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Feyerabend
Contro il dogmatismo, ovunque si annidi
di Silvana Poggi
Paul Karl Feyerabend è noto come il filosofo del «tutto fa brodo», cioè di un relativismo epistemologico estremo. Gli interpreti di Feyerabend possono però trovarsi in profondo disaccordo sul vero significato dell'espressione. Alla luce di tutta l'opera del filosofo austriaco e non solo del libro più sovversivo, propendo per interpretare il suo lascito teorico secondo un'ottica ristretta, inerente il 'metodo' e non il contenuto, cioè i "risultati" della ricerca scientifica. Vi sono modi diversi per scoprire una teoria. Alcuni di questi sono irrazionali, o quantomeno, estrosi. Le nuove teorie vengono spesso scoperte violando le regole metodologiche nel modo più spudorato. Tuttavia, è ovvio che non si accetta una teoria solo perché estrosa, o sorta in un periodo di scarsa lucidità logica e di grande intuitività mistica. La si accetta perchè essa fornisce spiegazioni soddisfacenti rispetto al contesto di conoscenze vicine e di sfondo in cui è nata. La si accetta perché 'provata' e corroborata, dimostrandosi capace di superare almeno la fase più rutilante delle falsificazioni possibili. La si accetta perché non ricorre a spiegazioni magiche, ma a ben individuate motivazioni scientifiche ed empiriche. Se è così, , è evidente che anche Feyerabend, pur muovendo da posizioni estreme e "provocatorie", ha ancora qualcosa da insegnare. A noi interessa sia il come si è arrivati a formulare una teoria, sia il perché la si ritiene una conoscenza valida. E' solo in quest'ambito che si può dare una visione critica e non dogmatica di tutti i saperi. E in quest'ambito, anche il pensiero di Feyerabend trova una sua fecondità quando mostra che alcune teorie non erano sufficientemente provate per essere abbracciate senza riserve e che la loro scelta fu determinata da una decisione e non da valutazione completa del pro e del contro. Una delle pagine più affascinanti e più contestate del lavoro di Feyerabend rimane, non a caso, quella imperniata su Galileo. Egli scelse Copernico contro Tolomeo. Ma, possiamo dire che Galileo aveva valutato completamente il pro e il contro quando decise di abbracciare la teoria copernicana? Quando fu che i fatti gli diedero ragione? Possiamo parlare di "uso del cannocchiale" come prova a favore di Copernico? Su questi argomenti è imperniata la riflessione centrale di Feyerabend nel celebre Contro il metodo. L'uscita di questo libro, nel 1975, provocò reazioni molto negative tra i filosofi della scienza, tra gli scienziati e anche oltre. Joseph Agassi, nella recensione, accusò Feyerabend di esaltare menzogne, di truffare i lettori, di imbrogliare sulla storia di Galileo, di idolatrare la Cina totalitaria e di istigare all'odio e alla violenza. Accuse eccessive, ma non del tutto ingiustificate. Feyerabend sapeva provocare come pochi.

Feyerabend nacque a Vienna nel 1924. A 19 anni, mentre svolgeva il servizio militare durante il II conflitto mondiale, ricevette la notizia che sua madre si era suicidata. L'anno dopo ricevette la croce di ferro per un atto di eroismo sul fronte russo. Ferito durante la ritirata, rimase temporaneamente paralizzato.
Feyerabend non si dedicò immediatamente allo studio della filosofia. Nel '46 vinse una borsa di studio per studiare canto e direzione di scena a Weimar. Ma presto fece ritorno a Vienna, mentre ancora si reggeva sulle stampelle. Voleva studiare fisica e matematica, infine risolse di dedicarsi alla sociologia e alla storia. Deluso anche dalla storia, tornò alla fisica teorica. Fu solo in tale periodo che cominciò ad interessarsi di filosofia, lesse le opere dei neopositivisti e, infine, conobbe Karl Popper. Nel 1949, Feyerabend fondò il circolo Kraft, in onore di Viktor Kraft. Questi era l'ultimo membro del Wiener Kreis rimasto a Vienna ed anche il relatore della sua tesi di laurea. Pare assodato che Kraft abbia anticipato Popper su alcune questioni. Ciò spiega la 'venerazione' di Feyerabend nei suoi confronti. Sempre in quell'anno, Feyerabend convinse Wittgenstein a tenere una conferenza per il circolo Kraft. Altri ospiti del circolo furono George Henrik von Wright e Elisabeth Anscombe.
E' interessante notare che la tesi di laurea in filosofia fu per Feyerabend una sorta di ripiego. Avrebbe voluto laurearsi in fisica, ma non riuscì a risolvere il problema che lo assillava, una questione di termodinamica. Fu per questo che egli strappò il 'pezzo di carta' che lo certificava come accademico in un altro campo. La tesi di laurea non brillava, tuttavia,di grandi idee originali. Era una tipica tesi neopositivista, incentrata sul ruolo degli enunciati base. In quel periodo coltivò il progetto di riscrivere le Ricerche filosofiche di Wittgenstein «in modo che assomigliassero più a un trattato con un'argomentazione continua.» (1)
Feyerabend non riuscì a studiare con Wittgenstein, che morì prima del suo trasferimento in Inghilterra. Quindi, si può dire che ripiegò su Popper, che insegnava a Londra. Ma il rapporto con Popper fu breve e tormentato. Feyerabend preferì tornare a Vienna, rifiutando di diventare assistente di Popper. A partire dall'estate 1953 fu così assistente di Arthur Pap, ancora impegnato a sostenere le tesi dei neopositivisti. A Vienna, Feyerabend prese contatto con Herbert Feigl, il quale lo convinse del fatto che il neopositivismo non aveva né risolto né dissolto i problemi fondamentali della filosofia. C'era quindi ancora posto per la 'discussione fondamentale' e la 'speculazione'. In quel periodo Feyerabend tradusse in tedesco La società aperta di Popper, ma era ancora alla ricerca di una propria strada in filosofia. Per un certo periodo, cercò di 'integrare' il falsificazionismo popperiano con la teoria 'contestuale' del significato elaborata da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche. Finalmente, nel '59 emigrò negli Stati Uniti, dove trovò un posto da professore associato a Berkeley. Da quel momento, egli sviluppò dapprima il falsificazionismo popperiano, e poi se ne sbarazzò. Anche il flirt con le teorie di T. S. Kuhn fu relativamente breve, sebbene, indubbiamente, Feyerabend prese qualcosa di significativo dal magistero di Kuhn, e lo tenne ben stretto per lungo tempo. Si parla non solo dell'incommensurabilità delle teorie rivoluzionarie, ma di quello che è stato definito relativismo epistemologico. Ben oltre Kuhn, Feyerabend prese infatti di mira il razionalismo e la sua pretesa di ricondurre ad una ragione unica la cosiddetta razionalità scientifica. Così si fece una dubbia, meritata ed ambigua fama. Divenne il babau di popperiani, scientisti e neopositivisti. Divenne il 'provocatore' per definizione, il principe del relativismo. Per il suo modo estremamente disinvolto di far fronte agli obblighi inerenti l'insegnamento universitario, fu aspramente criticato e redarguito da superiori e colleghi. Parallelamente cresceva la sua fama tra un pubblico più vasto di quello accademico, tra i colleges in rivolta e il movimento studentesco.
Ciò nonostante, egli fu ospite di numerose università e tenne corsi a Londra, Berlino, Yale, Kassel, Auckland , Zurigo e Trento, alla Facoltà di sociologia come visiting professor. A Londra, Feyerabend conobbe Imre Lakatos e, al di là delle profonde divergenze, si legò a lui con profonda amicizia. Insieme, costruirono il progetto di un'opera dialettica a quattro mani, Per e contro il metodo. Purtroppo, la morte prematura di Lakatos ne impedì la realizzazione. Noi, oggi, possiamo leggere solo la parte composta da Feyerabend, pubblicata con il titolo Contro il metodo e diventata uno dei testi più importanti di filosofia della scienza dell'ultimo secolo; se non altro uno dei più letti e dei più citati. Ancor oggi è spesso sventolato come bandiera dell'irrazionalismo e del relativismo epistemologico.
Una parte di esposizione e riassunto di Contro il metodo è già disponibile all'indice Feyerabend. Conto di finire il lavoro entro breve tempo. In questa sede mi limito ad evidenziare che la questione fondamentale di Contro il metodo rimane l'affermazione di inesistenza del metodo scientifico. Nel capitolo conclusivo, Feyerabend suggerisce di prendere seriamente in considerazione l'idea che la scienza non sia altro che la prosecuzione del mito. E aggiunge che essa dovrebbe essere 'separata' dal moderno stato democratico non diversamente dal modo in cui si era proceduto a 'separare' la religione dalla vita politica.

Nell'ultima fase della sua vita, Feyerabend prese le distanze dal relativismo che egli stesso aveva contribuito ad elaborare. Gli scritti di revisione non sono altrettanto noti di quelli diventati famosi per il loro carattere eteredosso ed eversivo. Ciò, in ultima analisi, non rende giustizia a questo affascinante filosofo e alla sua tormentata ricerca di un senso alla filosofia e, in particolare, alla filosofia della scienza. Cercheremo di mettere rimedio a questa mancanza con alcune note in merito.
Un libro di John Preston, Feyerabend (2), evidenzia, tuttavia, quanto i contributi più rilevanti del filosofo viennese siano stati prodotti negli anni '50 e '60. Contrariamente a quanto pensano molti lettori italiani, dunque, il "vero" Feyerabend sarebbe quello che mosse da una rilettura del II Wittgenstein per attaccare frontalmente il positivismo, tutte le forme di pensiero induttivo ed anche le posizioni popperiane, che rimanevano intrise di positivismo. A partire dal 1957, risulta infatti che Feyerabend accolse l'invito di W. Hollitscher a considerare che la ricerca scientifica è possibile solo sulla base del realismo metafisico e non sull'empirismo. «La concezione caratteristica di Feyerabend - osserva Preston - perfettamente conforme alla sua concezione normativa dell'epistemologia, è che la discussione riguarda quale visione della scienza sia più propizia in vista della realizzazione di certi ideali epistemici condivisi.» (3) Feyerabend, in quegli anni, credeva che la conoscenza umana possa essere presentata in forme diverse, e che ciascuna forma si adatti ad ideali differenti. Pertanto, godiamo della libertà di interpretare la scienza in qualsiasi modo, purché accettiamo le conseguenze, anche le più spiacevoli, delle nostre credenze. Se, insieme ai positivisti, condividiamo l'idea che la scienza sia sistemazione delle esperienze sensibili, dovremo allora tentare di massimizzare quelle esperienze. Se, al contrario, attribuiamo più valore al contributo informativo delle teorie, dovremo seguire i realisti nel considerare le teorie stesse audaci congetture che vanno ben oltre l'immediato mondo del sensibile. Tuttavia, diceva Feyerabend, il rifiuto del positivismo, non è arbitrario. Infatti, giudichiamo un ideale epistemico, un metodo, sulla base delle conseguenze. E, se ci atteniamo al neopositivismo, potremmo accorgerci che certi aspetti della pratica scientifica potrebbero rimanere incomprensibili. Al primo Feyerabend dedicherò un particolare approfondimento dopo aver ultimato il riassunto di Contro il metodo.

In conclusione, mi pare doveroso cercare di mostrare una sorta di utilità del pensiero di Feyerabend anche per chi, come la sottoscritta, continua a credere che esista una sola ragione, un solo terreno d'intesa intersoggettiva e che non abbia senso prendersela con la ragione, invece che con l'uso che se ne fa. Lo spunto viene da quanto ha scritto Francesca Castellani nell'introduzione a Ambiguità ed armonia. (4) «Tutto fa brodo», vuol solo dire non abbandonate le teorie perdenti, le visioni del mondo superate, le medicine sconfitte dalla dottrina medica, la psicoanalisi in nome delle neuroscienze, o della genetica. Feyerabend consigliava di non abbandonare l'immaginazione, di non escluderla dal potere sociale. Un'idea balzana può portare ad un risultato fecondo e sorprendente. «A me sembra - scriveva Castellani - che tutto questo possa essere di auspicio per una filosofia della scienza molto più ricca ed articolata, aperta a fecondi scambi reciproci non solo con la storia della scienza, ma anche con la sociologia, l'antropologia, l'etnologia e altre discipline. Del resto, la questione importante non è distinguere che cosa non è scientifico e cosa lo è, bensì imparare ad individuare il dogmatismo, la pretesa di aver raggiunto verità definitive, ovunque esso si annidi. E Feyerabend non ha mai inteso affermare che la conoscenza risiede nel mito piuttosto che nella scienza, bensì si è opposto con forza ai tentativi di far passare le teorie scientifiche più accreditate come verità ultime che renderebbero superfluo ogni altro punto di vista.»
(1) P. K. Feyerabend - Science in a Free Society - New Left Books - London 1978 / citato in: J. Preston - Feyerabend - Il Saggiatore 2001
(2) J. Preston - Feyerabend - Il Saggiatore 2001
(3) idem
(4) P. K. Feyerabend - Ambiguità ed armonia - Sagittari Laterza 1996
SP - marzo 2007