| home | indice Giovanni Gentile | indice Benedetto Croce | novecento | filosofia oggi e domani | dizionario |
I cattolici contro Gentile e le sue idee sulla religione
Il francescano Agostino Gemelli lo sapeva; Gentile era impreparato e fu colto di sopresa. Così i Patti Lateranensi suonarono per lui come campane a morto. Altro che Stato Etico fondato sulla filosofia dell'atto puro spirituale, altro che superamento dell'oggettività religiosa nella spiritualità filosofica! Ma prima di arrivare al fatidico febbraio 1929 accaddero diverse cose interessanti anche nel mondo della filosofia e degli intellettuali. Ci fu un risveglio cattolico e continuarono ad uscire riviste che non rispecchiavano pedissequamente l'indirizzo di Gentile o di Croce. Una di queste era "Scientia", diretta da Eugenio Rignano ed a cui collaborava Federigo Enriques; era un foglio direttamente ispirato al positivismo, evidentemente sconfitto e minoritario, ma lungi dall'essere distrutto. Su un piano ancora più defilato stava "La rivista di filosofia", un ibrido di positivisti e neokantiani, ed a ruota seguiva "Cultura filosofica", fondata da De Sarlo nel 1907. Antonio Aliotta dirigeva la rivista "Logos", aperta a contributi di diversa provenienza, tendenzialmente pragmatista e non positivista. Voci fuori del "coro" anche se confuse, spesso, ed a "diffusione limitata", ancora più spesso. L'Università cattolica di Milano, riconosciuta dallo Stato nel 1924, proprio grazie alla riforma Gentile, era il centro propulsore della "Rivista di filosofia neoscolastica", orientata a combattere sia il marxismo, che il positivismo, che l'idealismo e, in particolare, l'attualismo di Gentile, reo di immanenza. Al positivismo si potevano ricondurre, oltre che Roberto Ardigò (che morì nel 1929), anche Giovanni Marchesini, Giuseppe Tarozzi, Erminio Troilo, Cesare Ranzoli, gli "scienziati della politica" Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, pensatori di indirizzo marxista come Antonio Labriola e Rodolfo Mondolfo, i matematici Giuseppe Peano e Annibale Pastore. Un posto a parte occupavano Giuseppe Rensi e Cosimo Guastella. La scena era forse più ricca di quanto di solito dicano i manuali di storia della filosofia, e ancor oggi c'è chi ignora il nome di Vito Volterra, o di Francesco Fiorentino, dei quali parleremo, ovviamente, in altra sede. Quest'ultimo era uno storico, o meglio, uno storico della filosofia ad indirizzo critico storico, accomunato a Felice Tocco per ascendenze neokantiane.
La tesi di laurea di un gentiliano doc come Ugo Spirito era comunque dedicata al prgamatismo, a conferma di un interesse che non si era fermato a Calderoni e Vailati, ma era penetrato anche anche nel "pragmatismo magico" dei vari Prezzolini e Papini. Tuttavia, Franco Restaino (1) emette un giudizio su questa vivacità che la ridimensiona notevolmente. «E' un quadro filosofico, quindi, quello italiano della metà degli anni Venti, un po' asfittico e col fiato corto. Gli eredi del positivismo, del neokantismo, dell'idealismo critico, del realismo psicologistico, sono insediati da decenni, ormai, nelle università italiane, e tutti insieme costituisconoi in qualche modo l'eredità della cultura post-risorgimentale, laica, scientistica. Una cultura che nel complesso non ha finalità politiche, si è ritagliata uno spazio, una nicchia nelle istituzioni, e si accontenta di sopravvivere.
Gemelli e i cattolici, invece, - prosegue Restaino - quelli vincenti e filomussoliniani appoggiati dal Vaticano dopo la sconfessione, nel 1923, di Don Sturzo e dei cattolici liberaldemocratici del partito popolare, puntano, dopo decenni di esclusione pressoché assoluta, ad una sorta di rimonta, ad una riconquista delle istituzioni scolastiche e culturali, troppo orientate laicisticamente dopo l'autoesclusione e l'autoisolamento imposti dai papi ai cattolici italiani rispetto allo Stato usurpatore dei sacri diritti del Vaticano e a questa rimonta danno fiato e mezzi proprio Gentile e Mussolini, ripristinando l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari.»
Il manifesto degli intellettuali fascisti elaborato da Gentile suscitò vivaci reazioni tra tutti i cattolici, sia quelli vicini al regime che quelli all'opposizione. Essi sembrarono unirsi per combattere la filosofia di Gentile. Un articolo di tale G. Donati, ma apparso anonimo sul giornale dei popolari di Sturzo, aprì le ostilità. Era intitolato Cattolicismo e "Gentilismo" ed affermava con chiarezza che le due posizioni stanno agli antipodi e sono inconciliabili. Certo, diceva l'articolista, "Gentile ... non nega la religione con le banalità pseudoscientifiche dei positivisti edei materialisti: la supera semplicemente, con la filosofia e nella filosofia. Ma che vuol essere questo superare?" Nient'altro che la negazione dei fondamenti della religione cattolica. Ovvero nella negazione della trascendenza, della rivelazione e della grazia. Se tutto ciò viene eliminato con un colpo di spugna, se la verità viene considerata immanente all'uomo, la religione è semplicemente finita e dissolta. Essendo, allora, per Gentile, la religione nient'altro che "il momento mitico e infantile dello spirito", ne viene che è lo spirito ad essere Dio, chiesa, rivelazione e non viceversa la Chiesa ad insegnare la via dello spirito e la verità rivelata. Con ciò i cattolici vedono, e non a torto, in Gentile il nemico pubblico numero 1. "Potrebbe essere più chiara e assoluta di così la negazione del cattolicesimo? Che, se nell'atto di ristabilre l'insegnamento catechistico nelle scuole e di concedere il riconoscimento giuridico all'Università cattolica di Milano, Giovanni Gentile ha il tatto e la furbizia di non sciorinare i suoi sottintesi filosofici, ciò non significa ch'egli abbia rinunciato ad essi, tutt'altro. Egli è sempre convinto che l'istruzione catechistica e teologica sarà superata dalla filosofia idealistica, e che anzi dalla gara pubblica col pensiero moderno tale superamento verrà accelerato e la cultura cattolica perderà la partita." Ma l'articolo non si ferma al rapporto tra filosofia e religione, attacca a fondo il concetto di Stato Etico: "Coerente ai postulati della sua filosofia, Gentile da molti anni va svolgendo l'idea dello Stato idealista, che acquista, nei confronti della Chiesa, un concetto proprio del divino e della universalità etica della sua natura, considerandosi finalmente non più una istituzione esterna e meccanica in servizio di qualcosa di più alto e fuori di lui, ma lo spirito concreto della comunità umana, la universale potenza etica." Infine, l'articolista non risparmia una stoccata ai cattolici filofascisti e più vicini al Vaticano. Le ultime righe contengono un avvertimento ermetico, comprensibile solo agli iniziati: constatata "questa irriducibile conflagrazione di idee e di principi, noi crediamo di aver ragioni sufficienti di deplorare certi equivoci consensi ai «discorsi di religione» del filosofo Gentile. Ci capisca chi vuole e chi può." Suonava come un avviso a quei cattolici spiritualisti che seguivano Gentile, e soprattutto mandava a dire qualcosa al Vaticano ed ai neoscolastici. L'appello ebbe l'effetto di mettere in moto diverse dinamiche, anche se ci vollero anni prima che esse diventassero esplicite.
Nello stesso anno dell'articolo apparso su "Il Popolo", uscì un libro di E. Chiocchietti intitolato La filosofia di G. Gentile, che condannava tutto il pensiero del filosofo siciliano alla luce del pensiero cattolico con argomenti non molto diversi da quelli utilizzati da G. Donati. E nel 1927 fu il francescano Gemelli a scendere in campo con un testo, Il mio contributo alla filosofia neoscolastica. In esso affermava esplicitamente: «L'idealismo ha fatto opera scristianizzatrice in Italia assai più profonda di quella compiuta dal positivismo.» E contro l'idealismo c'è una sola alternativa, il neotomismo della Cattolica. «Noi - continuava Gemelli - combattendo l'idealismo, facciamo opera del puro, del più ideale amore di Patria, dell'Italia nostra, l'Italia di Dante, di Tommaso d'Aquino, di Alessandro Manzoni.» Il pensiero scolastico ha origini schiettamente italiane, l'idealismo viene dai paesi nordici e non è adatto e conforme alla nostra tradizione culturale e filosofica, "perché le dottrine che una nazione difende e diffonde debbono essere conformi al suo genio". (2)
Queste reazioni consentono di introdurre il pensiero di Gentile sulla religione meglio di qualsiasi approccio interno allo sviluppo dell'attualismo. Come si è già visto, in precedenza, Gentile fu avverso al laicismo dei positivisti e fu sempre convinto della necessità del momento religioso. Non solo, egli sviluppò anche una polemica contro il modernismo, cioé quel movimento di matrice schiettamente cattolica che si proponeva di rinnovare l'adesione religiosa partendo da un moto interiore e sottraendosi, come si dice oggi, dall'arena epistemica, cioè da un confronto con la scienza che avrebbe comunque visto la religione perdente. I motivi di questa avversione gentiliana, ragionando in termini filosofici, non sono facilmente e immediatamente comprensibili, perché nel modernismo era presente una componente spiritualistica e, a rigore, sarebbe stato più facile per Gentile un dialogo con i modernisti che con i tradizionalisti. Dovremmo pertanto concludere che l'avversione di Gentile al modernismo poggiava su basi schiettamente politiche: era contrario perché le idee moderniste suonavano di "sinistra", erano aperte ad un progresso dell'uomo con la religione e non contro la religione. In realtà, il problema non era affatto così semplice. Anzi, lo era, ma in altri termini. Lo spiritualismo modernista tendeva proprio a ridurre lo spazio e l'importanza della filosofia teoretica, della filosofia "pura", fino a negarla. Esso accettava la scienza, cioè la conoscenza astratta, e la accettava con la scusa del convenzionalismo e dell'utilità pratica, e rifondava la religione su basi puramente spirituali, ma non filosofiche. Il che era assolutamente inaccettabile, perché Gentile era convinto fino al midollo della superiorità della filosofia sulla religione. Per Gentile, pertanto, la religione era un momento necessario, quello dell'oggettività, ed essa non poteva rientrare nella soggettività se non attraverso un suo stesso superamento mediante la filosofia. In sostanza, Gentile vide costantemente religione e filosofia come "due forme irriducibili dello spirito umano". Stanno, per così dire, sempre una di fronte all'altra, ma è questo confronto che conduce a comprendere la loro identità. Hegel, secondo Gentile, era riuscito a a fare della propria filosofia la traduzione del cristianesimo protestante in termini di razionalità. Gentile era convinto di poter "inverare" il cattolicesimo nella filosofia dello spirito, cioè nell'attulismo, ma questa operazione risultò ben più difficile, per non dire impossibile. Perché il protestantesimo ha un'anima antifilosifica fin da Lutero, dunque è fideistico, per carattere genetico: la filosofia può averne ragione solo riportando alla luce, passo a passo, il momento della razionalità estraendolo dall'inconscio e portandolo a consapevolezza. Nei confronti del cattolicesimo tale operazione non solo è superflua, ma cozza contro una vera e propria filosofia, la metafisica ed il realismo degli scolastici, dunque uno zoccolo duro anti-idealista, che a ragione Gemelli, riportava alla tradizione culturale italiana, a Dante ed a Manzoni insieme, anche se, quest'ultimo, non poteva certamente definirsi un aristotelico e neotomista.
Un tale contrasto di fondo non poteva che sfociare in un aperto conflitto quando venne firmato il Concordato tra stato e chiesa. Per Gentile lo stato finiva così per capitolare di fronte al confessionalismo, e questo era un passo indietro, perché suonava come rinuncia alla fondazione filosofica dello Stato etico. Il Concordato fissava le modalità della presenza della chiesa nello stato, e giungeva a riconoscere nell'insegnamento religioso il "coronamento" del sistema educativo, cioè lo scopo stesso dell'insegnamento. La cosa era inaccettabile per laici, socialisti, positivisti e marxisti, ma era inaccettabile anche per Gentile e persino per molti fascisti. La reazione anticlericale fu così ampia che lo stesso Mussolini dovette dare una pubblica versione del Concordato molto più restrittiva di quella che era realmente scritta nel testo, il che provocò qualche polemica da parte vaticana. Una lettera del pontefice al cardinale Gasparri, il plenipotenziario vaticano alle trattative con il governo Mussolini, esprimeva tutto lo sdegno possibile per "le espressioni ereticali e peggio che ereticali" usate dal Duce, e al contempo riaffermava il senso dell'operazione agli occhi degli ecclesiastici: nei confronti dello Stato italiano, la Chiesa, cioé "l'organizzazione cattolica in Italia" non si "sottopone alla autorità dello stato, sia pure in una condizione di particolare favore, ma è il Sommo Pontefice, la suprema e sovrana Autorità della Chiesa, che dispone quello giudica potersi potersi e doversi fare per la maggior gloria di Dio e per il maggior bene delle anime... In uno Stato cattolico libertà di coscienza e di discussione devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica. E deve anche per logica necessità essere riconosciuto che il pieno e perfetto mandato educativo non spetta allo Stato, ma alla Chiesa." Sono parole di un'arroganza senza pari, che esprimono inequivocabilmente il totale disprezzo delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti di tutte le culture e le filosofie di diversa origine e matrice, sono il risultato di un'inaccettabile visione integralista della relgione. E questo atteggiamento, che peraltro era palese, non poteva che suscitare reazioni ancora più vaste di dissenso. Tuttavia, come tutte le burrasche, essa finì per passare, lasciando sullo sfondo le asprezze, e portando alla luce la verità dell'intera operazione. Il regime fascista trovava nella chiesa e nel vaticano il più formidabile dei puntelli, mentre la chiesa trovava nel regime la possibilità di tornare ad influenzare le coscienze. Era un "compromesso storico" di proporzioni eccezionali, che solo gli errori del regime e la megalomania mussoliniana potevano incrinare.
Gentile, comunque, non apprezzò affatto il capolavoro politico del cavaliere Benito Mussolini. Al Congresso nazionale di filosofia svoltosi a Roma alla fine del maggio 1929 vi fu un duro confronto tra i laici, in gran parte seguaci dell'attualismo di Gentile, e i cattolici, in massima parte neoscolastici e capeggiati da Padre Gemelli.
«Gentile, nella sua relazione su La filosofia e lo Stato, ribadisce, attualizzandoli in riferimento trasparente alla discussione sul Concordato, i concetti di base della sua teoria dello Stato, che "come personalità non è amorale e non è agnostico", e "ha diritto a insegnare perché ha una dottrina, sa il fine della nazione, sa il valore di questo fine: e lo sa non in astratto, ma in relazione al passato e all'attuale presente e alle forze vive e perenni della nazione". Avere una dottrina, però, non significa avere una verità definitiva e immutabile: la vita dello Stato, infatti, è "la stessa autocoscienza universale con cui s'immedesima l'autocoscienza del cittadino: e la vita dello Stato consiste appunto nel processo continuo e progressivo di tale immedesimazione"; la dottrina dello Stato, quindi, essendo l'autoconsapevolezza di questo processo continuo, "non può essere qualcosa di fisso e stabilito una volta per sempre, perché tale carattere ripugna all'essenza del pensiero e di ogni dottrina.
La dottrina dello Stato, precisa Gentile, differenziandosi implicitamente ma nettamente dalle teorie cattoliche di una verità definita per sempre, non è altro che la filosofia: "Il carattere critico che compete alla dottrina dello Stato è lo stesso carattere critico essenziale al pensiero, e cioè alla filosofia. La quale [...] vive perciò di critica (ossia di pensiero che sa di doversi di continuo rinnovare e svolgere, sopra tutti i suoi oggetti). In realtà, la dottrina dello Stato è la stessa dottrina del cittadino, ma dottrina critica, cioè filosofia. Lo Stato, consapevole della sua essenza, promuove la speculazione filosofica, perché sa che così si potenzia il pensiero, che è la sua forza.» (3)
Dall'altra parte stanno i cattolici, i quali chiedono che nelle medie venga insegnata la filosofia secondo l'indirizzo cattolico. E' una richiesta che scandalizza i presenti, e che contrasta persino con le leggi del regno e del regime, che ancora garantiscono la libertà di "ciascun professore" e "il pieno diritto di insegnare secondo la propria coscienza".
A sostegno di Gentile intervenne il cattolico Augusto Guzzo, che allora era gentiliano e che solo successivamente si sarebbe volto all'ideale di una filosofia cristiana, ma senza mai cedere alla neoscolastica. Guzzo si chiese, e domandò filosoficamente ai presenti: «1) Si può sensatamente credere che Chiesa cattolica intenda valersi delle buone disposizioni dello Stato italiano (cioè gli articoli del Concordato) per tentare d'asservire con la forza le coscienze che non siano già, per spontanea reverenza, fedeli? 2) Si può ragionevolmente supporre lo Stato italiano disposto a comprimere la libertà di coscienza, e massime la libertà d'indagine speculativa in Italia? Dirò subito che il solo porre domande simili è già un gratuito insulto che si fa alla Chiesa ed allo Stato.» (4)
Ingenuo Guzzo, pur con i suoi artifici retorici! Gemelli reagì con spavalda arroganza, dichiarando che le cose stavano esattamente così. Poco importava che esistessero dei professori non disposti ad insegnare contro coscienza le verità cattoliche. «Non tocca a me - disse -dare la soluzione del problema: a me basta stabilire che, dato che lo Stato ha riconosciuto che la religione cattolica è fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica, l'idealismo non può essere insegnato nella media pubblica senza violar la coscienza dei giovani e senza spezzare il Concordato che lo Stato ha firmato con la Santa Sede... nulla vi è di meno religioso, di meno cristiano del pensiero di Gentile e degli idealisti ... nulla vi è di più anticristiano; ed è bene dirlo perché nulla vi è di più dissolvitore dell'anima cristiana dell'idealismo, perché nessun sistema è tanto negatore del fondamento cristiano della vita quanto l'idealismo, anche se esso usa le nostre parole.» (5)
(1) in Storia della filosofia - di Nicola Abbagnano - volume X - La filosofia contemporanea - a cura di Giovanni Fornero e Franco Restaino - TEA 1996
(2) ivi, ma gli scritti di Gemelli sono citati dal testo di I. Mancini, La neoscolastica negli anni del fascismo, in O. Pompeo Faracovi, Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo - Belforte 1985
(3) riportato in Storia della filosofia - di Nicola Abbagnano - volume X - La filosofia contemporanea - a cura di Giovanni Fornero e Franco Restaino - TEA 1996
(4) ivi
(5) ivi