8 libri coi
resoconti. Ma Procopio scrisse anche una
abbastanza famosa "storia segreta",
un vero libello contro Giustiniano e la sua
famosa consorte Teodora che portò alla luce
particolari piccanti, debolezze vergognose
e legami compromettenti.
Resta da capire se il gossip dell'epoca sia
veramente stato scritto dal Procopio in questione,
spesso lontano da Bisanzio e vicino all'Europa,
o non dal solito maggiordomo inglese...
note:
(1) Georg Ostrogorsky - Storia dell'impero bizantino - Einaudi
(2) Ernesto Buonaiuti - Storia del cristianesimo - Newton Compton
Guido Marenco - 20 novembre 2003