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L'incantesimo della strega cattiva e la vera condizione femminile: perché Biancaneve non torna alla politica?
di Carlo Fracasso

Correva l'anno 415 d.C. quando Ipazia, donna-filosofo di Alessandria, fu massacrata da una folla di cristiani fanatici istigata dal patriarca Cirillo. E' il primo serio indizio di una partecipazione attiva delle donne alla vita della filosofia intesa come esercizio della ragione, non relegate ad un ruolo subalterno come nel Giardino d'Epicuro. Ma il fatto si pone subito sotto il segno di una perfida stella. Se ci pensiamo, Ipazia è ancora più tragica di Socrate stesso. A quello fu concessa qualche chance, lei non ne ebbe alcuna. Fu uccisa da un'oscurantismo totalitario che anticipava i funesti scenari del Medioevo. Streghe dappertutto, inquisizione, la Mater Terribilis del recente romanzo di Valerio Evangelisti, gli incubi di un mondo capovolto, dove la gente cammina all'indietro e la luna sorge al mattino e tramonta la sera.
Diotìma non fa testo. O meglio, fa solo testo come pre-testo per la narrazione socratico-platonica. Per arrivare alla donna in filosofia bisognerà attendere ancora molto, occorrerà che l'illuminismo faccia il suo corso, e che la ragione si imponga, quantomeno come abito mentale adatto a porre in discussione l'ordine sociale.
E' solo con l'ultimo secolo che la donna entra di diritto nel mondo della filosofia, con una figura su tutte, Hannah Arendt, ma sostenuta dalla robusta compagnia di Simone Weil e di Simone de Beauvoir. Per non parlare del fronte marxista, dove si fanno notare la Luxembourg, la Zetkin, la Kollontai.
Tutte queste parlano la lingua dei filosofi maschi, la lingua logocentrica del pensiero forte e razionale. C'è la filosofia e ci sono, finalmente, le donne, così come ci sono la scienza, la democrazia, i governi, e ci sono, anche, finalmente, donne che fanno ricerca scientifica, donne che siedono nelle assemblee legislative e persino occupano l'ufficio di un ministro, o di un primo ministro.
L'emancipazione è un fatto del tutto occidentale, progressista, borghese prima e proletario poi. Ma le prime donne ad occupare un ruolo di assoluto rilievo nella politica internazionale vengono paradossalmente dall'oriente. In India ci fu Indira Gandhi. Nel Pakistan dei talebani emerse Benazir Butto. In Israele ci fu Golda Meir. E quanto all'occidente, ancora un paradosso: la prima donna veramente famosa aveva le palle e si chiamava Margaret Thatcher. Ed era di destra, non di sinistra. Ergo era insieme la negazione della destra, che ha sempre voluto le donne rinchiuse nell'ambito domestico, insieme alla sua esaltazione.
Ma non volendo scrivere un'apologia delle donne di destra, che in fondo sono la negazione di uno dei pilastri portanti del pensiero tradizionale, ovvero la discriminazione sessuale, non parlerò né di Evita Peron, né di Ann Coulter, che è a destra di Bush e persino dei neoconservatori, e che è la numero 2 solo perché esiste Oriana Fallaci.
Parlerei volentieri di quelle progressiste, della Montessori ad esempio, o di alcune scrittrici feconde, di poetesse che mi hanno commosso, di scienziate che mi hanno strabiliato, di sante come Madre Teresa, che quasi mi hanno convertito ad una religione dell'amore, ma anche qui rischierei di fare della retorica nel senso più deteriore.
Quello che mi interessa dire, in fondo, è una provocazione: una volta stabilito che anche le donne hanno un cervello, una volta dimostrato che possono riuscire in tutto o quasi, esattamente come un maschio, e persino meglio, che bisogno c'è, mi sono chiesto, di una filosofia al femminile, o persino di una teologia femminile?
Domanda retorica, si dirà, perché se si manifesta qualcosa, e questa qualcosa incontra un relativo successo, il bisogno c'è.
Il problema è il mio, che non lo capisco. Sconvolge i miei schemi. Già semidistrutto dalla crisi del marxismo, già travolto dalla morte di Dio, ora constatando che anche l'uomo generico e faber non si sente troppo bene, anzi, si sente molto male, anche questo mi tocca, di misurarmi con il non-pensiero delle filosofie al femminile.
Ci ho provato, ed ho rifiutato l'incarico di spiegarlo assegnatomi dalla direzione di Moses (il tirannico duumvirato Grassano-Marenco) . Ragionare con Luce Irigaray è come parlare di calcio con un tifoso sfegatato, non riesci mai a capire quale partita abbia visto.
Sospesa tra psicoanalisi e filosofia, indecisa come il gran capo nostro, su quale strada de-costruire prima, questa Luce avrebbe provato a convincerci che l'uomo, quale uomo? - vede la donna come un buco, una mancanza, un'assenza, il contrario di sé. Così come del resto il nostro uomo generale e generico vedrebbe il proprio fallo, come il contrario della vagina. Fallo è pieno, attività. Vagina è il vuoto, il non-essere, la passività, il niente.
L'uomo, questo uomo che non sai se archetipico o industrialmente prodotto in serie dalla fabbricazione culturale, è fallocentrico: il fal-logo-centrismo è l'atteggiamento di fondo ed insieme il suo destino. L'uomo ragiona con il fallo, anche quando, come ormai succede ai vecchietti di Moses, esso non si erge più solido ed eretto, ma penzola inerte con l'unica funzione di via orinaria.
Ecco, tentare di spiegare questa metafisica capovolta, richiederebbe, come direbbe Kant, di mettersi dalla parte della cosa in sé e guardare i fenomeni del coso in sé, le sue apparenze e le sue esibizioni come una vanitas vanitatis invece che come una manifestazione della natura umana. Ma il coso in sé rimarrebbe inconoscibile, noumeno di altra specie, ma pur sempre noumeno, come l'atto creativo di un demiurgo nella notte dei tempi.
No, non capisco questo pensiero, dunque non posso nemmeno spiegarlo. Posso solo provarmi a suggerire un aspetto che a me pare lampante. Ovvero, lungi dall'essere espressione di un orgoglio dell'essere donna, Luce mi sembra l'espressione di un complesso d'inferiorità, tutto suo e non delle donne generiche, mai realmente vinto. Più che di freudiana invidia del pene (teoria cervellotica che io rifiuto fin da quando la conobbi) parlerei di lacaniana e foucaltiana invidia del cervello messo a frutto, cioè applicato alle discipline della ragione. E chiederei alla Luce, se la metafisica è fallocentrica, lo sono anche la matematica, la fisica, la chimica e la biologia?
Non scherziamo, appunto.

Le filosofie al femminile hanno questo di singolare: che le donne non le conoscono e vivono meglio se non lo conoscono, anche se, ovviamente, non vivono affatto bene la loro duplice condizione di sfruttate dal sistema economico e di sfruttate dal sistema domestico, di cui non sono affatto signore, ma vittime.
E da qui in poi vorrei iniziare il mio discorso sull'Otto Marzo, che non è marxista, non è femminista, non è maschilista, ma è solo quello di un tizio che ha ancora l'insopprimibile colpa di usare ancora categorie marxiane per interpretare un po' meglio la realtà e le sue contraddizioni più stridenti.
A seguito di quella che potremmo chiamare emancipazione, che non cadde dall'alto come la manna, ma fu ottenuta con dure lotte, le cose nella condizione femminile, sono cambiate, anche molto in profondità.
Però, c'è sempre un però, io vedo l'attuale condizione femminile nei suoi significati sociali, in parte smentiti da storie individuali del tutto in controtendenza, come un'unica grande opportunità sprecata e dilapidata.
In altre parole: l'emancipazione cè stata, ma solo poche hanno saputo usarla, da soggetti consapevoli e razionali quali sono.
La diversità sessuale, di tipo esclusivamente biologico, ha ancora salde radici in una sorta di diversità delle vocazioni. Che è poi solo culturale, cioè frutto di un gioco di suggestioni ed autosuggestioni, insegnamenti dogmatici, sistematiche punizioni per ogni trasgressione alla norma forte e dominante, la quale è un mix di abitudini sociali diseducative e pigrizie mentali altrettanto deprorevoli. Qualcuno (chi? Le condizioni storiche e culturali del passato) ha decretato che la donna si debba occupare di sciocchezze e lavori domestici. Ed ora, anche quando la donna riesce a lavorare, riesce a crearsi un'autonomia ed una dignità, ella rimane una che si occupa di sciocchezze, pettegolezzi, e lavori domestici.
Poichè viviamo in un mondo nel quale la maggioranza delle donne è così (lo dice persino il Silvio: le donne non leggono i quotidiani), quello che potremmo chiamare l'incantesimo della cattiva strega funziona ancora. Biancaneve-Cenerentola è la più bella del reame, ed anche la più intelligente, ma non sa di esserlo, o scopre troppo tardi di poterlo essere.
Al tradizionale sistema dei condizionamenti etico-religiosi si è poi aggiunto il sistema dei consumi guidati ed indotti dalla pubblicità.
Questo è diventato il più forte concentrato di condizionamenti sociali e culturali. La strega cattiva ha così messo a punto un nuovo incantesimo, ancora più brutale e perverso di quello precedente fondato sul ruolo servile ed ancillare della donna.
La donna è il consumo. La donna è l'unica che sa fare la spesa intelligente.
E' l'organizzatrice di tutte le associazioni dei consumatori.
E' l'avvocato dei truffati.
Ma non una parola critica riesce a levare contro il cosa si consuma.
Non fa differenza se si parla di un libro di Julia Kristeva o di una nuova versione del depilady.
La donna della società di massa non ha una funzione critica generale, si limita a dire: ok, il prezzo è giusto.
E le cose non vanno diversamente sul fronte del lavoro. Chiusa nel rivendicare la pari opportunità, non riece a salire alla rivendicazione di un diverso modo di lavorare e produrre. Rifiuta di sottomettersi allo jus primae noctis del principale o del capoufficio, e scambiare un'ora d'amore con il posto di lavoro od una promozione; arriva a coniare un neologismo carico di negatività come molestie sessuali, ma poi cede sistematicamente alla seduzione di farsi essa stessa oggetto, ricorrendo a tutti i sortilegi ed a tutti i trucchi offerti dalla più bieca industria della cosmesi.
Tutto questo è contraddizione, che non vive genericamente "tra le donne", ma spesso convive nella stessa identica donna.
Ma a me, tutto questo, non interessa come singolo caso, come una storia da usare in chiave letteraria e singolare, ma come tendenza diffusa in una società complessa come la nostra, dove ormai l'apparire ha più importanza che l'essere, ma dove anche l'essere è semplicemente diventato desiderio supremo per chi troppo ha concesso all'apparire.

Ecco, le donne, l'altra metà del mondo e del cielo, con le loro angoscie, il loro dolore, il bisogno forte della maternità, il loro realizzarsi come madri, ed ecco subito l'attacco radicale alle loro condizioni ed alle loro legittime aspirazioni.
L'asilo-nido chiuso, il tempo pieno negato, il tentativo subdolo di rifinanziare la famiglia con prole attraverso sussidi strappati ai futuri pensionati ed alla scuola pubblica.
Ecco ciò che tocca veramente le donne oggi.
Più che di parlare di mode culturali e di filosofie femminili, tanto astruse quanto improbabili, la stragrande maggioranza delle donne e degli uomini avrebbe bisogno di tornare a parlare di politica, di come spendere i soldi che paghiamo noi stessi con le tasse, non dimenticando che quando si parla di donne si parla anche di milioni di persone anziane, abbandonate a se stesse, non in grado pagare la retta della casa di riposo ed una dignitosa assistenza sanitaria.
Certo, messa così, ci potremmo accorgere che la condizione femminile è davvero terribile, molto più di come hanno saputo interpretarla le filosofie al femminile.
Che aspettiamo a darci una mossa, non come streghe, ma come donne, esseri umani uguali nell'essere umani?
CF - 6 marzo 2004