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Einstein: la teoria della relatività speciale
di Eric Amich

Qualsiasi considerazione sul tempo oggettivo di qualcosa che accade si deve basare su un'affermazione circa il verificarsi simultaneo di due eventi: uno è l'evento stesso, ad esempio la caduta di un grave dalla Torre di Pisa. L'altro è il sovrapporsi delle lancette di un orologio sui numeri dipinti sul quadrante. Erano le 7,15 quando cadde il grave.
Gli strumenti del mestiere di un fisico relativista non sono diversi da quelli di un fisico classico: aste graduate, orologi, un quadernetto sul quale registrare i dati degli esperimenti e scrivere le equazioni del moto.
Ovviamente, la differenza c'è. Un fisico relativista sa che il principio della costanza della velocità della luce nel vuoto costringe a rinunciare ad un'idea tanto cara quanto impossibile, quella del tempo assoluto, ovvero un tempo identico per tutti i possibili osservatori dell'universo.
Se è vero che un giorno si sarà in grado di viaggiare alla bella velocità di 200.000 km/s, cioè a 2/3 della velocità della luce, secondo la meccanica classica, dovremmo "vedere" la luce correre innanzi a noi a soli 100.000 km/s, oppure dovremmo vederla "venirci incontro" a 500.000 km/s. Ma non è così! Einstein affermò una volta per tutte che, qualsiasi sia il il SC, cioè il sistema di coordinate spaziotemporali adottato per fare una misurazione della velocità della luce nel vuoto, il risultato non varia. Essa continua ad essere di 300.000 km/s circa; e lo sarà anche qualora la sorgente luminosa emittente fosse in movimento a sua volta. Come in effetti è.

Questo postulato della costanza di c, il simbolo universalmente adottato per indicare la velocità della luce, è la pietra angolare della teoria della relatività.
«Chi potrebbe immaginare - scrisse Einstein - che questa semplice legge abbia gettato in un mare di grandissime difficoltà concettuali il fisico che rifletta coscienziosamente su di essa?»
Il mare di difficoltà cui si riferiva Einstein fu quello inerente la concezione del tempo, e la messa in crisi del concetto di simultaneità.
Infatti, il principio dell'invarianza della velocità della luce nel vuoto porta a negare che la simultaneità sia assoluta ed indipendente dai sistemi di riferimento. Nel sistema newtoniano un raggio di luce emesso in a e riflesso in b percorre due distanze diverse, d e d' in due sistemi inerziali diversi, K e K' in moto relativo uniforme con velocità V

d =/= d' = d - Vt ,dove t sta per tempo

Il tempo di percorrenza dei raggi sarà lo stesso perché l'avvenire simultaneo è assoluto. I due osservatori posti nei due sistemi K e K' saranno d'accordo su quanto tempo è passato da K a K' . Ma allora si troveranno in disaccordo sulla velocità della luce in entrambi i sistemi. Infatti, dividendo per t = tK - tK' la formula sopra riportata diventa c =/= c' = c - V
con c e c' rispettivamente velocità della luce in K e K'.
In sostanza: nello spazio e nel tempo concepiti da Newton, la luce non può avere la stessa velocità in qualunque sistema di riferimento. Ricordando che la velocità è data dallo spazio percorso nell'unità di tempo (v = s/t), per salvare il principio dell'invarianza di c nel vuoto, si potrebbe solo cercare di rendere la simultaneità relativa al sistema di riferimento. Ed è quanto fece Einstein.
Affronteremo più avanti molte delle conseguenze di questo assioma. Ma qui occorre avere ben chiari tre effetti immediati di tipo cinematico:
1) Le lunghezze dei regoli si contraggono se in movimento uniforme più rapido. Ovvero la lunghezza di un oggetto in movimento lungo la direzione del moto diminuisce all'aumentare della velocità, e tende a zero quando V tende a c. E' un principio contemplato dalla relatività speciale ma, in realtà fu proposto, come vedremo tra poco, da Lorentz e Fitzgerald ben prima di Einstein.
2) I tempi si dilatano. Un orologio in movimento rallenta all'aumentare di V. Qualora V = c, le lancette dell'orologio sarebbero immobili.
3) Dissincronismo. Ne abbiamo già parlato, ma torniamo a ribadirlo con altre parole: un osservatore inerziale, cioè in moto uniforme, percepisce prima gli eventi verso cui dirige, e dopo quelli da cui si allontana. Il tempo non scorre più nello stesso ritmo per tutti gli osservatori posti in sistemi diversi.

Il secondo pilastro su cui poggia la relatività ristretta è l'insieme delle trasformazioni di Lorentz, altrimenti note come "gruppi di Lorentz".
Hendrik Antoon Lorentz era un ingegnere olandese, esperto di dighe e di venti. Credeva ancora, come la maggioranza assoluta dei fisici suoi contemporanei, nell'esistenza dell'etere, un medium per la trasmissione della luce.
Sulla base di principi generali e delle conoscenze fisiche disponibili sul finire dell'Ottocento, riuscì a stabilire quale mutamento dovessero subire le forze elettromagnetiche in presenza di un supposto "vento d'etere".
Lorentz si convinse che un corpo si sarebbe dovuto "accorciare" lungo la direzione del vento del fattore

dove v e c sono rispettivamente la velocità del vento e quella della luce.

Alle stesse conclusioni ma indipendentemente da Lorentz era giunto anche Fitzgerald, studiando i risultati negativi del famoso esperimento di Michelson e Morley.
Per Fitzgerald, qualsiasi strumento di misura possibile, compresi gli occhi umani (e la loro frequenza), subirebbe tale contrazione, rendendo così impossibile misurare la contrazione stessa.

In ultima analisi, dalle trasformazioni di Lorentz, che incorporano il fattore (1 - v2 / c2)-1/2 , Einstein ricavò l'idea che le leggi della fisica devono essere covarianti per trasformazioni di Lorentz, e non più per quelle di Galileo.
Non trovo di meglio per commentare questo punto che ricorrere ad una citazione: «Formulato così, tale principio assume in realtà lo status di un meta-principio, ossia di un principio che, come il principio di invarianza della velocità della luce, postula qualcosa sulla struttura del mondo. Infatti, esso stabilisce che non c'è alcun sistema fisico, o stato di sistema fisico, in cui sia possibile immaginare un esperimento in grado di mettere in evidenza un moto assoluto. E' facilmente intuibile che queste due formulazioni del principio di relatività speciale esprimono la stessa cosa, anche se sono a due diversi livelli epistemologici.» (1)

Al fine di dare un semplice esempio, supponiamo che C1 e C2siano due orologi sincronizzati, equidistanti dall'osservatore O. In tale situazione O interpreta due eventi in C1 e C2 come simultanei se i segnali luminosi arrivano in O simultaneamente. Un osservatore in movimento, chiamiamolo O', pur ricevendo sincronicamente segnali da C1 e C2 mentre passa in corrispondenza del punto O, se consapevole di essere in moto relativo rispetto all'altro O, penserà che il segnale proveniente da C1 sia anteriore al segnale emesso da C2.
Se non fosse al corrente di essere in movimento, sarebbe invece convinto che C2 è anteriore a C1.
Tale situazione "relativistica" può essere rivelata dalla formula per cui il tempo di un osservatore O nell'istante t è uguale a quello di un osservatore O' in t' solo se t = t' (1 - v2 / c2)-1/2 .

Che significa E = mc2 ?
Si tratta di un'equazione. Era già stata adombrata nello scritto originale del 1905, ma trovò una piena esplicazione solo più tardi. Lo scopo dell'equazione è mostrare che l'energia (E) e la massa (m) di un corpo non sono quantità indipendenti. Possiamo calcolare l'una a partire dall'altra moltiplicando (o dividendo) per il fattore c2, che è la velocità della luce al quadrato.
Alcuni, per spiegare questo mutamento, hanno trovato illuminante il paragone con la convertibilità delle monete, ad esempio euro e dollari, però ad un tasso fisso anziché variabile. A me l'esempio non sembra affatto chiaro perché euro e dollari sono moneta, cioè oggetti della stessa specie, massa e non energia. L'esempio però diventa chiaro se ci approssimiamo ad un distributore di benzina con un sacco di euro. Il carburante acquistato è sempre massa, ma si converte in energia non appena accendiamo il motore. Massa ed energia sono quindi convertibili come in un semplice motore a scoppio. Ma l'energia potenziale della benzina è ben poco rispetto a quella contenuta nel chilo di uranio presente nella bomba sganciata su Hiroshima ne 1945.

L'equazione di Einstein dimostra, poiché il fattore di conversione è un numero molto grande, che una piccola massa può produrre grande energia. Tuttavia, dal punto di vista dei concetti dei quali abbiamo parlato fin qui, E = mc2 fornisce una spiegazione al fatto che nulla possa superare la velocità della luce. Ciò è impossibile perché l'energia di un corpo cresce al crescere della sua velocità; ma dalla nostra equazione vediamo che all'aumentare della velocità aumenta anche la massa. Più un corpo diventa pesante, più diventa difficile aumentarne la velocità, esattamente come accade nelle gare automobilistiche, od anche salendo in bicletta e cominciando a pedalare.
All'approssimarsi della velocità della luce, la massa cresce senza limiti. Saremmo nella condizione di dover spingere quasi 70.000 volte il peso della nostra astronave con noi sopra. Ciò è impossibile.
Ovviamente, dobbiamo far attenzione a non confondere il concetti di massa con quello di lunghezza. A grandissima velocità, infatti, il metro si accorcia fino ad annullarsi in una lamina di spessore vicina allo zero. Così si accorcerebbe anche la nostra astronave.

Lo spaziotempo ed i paradossi temporali
Un grande contributo allo sviluppo della relatività speciale venne dalla mente geometrica di Hermann Minkowski, che era stato professore di Einstein al Politecnico di Zurigo. In un primo tempo il giovane Einstein rifiutò l'elaborazione di Minkowski come "una pedanteria superflua". Poi si ricredette. Di che si trattava?
Minkowski aveva introdotto lo spaziotempo a 4 dimensioni, proponendo di aggiungere alle coordinate classiche euclidee, che sono notoriamente tre, e vengono chiamate universalmente x, y, z, la coordinata t, ovvero quella temporale.
Figurarsi uno spaziotempo siffatto non è affatto semplice. Persino Stephan Hawking, in uno dei suoi libri, ha confessato di aver incontrato enormi problemi. Ma se invece di lanciarci in propositi costruttivistico-geometrico, poniamo mente locale alla nostra esperienza quotidiana, le cose potrebbero andare un po' meglio. Vogliamo dare un appuntamento ad una bella fanciulla? E' facile capire che affinché l'evento auspicato si verifichi, dobbiamo essere estremamente precisi. Dare cioè le coordinate del luogo, che so, una piazza di una determinata città, in un certo punto di questa piazza, e dare anche l'ora. Senza l'ora, e senza una indicazione precisa del punto della piazza, il nostro proposito rischia di vanificarsi.
La geometria di Minkowski non fa che formulare con estrema precisione le coordinate spaziotemporali del sistema fisico anche del nostro appuntamento.
Ovviamente, le cose, apparentemente semplici in una situazione normale e terrestre, una situazione nella quale sono oggi disponibili orologi molto precisi che segnano lo stesso tempo per tutti quelli che vivono a ridosso di un certo meridiano, si complicano non poco di fronte a grandezze spaziali nelle quali si può viaggiare (più con la fantasia che nella realtà) a velocità elevatissime. Il paradosso dei gemelli è troppo noto per richiamarlo un'altra volta, ma se è vero che c'è sempre una prima volta per qualcuno che legge, allora spieghiamo di che si tratta.
Se uno dei due gemelli parte per un viaggio spaziale a velocità uniforme prossima a quelle della luce, quando tornerà sulla terra, sempre viaggiando in moto uniforme, troverà il gemello molto più vecchio di sé. Il tempo trascorso sull'astronave non corrisponde a quello trascorso sulla terra. L'orologio di bordo potrebbe indicare che sono passati dodici anni. Sulla terra tutti gli orologi diranno che ne sono trascorsi venti.
Sul paradosso si sono scatenate le più diverse discussioni e ci sono persone, non sempre fisici, che hanno analizzato il problema rivoltandolo come un calzino. C'è persino chi ha sostenuto che siccome il gemello astronauta compie un viaggio di andata e ritorno, in realtà non succede nulla di rivoluzionario perché nel viaggio di ritorno egli annulla tutte le differenze temporali maturate nel viaggio di andata. Credo sia la posizione più assurda di tutte!
Ritengo che una buona discussione del problema si possa trovare nel libro della nota (1) qui sotto, libro che consiglio vivamente.
Qui, in ultimo, vorrei affrontare la questione da un altro punto di vista.

La "ripartizione" del moto tra spazio e tempo.
Nell'universo a 4 dimensioni di Minkowski ci si muove sia nel tempo che nello spazio. Tale fatto ha suggerito al fisico Brian Greene una suggestiva interpretazione della relatività speciale riportata in due libri pubblicati recentemente da Einaudi con il titolo L'universo elegante e La trama del cosmo.
Secondo Greene, tutti gli oggetti si muovono nello spazio-tempo alla velocità della luce. Tutti. Noi compresi.
Che significa?
Vuol dire che se siamo fermi, ovviamente in senso relativo perché nulla è fermo, noi ci muoviamo nel tempo invece che nello spazio. Il moto è quindi ripartito tra spazio e tempo. Più siamo veloci nello spazio e meno lo siamo nel tempo. Più siamo veloci nel tempo e meno lo siamo nello spazio.
Riporto le esatte parole di Greene: «Ed ecco la grande idea: secondo Einstein, tutti gli oggetti dell'universo sono sempre in moto nello spaziotempo con una velocità fissa, quella della luce. Questo è davvero strano; siamo abituati a vedere corpi che si muovono molto più lentamente della luce - l'abbiamo sottolineato più volte per mostrare perché gli effetti relativistici ci siano così poco familiari. Tutto vero, ma qui parliamo della velocità in quattro dimensioni, ed è questa velocità in senso generalizzato che è sempre uguale a quella della luce.» (2)
Che ne dite? Pensateci!
(1) Giovanni Boniolo & Mauro Dorato - La relatività speciale - in Filosofia della fisica - a cura di G. Boniolo - Ed. Scolastiche Bruno Mondadori 1997
(2) Brian Greene - L'universo elegante - Einaudi 2000