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La storia come pensiero e come azione (1947)
La storia come storia della libertà

di Benedetto Croce
Che la storia sia storia della libertà è un famoso detto dello Hegel ripetuto un po' ad orecchio e divulgato in tutta Europa dal Cousin, dal Michelet, e altri scrittori francesi, ma che nello Hegel e nei suoi ripetitori ha il significato di una storia del primo nascere della libertà, del suo crescere, del suo farsi adulta e stare salda in questa raggiunta età definitiva, incapace di ulteriori sviluppi (mondo orientale, mondo classico, mondo germanico = uno solo libero, alcuni liberi, tutti liberi). Con diversa intenzione e diverso contenuto quel detto è qui pronunziato, non per assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia.
Come tale, essa è, per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità.
Niente di più frequente che udire ai giorni nostri l'annunzio giubilante o l'ammissione rassegnata o la lamentazione disperata che la libertà abbia ormai disertato il mondo, che il suo ideale sia tramontato all'orizzonte della storia, come un tramonto senza promessa di aurora. Coloro che così parlano scrivono e stampano, meritano il perdono motivato con le parole di Gesù: perché non sanno quello che si dicono. Se lo sapessero, se riflettessero, si accorgerebbero che asserire morta la libertà vale lo stesso che asserire morta la vita, spezzata la sua intima molla. E, per ciò che s'attiene all'ideale, proverebbero grande imbarazzo all'invito di enunciare l'ideale che si è sostituito, o potrebbe mai sostituirsi, a quello della libertà; e anche qui si avvedrebbero che non ve n'ha alcun altro che lo pareggi, nessun altro che faccia battere il cuore dell'uomo nella sua stessa qualità di uomo, nessun altro che meglio risponda alla legge stessa della vita, che è storia e le deve perciò corrispondere un ideale nel quale la libertà sia accettata e rispettata e messa in condizione di produrre opere sempre più alte.
Certo, nell'opporre alle legioni dei diversamente pensanti o diversamente favellanti queste proposizioni apodittiche si è ben consapevoli che esse sono proprio di quelle che possono far sorridere o muovere a scherni verso il filosofo, il quale par che caschi sul mondo come un uomo dell'altro mondo, ignaro di ciò che la realtà è, cieco e sordo alle sue dure fattezze e alla sua voce e ai suoi gridi. Anche senza soffermarsi sugli avvenimenti e sulle condizioni contemporanee onde in molti paesi gli ordini liberali, che furono il grande acquisto del secolo decimonono e sembrarono acquisto in perpetuo, sono crollati e in molti altri s'allarga il desiderio di questo crollo, la storia tutta mostra, con brevi intervalli d'inquieta, malsicura e disordinata libertà, con rari lampeggiamenti di una felicità piuttosto intravista che mai posseduta, un accavallarsi di oppressioni, d'invasioni barbariche, di depredazioni, di tirannie profane ed ecclesiastiche, di guerre tra i popoli e nei popoli, di persecuzioni, di esili e di patiboli. E, con questa vista innanzi agli occhi, il detto che la storia è storia della libertà suona come un'ironia o, asserito sul serio, come una balordaggine.
Senonché la filosofia non sta al mondo per lasciarsi sopraffare dalla realtà quale si configura nelle immaginazioni percosse o smarrite, ma per interpretarla, sgombrando le immaginazioni. Così, indagando e interpretando, essa, la quale ben sa come l'uomo che rende schiavo l'altro uomo sveglia nell'altro la coscienza di sé e lo avvia alla libertà, vede serenamente succedere a periodi di maggiore altri di minore libertà, perché quanto più stabilito e indisputato è un ordinamento liberale, tanto più decade ad abitudine, e, scemando nell'abitudine la vigile coscienza di sé stesso e la prontezza della difesa, si dà luogo ad un vichiano ricorso di ciò che si credeva che non sarebbe mai riapparso al mondo, e che a sua volta aprirà un nuovo corso. Vede, per esempio, le democrazie e le repubbliche, come quelle della Grecia nel IV secolo o di Roma nel I, in cui la libertà rimaneva nelle forme istituzionali ma non più nell'anima e nel costume, perdere anche quelle forme come colui che non ha saputo aiutarsi e che invano si è cercato di raddrizzare con buoni consigli viene abbandonato all'aspra correzione che la vita farà di lui. Vede l'Italia, esausta e disfatta, dai barbari deposta nella tomba con la sua pomposa veste d'imperatrice, risorgere, come dice il poeta, agile marinaia nelle sue repubbliche del Tirreno e dell'Adriatico. Vede i re assoluti, che abbatterono le libertà del baronaggio e del clero, diventate privilegi, e che sovrapposero a tutti il loro governo, esercitato per mezzo di una loro burocrazia, e sostenuto da un loro proprio esercito, preparare un'assai più larga e più utile partecipazione dei popoli alla libertà politica; e un Napoleone, distruttore anch'esso di una libertà tale solo d'apparenza e di nome e alla quale egli tolse apparenza e nome, agguagliatore di popoli sotto il suo dominio, lasciar dopo di sé questi stessi popoli avidi di libertà e resi più esperti di quel che veramente fosse ed alacri ad impiantarne, come poco dopo fecero in tutta Europa, gl'istituti. La vede, anche nei tempi più cupi e grevi, fremere nei versi dei poeti ed affermarsi nelle pagine dei pensatori ed ardere solitaria e superba in alcuni uomini, inassimilabili al mondo che li attornia, come in quell'amico che Vittorio Alfieri scoperse nella Siena settecentesca e granducale, «liberissimo spirto» nato «in prigion dura», dove stava qual «leon che dorme», e pel quale egli scrisse il dialogo della Virtù sconosciuta. La vede in tutti i tempi, e nei propizi non meno che negli avversi, schietta e robusta e consapevole solo negl animi dei pochi, sebene essi soli siano poi quelli che storicamente contano, come solo ai pochi veramente parlano i grandi filosofi, i grandi peti, gli uomini grandi, ogni qualità di opere grandi, anche quando le folle li acclamano e deificano, pronte sempre ad abbandonarli per altri idoli da farvi chiasso intorno e per esercitare, sotto qualsiasi motto e bandiera, la naturale disposizione alla cortigianeria e servilità; e per questo, per esperienza e per meditazione, egli pensa e dice a sé stesso che, se nei tempi liberali si ha la grata illusione di godere di una ricca compagnia, e se in quelli illiberali si ha l'opposta e ingrata illusione di trovarsi in solitudine o in quasi solitudine, illusoria era certamente la prima credenza ottimistica, ma, per ventura, illusoria èanche la seconda, pessimistica. Questa, e tante altre cose simili a queste, vede, e ne conclude che se la storia non è punto un idillio, non è neppure una «tragedia di orrori», ma è un dramma in cui tutte le azioni, tutti i personaggi, tutti i componenti del coro sono, nel senso aristotelico, «mediocri», colpevoli-incolpevoli, misti di bene e di male, e tuttavia il pensiero direttivo è in essa sempre il bene, a cui il male finisce per servire da stimolo.l'opera è della libertà che sempre si sforza di ristabilire, e sempre ristabilisce, le condizioni sociali e politiche di una più intensa libertà. Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta: e subito se ne ritrarrà inorridito come dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.
Ciò posto, che cosa sono le angosce per la perduta libertà, le invocazioni, le deserte speranze, le parole di amore e di furore che escono dal petto degli uomini in certi momenti e in certe età della storia? E' stato già detto in un caso analogo: non verità filosofiche né verità storiche, ma neppure errori o sogni: sono moti della coscienza morale, storia che si fa.