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Euclide
di Daniele Lo Giudice


Euclide è figura di capitale importanza non solo della storia matematica, ma di tutta la cultura scientifica dell'occidente. Non già perchè scoprì qualcosa di nuovo e mai visto nella geometria, bensì in quanto riuscì nell'impresa di assiomatizzare l'intera disciplina.
Contando esclusivamente su un piccolo numero di postulati, forti della sola evidenza e non altrimenti dimostrabili, indicò come procedere a dimostrazioni di teoremi e risolvere problemi , cioè ricavare verità matematiche non sempre evidenti, utilizzando argomenti accettabili su base universale.
Indirettamente, come tutti i matematici del resto, diede anche un contributo alla filosofia, giacchè sviluppò quella scienza del necessario (ciò che è così e non può essere altrimenti) di cui aveva parlato Aristotele a proposito della filosofia. Infatti, quando si parla di numeri e figure geometriche, le libere e fantasiose opinioni non sono ammesse e non certo per motivi dogmatici!
Ovunque vi sia cultura matematica, vi è certamente rigore, rispetto delle regole, consapevolezza dei limiti del tema e del problema, oltre che una salutare economia di parole. Esattezza e precisione non sempre sono un dono naturale; spesso si conquistano e certamente lo studio della geometria aiuta moltissimo.
Secondo Boyer (1) la natura della sua opera fa pensare che Euclide avesse appreso dagli allievi dell'Accademia platonica, e che quindi fosse stato allievo (diretto o indiretto) di Platone. Poichè su Platone influirono matematici come Teeteto ed il pitagorico Archita, e poichè dall'Accademia uscirono Eudosso di Cnido, Menecmo e Dinostrato, possiamo intravvedere una lunga linea di continuità che da Pitagora conduce ad Euclide.
Ciò è molto importante, perchè non solo si viene a delineare una genealogia della cosiddetta geometria euclidea, la quale paradossalmente esisteva ben prima di Euclide, ma anche perchè diviene evidente una genealogia del concetto di scienza matematica sulla scia della stessa filosofia pitagorica e platonica.
Oggetto della scienza, secondo Platone,erano non già realtà concrete, ma enti teorici, "idee" in senso platonico. In geometria esistono segmenti e triangoli, che in natura non esistono, ma solo essi hanno il carattere della stabilità e dell'immutabilità. Come ente astratto pensato e disegnato, il triangolo non sarà mai qualcosa di diverso dal triangolo "ideale", ed anche un triangolo particolare come quello avente un angolo retto non potrà mai essere qualcosa di diverso dal suo "ideale". Potranno variare lunghezze e larghezze , ma una volta appurato che esiste un oggetto teorico quale il triangolo con un angolo retto, tutti triangoli retti avranno le stesse proprietà, pur variando le lunghezze di cateti ed ipotenusa.
L'assiomatizzazzione della geometria consentì quindi di avere un modello di riferimento anche per studi di tipo fisico ed astronomico. Alcune delle basi fondamentali del metodo scientifico tipico dell'occidente erano quindi poste.
Tuttavia, come ha ben evidenziato in uno studio recente Pier Daniele Napolitani (2), gli oggetti di studio della geometria greca sono sempre particolari, "ottenuti attraverso una procedura costruttiva più o meno assiomatizzata." (2)
«Una conseguenza immediata di questo modo di considerare gli oggetti geometrici è che per i Greci, non possono esistere oggetti generali. Nella geometria classica non esiste qualcosa di simile alle nostre "curve". Esistono varie linee curve, certo: il cerchio, le coniche, la concoide, la cissoide, la spirale, la quadratrice. ma non c'è una categoria concettuale che le abbracci tutte. Ciascuna di queste curve ha una sua procedura che la definisce; anche se in certi casi una certa curva ottenuta con una certa procedura potrà essere identificata con un'altra curva ottenuta con un'altra procedura. Per esempio la circonferenza euclidea si identificherà con la sezione parallela o subcontraria di un cono; la sezione di un cono che produce l'ellisse si identificherà con la sezione obliqua del cilindro. Ma, a priori, si tratta di oggetti diversi: ogni curva mantiene la sua identità, la sua singolarità.» (2)

Carattere ludico (ed aristocratico) della geometria?
In una discussione recente con Renzo Grassano è venuto alla luce un punto meritevole di menzione. Secondo Renzo, il relativo disprezzo con il quale Platone, ma anche Euclide, guardavano alla semplice aritmetica dei numeri, alla cosiddetta logistiké, ovvero alle operazioni di addizione e sottrazione del calcolo amministrativo dei contabili, è tipico di chi affronta la vita teoretica come un fantastico passatempo, un gioco appassionante che tuttavia aveva anche una sua grandissima utilità, anche se non portava a guadagnare in senso economico.
Anche Euclide non dava soverchia importanza agli aspetti pratici della geometria e nemmeno credeva fosse destinata ad assumere una dimensione popolare e divulgativa.
Un aneddoto che si racconta spesso pare confermarlo.
Un allievo gli chiese quale fosse l'utilità della geometria. Euclide ordinò al suo schiavo di dare una moneta al ragazzo, commentando: "ha bisogno di trarre un guadagno da ciò che impara."
Come in tutti i giochi, una volta appurato che qualcuno cerca di vincere in modo sleale, occorsero delle regole. Euclide fu in grado di scriverle, anche se non sappiamo nulla, purtroppo, di un altro autore, Ippocrate di Chio, che aveva composto un'opera con lo stesso titolo di quella euclidea: Gli Elementi.
Rispetto a ciò si comprendono le differenti spiegazioni, riportate da G.E.R. Lloyd (3), e date rispettivamente da Aristotele e da Erodoto circa l'origine della matematica. Il primo disse che i sacerdoti egiziani avevano del tempo libero, e probabilmente rischiavano di morire di noia; per questo si dedicarono alla matematica. Il secondo, forse più seriamente, sottolineò che gli eruditi egiziani si dedicarono alla geometria ed all'aritmetica per esigenze pratiche: dovevano effettuare misurazioni di terreni e calcolare la quantità di prodotti. Sia a me che a Renzo sembrano vere entrambe le spiegazioni. Pur nascendo da interessi concreti, la spinta allo sviluppo teorico venne dal momento ricreativo, dalla possibilità di usare il cervello in un impiego di scarsa o nulla utilità economica. Ed è indubbio che in Grecia questa attitudine trovò un largo seguito.

Carattere non dogmatico della geometria euclidea
Tra i Greci, proprio per le ragioni suddette, venne presto ad evidenziarsi una diversità radicale rispetto alle geometrie babilonesi ed egiziane, ovvero la passione ed il talento per la dimostrazione, il cui piatto forte era la discussione del problema.
Ai primi matematici greci premeva moltissimo il ragionamento che soggiaceva a quanto veniva affermato, per esempio l'uguaglianza di due figure. Dovevano sempre provare le loro ipotesi con argomenti. Divenne un abito mentale. In Euclide tale inclinazione prese connotati ancor più precisi: egli diede primaria importanza alla costruzione delle figure. Praticamente non vi sono proposizioni concernenti una qualsiasi relazione di uguaglianza, similitudine, proporzione, che non muova dal disegno costruito su papiro o pergamena utilizzando riga e compasso.
In proposito Lucio Russo osserva: « Vanno però notate alcune caratteristiche del metodo euclideo e innanzitutto il ruolo privilegiato svolto sin dai postulati, dalle rette e dalle circonferenze. Il motivo di questa scelta è chiaro: il ruolo della retta e della circonferenza è privilegiato perchè esse sono i modelli matematici delle linee tracciabili con riga e compasso. La geometria euclidea nasce esplicitamente come la teoria scientifica dei disegni eseguibili con riga e compasso.» (4)

Il metodo ipotetico-deduttivo di Euclide
Potremmo dire che nella geometria precedente ad Euclide erano maturati tre ordini di problemi. Il primo: muovendo da affermazioni apparentemente ovvie sulle figure geometriche realizzate sulla carta, era possibile dimostrare qualche altra affermazione non immediatamente percepibile, senza rinviare all'infinito la dimostrazione di ogni argomento utilizzato. Negli Analitici Posteriori aveva già parlato Aristotele di questa necessità. Lloyd arriva a dire che i Greci avevano orrore del ricorso ad argomentazioni infinite e che vi era quindi un bisogno quasi naturale di principi universalmente ammessi.
Il secondo problema non era propriamente geometrico, ma filosofico e logico. Argomenti come quelli contro la divisibilità dello spazio e del tempo utilizzati dall'eleate Zenone in realtà dimostravano anch'essi qualcosa, ovvero che il rapporto tra quantità discrete e quantità continue non poteva essere affrontato con il linguaggio ordinario ed argomenti tratti dal senso comune. Occorreva un linguaggio scientifico organizzato a partire da premesse unanimente riconosciute. Il terzo problema era strettamente connesso al secondo: quale poteva essere il rapporto tra i concetti propri della matematica ed il mondo reale?

Soprattuto sul secondo punto, la geometria euclidea cominciò a rispondere, anche se in un modo che a noi oggi pare poco familiare. In proposito torna ancora utile citare lo scritto di Napolitani. «La geometria greca (parliamo ovviemente della geometria teorica) non conosce i nostri concetti di area e volume. in nessun passo degli Elementi si trova una proposizione del tipo "l'area del triangolo è base per altezza diviso 2". la lunghezza, l'area il volume sono numeri (reali) che noi associamo - sottindendendo di avere fissato un'opportuna unità di misura - a grandezze geometriche: linee, superfici, corpi. Per ragioni probabilmente legate al fatto che esistono grandezze incommensurabili come il lato e la diagonale del quadrato (tali cioè da non ammettere nessuna unità di misura comune), nella matematica greca si produsse assai presto una profonda scissione fra numero e grandezza. I numeri sono "pluralità di unità", sono discreti, e si contrappongono alle grandezze, che appartengono invece al dominio del continuo. Aritmetica e geometria sono due mondi separati.» (2)

Euclide pose fine a questi rovelli trovando una solida base ed un punto di partenza, unificando il metodo della dimostrazione ed uniformandolo ad un stile rigoroso e coerente.
Tutto ciò si trova negli Elementi. L'opera si compone di 13 libri, o capitoli. I primi 6 trattano della geometria piana elementare. Altri 3 trattano la teoria dei numeri, il libro X affronta gli incommensurabili, e gli ultimi 3 parlano di geometria solida.
La prima parte inizia senza introduzione e quindi molto bruscamente con delle definizioni. Euclide dice: "un punto è ciò che non ha parti." "Una linea è una lunghezza senza larghezza." "Una superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza." "Le estremità di una linea sono punti." "Le estremità di una superficie sono linee." "Una linea retta giace uniformemente rispetto ai suoi punti."
Un angolo piano, secondo Euclide, è "l'inclinazione l'una rispetto all'altra di due rette giacenti in un piano le quali si incontrano ma non sono in linea retta.

Al termine delle definizioni, Euclide enumera 5 postulati e 5 nozioni comuni.
I postulati sono:
1) si possa tracciare una retta da un punto qualsiasi ad un punto qualsiasi
2) si possa prolungare indefinitivamente una retta
3) si possa descrivere un cerchio con un centro qualsiasi e un raggio qualsiasi
4) tutti gli angoli retti sono uguali
5) se una retta che interseca due altre rette forma dalla stessa parte angoli interni inferiori a due angoli retti, le due rette, se estese indefinitamente, si incontrano da quella parte dove gli angoli sono inferiori a due angoli retti.

Le nozioni comuni sono:
1) cose uguali a una medesima cosa sono uguali anche tra loro
2) se cose uguali vengono aggiunte a cose uguali, gli interi sono uguali
3) se cose uguali vengono sottratte da cose uguali, i resti sono uguali
4) cose che coincidono l'una con l'altra sono uguali l'una all'altra.
5) l'intero è maggiore della parte.

Non ha molto senso chiedersi se definizioni, postulati e nozioni comuni siano soddisfacenti e sufficienti oggi. Per quasi duemila anni i matematici le accettarono e le ritennero imprescindibili.
In alcuni casi Euclide fece ricorso a postulati non espressi, come quando assunse che due cerchi si intersichino in un punto, senza dimostrazione. Ma è solo un piccolo difetto che si oppone alla severa logica degli altri passaggi.
In sostanza, va compreso che ogni altra affermazione relativa a figure tracciate sulla carta, può essere accettata solo se si riesce a trovare la dimostrazione a partire dai postulati e dalle nozioni comuni.


Poichè la maggior parte del contenuto del I libro è certamente familiare, anche se in altra forma, a chiunque abbia studiato geometria, conviene concentrare l'attenzione su altri aspetti, meno noti, dell'opera di Euclide.
Il II° libro contiene 14 proposizioni ormai trascurate in quanto noi oggi studiamo algebra simbolica e trigonometria. Ma Euclide non disponeva di questo approccio, solo di procedimenti geometrici. L'esempio che fa Boyer (1) è interessante in quanto consente di vedere come l'algebra geometrica degli antichi pur non essendo propriamente uno strumento agile, fosse comunque efficace. Nella Proposizione 4, ad esempio, Euclide afferma: "se un segmento viene tagliato a caso, il quadrato costruito sull'intero segmento è uguale ai quadrati costruiti sui segmenti e al doppio del rettangolo delimitato dai segmenti". Noi oggi diciamo la stessa cosa ricorrendo alla seguente espressione: (a+b)² = a²+2ab+b².
Ma impariamo questa regola in modo dogmatico, e spesso non sappiamo nemmeno perchè. Mentre la dimostrazione di Euclide occupava circa una pagina e mezza e dava conto di ogni passaggio.
Altro caso eclatante è quello della proposizione 6. Qui Euclide risolve quella che diventerà l'equazione ax+x² = b². "Se un segmento viene bisecato e a esso viene aggiunto in linea retta un altro segmento, il rettangolo contenuto dall'intero (con il segmento aggiunto) e dal segmento aggiunto, insieme al quadrato costruito su metà del segmento bisecato, è uguale al quadrato costruito sul segmento formato da metà del segmento bisecato e dal segmento aggiunto."

Di grande interesse anche le proposizioni 12 e 13 poichè anticipano la trigonometria. Leggendole si riconoscerà la formulazione per l'angolo ottuso e per l'angolo acuto di quella che diventerà nota come la legge dei coseni per i triangoli piani.
Ad esempio riportiamo la 12: "Nei triangoli ottusangoli il quadrato costruito su un lato che sottende l'angolo ottuso è maggiore dei quadrati costruiti sui lati che contengono l'angolo ottuso per una grandezza che uguale al doppio del rettangolo formato da uno dei due lati adiacenti all'angolo ottuso (ossia quello su cui cade la perpendicolare) e il segmento tagliato al di fuori del triangolo della perpendicolare verso l'angolo ottuso."
Si ottiene la dimostrazione con la doppia applicazione del teorema di Pitagora.

Libri V e X
Nel V si affronta una teoria generale delle proporzioni e nel X si ha la classificazione degli incommensurabili. Di qui il grandissimo interesse che hanno sempre suscitato tra i matematici. «La scoperta di grandezze incommensurabili - scrive Boyer (1) - aveva minacciato di aprire una crisi che metteva in dubbio dal punto di vista logico ogni dimostrazione che facesse ricorso all'idea di proporzionalità. La crisi era però stata evitata da Eudosso con l'enunciazione dei suoi principi. Ciononostante, i matematici greci tendevano ad evitare il ricorso alle proporzioni. »
Lo stesso Euclide evita di usarle fino al libro V. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che tutto il libro sia in realtà una trascrizione dell'opera di Eudosso. In realtà solo la definizione 4 riporta l'assioma dell'accademico: "Si dice che due grandezze stanno in rapporto l'una con l'altra, quando, se moltiplicate, sono in grado l'una di superare l'altra."
Il concetto eudossiano di rapporto esclude quindi lo zero, che non può essere medio od estremo di nessuna relazione proporzionale, ma restringe anche il campo degli enti rapportabili tra loro. Un segmento non può stare ad una superficie così come una superficie non può stare ad un volume.
La definizione 5 di Euclide è di fatto la definizione data da Eudosso: «si dice che delle grandezze sono nello stesso rapporto, la prima con la seconda e la terza con la quarta, quando, se si prendono equimultipli qualsiasi della prima e della terza, od equimultipli qualsiasi della seconda e della quarta, i primi equimultipli superano ugualmente, o sono uguali, o sono ugualmente inferiori ai secondi equimultipli presi in ordine corrispondente.»
Ovvero a:b = c:d se e solo se dati interi m e n, ogni qualvolta ma < nb, allora mc < nd; oppure se ma = nb, allora mc = nd, oppure se ma > nb, allora mc > nd.

La teoria dei numeri naturali (interi positivi)
Il libro VII contiene 22 definizioni che distinguono diversi tipi di numeri: dispari, pari, primi e composti, piani e solidi e infine definiscono un numero perfetto come "quello che è uguale alle sue parti". Il discorso sui numeri prosegue poi nei libri VIII e IX. «In questi libri ciascun numero è sempre rappresentato da un segmento: così Euclide indicherà un numero con AB.» (1)
Questa graficazione del numero consentiva di affermare che anche se la scoperta degli incommensurabili non permetteva di poter associare tutti i segmenti con numeri interi, si poteva pur sempre rappresentare tutti i numeri interi con diversi segmenti.
Euclide ricorre ad un'espressione per noi oggi inconsueta, ovvero che un numero è misura di un altro numero, oppure è misurato da. Un numero n è misurato da un altro numero m se esiste un terzo numero k tale che n = km. Questi concetti di misurante e misurato, come vedremo sotto, hanno grandissima importanza.
Nel libro VII si trova il metodo per trovare il massimo comun divisore, ovvero la misura comune di numeri diversi.
Il libro IX contiene la ben nota dimostrazione elementare secondo cui la serie dei numeri primi è infinita. Tale dimostrazione è indiretta, ovvero si dimostra che è impossibile esista un numero finito di numeri primi.
Se si assume che P sia il prodotto di tutti i numeri primi considerati finiti e si consideri il numero N=P+1. Ora, secondo Euclide, N non potrà essere un numero primo perchè contraddirebbe l'assunto che il numero P fosse il prodotto di tutti i numeri primi. Se N è un numero composto, ci deve essere qualche numero primo p che lo misura. Ma tale p non può essere nessuno dei fattori primi di P perchè altrimenti dovrebbe essere anche un fattore di 1. Pertanto p deve essere un numero primo diverso da tutti i fattori di P.

La proposizione 35 del Libro IX contiene la formula per la somma di numeri in quella che oggi chiamiamo la progressione geometrica:
«Se tanti numeri quanti se ne vuole sono in proporzione continua, e dal secondo e dall'ultimo si sottraggono numeri uguali al primo, allora come l'eccesso del secondo starà al primo, così l'eccesso dell'ultimo sta a tutti quelli che lo precedono.»

Non so quanti di noi troveranno utile ricordare che questo modo di dire equivale alla formula seguente, ma ci provo:

an + 1- a1aooooooooa2 - a1
______________ = __________
a1 +a2 + ... + an 0000 a1

I numeri perfetti
Cosa sono i numeri perfetti? Può darsi che qualcuno lo ignori, tanto vale rivolgersi ad Euclide, che nella Proposizione 36 del IX Libro ne diede la seguente definizione:
«Se tanti numeri quanti ne vogliamo, a cominciare dall'unità, vengono posti continuamente in proporzione doppia fino a che la somma di tutti i numeri non diventi un numero primo, e se la somma viene moltiplicata per l'ultimo numero, il prodotto sarà un numero perfetto.»
Per dirla chiaramente anche a chi di matematica ne mastica poca, ecco l'esempio: Sn =1+2+4+8+...+ 2n-1= 2n-1. Il risultato della somma, 2n-1, è un numero primo, moltiplicandolo per l'ultimo numero della serie abbiamo un numero perfetto. Si sa che gli antichi matematici greci conoscevano i primi 4 numeri perfetti: 6, 28, 496, 8128. 6 è infatti il risultato di (1 + 2) 2 e 28 il risultato di (1+2+4) 4, essendo il 7 il numero primo cercato e 4 l'ultimo numero della somma.
Quale utilità abbia questa conoscenza nella stessa economia matematica, proprio non saprei dire. Passatempo? Mi pare proprio di sì.

Il libro X, trattato sugli irrazionali
Questa parte degli Elementi contiene una classificazione sistematica dei segmenti incommensurabili del tipo a ± radice² di b e così via, ove a e b, quando sono della stessa dimensione, risultano commensurabili. «Oggi - scrive Boyer - saremmo inclini a considerare questo libro come un trattato sui numeri irrazionali, del tipo suddetto, ove a e b sono numeri razionali. Ma Euclide considerava questo libro come facente parte della geometria, piuttosto che dell'aritmetica.» (1)
Anche qui si può notare quanto fosse restio ad affrontare il problema dell'equivalenza numerica discreta delle grandezze continue, in fondo un segmento pari a qualsiasi ipotenusa non da affatto l'idea di essere un numero irrazionale.

I libri dei solidi, la geometria tridimensionale ed il metodo di esaustione
Gli ultimi libri degli Elementi raccolgono le dimostrazioni di diverse proposizioni sui solidi insieme a definizioni basilari:"il solido è ciò che ha lunghezza, larghezza e profondità", "l'estremità di un solido è la superficie"; la piramide è "una figura solida contenuta da piani, che è costruita a partire da un piano e da un qualsiasi punto"; quattro definizioni sono dedicate ai solidi regolari, mentre non viene nominato il tetraedro. Può destare qualche perplessità che non si faccia menzione che le facce laterali di una piramide debbano essere triangolari, ma era superfluo, dato che nella definizione era implicito che "un qualsiasi punto [esterno al piano]" si oppone "al piano".
Il libro XII è tutto dedicato alla misurazione delle figure, effettuato con il metodo di esaustione, il quale risale con certezza ad Eudosso. Non possiamo quindi escludere che tutto il XII Libro non sia altro che un riassunto del metodo inaugurato dal grande matematico dell'Accademia platonica.
Che significa metodo di esaustione? Potremmo dire: approssimazioni successive, ovvero arrivare non già alla quadratura di un cerchio, ma all'inscrizione progressiva di poligoni all'interno di una circonferenza in modo che il segmento perpendicolare che unisce la circonferenza al punto medio di un qualsiasi lato del poligono sia sempre più breve. Così, se da un semplice quadrato si passa ad un esagono, poi ad un ottagono, poi ad un dodecagono e così via, si potrà notare che questa distanza si assottiglia sempre più, finchè, ad occhio nudo, la distanza sarà veramente minima.

Il XIII Libro
L'ultimo Libro degli Elementi è dedicato allo studio dei 5 solidi regolari, che vengono sistematicamente inclusi in una sfera, trovando il rapporto tra il raggio della sfera e il lato del solido inscritto. Secondo alcuni commentatori non era farina del sacco di Euclide, ma di Teeteto. La Proposizione 10 è ben nota in quanto afferma che un triangolo i cui lati siano rispettivamente lati di un pentagono, di un esagono e di un dodecagono equilateri inscritti in un medesimo cerchio, è un triangolo rettangolo.
L'ultima Proposizione, la 18, afferma che non vi possono essere altri solidi regolari oltre i 5menzionati: tetraedro, ottaedro, esaedro (cioè il cubo), icosaedro e dodecaedro.
Per ognuno di essi Euclide fornisce il rapporto tra il lato ed il diametro della sfera che, ad esempio, è 1:d = radicequadrata di 2 : 3 per il tetraedro.
Boyer riporta che: « Quasi 1900 anni più tardi, l'astronomo Keplero rimase così colpito da questo fatto che costruì tutta una cosmologia basata sui cinque solidi regolari, ritenendo che essi dovevano aver fornito al Creatore la chiave per la struttura dell'universo.» (1)

La vita di Euclide ed altre opere
Della vita di Euclide sappiamo pochissimo. Era figlio di un certo Naucrate, e per quanto si sia fatta una certa confusione, non era certamente lo stesso Euclide noto come Euclide di Megara. Una certa corrente di storici ha voluto affermare che Euclide fosse solo uno pseudonimo dietro al quale si nascondeva non già un singolo matematico ma un'equipe, come nel caso del celebre Bourbaki. In realtà, proprio da testimonianze e citazioni successive, come in Apollonio, pare confermata la storicità del personaggio.
Una leggenda racconta che egli rispose a re Tolomeo d'Egitto quello che aveva già risposto ad Alessandro Magno quando questi gli aveva chiesto una facile introduzione alla geometria: "Non esiste una nessuna strada regale che porti alla geometria." Si noti la finezza dell'uso della paroletta "regale".
Euclide compose altre opere ed a noi sono giunti: i Dati, la Divisione delle figure, i Fenomeni e l'Ottica.
Boyer da grande valore all'Ottica: «...in quanto è uno dei primi trattati sulla prospettiva, ossia la geometria della visione diretta. Gli antichi avevano diviso lo studio dei fenomeni ottici in tre parti: 1 l'ottica, o la geometria della visione diretta, 2 la catottrica, o la geometria dei raggi riflessi, 3 la diottrica o la geometria dei raggi rifratti. [...] L'ottica di Euclide è notevole per l'esposizione di una teoria emissiva della visione secondo la quale l'occhio emette dei raggi che attraversano lo spazio fino a giungere agli oggetti; tale teoria si contrappone alla dottrina opposta di Aristotele secondo la quale una sorta di azione si trasmetteva attraverso un mezzo in linea retta dall'oggetto all'occhio.» (1)
I Fenomeni era un'opera piuttosto simile a quella di Autolico sulla Sfera, uno studio di geometria sferica molto utile per gli astronomi.
La Divisione delle figure contiene 36 Proposizioni sulle figure piane, mentre Dati è strettamente collegato a Elementi e contiene alcune regole procedurali importanti, quale ad esempio: se sono date due grandezze a e b, è dato anche il loro rapporto; se sono dati una grandezza ed il suo rapporto con un altra grandezza, anche la seconda grandezza è data.
Alcune proposizioni costituiscono l'equivalente geometrico della soluzione di equazioni di 2° grado.
note:
1) Charles Boyer - Storia della matematica - Mondadori
2) Pier Daniele Napolitani - La matematica greca ai tempi di Archimede (sta in I grandi della scienza /Archimede /anno IV /n 22 /ottobre 2001/ Le scienze)
3) G.E.R. Lloyd - Metodi e problemi della scienza greca - Laterza
4) Lucio Russo - La rivoluzione dimenticata - Feltrinelli 1996


DLG - 20 dicembre 2003