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Graham Farmelo - Equilibrio perfetto
Le grandi equazioni della scienza moderna
Il Saggiatore 2005
di Eric Amich
«Un' equazione è fondamentalmente un'espressione di perfetto equilibrio.» Lo dice Graham Farmelo, professore associato di Fisica alla Northeastern University di Boston. «Per il matematico puro - che di solito non si occupa di scienze della natura - un'equazione è una formulazione matematica che non ha nulla a che vedere con gli oggetti concreti del mondo reale. Così, quando un matematico vede un'equazione come y = x + 1, pensa y e x come simboli completamente astratti, e non come se rappresentassero qualcosa della realtà.» Possiamo anche immaginarci, prosegue Farmelo, un mondo in cui le equazioni non abbiano alcun significato pratico. E' possibile. Però, da quando i simboli algebrici hanno assunto un significato per il quale y è una quantità misurabile, il nostro modo di vedere e capire il mondo è cambiato. Si prenda ad esempio la più famosa equazione di tutti i tempi, E = mc2. Essa mette in equilibrio, come ogni altra equazione, "due quantità nello stesso modo di una bilancia a due piatti, col segno = che assolve la funzione di fulcro o coltello. Ma mentre una bilancia mette in equilibrio dei pesi, la maggior parte delle equazioni mette in equilibrio altre quantità: E = mc2, per esempio, mette in equilibrio energie".
Non so voi. Io ho trovato queste righe stuzzicanti e promettenti. Mentre sfogliavo il libro, avevo già deciso di comprarlo. Contiene saggi di Roger Penrose, Streven Weinberg, lo storico della scienza Peter Galison, il biologo-matematico John Maynard Smith, ed altri autori meno noti al pubblico italiano, che tuttavia non mancano di raccontare cose e sviluppare riflessioni di cui si sentiva in un certo senso il bisogno.
Viviamo in un paese che ha ancora un tasso moto basso di cultura scientifica e matematica. Si critica la scienza ufficiale, senza peraltro conoscerla a fondo, si privilegiano le scienze alternative, come l'omeopatia (la cui efficacia rimane dubbia), ma un vero pubblico per la divulgazione scientifica non esiste ancora, se non embrionalmente. Le ultime osservazioni in proposito parlano di una maggiore disponibilità, purché i testi siano leggibili e ci sia poca matematica. Il che, francamente è un'impresa perché persino il grande Maxwell trovò non poche difficoltà a spiegare la sua fisica a quel genio di Faraday, che di matematica capiva poco. Dunque, finalmente, questo è un libro che svela la potenzialità delle equazioni applicate a tutti i campi della ricerca. Nelle righe ci sta pure l'aneddoto di Al Gore, il vicepresidente di Clinton, che dopo le batoste elettorali assunse un matematico privato per capire finalmente qualcosa di flussi e deflussi.
Dunque le equazioni, finalmente, anche le più complicate, a portata di mano, spiegate nella loro genesi e nella loro funzione. Il saggio di Franck Wilczeck intitolato Una magia, è dedicato all'equazione di Dirac. Per chi è appassionato di fisica, lo scritto risulta a dir poco emozionante ma, sono convinto che chiunque provi solo un minimo di curiosità per le questioni penultime (senza alcun intento polemico per l'ultimo libro di Massimo Cacciari), troverà in questo scritto moltissime soddisfazioni.
Tutavia, il libro non parla solo di rapporti tra matematica e fisica. E forse in questo sta l'interesse maggiore dell'antologia voluta da Farmelo. Le equazioni della chimica assumono un ruolo guida per capire il mistero del buco di ozono. Il saggio di Aisling Irwin è persino ottimistico per i miei gusti, data la situazione dopo il protocollo di Kyoto, ma ha il merito indubbio di mostrare come la chimica sia consapevole del problema, dei suoi errori passati e non faccia nulla per nasconderli. Per salvare l'ambiente e le nicchie ecologiche, abbiamo bisogno di chimici e non di mistici della natura, così come per difenderci dagli eccessi della tecnica e della violazione della privacy ci occorrono dei tecnici e dei giuristi, non dei filosofi heideggeriani.
Lo zoologo Robert May racconta di come applicando le equazioni del caos si sia giunti a superare una certa impasse che vedeva opporsi, senza gran costrutto, due teorie rivali nel campo del comportamento delle popolazioni animali. Constatando di trovarsi in una stretta tra la teoria degli effetti esterni ambientali e quella della densità della popolazione, May pensò che il problema poteva essere affrontato adottando un altro modo di pensare. «Il pregio della mappa logistica era di fornire un'idea chiara e facile da capire... Immaginiamo uno stagno pullulante di pesci rossi. Durante la loro vita acquatica isolata, questi pesci mangiano, si accoppiano, e forse soffrono malattie e traumi improvvisi come l'arrivo di un gatto.»
Saltiamo i dettagli e andiamo al sodo: il confronto tra le due teorie era stato mal concepito. Entrambe non contemplavano che gli effetti della densità di popolazione, se sufficientemente forti, possono sembrare identici a quelli derivanti da effetti esterni. «Il problema non consisteva nel decidere se la consistenza numerica di una popolazione sia regolata da effetti dipendenti dalla densità (e perciò sia stabile) o se sia governata da disturbi esterni (e perciò sia oggetto di fluttuazioni). Non è questione di alternative aut aut. Piuttosto, quando gli ecologi osservano una fluttuazione, devono trovare se le fluttuazioni siano causate da eventi ambientali esterni (per esempio variazioni irregolari nella temperatura o nella piovosità) o di una propria dinamica interna caotica, quale si esprime nella sottostante equazione deterministica che governa lo sviluppo delle popolazioni.»
Il saggio di Maynard Smith è ancora più illuminante, affrontando direttamente il tema della matematica dell'evoluzione. Muovendo da una geniale osservazione di Motoo Kimura, il giapponese che riuscì a scandalizzare molte persone (tutte quelle più o meno convinte che l'evoluzione fosse guidata da un fine, un recondito progetto, ma anche altre assai meno prevenute dall'ideologia) Maynard Smith ci porta vicino a nuove soglie di comprensione. «Pur accettando la nozione che l'evoluzione adattiva sia la conseguenza di una soluzione naturale che opera su mutazioni effettivamente casuali, egli pensava che molti - e in effetti la maggior parte - dei cambiamenti evolutivi negli negli amminoacidi fossero non-adattivi, ossia "neutri". In altri termini, la sostituzione di una popolazione di un amminoacido con un altro, per esempio della leucina con la treonina - nel corso dell'evoluzione - può verificarsi non perché la selezione favorisca la treonina ma per mero caso. Supponiamo quindi che in una popolazione alcune proteine abbiano in un particolare sito la leucina e altre la treonina. Poiché i geni presenti nella popolazione in una generazione sono un campione casuale di quelli presenti nella generazione precedente, le proporzioni della treonina e della leucina cambieranno in modo graduale, e infine uno dei due amminoacidi andrà perduto e l'altro si fisserà come l'unico esistente nella popolazione. Kimura osservò che il suo assunto del carattere neutro di certe mutazioni aveva una conseguenza interessante per il ritmo dell'evoluzione.»
Quale la probabilità che ciò avvenga veramente? «E' chiaro che questa probabilità dipende dalla grandezza della popolazione: in una piccola popolazione la probabilità sarà maggiore.» E qui intervengono le equazioni, dallo sviluppo delle quali abbiamo che
il numero di mutazioni neutre fissate in ogni generazione = tasso di mutazioni neutre per generazione.
«La teoria di Kimura ci dice quindi che la rapidità dell'evoluzione molecolare neutra dipende solo dal tasso di mutazione, ed è indipendente dalla grandezza della popolazione. Questo fatto è importante perché di solito non abbiamo idea della grandezza di popolazioni del passato, mentre non possiamo supporre plausibilmente che il tasso delle mutazioni sia rimasto grosso modo costante. L'idea di Kimura fu il punto di partenza di un grande corpus di teoria matematica, che è stato applicato in due modi. Innanzitutto esso fornisce una "ipotesi zero" con la quale si può misurare la selezione: gli scarti rispetto alle predizioni della teoria neutra indicano che c'è stata selezione. In secondo luogo, certi certi cambiamenti furono probabilmente quasi neutri ( migliori candidati sono i cosiddetti cambiamenti di basi di basi "sinonimi", ossia cambiamenti che non modificano un amminoacido, e quindi non alterano il funzionamento di una proteina). »
Su questa base, Maynard Smith sviluppa un ragionamento di grande interesse, senza tuttavia ignorare le difficoltà che un uso hard della matematica può comportare.
«Una ragione per cui possiamo attenderci solo predizioni qualitative sta nel fatto che, qualsiasi modello usiamo, lasciamo fuori molte cose. Per esempio, nel costruire un modello del ciclo canadese, includeremmo probabilmente solo alcune fra le specie più abbondanti (e la nostra congettura su quali lasciare fuori potrebbe essere facilmente sbagliata) e ignoreremmo fluttuazioni che si verificano nel clima da un anno all'altro (anche se alcune teorie le hanno considerate cruciali) e differenze spaziali nell'ambiente. Spesso mi è stato domandato, da studenti che iniziavano le ricerche in biologia evoluzionistica, quale giustificazione potrebbe esserci per lasciare fuori da un modello qualcosa che dovrebbe sicuramente incidere sull'esito. La risposta è innanzitutto, che se lasciamo fuori qualcosa di veramente importante il modello non fornirà le predizioni giuste, neppure qualitativamente, e, in secondo luogo, se cerchiamo di mettere tutto in un modello, esso risulterà inutile.»
Un modello particolarmente intrigante, racconta Maynard Smith, fu quello fornito dalla teoria dei giochi avviata da John von Neumann e Oskar Morgenstern all'inizio degli anni '40 del Novecento. Il problema era dato dal fatto che essa prevede che i giocatori adottino un comportamento razionale e questo costituiva un intoppo per lo studio dei possibili giochi nel mondo animale. «I teorici dei giochi avevano però escogitato un'idea semplice che io trovai molto uitle: la "matrice dei compensi". »
Quindi esso poteva essere applicato anche allo studio del mondo animale, secondo l'assunto che un certo comportamenti comportava un compenso, mentre l'opposto comportava una debacle, o tutt'al più una situazione nulla. Il gioco, semplificato al massimo, prevedeva solo due alternative: Falco o Colomba, cioè un comportamento aggressivo ed uno difensivo-elusivo. Non voglio rubarvi il piacere e la sopresa della lettura quindi mi astengo dall'andare oltre. Le equazioni sono anche un gioco. Sono in molti a divertirsi, in un modo forse più utile e meno dannoso che con un video-game. Forse, tutta l'impresa scientifica nel suo insieme è un grande gioco in cui è in palio la scoperta del mistero che ci circonda. Questo libro ci aiuta a capire quali strumenti adottare. Personalmente finirò di leggerlo sotto l'ombrellone, insieme scrutando il mare infinito, un mistero anche questo, un mondo sommerso da svelare e da salvare.
EA - 26 luglio 2005