Cenni all’organizzazione degli scritti sui
paradigmi
di Ezio Saia
Oggi l'idea stessa che il riflettere
e il
pensare in filosofia possano
dare origine
a un sistema di pensiero appare
quasi anacronistica.
Eppure un testo filosofico è
comunque l'esito
di un percorso di esperienze
e riflessioni
dove, pur provvisoriamente, vengono
organizzati
e esposti gli esiti a cui quelle
riflessioni
sono approdate.
Gli scritti qui gentilmente pubblicati a
mio nome si occupano di paradigmi. Cosa sono
i Paradigmi? Schemi? Strutture a priori?
Aperture? Orizzonti? Forse il termine migliore
per caratterizzarli è "organizzazione",
anche se l'ambito semantico di questo termine
è troppo ampio e impreciso. Del resto, se
si dovesse caratterizzare la differenza tra
corpo e pensiero, tra spirito e materia,
il discorso più appropriato sarebbe proprio
centrato su quella vasta area semantica coperta
dal termine "organizzazione". Insensato,
forse, (ce lo dice Ramsey) sperare di pervenire
ad una definizione esplicita efficace e produttiva.
Ogni trattato, ogni teoria ha una visione
parziale dell'oggetto teorizzato; Teorizzando
si conquista e si perde. Questa conquista
e questa perdita assumono un significato
profondamente diverso all'interno delle varie
concettualità che organizzano i vari paradigmi.
All'interno di quel paradigma "vincente",
qui battezzato "gerarchico", è
l'uomo a costruire le teorie e, con esse,
la conquista e la perdita, mentre questa
semantica risulta del tutto inesprimibile
all'interno di un altro paradigma "quello
destinale" dove l’attore dell’agire
teorico è l'Essere, un termine molto usato
da Heidegger e dai filosofi che in qualche
modo si richiamano al suo pensiero, che ha
però in questo scritto senso molto differente.
Del resto l'argomento scelto come strumento
e filo conduttore sono le teorie. Proprio
quel tipo di sapere a cui Heidegger non attribuiva
neppure lo statuto di aperture di verità.
Il nostro vivere e interpretare il mondo,
non avviene secondo un unico paradigma ma
è indubbio che uno di questi si è costituito,
si è imposto, è stato selezionato dall’evoluzione
come paradigma egemone nell'addivenire della
storia biologica e culturale dell'uomo, prefigurando
per noi un destino di vissuti dalle teorie.
I primi articoli:
1.(Paradigma gerarchico parte prima
2.Teorie come vivere
3.La determinazione del significato
si occupano appunto di questo paradigma egemone
che, per motivi inerenti al suo funzionamento
è stato denominato "paradigma verticale"
o "paradigma gerarchico”.
Vengono analizzate successivamente tre forme
paradigmatiche: quella gerarchica dell’agire-patire,
del soggetto-oggetto, (paradigma vincente),
quella circolare e quella destinale. All’interno
di ognuna assumono forma, connessioni e significati
diversi, concetti quali verità, architettura,
azione ecc. Nessuno di questi paradigmi è
presentato come superiore agli altri: è però
evidente la loro diversa efficacia e la diversa
maniera di mappare il nostro aggirarci nel
mondo. Il nostro accesso al mondo avviene
secondo coacervi personalizzati di paradigmi,
ma in ogni caso nuove aperture non rinnegano
necessariamente le precedenti neppure quando
le correggono o le negano.
Il discorso sulle teorie è più ampio rispetto
alle normali indagini epistemologiche. Purtroppo
si è sempre guardato alle teorie con un atteggiamento
asettico e aristocratico. Si è sempre pensato
ad esse come a organizzazioni di pensiero
spirituali e passive che venivano scoperte
o inventate, illustrate o imparate, approvate
o smentite ma sempre secondo processi più
o meno tranquilli più o meno e incruenti.
Il pensiero sulle teorie è sempre stato troppo
schizzinoso ignorando proprio la dimensione
delle teorie come “soggetti” attivi.
In un certo senso si è pensato alle teorie
conformemente a moduli Lamarckiani, secondo
i quali le teorie vengono apprese, elaborate,
collaudate, trasmesse e non secondo moduli
Darwiniani dove le teorie vengono selezionate
e ci selezionano. Ma se questo atteggiamento
è apparentemente sensato in relazione alle
teorie ‘nobili’ nate in un ambiente culturalmente
sviluppato, non lo è per nulla in relazione
a comportamenti e abitudini di vita sopravvenute
nel nostro passato remoto di animali, in
forme che solo in tempi successivi e ‘più
nobili’, sono state lette e riconosciute
come teorie.
Questo atteggiamento, se da una parte ha
allontanato le teorie stesse dalla carnalità
dell'uomo, dall'altra ha contribuito a vedere
l'uomo teorizzante un uomo disincarnato,
spirituale, intellettuale.
Ma è chiaro che le teorie non sono solo quelle
nobili e istituzionalizzate come la fisica
ed è pure chiaro che, se si vuole comprendere
l'agire teorico, si debba riflettere anche
su quei comportamenti, quelle abitudini,
quelle organizzazioni, con cui i nostri progenitori
si orizzontavano nel mondo che emersero e
si svilupparono molto prima che esistesse
la parola “teoria”.
Con questo allargamento si risale ben oltre
la cosiddetta “storia” di cui sono sopravvissute
testimonianze o manufatti culturali, che
ha imposto un confine, indefinito, ma concettualmente
significativo, fra storia dell’uomo storico
e storia dell’uomo biologico.
Così intese le teorie perdono quell’alone
intellettuale di spiritualità che le ha sempre
accompagnate e si presentano come quei soggetti
che nel lontano passato sono emersi come
soggetti agenti e sopravviventi sul dolore
e sulla morte dei singoli individui, prefigurando
per l'uomo un destino schizofrenico di conquista
e di perdita.
In questi articoli il termine "preteoria",
volendo significare con esso teorie con pochi
vincoli ed ampi gradi di libertà. Preteoria
ad esempio, è la concezione di un mondo formato
da oggetti e fatti, preteoria è l'istintiva
fiducia condizionata nei sensi, preteorie
sono i linguaggi.
L'esistenza di queste preteorie mette in
luce l’esistenza di configurazioni generali
di comportamento con ampi gradi di libertà
che, presenti ed attive nel nostro modo di
vivere come organizzazioni del nostro agire,
vengono a costituire un più o meno amalgamato
coacervo di linee d’interpretazione che costituiscono
l'organizzazione del nostro interagire. Entro
le configurazioni di questi paradigmi preteorici
si esprimono le teorie, così come entro i
sistemi operativi degli elaboratori si esprimono
i programmi. Questa similitudine che ha poco
dell'analogia e molto della metafora riesce
comunque a dare almeno una vaga idea dei
rapporti fra teorie e preteorie.
Molte filosofie interpretano il nostro rapporto
col mondo come una rappresentazione. Una
rappresentazione sensibile o intellettuale,
fedele o deformata, ma comunque pur sempre
come una rappresentazione, in cui noi, abitando
nel mondo, lo guardiamo asetticamente e senza
reciproche contaminazioni. In sostanza si
è spesso voluto isolare ciò che è il nostro
vivere nel mondo carnalmente, un vivere in
cui noi respiriamo, lavoriamo, desideriamo,
soffriamo, ci nutriamo ecc. da ciò che è
il nostro rappresentare il mondo. Ma anche
volendo isolare artificialmente questo fantomatico
momento di rappresentazione e questa altrettanto
fantomatica facoltà rappresentativa, stranamente
la si è sempre interpretata e descritta come
se il mondo fosse di fronte a noi e i nostri
sensi in qualche modo lo rispecchiassero.
In questi saggi, al contrario, il nostro
percepire, vedere, considerare il mondo è
interpretato con un processo dal tutto simile
a quello della nutrizione e digestione nel
paradigma gerarchico, di reciproca interazione
nel paradigma circolare, di sopravvenienza
in quello destinale.
Di fatto noi agiamo nel mondo orientandoci
ed agendo su esso, non come osservatori ma
come assimilatori che rendono simile il dissimile,
ed espellono ciò che non può essere assimilato.
L'atto di percepire il mondo è già una colonizzazione
del mondo stesso in cui convergono il mondo,
gli oggetti, i fatti, i termini, le proposizioni,
il pensiero e il linguaggio. Questo è un
processo vincente e consolidato, una preteoria
stabile e strutturalmente costitutiva del
nostro essere: per noi è quasi un binario
su cui scorre il treno del nostro guardare,/vivere,/esperire.
Un binario di cui abbiamo dimenticato l'esistenza
proprio perché è entrato a far parte del
nostro mondo colonizzato.
Dopo queste brevi, parzialmente isolate considerazioni
è possibile indicare il percorso entro cui
muoversi nei saggi pubblicati. Un percorso
che inizia con l’esame dei rapporti fra mondo,
teorie e verità e individuando alcune caratteri
problematici.
Successivamente vengono analizzati le teorie
come modelli, l'opposizione analogico/digitale,
gli enunciati come modelli. Parallelamente
si parla di costruzione, d'esistenza e di
senso degli oggetti. Tale analisi e’ di tipo
intellettuale e lo è volutamente perché sono
“intellettuali” gli oggetti esaminati ed
è“intellettuale” l’uso. Il termine non deve,
però, trarre in inganno. E' proprio l’analisi
intellettuale di un oggetto intellettuale
a favorire, successivamente, un rinvio di
senso verso la loro genesi biologica.
La riflessione sul paradigma gerarchico termina
con il riconoscimento delle teorie e preteorie
come soggetti che ci vivono prefigurando
per noi un destino di perdita e di tirannia
e con la constatazione dell'impossibilità
di dare un senso a quel viverci e a quel
destino. Nella seconda parte (Paradigma circolare:
1) Macchine Analogiche, 2) Macchine digitali
3)Autovalori e linguaggio 4) Il variare del
concetto di verità) oggetto dell'indagine
è l'organizzazione. L'analisi verte più che
altro sui linguaggi, non perché nel linguaggio
si manifesta l'essere ma semplicemente perché
la riflessione sul linguaggio, preteoria
aperta a pluralità concettuali, può costituire
un percorso privilegiato. Nella terza parte
(paradigma destinale: 1)La domanda metafisica,
2) Il concetto di destino) le domande di
Aristotele e di Kant sul senso della domanda
fisica e metafisica innescano domande sul
senso stesso dell'operare informatico mediante
teorie, o meglio, sul destino dell’operatore
umano che si pone incessantemente domande
e ricerca per quelle domande risposte adeguate.
Se il paradigma gerarchico si organizza metaforicamente
sulla disgiunzione agire-patire, quello circolare
si organizza sul concetto di retroazione
e quello destinale sull’accadere.
L’organizzazione degli articoli è la seguente:
Paradigma gerarchico
4.Paradigma gerarchico parte prima
5.Teorie come vivere
6.La determinazione del significato
Paradigma circolare e feedback
1.Macchine Analogiche
2.Macchine digitali
3.Autovalori e linguaggio
4.Il variare del concetto di verità
Concettualità destinale
1.La domanda metafisica
2.Il concetto di destino
Considerazioni provvisorie
Penso che gli articoli sul paradigma circolare
siano difficili per chi affronta la filosofia
armato da una cultura filosofica ‘italiana’
che ha sempre snobbato la scienza e la tecnologia
e quindi (a parte il professor Paci che nutriva
grande ammirazione per il pensiero di Wiener)
anche la cibernetica.
Teorie e preteorie
La distinzione tra teorie e preteorie è spesso
ambigua come si può facilmente constatare
dalla matematica.
Con i numeri, le funzioni e gli algoritmi
esprimiamo le discipline scientifiche che
ci appaiono tanto più progredite quanto più
riusciamo a matematizzarle, ma, a sua volta,
la matematica, oltre che essere un linguaggio,
una casa per scienza e tecnica, è anche un
insieme di teorie con entità, teoremi, architetture
proprie. I suoi teoremi ci aiutano a esprimere
le altre teorie, dando loro una casa ma impongono
con le loro regole vincoli e limiti.
Anche il linguaggio possiede questa duplice
funzionalità. Da un lato ospita racconti,
teorie, filosofie, dall’altro è essa stessa
una teoria, la cui grammatica e la cui sintassi
sono da sempre oggetto di studio. Logica,
linguaggi artificiali, traduzione automatica
sono alcuni fra i problemi che coinvolgono
lo studio della lingua in quanto teoria.
Lo stesso Chomsky intende la grammatica di
una lingua come teoria della struttura di
quella lingua1.
Il linguaggio in quanto teoria vincola il
nostro potere espressivo. Non è solo Heidegger
a lamentare l’indigenza del linguaggio della
metafisica. Siamo come viaggiatori che vogliono
perlustrare una regione ma possono viaggiare
solo su un treno, senza neppure poter vedere
le rotaie.
ES - 21 maggio 2013 | | |
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