Epicuro
di Daniele Lo Giudice
Il vivo interesse che specie tra i poco informati
delle cose di filosofia, e sono purtroppo
molti, si incontra per Epicuro, è forse dovuto
ad un gravissimo fraintendimento.
Preso a modello di un'etica del piacere dei
sensi e di una vita votata a fuggire i dispiaceri,
epicureo è diventato sinonimo di gaudente
e di edonista, quando non di persona frivola
e superficiale, priva di spiritualità e totalmente
disimpegnata socialmente e politicamente.
Epicureo in molti casi equivale anche a materialista
e non giurerei sul fatto che qualcuno si
sia sentito in diritto di usarlo in senso
spregiativo.
Di vero in questa vulgata caricaturale c'è
ben poco, anche se, qualcosa c'è. Ma prima
di vedere il lato negativo o discutibile,
cerchiamo di capire bene il lato positivo.
Epicuro disse davvero cose nuove sulla vita,
parlò del "piacere di esistere",
riconoscendo ed affermando il valore della
vita in sé, ovvero qualcosa che nella filosofia
greca precedente non era apparso in modo
del tutto chiaro.
Oserei dire che nella vulgata su Epicuro
solo la considerazione sul disimpegno politico
risponde a verità, ma sarebbe sbagliato vederla
come una originale massima epicurea. In realtà,
già Aristotele aveva affermato la superiorità
della vita contemplativa, cioè teoretica
e filosofica, su quella attiva, e quindi
anche politica.
Di veramente nuovo, in Epicuro, comparve
semmai un parziale svilimento della stessa
vita teoretica. L'aristotelico doc, il peripatetico
più conseguente condivedeva con i suoi simili
ed i suoi amici una passione smisurata per
la conoscenza e per la ricerca. La sua vita
era ricerca, curiosità insaziabile per i
fenomeni naturali, per le teorie filosofiche,
per le conquiste della medicina, le scoperte
matematiche o le costituzioni politiche.
Vita contemplativa, certo, ma attivissima
ed instancabile.
In Epicuro il lato cognitivo della vita contemplativa
è rigettato sullo sfondo, in modo quasi isocratico.
C'è un sapere utile alla felicità ed un sapere
inutile, anzi dannoso.
Un affanno, un fardello di dolori e fatiche.
La filosofia è la via per liberarsi di questi
affanni e di queste ansie: è uno strumento
per raggiungere la felicità. Per questo,
anche la ricerca scientifica ha un carattere
limitato. Non muove dal desiderio della verità,
ma dal bisogno di liberarsi di tutto ciò
che è motivo di inquietudine.
"Se non fossimo turbati dal pensiero
delle cose celesti e dalla morte - scrisse
- e dal non conoscere i limiti del dolore
e dei desideri, non avremmo bisogno della
scienza della natura." Parole che mostrano
un certo disprezzo per la curiosità ed il
desiderio della conoscenza in sé, come se
tutto il bisogno di conoscere nascesse dalla
paura dell'ignoto.
Questa massima esprime in modo chiarissimo
il pensiero fondamentale di Epicuro circa
scienza e filosofia. Il loro compito esclusivo
è liberare gli uomini dalla superstizione,
in primo luogo dal timore degli dei e del
soprannaturale. Poi dal timore della morte.
"Gli dei non si occupano delle faccende
umane." "...quando ci siamo noi,
la morte non c'è. Quando c'è la morte, non
ci siamo noi." Così, nella lettera a
Meneceo, uno dei pochi scritti di Epicuro
che possediamo per intero, viene risolto
laconicamente il problema.
«Abìtuati a pensare che per noi uomini
la morte è nulla - scriveva Epicuro - perché
ogni bene e ogni male consiste nella sensazione,
e la morte è assenza di sensazioni. Quindi
il capir bene che la morte è niente per noi
rende felice la vita mortale, non perché
questo aggiunga infinito tempo alla vita,
ma perché toglie il desiderio dell'immortalità.
Infatti non c'è nulla da temere nella vita
se si è veramente convinti che non c'è niente
da temere nel non vivere più. Ed è sciocco
anche temere la morte perché è doloroso attenderla,
anche se poi non porta dolore. La morte infatti
quando sarà presente non ci darà dolore,
ed è quindi sciocco lasciare che la morte
ci porti dolore mentre l'attendiamo. Quindi
il più temibile dei mali, la morte, non è
nulla per noi, perché quando ci siamo noi
non c'è la morte, quando c'è la morte non
ci siamo più noi. La morte quindi è nulla,
per i vivi come per i morti: perché per i
vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto
riguarda i morti, sono essi stessi a non
esserci. » (1)
Il sapere e la ricerca hanno una finalità
pratica; essa non ha un valore in sè, non
è il fine dell'uomo, perchè è il benessere
dell'uomo il vero fine. Da Aristotele, se
è vero che Epicuro frequentò il Liceo quando
giunse ad Atene, diciottenne, trasse dunque
una visione molto parziale del problema esistenziale.
L'uomo di eccellenza non cerca di liberarsi
dagli affanni materiali della vita e dalle
angosce dell'anima per avere il tempo di
studiare e filosofare, ma si limita ad usare
questo tempo per fuggire il dolore e trovare
il vero piacere, che altro non è che la liberazione
del dolore.
Si dice anche che Epicuro frequentò qualche
lezione di Senocrate, il successore di Platone
alla guida dell'Accademia. Di certo non ne
condivise la teoria della conoscenza, teoria
per la quale la sensazione è sempre sia vera
(per un verso) che fallace ed ingannevole
per un altro. Di certo non ne condivise nemmeno
la presunta superiorità del vero sapere sull'opinione.
Epicuro, infatti, affermò che la sensazione
è sempre vera, ed è l'unica forma di conoscenza
che possediamo. In questo fu seguito dagli
stoici, che pure contesteranno la sua visione
delle cose, evidenziando che la scelta etica
si fa per amore della virtù.
Già da queste scarne annotazioni appare quindi
che l'etica di Epicuro ha un carattere consolatorio-terapeutico
e mirerebbe più ad insegnare una saggezza
ed un'arte di vivere che una vera filosofia.
Potremmo pensare che essa fu una risposta
ad una sorta di domanda sociale, espressa
dall'inquietudine, dall'angoscia e dalla
stanchezza. Abituati a pensare che le nevrosi
siano un fenomeno del tutto moderno, anzi
contemporaneo, forse non abbiamo mai considerato
che da quando mondo è mondo l'individuo umano
è perseguitato da incertezze, dubbi, paure
di ogni tipo, e che molte di queste sono
inconsce o rimosse.
Vediamo meglio in cosa consisteva la terapia
dell'anima patrocinata da Epicuro.
Scriveva: «Per questo motivo noi diciamo
che il piacere è il principio ed il fine
di una vita felice. Noi sappiamo che esso
è il bene primo, connaturato con noi stessi,
e da esso prende l'avvio ogni nostra scelta
e in base ad esso giudichiamo ogni bene,
ponendo come norma le nostre affezioni. Ma
proprio perché esso è il bene primo ed è
a noi connaturato, noi non ci lasciamo attrarre
da tutti i piaceri; al contrario, ne allontaniamo
molti da noi quando da essi seguano dei fastidi
più grandi del piacere stesso. Allo stesso
modo consideriamo molti dolori preferibili
ai piaceri quando la scelta di sopportare
il dolore porta con sé come conseguenza dei
piaceri maggiori. Tutti i piaceri quindi
che per loro natura sono a noi congeniali
sono certamente un bene; tuttavia non dobbiamo
accettarli tutti. Allo stesso modo tutti
i dolori sono un male, ma non dobbiamo cercare
di sfuggire a tutti loro. Queste scelte vanno
fatte in base al calcolo ed alla valutazione
degli utili. Per esperienza sappiamo infatti
che a volte il bene è per noi un male ed
al contrario il male è un bene. Consideriamo
un grande bene l'indipendenza dai desideri
non perché sia necessario avere sempre soltanto
poco, ma perché se non abbiamo molto sappiamo
accontentarci del poco. Siamo profondamente
convinti che gode dell'abbondanza con maggiore
dolcezza chi meno ha bisogno di essa e che
tutto ciò che la natura richiede lo si può
ottenere facilmente, mentre ciò che è vano
è difficile da ottenere. Infatti, in quanto
entrambi eliminano il dolore della fame,
un cibo frugale o un pasto sontuoso danno
un piacere eguale, e pane e acqua danno il
piacere più pieno quando saziano chi ha fame.
L'abituarsi ai cibi semplici ed ai pasti
frugali da un lato è un bene per la salute,
dall'altro rende l'uomo attento alle autentiche
esigenze della vita; e così quando di tanto
in tanto ci capita di trovarci nell'abbondanza,
sappiamo valutarla nel suo giusto valore
e sappiamo essere forti nei confronti della
fortuna. »
Pierre Hadot nel suo stimolante ritratto
della filosofia antica (2) afferma con decisione
che il punto di partenza dell'epicureismo
sta nell'esperienza della carne: «Grida la carne: non aver fame, non
aver sete, non aver freddo; chi abbia queste
cose e speri di averle, anche con Zeus può
gareggiare in felicità.» (3)
« Qui la carne - scrive Hadot - non
è una parte anatomica del corpo, ma in senso
quasi fenomenologico e del tutto nuovo, a
quanto pare, in filosofia, il soggetto del
dolore e del piacere, ovvero l'individuo.»
La carne non è separata e contrapposta all'anima,
ma è tutto ciò che la condiziona, la vera
fonte della sofferenza e del piacere.
Diventa imperativo liberare la carne dalla
sofferenza.
«Per Epicuro - prosegue Hadot - la
scelta socratica e platonica dell'amore e
del Bene è un'illusione: in realtà l'individuo
si muove solo per cercare il proprio piacere
e il proprio interesse. Tuttavia il ruolo
della filosofia consisterà nel saper cercare
in modo ragionevole il piacere, vale a dire
nel cercare il solo vero piacere, il semplice
piacere di esistere. Tutta l'infelicità,
tutto il dolore degli uomini derivano, infatti,
dalla loro ignoranza del vero piacere. »
(idem)
Gli uomini, dunque, ignorano il vero piacere
e sono incapaci di raggiungerlo. La loro
perenne insoddisfazione dipende o dal fatto
che sono costretti all'astinenza, perchè
poveri, o perchè sopraffatti dall'abbondanza,
perchè ricchi e spreconi. Non avendo misura,
rovinano tutto, sia l'abbondanza che la penuria.
« Si può dire - conclude Hadot - in
certo senso, che la sofferenza degli uomini
derivi soprattutto dalle loro opinioni vuote,
dunque dalle loro anime. La missione della
filosofia, la missione di Epicuro, sarà dunque
in primo luogo terapeutica: sarà necessario
curare la malattia dell'anima e insegnare
all'uomo il vero piacere.» (idem)
Secondo Epicuro, esistono piaceri "dolci
e lusinghieri", che si propagano nella
carne provocando un'eccitazione violenta
ed effimera. Ebbene, questi sono da evitare!
Perchè cercando queste delizie che non soddisfano
mai, l'uomo va incontro al dolore. Questo
tipo di apparenti piaceri, è definito come
"mobile" o "in movimento".
Ciò che l'uomo deve cercare è al contrario
il piacere stabile, "lo stato di equilibrio".
Un corpo appagato, raccolto in sé stesso,
che non prova fame, sete, freddo.
Scriveva in proposito:« Perchè è in
vista di questo che compiamo tutte le nostre
azioni, per non soffrire né avere turbamento.
Quando noi avremo ciò ogni tempesta dell'anima
si placherà, non avendo allora l'essere animato
alcuna cosa da appetire come a lui mancante,
né altro da cercare con cui rendere completo
il bene dell'anima e del corpo. E' allora
infatti che abbiamo bisogno del piacere,
quando soffriamo perchè esso non c'è; quando
non soffriamo non abbiamo bisogno del piacere.»
Abolito il bisogno, sembra dire Epicuro,
siamo in grado di intendere qualcosa che
non sempre è a portata di mano: il piacere di esistere.
Questo è lo straordinario ed era già presente
in noi, solo che non ne eravamo consapevoli.
Hadot non manca di far notare come Rousseau
riprenderà questo pensiero nelle Fantasticherie del passeggiatore solitario.
«Di che si gioisce in una situazione
simile? Nulla a noi estraneo, nulla se non
noi stessi e la nostra esistenza, finchè
questo stato dura siamo autosufficienti come
Dio.» (4)
Prenderla come una rivelazione, oppure cercare
di verificarne il fondamento in noi stessi?
A chiunque sarà capitato di attraversare
momenti simili. Ma in genere, solo pochi
non saranno caduti nella tentazione di riempire
il vuoto apparente con un pensiero, una volontà,
o appunto un desiderio. Non si capisce veramente
Epicuro se non si prova a rimanere in questo
vuoto. Gli uomini, cioè tutti noi, sono tormentati
da appetiti e solo una parte di essi sono
naturali e rispondono ad un reale bisogno
della carne. Diceva Epicuro che non sono
naturali né necessari, ma prodotti da opinioni
vuote, desideri senza limiti di ricchezza,
gloria, immortalità e godurie effimere.
Bisogna dunque praticare un'ascesi, annullando
quei desideri che non danno la pace dell'anima
ma la rendono inquieta.
La fisica di Epicuro
La minaccia più grande alla felicità raggiunta
è il timore della morte.
Per vincerla, non basta quanto già detto
sopra. Occorre un po' di fisica. Sì, gli
dei esistono, dice Epicuro - ma non hanno
alcuna preoccupazione di come vanno le cose
quaggiù. Non governano il mondo, non son
loro che fan piovere e provocano terremoti.
I fenomeni naturali hanno origini naturali.
Epicuro era rimasto attratto irresistibilmente
dalla spiegazione fisica di Democrito. E
la fece parzialmente sua, senza approfondirla
o discuterla in modo significativo. Ma vi
introdusse una variazione rivoluzionaria
con un'affermazione che si opponeva al dogmatismo
di Democrito e Leucippo circa la necessità
e il fato. Nulla avveniva a caso, secondo
la vecchia scuola atomista. Ma questa era
una negazione della libertà umana, che invece
Epicuro rivendicava.
Proviamo a spiegare.
Il mondo non è stato creato da una potenza
divina - dice Epicuro - il mondo è eterno.
Dal non-essere non può venire qualcosa. L'universo
eterno è quindi costituito dai corpi pieni
e dallo spazio, ovvero il vuoto, che sarebbe
il non essere. I corpi che possiamo vedere
e toccare sono il risultato di una composizione
di atomi, cioè parti indivisibili ed eterne
a loro volta, di numero enorme ma non infinito.
Il loro movimento non corrisponde ad un disegno
provvidenziale e finalistico.
Gli atomi cadono nel vuoto, e non appena
deviano di un minimo dalla loro traiettoria
si incontrano tra loro formando corpi composti.
Il movimento e le modificazioni della realtà,
si spiegano con l'incessante movimento degli
atomi. Ciò che nasce e ciò che muore e si
decompone è il risultato di questo movimento
invisibile.
Secondo Epicuro, esistono infiniti mondi
(il che pare una contraddizione rispetto
alla precedente affermazione sul numero degli
atomi, che ho preso dall'Abbagnano) e sono
soggetti a nascita e morte, esattamente come
diranno anche gli stoici, probabilmente sotto
la stessa influenza di dottrine orientali
importate dall'India durante le campagne
di Alessandro Magno.
Epicuro non spiega il motivo della deviazione
degli atomi e del loro comporsi in forme che sono l'anima dei viventi (come dicevano
gli aristotelici). E quantomeno noi moderni
non siamo venuti in possesso di scritti e
testimonianze che portino ad una spiegazione
del tipo attrazione o repulsione. Si limita
ad affermare che ogni atomo possiede una
sorta di principio di spontaneità interna
che lo rende libero di deviare.
In Epicuro, dunque, il caso prevale sulla
necessità, e di questo caso non si può avere
scienza se non, appunto, una scienza limitata
alla sua constatazione.
Cosa avviene con la morte?
Che noi non siamo più noi stessi, perchè
gli atomi che ci compongono si scindono e
tornano liberi. Noi ci siamo più, e quindi
la morte non ci riguarda.
Negazione che l'anima sopravviva al corpo
e negazione che possa esistere un'anima che
non è corpo, nemmeno della specie più sottile
come diranno gli stoici. Anche l'anima è
un corpo composto di atomi più piccoli e
mobili, ed anch'essi con la morte si scompongono
e tornano liberi.
E' qui che la forza terapeutica della filosofia
epicurea vacilla clamorosamente, perchè la
più grande consolazione dell'anima è appunto
la speranza nella vita eterna.
Ed è, in fondo, questa stessa speranza che
ci tiene aggrappati alla vita, che ci da
la forza di continuare ad esistere.
Non sarà un caso che i seguaci di Epicuro
spariranno più velocemente di quelli delle
altre scuole filosofiche. La capacità di
presa di una simile teoria fisica non era
grande né nei confronti degli spiriti scettici
ma curiosi, né nei confronti dei più disponibili
ad un percorso di evoluzione spirituale.
Allora, come ora, del resto, la domanda di
spiritualità trovò risposte più appaganti
nello stoicismo e nelle nuove religioni.
Il cristianesimo era per così dire già nell'aria,
pur mancando ancora quasi trecento anni all'appuntamento
con la storia.
Ottimo nell'affermare il valore della vita
materiale ed il suo senso, anche se l'analisi
manca di evidente profondità circa i sentimenti
ed un ragionamento sul dolore che nasce dalla
purezza del sentimento, dall'attaccamento
alla famiglia, alla donna, ai figli, alla
patria ed a tutto quello che non è strettamente
piacere sensibile, Epicuro non concepì il
valore della vita oltre la vita. Non ci arrivò
e non possiamo certamente fargliene una colpa.
Il suo era un razionalismo limitato, probabilmente
un po' arido. La vera ragione è più ragionevole nel senso che accoglie e comprende anche
le ragioni del sentimento e della speranza.
Contro idee certamente diffuse ai suoi tempi
ed anche il comune sentire popolare, Epicuro
assunse una precisa posizione contro il presunto
intervento divino nel mondo. Prendendo spunto
dall'esistenza del male, egli affermò: «La
divinità o vuol togliere i mali e non può,
o può e non vuole o non vuole né può o vuole
e può. Se vuole e non può, è impotente; e
la divinità non può esserlo. Se può e non
vuole, è invidiosa e impotente, quindi non
è la divinità. Se non vuole e non può, è
invidiosa e impotente, quindi non è la divinità.
Se vuole e può (che è la sola cosa che le
è conforme) donde viene l'esistenza dei mali
e perchè non li toglie?»
Ragionamento che non fa una grinza rispetto
a scenari generali, ma che tuttavia non pare
efficace sul destino dei singoli, giacchè
anche ai greci pagani era evidente che preghiera
e diversi atteggiamenti potevano cambiare
la vita delle persone e persino il loro destino.
E sarà su questo che gli stoici faranno leva,
pur asserendo che il destino generale del
mondo è necessariamente immutabile.
La canonica o il criterio della verità
Anche per quanto riguarda quella che potremmo
chiamare logica epicurea, si possono notare
alcune anticipazioni dello stoicismo. Infatti,
anche per Epicuro la sensazione è sempre vera. La diversità risiede nel
fatto che Epicuro fondava la sensazione sulla
teoria atomistica, cioè sul flusso di atomi
che si staccano dalla superficie delle cose.
Il flusso produce immagini simili alle cose
che le hanno prodotte e noi percepiamo le
immagini. Ma, a questo punto, Epicuro introduce
un elemento di novità asserendo che dalle
sensazioni derivano rappresentazioni fantastiche, ovvero combinazioni di immagini diverse,
non sempre realistiche (ad esempio l'accostamento
di uomo e cavallo che produce il centauro),
emozioni (cioè il senso del piacere e del dolore)
ed anche ricordi conservati nella memoria.
Questo mix di sensazioni semplici, rappresentazioni
fantastiche, emozioni e ricordi forma l'insieme
di concetti generali o idee, che per Epicuro
hanno soprattutto la funzione di fornire
anticipazioni sul futuro.
Per Epicuro la sensazione è dunque il criterio
fondamentale della verità, e sembrerebbe
così evidente che la partita con l'eleatismo
veniva chiusa in modo del tutto materialistico
e realistico. Anche i concetti, derivando
dalle sensazioni e dalle emozioni, non possono
portare ad errore. Dove piuttosto, secondo
Epicuro, ci si può fatalmente sbagliare è
sulle opinioni. Esse saranno vere solo se confermate dalla
testimonianza dei sensi, il che porta ad
un empirismo ed anche ad un primo abbozzo
della teoria della verifica. Questo frutto
era dolce ieri, è dolce oggi, lo sarà anche
domani? Vedremo....Però, la mia esperienza
mi porta ad anticipare e fare una previsione
ragionevole... lo sarà anche domani.
Ovviamente, Epicuro ammise che col ragionamento
si possono conoscere anche cose nascoste
od inarrivabili alla sensazione stessa, ma
saranno i suoi discepoli a sviluppare una
teoria del ragionamento induttivo. Nello
scritto di Filodemo Sui segni, scopriremo infatti che gli epicurei ammettevano
l'inferenza per analogia, muovendo dall'esperienza
e quindi dalla sensazione. Se tutti gli uomini
che abbiamo conosciuto sono mortali, che
bisogno c'è di un approfondimento ulteriore,
come richiederanno gli stoici, ovvero la
necessità di stabilire che gli uomini sono
mortali in quanto uomini?
Sarebbe tutto ok, se, una volta compresa
l'importanza di questo realismo fisico, non distante da un senso comune piuttosto
diffuso anche negli ambienti più superstiziosi,
qualcuno non si fosse però domandato su quali
basi si dovesse fondare l'atomismo, cioè
la teoria fisica fondamentale degli epicurei.
Lo sconcerto che può prendere è certamente
giustificato, perchè l'atomismo non può ritenersi
frutto di una sensazione, ma di un ragionamento
sull'essere e il non essere, il pieno ed
il vuoto, che non ha un immediato riscontro
nella realtà, e che non poteva nemmeno essere
verificato ai tempi di Epicuro. Qualcuno
ha mai provato a prendere degli atomi con
le mani e metterli assieme per vedere se
si riesce a fare, non dico un uomo, od un
cane, ma solo una ciotola o una pietra?
Obiezioni di questo tipo non dovevano essere
infrequenti, anche se la storiografia filosofica
non le riporta.
Tra la fisica epicurea e la logica epicurea
stessa vi era quindi una grossa contraddizione,
a meno che non venisse ammesso che la stessa
teoria fisica fosse il risultato di una intuizione
intellettuale e non di una somma di esperienze
empiriche.
L'etica
Praticamente abbiamo già anticipato molto
dell'etica epicurea nell'introduzione. Molti
sostengono che essa derivi direttamente dalla
scuola cirenaica, ed in particolare da Aristippo,
allievo di Socrate. Cerchiamo il piacere
ed evitiamo il dolore, questa è la lampada
che illumina le nostre scelte.
Ma il vero piacere è quello stabile, ed esso è prodotto non già da sensazioni
ed emozioni piacevoli, ma dal tenere lontana
la sofferenza. Il vero piacere sta dunque
nell'atarassia, ovvero l'imperturbabilità.
Dunque vi fu in realtà una punta polemica
con i cirenaici, i quali sostennero piuttosto
una dottrina del "cogli l'attimo"
perchè ciò che conta è il presente.
Diversamente, Epicuro insegnò a distinguere
tra bisogni naturali e superfluo. Anche tra
i bisogni naturali egli distinse tra quelli
realmente necessari e quelli no.
Solo alcuni bisogni naturali e necessari
vanno soddisfatti per avere la felicità.
Altri vanno soddisfatti per la salute del
corpo.
I desideri non naturali vanno rimossi.
«Quando dunque diciamo che il piacere
è il bene completo e perfetto, non ci riferiamo
affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono
alcuni che non conoscono o non condividono
o interpretano male la nostra dottrina; il
piacere per noi è invece non avere dolore
nel corpo né turbamento nell'anima.
Infatti non danno una vita felice né i banchetti
né le feste continue, né il godersi fanciulli
e donne, né il godere di una lauta mensa.
La vita felice è invece il frutto del sobrio
calcolo che indica le cause di ogni atto
di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle
false opinioni dalle quali nascono grandissimi
turbamenti dell'animo.
La prudenza è il massimo bene ed il principio
di tutte queste cose. Per questo motivo la
prudenza è anche più apprezzabile della filosofia
stessa, e da essa vengono tutte le altre
virtù. Essa insegna che non ci può essere
vita felice se non è anche saggia, bella
e giusta; e non v'è vita saggia, bella e
giusta che non sia anche felice. Le virtù
sono infatti connaturate ad una vita felice,
e questa è inseparabile dalle virtù.
E adesso dimmi: pensi davvero che ci sia
qualcuno migliore dell'uomo che ha opinioni
corrette sugli dèi, che è pienamente padrone
di sé riguardo alla morte, che sa sino in
fondo che cosa sia il bene per l'uomo secondo
la sua natura e sa con chiarezza che i beni
che ci sono necessari sono pochi e possiamo
ottenerli con facilità, e che i mali non
sono senza limiti, ma brevi nel tempo oppure
poco intensi? » (dalla lettera a Meneceo)
Tra i consigli della prudenza, Epicuro metteva
anche quello di astenersi dalla vita politica,
forse più nel senso di accantonare le ambizioni
che nel senso di coltivare l'interesse per
i problemi. Il precetto di "vivere nascosto"
per essere felice e tranquillo fece comunque
molta strada ed è parte integrante di una
saggezza popolare mai tramontata.
La scuola epicurea e la sua eredità
La scuola aperta da Epicuro aveva sede in
un giardino. Epicuro era molto venerato,
quasi come un dio, e Seneca riporta un precetto
considerato basilare nella scuola: "comportati
sempre come se Epicuro ti vedesse."
Molta importanza avevano la vita in comune,
l'amicizia, il dono di sé in squisita compagnia.
Una delle massime epicuree più famose fu
ripresa nientemeno che da San Paolo (non
viene il dubbio che l'apostolo si sia confuso?)
il quale la mise pari pari in bocca a Cristo.
Diceva Epicuro:" E' non solo più bello
ma anche più piacevole fare il bene che riceverlo."
Lo stesso Seneca colse un dato importante,
ovvero che l'epicureismo godette di un certo
successo solo finchè fu vivo il maestro.
La forza d'attrazione era dovuta più alla
personalità di Epicuro che all'oggettività
della teoria. Tant'è vero che già nel I°
secolo il Giardino venne chiuso.
Comunque sia, la scuola di Epicuro, sotto
l'impulso del suo fondatore conobbe un certo
successo.
Al giardino erano ammesse anche le donne,
ed alcune divennero anche famose come Temista
e l'etera Leonzia ( o Leontina) che pare
abbia scritto un testo polemico contro Teofrasto,
il successore di Aristotele alla guida del
Liceo.
Filodemo, di cui abbiamo parlato, fu uno
dei discepoli più produttivi, attivo a Roma
ai tempi di Cicerone ed autore di testi quali
Retorica, Sui segni, Il buon re secondo Omero, Sulla musica, Sulla pietà.
Filodemo polemizzò con gli stoici ed anche
con la scuola aristotelica. Lo scritto Retorica contiene una critica della retorica aristotelica,
cui oppose il metodo induttivo ed analogico.
Ma fu il poeta Lucrezio l'epicureo più famoso
del mondo antico e forse il vero tramite
della trasmissione ai posteri delle dottrine
del maestro. La sua opera De rerum natura, peraltro non ultimata, è forse uno dei
classici più letti e considerati nella storia
dell'umanità, e si mostrò particolarmente
fedele alla dottrina originaria.
Lucrezio, descritto come temperamento passionale,
si suicidò (più da stoico che da epicureo)
a soli 44 anni.
Nel II° secolo d.C. apparve probabilmente
l'ultimo degli epicurei antichi, Diogene
di Enoanda in Asia Minore.
Comunque, bisognerà arrivare in epoca moderna,
a Gassendi, perchè la filosofia epicurea
ritorni in qualche modo agli onori della
cronaca e della storia. Nel mondo antico,
specie per l'avvento dello stoicismo e per
il successivo imporsi di dottrine neoplatoniche,
nuove religioni ed infine il cristianesimo,
non ebbe molta fortuna e molti seguaci.
note:
1) Epicuro - Lettera a Meneceo
2) Pierre Hadot - Che cos'è la filosofia antica? - Einaudi
3) Epicuro - Lettere, massime sentenze -
4) J.J. Rousseau - Le fantasticherie del passeggiatore solitario - Quinta passeggiata - in Scritti Autobiografici - Einaudi