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Critica della dialettica hegeliana ed invito all'atto del pensiero
di Giovanni Gentile
(da Teoria generale dello Spirito come atto puro, Sansoni 1944)
L'impossibilità di pensare dialetticamente una realtà che ci si proponga di pensare prescindendo dall'atto stesso del pensarla, come realtà in sé, presupposta dall'atto con cui si pensa, fu sperimentata dallo stesso Hegel, che ha il merito di aver affermato la necessità del pensamento dialettico del reale nella sua concretezza. Hegel appunto vide che non si concepisce il reale stesso come pensiero e distinse l'intelletto che concepisce le cose, dalla ragione che concepisce lo spirito: l'uno che si rappresenta astrattamente le cose analiticamente, ciascuna per sé, identica a sé, differente da tutte le altre; e l'altra che le intende tutte nell'unità dello spirito, come identica ciascuna a sé, ma anche diversa; e quindi diversa da tutte le altre, ma identica anche a tutte le altre. Ebbene, Hegel stesso, volendo definire nei momenti del suo ritmo la dialettica del pensiero, che intende sé come unità del vario, e quindi le cose come varietà dell'uno; Hegel, dico, tornato a rappresentarsi questa dialettica come legge archetipa del pensiero in atto, e quindi suo ideal presupposto, non poté non fissarla egli pure in concetti astratti e quindi immobili, che sono affatto privi di ogni dialettismo,e di cui perciò non è dato intendere come possano, per sé stessi, passare l'uno nell'altro e unificarsi nel reale continuo moto logico.
Celebri sono le difficoltà incontrate da lui, e da molti che vi si son provati sulle sue orme, nella deduzione delle prime categorie della sua Logica, e quindi quel concetto del divenire, che è il carattere specifico della dialettica.
Il divenire è identità di essere e non-essere; poiché diviene l'essere che non è. Ed ecco Hegel muovere dal concetto dell'essere, puro essere, scevro d'ogni determinazione, che è infatti il meno che si possa pensare, e che non si può non pensare, nella sua assoluta indeterminatezza, per astrazion che si faccia da ogni contenuto del pensiero. Posto così innanzi al pensiero e determinato mediante la sua stessa indeterminatezza codesto concetto dell'essere, è possibile indi passare al concetto del divenire, e dimostrare così che niente è, ma tutto diviene?
Sì, secondo Hegel; perché l'essere come tale non è pensabile: non è pensabile come affatto identico, e non altrimenti che identico, seco stesso. Non è pensabile perché, pensandolo privo di ogni contenuto, assolutamente indeterminato, lo si pensa come nulla, o non-essere, o essere che non è; e l'essere che non è, diviene. - Ma, è stato osservato, se l'indeterminatezza assoluta dell'essere lo ragguaglia davvero al nulla, noi non abbiamo così quell'unità di essere e non-essere, in cui consiste il divenire: non c'è quella contraddizione tra essere e non-essere, di cui parla Hegel, e che genererebbe il concetto del divenire. Che se l'essere è per un verso identico e per un altro diverso dal non-essere, si ha allora un essere che non è non-essere e un non-essere che non è essere; e manca sempre quell'unità del diverso, che occorre al divenire. In tal caso l'essere come puro essere sarebbe estraneo al non-essere come puro non-essere, e non ci sarebbe quell'incontro quell'urto dei due, da cui Hegel vede sprizzare la scintilla della vita. In conclusione, siamo, da una parte e dall'altra, innanzi a due cose morte, le quali non concorrono in un movimento.
E altre osservazioni si potrebbero fare, e si sono fatte; poiché questa è stata una vera crux philosophorum messa in campo da Hegel, mentre tutti sentono la necessità di rendersi conto del concetto del divenire, né si può ritenere soddisfacente la deduzione fattane da Hegel. La quale è viziata da questo errore che noi abbiamo additato come proprio alla dialettica intesa come dialettica del pensato anzi che (come solamente può essere concepita la vera dialettica) dialettica del pensare, fuori della quale non c'è pensato.
L'essere, che Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire, che solo è reale, non è l'essere che egli definisce come l'assoluto indeterminato (l'assoluto indeterminato non può essere altro che l'assoluto indeterminato!); ma l'essere del pensiero che è soggetto del definire e, in generale, pensa: ed è come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perché, se fosse, il pensiero non sarebbe quello che è, un atto), e perciò ponendosi, divenendo.
Sicché tutte le difficoltà incontrate dalla dialettica hegeliana vengono eliminate appena si acquisti chiara coscienza del divario immenso tra la realtà, che Platone e Aristotele, il comune storicismo, e il rude naturalismo evoluzionistico si sforzano di concepire dialetticamente, e quella realtà che la moderna filosofia idealistica definisce come dialettica; l'una, realtà pensata (o pensabile, che è lo stesso); l'altra, pensante.
Sottraetevi all'ordinaria e inconsapevole astrazione per cui la realtà è quella che voi pensate, mentre, se voi la pensate, non può essere se non nel vostro pensiero; mirate con fermo occhio a questa vera e concreta realtà che è il pensiero in atto; e la dialetticità del reale vi apparirà evidente e certa come certo e evidente è a ciascuno di noi l'aver coscienza di ciò che pensa: il vedere, per esempio, quello che vede.