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Einstein: la relatività generale (parte II)
di Eric Amich

Il fondamento della relatività generale è la connessione tra inerzia e gravità. La massa di un corpo esercitante una gravità è esattamente proporzionale alla massa come misura per l'inerzia del corpo. Misurazioni molto accurate non hanno mai rilevato eccezioni a tale regola. Ciò significa che le forze gravitazionali possono essere equiparate alle forze centrifughe generate come reazioni all'inerzia.
Può essere utile ricordare che, quando si parla di forze centrifughe, si allude ad un osservatore che, posto su una giostra in moto circolare, sente una forza apparente spingerlo verso l'esterno, cioè nel verso opposto a quello della forza centripeta che guida la traiettoria circolare.
La forza centrifuga è detta anche reazione centrifuga perché si tratta di una reazione dovuta all'inerzia del corpo. In altre parole: il corpo, per inerzia, reagisce alla forza impostagli dal vincolo tentando di sfuggirgli e tale reazione è detta forza inerziale centrifuga.
Poiché le forze centrifughe sembravano causate da proprietà fisiche dello spazio vuoto, Einstein ipotizzò l'esistenza di un legame causale tra queste proprietà e le masse che producono la gravitazione. Ovvero: le forze centrifughe in un sistema ruotante devono essere prodotte dalla rotazione (relativa al sistema) di masse forse molto distanti. Che è come dire: Einstein fu colpito dalla rassomiglianza tra gli effetti gravitazionali e quelli dell'inerzia, perché in entrambi i casi la forza è proporzionale alla massa.
Per spiegare come mai due corpi di massa diversa cadono al suolo con la stessa accelerazione gravitazionale, Newton era stato costretto ad introdurre il concetto di inerzia. Sebbene la forza di gravità che attrae una palla di ferro sia dieci volte maggiore di quella che agisce una palla di legno uguale, l'inerzia che trattiene è 10 volte maggiore. Per questo l'accelerazione è uguale. Einstein pensò che poteva essere possibile utilizzare l'inerzia per creare o eliminare un campo gravitazionale. Ad esempio: una navicella spaziale non può restare ferma nello spazio; la forza di gravità la farebbe precipitare al suolo. Se resta in orbita è perché possiede una velocità tale per cui la forza centrifuga annulla gli effetti di quella gravitazionale, che ha un effetto centripeto.

Ma ai tempi in cui Einstein lavorava alla redazione della teoria della relatività generale non esistevano navicelle spaziali. Egli dovette ricorrere ad uno dei suoi famosi esperimenti mentali per immaginare che cosa potrebbe accadere ad «una spaziosa cassa che rassomigli ad una stanza, avente al suo interno un osservatore munito di apparecchi.» (1)
La cassa si trova in una larga porzione di spazio, lontana da stelle ed altre masse apprezzabili. Per un osservatore in simili condizioni non esiste alcuna gravitazione. «Egli deve assicurarsi con corde al pavimento, altrimenti il minimo urto contro di questo lo farebbe salire lentamente verso il soffitto della stanza.
Nel mezzo del coperchio della cassa sia fissato esternamente un gancio con una corda attaccata a esso, e supponiamo ora che un "essere" (non ha interesse per noi di qual sorta di essere si tratti) cominci a tirare questa corda con una forza costante. La cassa insieme all'osservatore comincia a muoversi "verso l'alto" di un moto uniformemente accelerato. Con l'andar del tempo la loro velocità accquisterà valori inauditi, purché noi si stia osservando tutto ciò da un altro corpo di riferimento che non sia tirato da una corda.
Ma come giudicherà questo processo la persona situata nella cassa?» (2)
Egli avvertirà tutti i normali effetti della gravitazione, come si trovasse chiuso in una casa sulla Terra. «L'osservatore si convincerà ancora di più che l'accelerazione del corpo verso il pavimento della cassa è sempre la stessa, qualunque sia la specie del corpo che egli possa usare per l'esperimento.» (3)
Einstein suppone, a questo punto, che l'osservatore giunga alla conclusione di trovarsi in un campo gravitazionale costante rispetto al tempo. Allora, si chiederà perché la cassa non cade. Cercherà di capire il motivo e scoprirà che la cassa è appesa ad un gancio sul coperchio esterno. Ne concluderà che la cassa è sospesa nel campo gravitazionale!
«Dobbiamo sorridere - scrive Einstein - di questa persona e dire che essa sbaglia nelle conclusioni che trae? Io credo che non possiamo farlo se vogliamo essere conseguenti; dobbiamo invece ammettere che il suo modo di concepire la situazione non contrasta né con la ragione né con le leggi note della meccanica.» (4)

Supponiamo ora che il nostro "essere" abbia portato la cassa a ridosso di un pianeta e "tagli la corda" (nel doppio senso possibile). La cassa comincerà a cadere verso il pianeta. Il nostro povero osservatore all'interno, estraendo dalla tasca un fazzoletto per soffiarsi il naso, lo lascia inavvertitatamente cadere... sorpresa! Il fazzoletto non cade, ma fluttua liberamente vicino alla mano. Il nostro spicca allora un balzo verso l'alto e rimane sospeso per aria come il fazzoletto.
Che significa tutto ciò? L'osservatore lo spiega supponendo di essersi sottratto ad un campo gravitazionale proprio mentre sta cadendo!

E' su queste basi che Einstein postulò il principio di equivalenza: in un laboratorio chiuso non si può eseguire alcun esperimento che permetta di distinguere gli effetti di un campo gravitazionale da quelli dovuti ad una accelerazione.
Di questo principio si dice però sia valido solo localmente: come mai?
Se ci sentiamo autorizzati, dopo essere stati idealmente dentro la cassa, a dire che ogni moto, compreso quello accelerato, è relativo, in realtà non possiamo però stabilire se è la cassa a muoversi provocando effetti d'inerzia, o se non sia l'universo intero a muoversi, provocando effetti gravitazionali. Il moto, allora, è solo una descrizione della relazione tra la cassa e tutto il resto del mondo.
Possiamo allora dire che il moto relativo crea un campo di forze, matematicamente descrivibile da equazioni, e tale campo può essere sia gravitazionale, sia d'inerzia. Se scegliamo la cassa come riferimento, abbiamo un campo gravitazionale. Se scegliamo l'universo, abbiamo un campo d'inerzia. I due campi non possono essere descritti dalla stessa struttura matematica. Una cassa che si trovi nel campo gravitazionale di un pianeta può accogliere fenomeni che non si presentano nella cassa lontana da ogni massa apprezzabile, tirata da una corda ( che equivale ad una capsula spinta da un razzo). In un piccolo laboratorio spaziale lanciato gli oggetti ed i corpi cadono perpendicolarmente verso il pavimento. Ma in un laboratorio a terra, sufficientemente alto da consentire l'esperimento, noteremmo che i corpi tendono a cadere non più perpendicolarmente, ma seguendo una traiettoria convergente, perché attirate verso il baricentro del pianeta.
Nel campo inerziale, dunque, si conservano le distanze; nel campo gravitazionale, al contrario, esse diminuiscono. Non solo: l'accelerazione diminuisce o aumenta a seconda della distanza dalla Terra. Quindi due corpi che si trovino ad altezza diversa, subiscono accelerazioni diverse. Dopo qualche tempo, si constaterà quindi che anche la distanza verticale reciproca è aumentata.

Eseguendo misurazioni in un laboratorio, quale esso sia, ci si dovrebbe accorgere della diversa struttura matematica dei campi, ma si troverebbero problemi insormontabili nel distinguere un sistema inerziale da uno gravitazionale. Tuttavia, se entrambi i campi possono essere descritti dalle stesse leggi quando vengano considerati in uno spazio sufficientemente ridotto e per un tempo ragionevolmente breve, ciò significa, appunto, che il principio di equivalenza è valido solo localmente.

Geometria e campo gravitazionale diventano sinonimi.
Come giustifichiamo questo annuncio? Supponiamo, come fece Einstein, di essere ancora su un disco rotante, una giostra con cavalli a dondolo, automobiline e carrozze. Al centro di essa, alla sommità del perno è collocato un orologio. Un altro orologio sia posto in prossimità della circonferenza. Accanto ad esso sta il nostro osservatore, miracolosamente scampato allo schianto della cassa. A terra ne sta un altro. L'orologio al centro non ha velocità, mentre quello in periferia è in moto circolare, ora uniforme ed ora accelerato. Ne viene che il secondo orologio cammina ad un ritmo più lento (secondo la relatività speciale). La cosa è notata da entrambi gli osservatori. Tuttavia, è l'osservatore a terra che dispone dell'angolo visuale indispensabile per notare che alcune lunghezze si accorciano ed altre no.
Mentre l'osservatore a bordo può notare solo le differenze tra gli orologi, quello a terra, munito di regolo-campione, può constatare che una lunghezza si accorcia dove è maggiore l'accelerazione.
Vediamo cosa dice esattamente Einstein: «Se l'osservatore applica tangenzialmente alla periferia del disco il suo regolo campione (che supponiamo corto in confronto al raggio del disco), allora, in quanto giudicato dal sistema galileano, la lunghezza di questo regolo sarà minore di 1, giacché [...] i corpi in moto subiscono una contrazione in direzione del moto. Se viceversa, il regolo-campione viene applicato al disco in direzione del raggio, esso non subirà contrazione [...]
Dunque, se l'osservatore misura con il proprio regolo, dapprima la circonferenza e poi il diametro del disco, dividendo l'uno per l'altro, egli non otterrà come quoziente il ben noto numerop 3,14 ma un numero più grande... Ciò dimostra che le proporzioni della geometria euclidea non possono risultare esattamente valide sul disco rotante, e neppure in generale in un campo gravitazionale [...] Perde quindi di significato anche il concetto di retta.» (5)

Sarebbe interessante seguire ulteriormente Einstein, ma qui preme una considerazione necessaria, che tutti dovremmo già aver intuito: lo spazio di un campo gravitazionale è curvato dalla densità della materia.
Tutti gli effetti gravitazionale, che noi finora abbiamo attribuito alla forza di gravità, sono in realtà dovuti alla natura non-euclidea dello spazio. Uno spazio curvo diventa non-euclideo quando si cominciano a disegnare figure geometriche sulle palle da tennis o sulle selle per cavalcare. La figura a sella sta alla base della geometria iperbololica di Lobacevskij, mentre la sfera è l'oggetto privilegiato della geometria di Riemann. Nella geometria di Riemann la somma interna degli angoli di un triangolo è > 180°, mentre la minima distanza tra due punti posti sulla superficie è detta geodetica e segue un arco di circonferenza.
Ciò non significa che bisogna gettare nel cestino la geometria euclidea. Essa continua a costituire l'ossatura di riferimento di tutte le geometrie, e come la meccanica newtoniana, continua a funzionare nella nostra dimensione quotidiana. L'idea di arredare la nostra casa con tavoli riemanniani non ci può sedurre perché i piatti scivolerebbero e cadrebbero al suolo se posti su una superfice sferica e non sul piano di un tavolo.

La cosa sorprendente è che, eliminato l'etere con la teoria della relatività speciale, sorge con la relatività generale una concezione dello spazio come "tessuto" trasparente, elastico, indistruttibile ma penetrabile. L'idea di un telo teso sul quale viene posta una grossa palla è utile ad una prima approssimazione del concetto, ma rischia di sviare dalla comprensione della struttura reale del "tessuto", che non è certo bidimensionale come uno schermo televisivo.
Aveva dunque ragione Leibniz a contestare l'idea di Newton di uno spazio "vuoto ed assoluto"? La teoria della relatività generale dice: sì. Ma Einstein direbbe, probabilmente: forse, sì. Oppure: quasi sì. E quasi diventa la parola chiave per definire anche il nuovo spazio, che Einstein chiama quasi euclideo per significare che la presenza di materia crea irregolarità nel "tessuto". Viviamo in uno spaziotempo quasi euclideo, perché ci sono materia ed energia.
La conclusione da trarre è dunque la seguente: è il campo gravitazionale che caratterizza la geometria adatta alla comprensione della struttura dell'universo. Le masse in movimento deformano il nostro spaziotempo. In questa luce, geometria e campo gravitazionale diventano sinonimi. Esse vengono determinate dalla distribuzione delle masse e dalla loro velocità. Abbiamo così che: la distribuzione della materia nell'universo determina la struttura geometrica dello spaziotempo e questa, a sua volta, dice ai corpi come muoversi, lungo le geodetiche. Sembra quasi un principio del materialismo dialettico... o no?
Prossimamente vedremo quali incredibili implicazioni abbia tutto ciò.

note:
(1) A. Einstein - Relatività: esposizione divulgativa - Bollati Boringhieri 1965
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) idem
ea - 17 aprile 2005