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Erich Fromm
Marxismo e psicoanalisi che piacquero ai cattolici
di Carlo Fracasso
Nato nel 1900, ebreo, marxista e freudiano, Erich Fromm collaborò con una certa continuità con l'Istituto di Francoforte ed in particolare con Max Horkheimer. Ebbe una parte di rilievo nell'elaborazione del monumentale lavoro Studi sull'autorità e la famiglia (1936) di Horkheimer, che fu tradotto e pubblicato in italiano, piuttosto tardivamente da UTET nel 1974. (vedi)
Si può dire che Fromm mosse i suoi primi passi riflettendo su due supposti fallimenti: la teoria marxista e la dottrina psicoanalitica. Mentre la prima non sembrava più in grado di spiegare la storia, la seconda aveva perso gran parte della sua carica liberatrice, incagliandosi nelle secche di una pratica terapeutica di scarso o punto significato per gli individui costretti ad esser sani di mente per la loro indigenza economica o per il loro senso di responsabilità, od ancora per la loro stessa dignità. Condivise le critiche di Karin Horney al meccanicismo di Freud ma, in parte lo difese e giustificò, asserendo che Freud fu condizionato dal razionalismo positivistico da un lato e dalla tradizione romantica dall'altro. Stretto in quella morsa, non poteva fare di più. Del resto, se è vero che la pratica psicoanalitica postula l'esistenza di di elementi irrazionali, è anche vero che ne prevede il superamento. Per costruire civiltà, affinché un individuo sia utile alla società, aveva detto Freud, occorre che reprima le sue spinte istintuali più immature; occorre che entri compiutamente nella fase genitale della sua esistenza.
Freud il borghese, dunque. In quanto tale, ha generalizzato una mentalità socialmente limitata e ne ha fatto il paradigma della psicoanalisi. Il modello di questo paradigma è il mercante, egoista, maschilista, privo di senso sociale. Quello che considera lo scambio con gli altri unicamente sotto le voci profitti e perdite, solo in termini di appropriazione.
La critica fondamentale che Fromm muove a Freud è dunque quella di aver ridotto l'esistenza umana al soddisfacimento libidico, un qualcosa che accade non universalmente, ma solo all'uomo alienato della società dei consumi. Questa non è l'essenza dell'uomo. La nostra necessità - dice Fromm - è quella di riscoprirla, per questo è necessaria una teoria critica, la quale non può che muovere dall'antropologia marxiana.
Per ristabilire un orientamento utile a questo fine, Fromm ricorre, come del resto Marcuse, ai Manoscritti economico-filosofici, nei quali emerge che, per Marx, l'uomo è un sistema di facoltà naturali che tendono ad esprimersi nel mondo, e non impulso ad usare il mondo per soddisfare le proprie necessità, i propri desideri, le proprie pretese. Depurato dai bisogni indotti, il rapporto uomo-mondo tende ad articolarsi secondo amore (rispetto per la natura e gli esseri, in prima luogo quelli umani) e secondo il principio della vita.
Fromm nota come Marx abbia spesso utilizzato l'antinomia vita-morte. Dalla parte della morte stanno il capitalismo, lo sfruttamento, il lavoro alienato. Dalla parte della vita troviamo il socialismo, la cooperazione e la produzione sociale, il lavoro liberato. Ma, l'opposizione di Eros e Thanatos non è immediatamente evidente perchè nella coscienza avviene una mediazione che nasce dal reale bisogno di porsi in relazione con gli altri. Questo bisogno è però incanalato secondo le modalità sociali dominanti. La mediazione, secondo Fromm, da luogo ad una falsa coscienza. La determinzione socio-culturale della falsa coscienza diventa così parte vera e propria dell'inconscio; la coscienza si determina a sua volta come una formazione di compromesso che tenta di conferire una parvenza di razionalità alla vita alienata dell'uomo moderno, entrando più volte in conflitto con i contenuti rimossi dell'inconscio.
Secondo Fromm nella società fondata sulla divisione di classe le motivazioni reali non sono razionali, ma vengono razionalizzate a posteriori da un autoinganno ideologico. In questo quadro, lo scopo vero dell'analisi è portare alla presa di coscienza critica delle limitazioni che ciascuno subisce per il fatto di vivere in un sistema di tipo capitalistico. Sarebbe facile ironizzare sulla considerazione che il lettino dello psicoanalista diventerebbe in tal modo il luogo privilegiato per acquisire la coscienza di classe. In realtà, l'ironia è qui fuori luogo per due motivi sostanziali: il primo è che anche il proletariato urbano è diventato in qualche modo utente della pratica psiconalitica, dato che anch'esso è umano, fatto di nervi e di sangue, e non una macchina. In secondo luogo, perché si comincia a vedere che il borghese non è solo un privilegiato ma, a sua volta un alienato ed un represso. L'organizzazione sociale riesce con la sua logica ad essere repressiva anche nei confronti del borghese, e forse persino di più, visto che alla base delle nevrosi vi è il comportamento di facciata imposto dalle società vittoriane e para-vittoriane, l'ipocrisia dei rapporti familiari perbenistici.
La psicoanalisi, su questo terreno può diventare critica dell'ideologia. Ma, in generale, con Fromm, scontando quella che è una caratteristica di fondo della Scuola di Francoforte, ovvero la separazione della tra teoria e prassi, viene alla luceuna tendenza ad isolare la psicoanalisi rispetto al progetto ed alla prassi politica. Evidentemente non si può usare la psicoanalisi come argomento politico, e nemmeno utilizzarla come strumento politico, se non per linee molto generali. Ma, fatte queste precisazioni, rimane che essa si rigenera diventando critica dell'alienazione, dell'avidità e dell'infelicità umane. Agli occhi dell'analista diventa evidente, così come agli occhi del marxista, che èla società stessa a favorire la degenerazione di personalità fissate a stadi pregenitali, di caratteri orali ed anali più rispondenti alle stesse richieste sociali. Contrariamente a Marcuse, che vede nella regressione, o nel fermarsi, agli stadi pregenitali un elemento eversivo, Fromm, sulla scia di Freud, rimane convinto che è la fase genitale nella sua maturazione completa l'unica adatta alla costruzione di un socialismo umano, in grado di valorizzare libertà, autonomia, creatività e socievolezza degli individui.
Un lavoro molto importante di Fromm è questo punto Fuga dalla libertà, del 1941.
Nella recente storia d'Europa, con particolare riferimento al nazismo, ma non solo, si può constatare che l'uomo è disposto a barattare la propria libertà con l'appartenenza sociale a formazioni collettive, in base al timore della solitudine, la quale però sembra più una condanna o, quantomeno, una condizione storica dell'uomo moderno che già matura al livello dei legami primari come la famiglia. Questa degenerazione, tipica del modo di vita borghese, è accompagnata da un progressivo allontanamento dalla natura che è un vero e proprio sradicamento. Si ha così una doppia frattura: l'uomo è lontano dal mondo, ma è anche sempre più lontano da sé stesso che di quel mondo naturale sarebbe comunque espressione.
In Anatomia della distruttività umana, del 1973, viene analizzata in particolare l'aggressività e si cercano risposte a domande del tipo: perchè solo l'uomo, tra tutti gli animali, è riuscito a volgere l'aggressività come energia finalizzata alla semplice sopravvivenza in aggressività maligna capace di sterminare i propri simili?
Secondo Fromm, sadismo e necrofilia, elementi caratterizzanti la figura del nazista fanatico, non sono istinti innati ma, perversioni socialmente indotte che a loro volta interagiscono con la società e la storia. Su questo punto, ovviamente, ci sarebbe molto da dire perché la figura del criminale sadico è presente in ogni tipo di società e questo richiamo a Rousseau può essere utile a richiamare il fatto che non tutti quelli che seguono come un gregge (o meglio, come un branco di lupi) il capo branco sono naturalmente dei fanatici criminali.
In Fromm, dunque, permane in ogni caso l'idea che esista un'essenza umana buona e che sia l'organizzazione sociale a determinare comportamenti malvagi.
Il pensiero di Fromm, contrariamente a quello dei filosofi più radicali della Scuola di Francoforte, ha incontrato grande successo di pubblico ed i suoi libri hanno raggiunto vendite record anche in Italia, sia per la semplicità del linguaggio, sia per l'attualità degli argomenti, sia per l'obiettivo messaggio di speranza che esso conteneva, incentrato sulla speranza messianica di un possibile socialismo comunitario. Per questo ricevette dure critiche da Marcuse ed all'interno della Scuola, ma venne accolto con favore persino da ampi settori del mondo cattolico.
CF - 4 novembre 2004