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Destra e sinistra secondo Bobbio
Norberto Bobbio - Destra e Sinistra / Ragioni e significati di una distinzione politica -
Donzelli Editore, Roma 2004 (quarta edizione accresciuta) - prima edizione 1994
di Guido Marenco
Vabbé, ero partito con l'intenzione di esser breve: impossibile.
Sicché, mi vedo costretto a due puntate. La seconda al più presto.

Il libro ha avuto grande successo di vendite ed è stato tradotto in una ventina di lingue straniere. Ha fatto discutere molto anche all'estero. Per alcuni è già un classico del pensiero politico del Novecento, essendo Bobbio molto considerato negli ambienti intellettuali di tutto il mondo civile.
E' più che un pamphlet, anche se ne ricorda la struttura. Contiene passi memorabili per la loro lucidità, ed anche pagine, a mio avviso, non felicissime.
Alcuni saranno inorriditi scoprendo che Bobbio considerava di destra pensatori come Nietzsche, ma è proprio così. Destra irrazionale, destra che spezza il paradigma facilone che l'ateismo è solo di sinistra, e che la sinistra è creatura demoniaca volta a sovvertire l'ordine del mondo voluto dal cielo.
Destra riletta da filosofi di sinistra inappagati, inquieti, alla ricerca di sponde per evitare una deriva senza fine dopo la presunta completa realizzazione dello stato sociale che della sinistra costituiva il fine ultimo. Ricordo una pagina di Cacciari in proposito: inquietante lettura che poneva la domanda: che resta da fare, finito quel lavoro?
Domanda che cozzava con una realtà del tutto diversa, visto l'altissimo tasso di antisocialità dello stato sociale. Organismo corrotto, mal funzionante, inefficiente, elefantiaco e smisuratamente costoso.

Perché destra-sinistra?

Parlare di destra e sinistra nel 1994 aveva ovviamente ancora un senso, anzi ne aveva più d'uno. Ma, alla luce di quanto era accaduto alla fine degli anni '80 ed al principio del decennio successivo, era necessaria una messa a fuoco. Era crollato il sistema comunista. Era anche crollato il sistema politico italiano nato dalla Resistenza e dominato dalla centralità democristiana. Travolto dagli scandali , dai processi, dall'indignazione che univa destra e sinistra in un unico applauso alla procura di Milano.
Scompariva il centro, restavano sinistra ed estrema destra.
La situazione è ben descritta da Carmine Donzelli nell'introduzione della IV edizione.
« La cultura politica democratica del nostro paese, quella che a partire dalla caduta del fascismo si era impossessata del campo e aveva costruito una indiscussa posizione di primazia, scopriva improvvisamente in quegli anni, e non senza traumi, il possibile nuovo materializzarsi della destra: un'idea, una presenza, un'opzione politica che era stata potentemente rimossa. In tutti i primi decenni della Repubblica, il campo politico aveva assunto in Italia una strana configurazione, una sorta di geometria sghemba, che alla sinistra aveva contrapposto il centro, non la destra.»
Verissimo. La destra rientrava realmente in gioco, occupando parte del grande vuoto lasciato dalla Democrazia Cristiana, la quale, per certi aspetti, era stata più a sinistra del suo elettorato.
Ma anche la sinistra usciva dai sussulti praticamente irriconoscibile.
Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine ingloriosa (ma fortunatamenente incruenta) del comunismo, persino un partito comunista come quello italiano aveva sentito il bisogno di ridefinirsi e di smarcarsi dalla vergogna storica del comunismo reale. Non bastava dire "non siamo mai stati come loro e ci siamo guadagnati il diritto di esistere con il nostro impegno democratico". Qualcuno sentì il bisogno di dire: "assumiamo anche un altro nome, perché siamo diventati un'altra cosa anche rispetto a noi stessi".
Ma Tangentopoli impediva di assumere il nome della tradizione più conseguente all'"altra cosa": il termine socialista, in Italia, era sinonimo di ladro e corrotto, di pappone e di cialtrone.
Nacque così l'eufemismo di democratico di sinistra. Perché tante definizioni erano già state riempite, occupate e "svuotate", da quella di radicale a quella di socialdemocratico. Mentre l'etichetta di liberal-socialista avrebbe finito col risultare falsa ed ipocrita. Mai stati liberali i comunisti italiani, ovvero antistatalisti, nemmeno ai tempi dei flirt tra Gramsci e Gobetti.
Ma la vera novità era la ricomparsa e la riabilitazione della destra.
Occoreva chiarire in termini filosofici e politici che significava il termine destra, in cosa si differenziava dal centro, e perché, nonostante la caduta del muro di Berlino e la catastrofe del comunismo, la sinistra era certamente in crisi, ma veniva ugualmente a proporsi, quanto mai prima d'allora, come forza di governo credibile e rispettabile in tutto l'occidente. La cosa era chiara persino tra gli analisti della CIA, che lo avevano scritto nei loro rapporti.

Uguaglianza contro disuguaglianza

Il libro di Bobbio ebbe il merito di dare delucidazioni essenziali.
Parole chiave erano: uguaglianza contro disuguaglianza.
La sinistra era sempre stata per l'uguaglianza di tutti gli uomini, non solo di fronte alla legge, ma anche di fronte al tema fondamentale della distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro umano.
In certi casi, la sinistra più estrema aveva anche contestato la disuguaglianza naturale e biologica, asserendo che essa poteva essere superata, non trattandosi di vere differenze naturali, ma solo di differenze culturali.
In generale, la sinistra aveva spesso posto l'accento sull'obiettivo finale di dare a ciascuno secondo i suoi bisogni (Marx), e non, solo, secondo i suoi meriti (indubbiamente diversi sia si riconosca il principio della diversità biologica, sia si tenda a ridimensionarlo).
Questo il tema centrale del VI capitolo, che era un po' il cuore del libro. «Il concetto di uguaglianza è relativo - scriveva Bobbio - non assoluto. E' relativo almeno a tre variabili di cui bisogna sempre tenere conto ogni qualvolta s'introduce il discorso sulla maggiore o minore desiderabilità, e/o sulla maggiore o minore attuabilità dell'idea di uguaglianza: a) i soggetti tra i quali si tratta di ripartire i beni o gli oneri; b) i beni o gli oneri da ripartire; c) il criterio in base al quale ripartirli.
In altre parole, nessun progetto di ripartizione può evitare di rispondere a queste tre domande: "Eguaglianza, sì, ma tra chi, in che cosa, in base a quale criterio?"
Combinando queste tre variabili, si possono ottenere, com'è facile immaginare, un numero enorme di tipi di ripartizione che possono tutte chiamarsi egualitarie, pur essendo diversissime tra loro. I soggetti possono essere tutti, molti o pochi, anche uno solo; i beni da distribuire possono essere diritti, vantaggi o facilitazioni economiche, posizioni di potere; i criteri possono essere il bisogno, il merito, la capacità, il rango, lo sforzo, e altri ancora, e al limite la mancanza di qualsiasi criterio, che caratterizza il principio massimamente egualitario, che propongo di chiamare "egualitarista": "A tutti la stessa cosa".»
Ma, asserire che la sinistra è ugualitaria "non vuol dire che sia anche egualitarista", diceva Bobbio.
Invece lo era stata, in una certa misura, e così era stata "percepita". Ad esempio, Bobbio trascurava l'elemento sindacale, il fatto che nei contratti di lavoro non solo si era introdotto un minimo di paga sindacale uguale per tutti, cosa più che sacrosanta, ma si era spesso imposto un tetto oltre il quale era impossibile andare, un vero e proprio disincentivo, realizzando così una sostanziale protezione del mediocre e del pigro (cioè di chi va a lavorare solo per la paga) a danno del meritevole, non necessariamente un collaborazionista del padrone, anzi, molto spesso semplicemente un individuo preoccupato di far bene il proprio lavoro, e quindi di realizzarsi, sia pure parzialmente con la professione. Magra consolazione per noi che guardiamo dall'alto le cose terrene, ma la gente va capita.
Sicché la sinistra "percepita" e sindacale, forse più reale di quella reale, specie tra quei gruppi di lavoratori che avevano finito col scegliere sindacati e partiti di destra, o si erano orientati verso il leghismo, perché stanchi dell'appiattimento, aveva finito con l'imporre la propria immagine egualitarista su una sinistra politica reale che proprio allora cominciava ad interrogarsi.
Se c'è un momento da ricordare, e varrebbe la pena ricordarlo, perché esemplare di una destra non-destra, ovvero non ideologica, ma semplice frutto di una reazione all'egualitarismo ideologico, è certamente quello della marcia dei quarantamila quadri FIAT che gridavano per le vie di Torino: "Basta con sto casino, vogliamo lavorare!"

Trascurando questi elementi concreti, il libro di Bobbio finiva coll'apparire un ottimo lavoro teorico, ignaro, tuttavia, delle situazioni pratiche che avevano portato la classe operaia ed il partito comunista a dialogare con i ceti medi e, paradossalmente, a "litigare" con, operai, quadri e impiegati, cioè gente più che interessata ad un discorso ed ad un'opzione di sinistra in grado di premiare l'impegno sia sul piano morale ed intellettuale che su quello materiale.
Questo era il vero limite dell'opera di Bobbio. Uno studio che non scavava a sufficienza nel sottosuolo, nel mondo della vita, che non arrivava a porsi il problema del perché era nato, il più delle volte spontaneamente, un consenso alle idee della destra ed un abbandono delle idee della moderazione, sia di centro, sia di sinistra.
Nel paese spirava un vento reazionario ben prima che le idee della destra cominciassero a trovare forma e spazio visibile. Era stato abile Umberto Bossi e la Lega ad intercettarle in parte. Anche i neofascisti furono abbastanza pronti a smarcarsi dal loro passato, ma il vero capolavoro (per chi vede le cose in modo razionale e non emotivo) fu la costituzione di Forza Italia, un partito costruito in "poche ore", capace di inviare un fortissimo segnale di cambiamento ( ma anche di continuità con il centro-destra precedente) in più direzioni.
Ma chiedere questo tipo di analisi a Bobbio era eccessivo. Sapendo egli, con molta chiarezza, indicare e denotare i caratteri costitutivi del pensiero della destra, di quello che avrebbe dovuto essere, e forse non era ancora, assolveva ad una serie di compiti analitici precisi e circoscritti: a)quello di contestare una "distinzione contestata", appunto la differenza tra destra e sinistra, b) quello di evidenziare la presenza di più di una destra e più di una sinistra in ragione di categorie importanti, se non decisive, quali quella di estremismo e moderazione, c) quello di mostrare che all'interno delle diverse grandi correnti del pensiero politico (liberalismo, socialismo e movimento cattolico), erano possibili posizioni sia di destra che di sinistra, anche se, ovviamente in senso relativo, lavorando molto sulla coppia estremismo-moderazione.

La distinzione contestata
Bobbio muoveva dalla constatazione che da più di due secoli "destra" e "sinistra" sono due termini antitetici ed, in quanto tali, "reciprocamente esclusivi e congiuntivamente esaustivi". Nessun movimento e nessuna dottrina può essere contemporaneamente di destra e di sinistra, ma solo appartenere all'uno od all'altro campo, quantomeno nel senso di una distinzione fondata su tratti distintivi forti.
Come affermazione di partenza non credo sia possibile trovare di meglio. Ma poiché tale distinzione era stata contestata, o persino negata, Bobbio veniva a rilanciarla, snocciolando innanzi tutto i criteri in base ai quali la distinzione era ancora possibile.
Personalmente, io avrei cominciato dall'autodenominazione, cioè da come una qualsiasi dottrina o posizione si autocertifichi, ma Bobbio preferì partire da "un uso descrittivo, un uso assiologico, un uso storico: descrittivo per dare una rappresentazione sintetica di due parti in conflitto; valutativo, per esprimere un giudizio di valore positivo o negativo su una parte o sull'altra; storico, per segnare il passaggio da una fase all'altra della vita politica di una nazione, l'uso storico potendo essere a sua volta descrittivo o valutativo."
Pensare per diadi, cioè per opposizioni, è tipico di diverse discipline. "Vi sono diadi - diceva - in cui i due termini sono antitetici, altre in cui sono complementari. Le prime nascono da un universo concepito come composto di enti divergenti, che si oppongono gli uni agli altri; le seconde dall'interpretazione di un universo armonico, concepito come composto di enti convergenti, che tendono ad incontrarsi ed a formare insieme un'unità superiore. La coppia destra-sinistra appartiene al primo tipo."

Come mai, si chiede Bobbio, la distinzione destra-sinistra viene ora sempre più contestata?
Una prima ragione: la crisi delle ideologie.
"Si può tranquillamente obiettare ... che le ideologie non sono in realtà scomparse, anzi sono più vive che mai ... L'albero delle ideologie è sempre verde. Oltretutto non vi è nulla di più ideologico, com'è stato più volte dimostrato, che l'affermazione della crisi delle ideologie. E poi sinistra e destra non indicano soltanto ideologie... sarebbe un'indebita semplificazione: indicano contrapposti programmi, ... contrasti non solo di idee ma anche d'interessi...

Bobbio ammette che in una società complessa posizioni di destra e di sinistra vengano a volte a sovrapporsi ed ad intrecciarsi, quasi assistessimo ad un movimento di danza. Ma rifiuta che tali complicazioni possano avere importanza decisiva. Ammette che possa esistere un centro, così come tra il bianco ed il nero esiste un grigio, ma contesta che l'esistenza del grigio possa arrivare a negare in quanto tali sia il bianco che il nero.
L'esistenza di un centro è spiegata in termini di astratta teoria come la possibilità di un Terzo incluso, il quale, però nulla toglie all'antitesi originaria, e quindi non la ingloba e non la supera, ma si limita a mediare.
A differenza di un Terzo incluso, si può dare, ed in realtà si è dato e si sta dando, un Terzo includente.
"Il Terzo incluso cerca uno spazio fra due opposti, e incuneandosi tra l'uno e l'altro non li elimina ma li allontana, impedisce che si tocchino e nel toccarsi vengano alle mani, oppure impedisce l'alternativa secca, o destra o sinistra, e consente una terza soluzione. Il Terzo includente tende ad andare al di là dei due opposti inglobandoli in una sintesi superiore, e quindi annullandoli in quanto tali: detto altrimenti, facendone, anzichè due totalità di cui ognuna esclude l'altra, e, come il recto ed il verso della medaglia, non visibili simultaneamente, due parti di un tutto, di una totalità dialettica. Questa si distingue, sia dalla totalità meccanica, in cui il tutto deriva dalla combinazione di parti componibili, e componibili perché compatibili, sia dalla totalità organica, ove le singole parti sono in funzione del tutto, e quindi fra loro non antitetiche ma convergenti verso il centro."

Il Terzo includente, non è un composto ma una sintesi (di chiaro sapore hegeliano) e nel dibattito politico non può che presentarsi come una terza via, che non sta in mezzo tra destra e sinistra, "ma pretende di andare al di là dell'una e dell'altra".
Tipica figura del Terzo includente sarebbe oggi il socialismo liberale o liberal-socialismo. Ma, "ogni forma di pensiero sintetico presenta sempre un aspetto un po' paradossale, perché cerca di tenere assieme due sistemi d'idee opposti, che la storia ci aveva mostrato sino a quel momento incompatibili., e pertanto alternativi..."
Se fosse così facile andar oltre, dunque si potrebbe parlare davvero di superamento storico della diade. Ma è così?
Bobbio neutralizza, per così dire, la propria stessa posizione (ovviamente liberal-socialista), asserendo che una teoria terzo includente "può sempre essere interpretata nelle intenzioni come una sintesi degli opposti, praticamente come un tentativo di salvare il salvabile della propria posizione, attraendo a sé, e quindi neutralizzando, la posizione avversaria."

Altre ragioni per negare la diade erano per Bobbio la nascita di formazioni trasversali, come quelle dei verdi. Ma, alla luce della stessa crescente incidenza della tematica ecologica, finiva col considerare possibile una futura divisione tra verdi di destra e verdi di sinistra.

Nuove distinzioni

Proponendo una rassegna di nuovi autori che si erano occupati della diade, dopo una valida critica del canadese Laponce, sostenitore di una divisione tra destra religiosa e sinistra atea, forse valida in America (ma chissà quanto?), ma insostenibile già nel "cortile di casa" (vista la rilevanza della teologia della liberazione), Bobbio arrivava a prendere seriamente in considerazione tre autori italiani: Dino Cofrancesco, Elisabetta Galeotti Marco Revelli.
Del primo, soprattutto, sembrava apprezzare "il sottile spirito analitico". Una tesi nasceva dalla "sconsacrazione del marxismo-leninismo": era finita l'epoca della contrapposizione manichea, ma non la contrapposizione. Zoccolo duro rimane a sinistra "il tema della liberazione dell'uomo dal potere ingiusto ed oppressivo", mentre a destra vive "una modalità dell'umano che esprime il radicamento sul suolo della natura e della storia, la difesa del passato, della tradizione, delle eredità".
Cofrancesco aveva cercato, soprattutto, una ridefinizione della destra e Bobbio commentava: «Una definizione per essere non contingente, non occasionale, non assoggettabile alla varietà di posizioni storicamente determinate, deve muoversi, secondo l'autore, verso l'individuazione dell'atteggiamento mentale, dell'idea ispiratrice, in una parola dell'"animal" di chi si professa di destra (il che vale naturalmente anche per chi si professa di sinistra). L'anima della destra può essere espressa sinteticamente nel motto: "Nulla fuori e contro la tradizione, tutto nella e per la tradizione." Se poi è dato constatare che vi sono diverse modalità di destra, ciò dipende dai diversi significati di "tradizione".»
E Cofrancesco ne aveva individuate sei: 1)archetipo, 2)assunzione ideale di un'epoca assiale, o decisiva 3)fedeltà alla nazione 4) memoria storica 5) comunità di destino 6) consapevolezza della complessità del reale.
La tensione tra i due poli è quindi da un lato: emancipazione, dall'altro: tradizione. Francamente non capisco come si possa parlare di una contrapposizione debole e meno radicale, essendo caduta l'ideologia marxista. Era questa che dava carattere manicheo alla lotta tra destra e sinistra? Era questa che faceva del capitalismo una sorta di male assoluto?
Lo stesso Cofrancesco, mi pare, finisce col correggersi, aggiungendo una nuova proposta di distinzione "in base a due atteggiamenti non valutativi ma conoscitivi, che chiama l'uno, romantico o spiritualista, l'altro, classico o realista".
Delle sei grandi ideologie nate tra '800 e '900, tre sono classiche (conservatorismo, liberalismo e socialismo scientifico); tre sono romantiche (anarco-libertarismo, fascismo, tradizionalismo). Collocando il socialismo scientifico in una posizione realista, si nega il suo carattere estremistico e quindi si nega che qualche marxista abbia mai pensato al capitalismo come un male assoluto.
Meglio sarebbe stato precisare, tuttavia, che anche i marxisti avevano avuto il loro male assoluto, ovvero fascismo e nazismo, senza peraltro distinguersi dai democratici o dagli stessi conservatori se non in questo: il fascismo rappresentava la dittatura della borghesia sulla società e più che agli ideali esso guardava agli interessi. Ciò che democratici, liberali, conservatori denunciavano come totalitarismo mostruoso, i marxisti presentavano come espressione di interessi di classe portati all'estremo e con tratti disumani.
Analisi insufficiente, tuttavia, perché nel nazismo, quantomeno, l'elemento paganeggiante, irrazionale, antiebraico ed anticristiano aveva assunto contorni mistici ossessivi e deliranti, era parte costitutiva di una religione della razza, dell'istinto e del sangue, era una pozione magica in grado di risvegliare la ferinità ancestrale delle masse.

Ciò detto, Bobbio fu bravo tuttavia nel cogliere che destra non coincide con romantico e sinistra non coincide con classico-realista, ma secondo Cofrancesco.
Si potrebbero avanzare diverse obiezioni in ordine alla distinzione stessa, non ultima quella che il marxismo, come del resto tutto il socialismo utopistico precedente, assumendo come obiettivo perenne e finale la liberazione degli uomini dalle catene dell'oppressione e della disuguaglianza sulla base di valutazioni sedicenti scientifiche, conteneva un mix micidiale di romanticismo e positivismo scientista. Quale altra dottrina, quale altra religione ha saputo mobiltare una simile messe di uomini, di rivoluzionari di professione dediti in modo fanatico alla causa, anima e corpo, rinunciando a tutto? Se non è romanticismo questo, cos'è il romanticismo?

Piuttosto in difficoltà con le categorie proposte da Cofrancesco, Bobbio non fece di meglio trattando della Galeotti. Questa aveva proposto di considerare i contesti in cui la diade destra-sinistra veniva usata. Quattro: il linguaggio ordinario, il linguaggio dell'ideologia, l'analisi storico-sociologica, lo studio dell'immaginario sociale.
Muovendo una critica alla Galeotti per il suo opporre uguaglianza con gerarchia anziché disuguaglianza, Bobbio fiutava una sorta di debolezza psicologica nell'autrice, simpatizzante liberale, ma restia ad accettare l'etichetta di destrorsa.
Critica giusta, per l'opposizione indebita e terribilmente imprecisa tra uguaglianza e gerarchia, ma discutibile, sul versante psicologico. Il liberalismo non è di sinistra solo se viene assimilato dal socialismo, come Terzo includente. Può essere sia di destra che di sinistra, a seconda dei casi e delle circostanze. Di sinistra lo sarebbe ancora (ad esempio negli Stati Uniti) e lo è stato anche in Europa, specie quando, trovandosi allo stato larvale, era poco più che un'inclinazione illuministica. Ma la dichiarazione dei diritti dell'uomo fu sia qualcosa di liberale che qualcosa molto di sinistra.
Ma è anche di destra, se si permette che uno come Haider, in Austria, si definisca liberale.

(continua)

gm - 3 aprile 2004