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Da Il significato della storia nel pensiero scientifico

La storia obiettiva di Duhem
di Federigo Enriques

P. Duhem ha esposto in volumi di larga mole del Sistema mondo e quella dei principi della dinamica, dall'antichità a Galileo. Non voglio dire che questa sia una storia senza idee direttive, perché è stata scritta evidentemente per diminuire Galileo e giustificare, sul terreno storico, il giudizio di condanna dei suoi inquisitori; ma - dissimulando questo scopo - essa si presenta come una storia interamente obiettiva, costruita tutta sulle fonti, che - indipendentemente - da ogni preconcetto - vengono raccolte, studiate ed esaminate per se stesse, con uno sforzo colossale di erudizione. Perciò vale la pena di mostrare gli errori a cui conduce questo metodo.
L'autore, volendo iniziare la sua storia da testi certi, la fa cominciare con Platone ed Aristotele. Sembra una precauzione di storico positivo, ed ecco le conseguenze che ne derivano. La dottrina aristotelica del moto (che il Duhem presenta come la più alta sintesi raggiunta alla sua epoca) è in realtà una costruzione metafisica che l'autore oppone ad una dottrina precedente, e che male si riuscirebbe a comprendere senza di questa. Infatti Aristotele costruisce la propria teoria dei moti, intendendo inispecie dei moti violenti nel mondo sublunare, partendo dal presupposto che ogni corpo tenda, per natura, a star fermo nel suo luogo, e non possa muoversi se non per effetto di una causa motrice, come avviene per i proiettili in virtù dell'impulso ricevuto dal proicente. Ma come può questa causa seguitare ad agire dopo l'impulso, fuori del contatto del corpo mosso? In altre parole, come mai il moto di un corpo lanciato si prosegue per qualche tempo, quando la virtù motrice dell'impulso ha cessato di agire su di esso?
Per sciogleire le difficoltà Aristotele ha immaginato la sua teoria della spinta del mezzo ambiente. Nel vuoto l'impulso dovrebbe esaurirsi subito, altrimenti si dovrebbe ammettere l'assurdo che continui all'infinito: "Nessuno potrebbe giustificare perché un corpo, una volta messo in moto [nel vuoto] dovrebbe fermarsi in qualche parte, piuttosto qua che là. Quindi deve: o restare in riposo o conservare indefinitamente il suo moto nello spazio finché non gli si opponga una forza maggiore. (Phys. IV,8).
Appunto in questa pretesa riduzione all'assurdo del moto, vuolsi ravvisare la negazione di una tesi precedente che contiene il principio d'inerzia, il quale perciò deve riconoscersi alla base della teoria atomica democritea. E d'altronde l'intuizione cinetica del mondo, che è espressa in questa teoria, suppone necessariamente la veduta del modo rettilineo degli atomi come moto naturale, cioè il principio d'inerzia.
Ciò compreso, vediamo come si presenti nella storia lo sviluppo delle idee sul moto. La sottile dottrina di Aristotele assumeva dal senso comune la tendenza naturale dei corpi alla quiete ma, elevandola a principio metafisico, si trovava a dover giustificare in modo bizzarro la continuazione del moto dopo l'impulso; questa dottrina ha dovuto presto cedere di fronte a difficoltà di ogni genere. Ed allora si è accettata la teoria dell'impeto (attribuita ad Ipparco), che è la semplic espressione del fatto empirico: il proiettile riceve dal motore una certa provvista di energia motrice, che mantiene il moto, ma tende naturalmente ad esaurirsi.
Tutta l'evoluzione delle idee sul moto, dall'antichità fino alla dinamica moderna, si fa dunque fra questi due termini: dottrina di Aristotele, teoria empiristica dell'impeto, dottrina di Democrito, che reca (pure attraverso la negazione aristotelica e d'altra parte come presupposto necessario del sistema atomistico) una soggiacente veduta dell'inerzia.
Duhem ha perfettamente ragione di cercare nella storia la continuità delle idee, e questo giusto concetto reca il miglior frutto del suo lavoro, portandolo a mettere in luce precursori dimenticati della nostra scienza quali sono i doctores parisienses del secolo XIV (in ispecie Buridano), ma ha torto di rappresentare il progresso scientifico come il logico sviluppo delle idee aristoteliche. La rivendicazione che egli ci dà del contributo portato alla dinamica dalla scolastica assume un significato affatto diverso per chi scorga nelle scuole - e in ispecie nella scuola di Parigi - uno sviluppo scientifico che, traverso Aristotele, viene a contatto colle opposte vedute democritee, le quali - nello stesso secolo -si affacciano in forma più aperta ed eteredossa, colle tesi condannate di Nicola d'Autrecour.
Anche l'evoluzione posteriore delle idee, in Nicola di Cusa, reca evidente traccia della doppia influenza. Immaginando che i corpi celesti posseggano un'anima motrice, questi sembra invero riprendere quella concezione dell'inerzia che- dopo Democrito - il pitagorico Ecfanto aveva espresso appunto in codesto modo. La veduta del filosofo di Cusa che il moto di una sfera sopra un piano orizzontale dovrebbe continuarsi indefinitamente, mette in gioco anche più apertamente l'inerzia, ma l'autore non spiega la cosa nel modo giusto, facendola dipendere da un principio di ragion sufficiente in rapporto con la forma sferica del corpo che si muove.
Comunque sia, non è dubbio che in diversi pensatori e in diverse forme, si affacci, molto prima di Galileo, una certa veduta del principio d'inerzia, quale può ritrovarsi, per esempio, in Leonardo da Vinci e in Copernico. Ordunque in qual modo si dovrà risolvere la questione di priorità per rispetto di a tale scoperta?
Nel giudizio che stiamo per dare si rivela tutto il valore dell'idea per la costruzione della storia.
Il principio d'inerzia non è un fatto che si scopra un bel giorno ad un osservatore più attento. Ma esso è: in primo luogo, come si è detto, intuizione soggiacente al sistema cinetico degli atomisti (il moto è stato naturale per gli atomi, elementi del sistema), ed in secondo luogo qualcosa di più, che riceve il suo vero significato dal posto che prende nel sistema della dinamica moderna.
Nel primo senso l'idea dell'inerzia si affaccia, come abbiamo notato, dovunque si spieghi un'influenza diretta o indiretta dell'atomismo, ma poiché nel mondo medioevale le tradizioni dell'antichità sono ricevute senza un criterio razionale di scelta, secondo il peso dell'autorità, riesce difficile dire fino a che punto, essa venga compresa, soprattutto perché mancava, in generale, il coraggio di riprendere in pieno la dottrina di Democrito, legata, neo ricordo al materialismo epicureo.
Nel secondo senso il principio d'inerzia assume tutto il suo valore, per chi assorga al concetto della forza siccome causa, non già di moto o di velocità, bensì di variazione o accelerazione, e comprenda insieme il postulato della relatività del moto.
Sotto questo aspetto il detto principio è un'esigenza del sistema copernicano e scaturusce appunto dalla retta comprensione di questo sistema. Copernico stesso e poi Keplero hanno una qualche intuizione della cosa, richiamando la veduta pitagorica dell'inerzia già segnalata (anima motrice dei corpi celesti, per cui questi ricevono una disposizione naturale al moto rettilineo). Tartaglia comincia a capire la composizione dei moti, riconoscendo la continuità della traiettoria di un grave lanciato. Ma la comprensione piena del sistema copernicano corona soltanto lo sforzo di Galileo. Proprio nella polemica contro gli avversari, Galileo scopre che le apparenze dipendono soltanto dal moto relativo ed arriva alla spiegazione profonda di questo paradosso, che è appunto il naturale continuarsi del moto, se non intervengono cause perturbatrici. L'enunciato dell'inerzia non viene dato da Galileo in forma generale astratta, come doveva fare per la prima volta lo spirito sistematico di Descartes, ma in forma concreta, dicendo che una palla di cannone non soggetta alla gravità continuerebbe in perpetuo il suo moto rettilineo uniforme. Ad ogni modo l'apporto essenziale di Galileo alla questione dell'inerzia, sta proprio qui, meglio ancora che nel punto additato da Mach, cioè nella considerazione del caso limite della caduta dei gravi sopra un piano inclinato, che diventi orizzontale.
Lo scopo della discussione precedente è stato di chiarire una veduta metodologica attinente alla teoria della storia piuttosto che di esaurire un problema relativo alle origini della dinamica moderna. Perciò ci asteniamo dallo spingere più avanti l'esame del detto problema, per quel che si riferisce, per esempio, a Leonardo da Vinci, di cui il sig. R. Marcolungo ha restitituito i testi in una memoria erudita: diciamo soltanto che il passo fondamentale invocato dal Marcolungo per attribuire a Leonardo il concetto proprio dell'inerzia, è da noi interpretato in senso contrario. (1)
Ma poiché abbiamo preso a confutare la concezione della storia della sceinza del Duhem, vogliamo indugiarci un istante sopra un apprezzamento che l'A. fa in ordine al modo con cui Galileo stabilisce a priori . prima del cimento dell'esperienza - che la velocità di caduta dei gravi deve essere indipendente dalla massa.
Non varrebbe la pena di soffermarci su questo esame se si trattasse soltanto di documentare lo stato d'animo dello storico. Ma è assai più importante riconoscere come la sua mentalità scientifica domini il suo giudizio. Galileo provava la tesi anzidetta, osservando semplicemente che se si uniscono due gravi eguali, nessuno dei due può comunicare all'altro una maggiore velocità; ciò importa che un corpo di massa doppia debba cadere colla medesima velocità del semplice.Egl riferisce questo ragionamento come frutto della propria riflessione, ma non abbiamo difficoltà ad ammettere che esso possa risalire a pensatori precedenti ( egià anche a Democrito). Quale valutazione si deve fare di esso? Il Duhem - mentalità logica scolastica portata a misconoscere ciò che vi ha d'intuitivo nella ragione - trova che il discorso non porge una dimostrazione puramente logica, e rimprovera quindi a Galileo un paralogismo di cui i sottili ragionatori più antichi (come Giovanni Filipono) non sarebbero stati capaci.
Con simili criteri si dovrebbe disconoscere e spregiare, quasi in ogni campo, gl'inizi della scienza moderna: che appunto si solleva sulla precedente per introdurre principi decisivi di valutazione e di scelta nel confronto di dottrine confuse e contraddittorie, basandosi in generale su semplici intuizioni.
(1) Cfr l'art. Inerzia nell'Enciclopedia italiana