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Benedetto Croce: intuizione espressiva e autonomia dell'arte
La prima forma del momento conoscitivo è l'intuizione. Essa non è fatto "meccanico", passivo e naturale, non è una sensazione e nemmeno una percezione. Intuire è esprimere, "l'attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime". L'intuizione conosce un individuale senz'altre predicazioni logiche, tanto un'idea quanto una sostanza inserita in relazioni. Dal canto suo, l'espressione è linguaggio; quindi l'intuizione è il livello aurorale del linguaggio quand'esso è "pura espressività". Non vi dovrebbero essere dubbi sul fatto che in tale posizione vi sia un'influenza della linguistica romantica tedesca, visto che il linguaggio non è una specie di sistema convenzionale di segni riferito a cose, od una struttura, come dirà De Sausurre, ma l'immagine significante prodotta spontaneamente dalla fantasia.
In tale ambito, l'arte viene delineata come risultato di tale attività spirituale. Si danno, dunque, una esteticità ed una intuitività comuni a chiunque: se l'intuizione raggiunge la forma sintetica del prodotto artistico è perché il "fare arte" è un evento che esprime l'intensità intuitiva. Così, l'estetica crociana perviene al concetto di autonomia dell'arte fondandosi sul principio spirituale stesso che presiede al suo processo costituente. L'arte non ha nulla a che vedere con la conoscenza filosofica, né con il momento dell'utile economico e nemmeno con la morale.
«L'impressione di un chiaro di luna, ritratta da un pittore; il contorno di un paese delineato da un cartografo; un motivo musicale, tenero o energico; le parole di una lirica sospirosa [...] possono ben essere tutti atti intuitivi senza ombra di riferimenti intelletuali.» (1)
Reclamare dall'arte scopi filosofici, pedagogici, è chiedere finalità che sono estrinseche al suo modo di essere.
Nell'estetica crociana rimane quindi garantita la piena libertà dell'artista, allo stesso modo in cui era nel De Sanctis. Croce ha però sempre rifiutato di identificare la propria estetica con formule di tipo decadentistico quali l'arte per l'arte, perché anche in esse si esprime un progetto finalistico, che in fondo limita la libertà dell'artista. Del resto, l'intento di Croce è arrivare alla radice universale del fenomeno artistico, e tale non è certo il decadentismo.
Certamente, un'opera d'arte potrà essere colma di concetti filosofici, ma come opera d'arte il suo risultato non potrà che risiedere nell'intuizione. I promessi sposi di Manzoni «contengono copiose osservazioni e distinzioni di etica, ma non per questo vengono a perdere, nel loro insieme il carattere di semplice racconto o di intuizione.» (2) Secondo Croce, pertanto, Kant ha sbagliato ad affermare che l'intuizione senza il concetto è cieca e ha bisogno dell'intelletto che le presti gli occhi; «la conoscenza intuitiva non ha bisogno di padroni; [...] non deve chiedere in prestito gli occhi altrui perché ne ha di fronte di suoi propri, validissimi.» (3)
«Questa dimensione preconcettuale dell'intuizione vuole che essa si collochi al di qua della distinzione tra reale ed irreale, vero e falso, che è compito dell'intelletto stabilire. Le immagine estetiche sono proiezioni della fantasia per la quale tutto è reale e niente è reale, così come per il fanciullo realtà e finzione, storia e favola fanno tutt'uno. La conoscenza estetica è come "il sogno della vita teoretica", "il momento aurorale" della vita spirituale, rispetto all'intelletto scientifico che ne è il meriggio. E là dove subentri l'intelletto viene meno, come già insegnava Vico, la fantasia.» (4)
Ma tale estetica dell'unità dell'evento artistico può provocare effetti negativi, occultando tutti gli elementi differenziali che sono presenti nella produzione artistica. L'arte, infatti è musica, poesia, prosa, scultura, pittura, architettura, persino giardinaggio e disposizione spaziale, oggi anche design. Eppure, chiunque non avrebbe difficoltà a riconoscere ed esplicitare le differenze tra il barocco viennese od una commedia di Shakespeare, un lavoro di Pirandello od un dipinto di Raffaello. Per l'estetica crociana questi elementi materialmente diversi attraverso cui viaggia l'espressione sono elementi pratici che hanno relazione con il nucleo intuitivo dell'opera d'arte solo in quanto sono "mezzi materiali" atti a garantire in chi fruisce dell'opera d'arte la riproduzione del quadro intuitivo originario. In altre parole, se non vi fosse l'esigenza materiale della comunicazione, l'arte vivrebbe tutta nel suo momento intuitivo aurorale. Viene così fuori un pensiero paradossale: l'arte esiste già prima della sua realizzazione pratica, ... e potrebbe persino farne a meno!
«L'intuizione artistica non è tuttavia - scrive Nicola Abbagnano - un fantasticare disordinato: essa ha in sé un principio che le dà unità e significato e questo principio è il sentimento.» (5) «Non l'idea, ma il sentimento, è quel che conferisce all'arte l'area leggerezza del simbolo: un'aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione, ecco l'arte.» (6)
Le classificazioni di genere, così come le definizioni per "correnti" hanno un carattere pratico, rispondono all'utile ma non al bello. Ciò che conta, nell'estetica crociana è che ogni opera d'arte, in quanto esprime un'impressione del tutto individuale è sempre nuova ed inconfondibile: nessuna sopporta di essere ricondotta ad una classe.
«Infine, a coronamento della sua teoria estetica, Croce identifica, richiamandosi a Vico e a Humboldt, l'arte con il linguaggio, sicché lEstetica in quanto "scienza dell'espressione" è per ciò stesso una "linguistica generale". A meno di non voler ridurre, infatti, il linguaggio a pura emissione di suoni che non esprimono nulla, bisogna riconoscere che esso "è suono articolato, delimitato, originato allo scopo dell'espressione", che, anzi, coincide con l'espressione. Contro le interpretazioni convenzionalistiche o logicistiche dell'origine del linguaggio, Croce riafferma di questo, sulla scia di Vico, l'originaria natura fantastica, espressione della spontaneità creatrice dello spirito. Tale riconoscimento dell'entrinseca poeticità del linguaggio, consente di sostenere che la poesia, l'espressione artistica non sono esclusiva dei poeti e dei grandi artisti, bensì comuni a tutti gli uomini. Se così non fosse, non sarebbe spiegabile come, in virtù del "gusto", noi possiamo riprodurre in noi stessi, godendone, l'opera del genio. Il fatto è che nella misura in cui ogni uomo parla, esprime il suo vissuto in immagini, e pertanto è a suo modo poeta. Ciò che lo rende diverso dal grande poeta, artista o genio creativo è solo una differenza di natura quantitativa.» (7)
L'aver diviso l'arte dalla "comune vita spirituale", "l'averne fatto non si sa qual circolo aristocratico o quale esercizio singolare", è stato il principale ostacolo che ha impedito all'estetica di diventare scienza dell'arte, "di attingere la vera natura, le vere radici di questa nell'animo umano". Croce è quindi distante da quel romanticismo che concepisce l'arte come "rivelazione" riservata a pochi eletti, ed esprime anche dissenso dalle tendenze misticheggianti ed estetizzanti tipiche delle tendenze irrazionalistiche. E questo passo risulta significativo: «Si dice che i grandi artisti rivelino noi a noi stessi. Ma come ciò sarebbe possibile se non ci fosse un'identità di natura tra la nostra fantasia e la loro, e se la differenza non fosse di semplice quantità? Meglio che poeta nascitur, andrebbe detto homo nascitur poeta; poeti piccoli gli uni, poeti grandi gli altri. L'aver fatto di questa differenza quantitativa una differenza qualitativa ha dato origine al culto e alla superstizione del genio, dimenticandosi che la genialità non è qualcosa di disceso dal cielo, ma è l'umanità stessa. L'uomo di genio, che si atteggi o venga rappresentato come lontano da questa, trova la sua punizione nel diventare, o nell'apparire ridicolo. Tale il genio del periodo romantico, tale il superuomo dei tempi nostri.» (8)
«Nel Carattere lirico dell'intuizione estetica (1908) e poi nel Breviario di estetica. Quattro lezioni (1913), Croce elimina i "residui naturalistici" presenti nell'Estetica e perfeziona una forma di idealismo assoluto che riprende da Hegel l'idea della circolarità dello Spirito, secondo la quale i quattro momenti della vita spirituale si presuppongono a vicenda e nessuno di essi rimanda a una realtà esterna da cui sia in qualche modo condizionato. Il che introduce a un'importante revisione della concezione estetica: l'intuizione-espressione, invece che trarre il proprio contenuto da impressioni e stati psichici che rinviino a una realtà naturale esterna, lo ricava dall'attività pratica presa nella sua immediatezza e indeterminatezza di passionalità e sentimentalità. E così il rapporto tra attività teoretica e attività pratica prende la forma di un circolo: non è più soltanto la seconda a presupporre la prima, ma è questa stessa, nel suo grado intuitivo, a presuppore a sua volta la seconda.» (9)
Questa svolta porta in parte a rivedere ciò che abbiamo visto finora. perché da un lato, la "liricità" comune a tutti gli uomini non ha più bisogno di attingere alla fonte della natura esterna, dall'altro essa non è più veramente qualcosa di comune a tutti, ma presuppone nell'artista un uomo di straordinaria passionalità e di gagliardi sentimenti politici e morali. E questi, per diventare poesia, devono tradursi in conoscenza.
Riappare così Kant, un Kant che suggerisce a Croce di scrivere: «... l'arte è una vera sintesi a priori estetica, di sentimento e immagine nell'intuizione, della quale si può ripetere che il sentimento senza l'immagine è cieco, e l'immagine senza il sentimento è vuota.» (10)
In queste pagine, Croce attacca in particolare l'artificiosa contrapposizione tra classicisti e romantici: non ha senso stabilire se l'arte genuina vada cercata nel contenuto o nella forma. Infatti l'arte è sintesi viva: "il contenuto è formato e la forma riempita... il sentimento è sentimento figurato e la figura è figura sentita. L'opera d'arte brutta è però quella nella quale il "tumulto sentimentale" non si rasserena nell'immagine o quella in cui la figura sia "foglia secca in preda al vento dell'immaginazione e ai capricci del trastullo".
Un'ulteriore messa a punto dell'estetica crociana si ha con Il carattere di totalità della espressione artistica del 1917, nella quale Croce afferma che nell'arte autentica il tutto, quindi l'universalità, prende vita e forma in ogni creazione individuale. In essa «il singolo palpita della vita del tutto, e il tutto è nella vita del singolo; ed ogni schietta rappresentazione artistica è se stessa e l'universo, l'universo in quella forma individuale, e quella forma individuale come l'universo. In ogni accento di poeta, in ogni creatura della sua fantasia, c'è tutto l'umano destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le grandezze e le miserie umane, il dramma intero del reale che diviene e cresce in perpetuo su se stesso, soffrendo e gioiendo.» (11)
Negli ultimi scritti, e soprattutto in Poesia, del 1936, Croce insiste maggiormente sul carattere espressivo dell'arte, asserendo che la produzione poetica, proprio in quanto capace di placare - potremmo dire sfogare - il sentimento, trasfigura lo stesso, portando la poesia a dignità di "teoresi", cioè un "conoscere" che ha sempre un'intonazione capace di ricondurre il particolare all'universale. Ma essa va distinta dalla semplice espressione sentimentale (immediata), da quella prosastica come da quella letteraria.
Secondo Croce, infatti la semplice espressione sentimentale è una pseudo-espressione essendo priva di teoricità. Quando la semplice espressione sentimentale non si distingue dal sentimento e non lo "supera", non diventa vera poesia. «Infatti - scrive Nicola Abbagnano - nell'espressione poetica il sentimento non preesiste come contenuto già formato ed espresso, ma viene creato insieme con la forma; sicché il puro sentimento è per la poesia un nulla, che è reale solo come altra forma di vita spirituale cioè come forma pratica. La poesia è la morte del sentimento immediato, è "il tramonto dell'amore, se la realtà tutta si consuma in passione d'amore". Essa riporta l'individuale all'universale, il finito all'infinito, innalza "sull'angustia del finito la distesa dell'infinito.» (12)
Il ritmo è «l'anima dell'espressione poetica, e perciò l'espressione poetica stessa, l'intuizione o ritmazione dell'universo, come il pensiero ne è la sistemazione.» (13)
In ogni arte c'è ritmo, ma in ciascuna di esse prende vie proprie impossibili da classificare in quanto "infinite". Esso sta in stretto rapporto con l'armonia fin dall'antichità.
«Questi ultimi sviluppi dell'estetica crociana - conclude Nicola Abbagnano - vengono indubbiamente incontro all'esigenza propria della critica letteraria di meglio determinare e condizionare la natura dell'espressione estetica per distinguerla agevolmente dalle espressioni che non sono estetiche. Tuttavia, il riconoscimento stesso della realtà di tali espressioni segna l'atto di decadenza e di morte della filosofia dello spirito. Se ci sono forme o modi di espressione che non sono poesia o arte, la poesia o l'arte non sono tali in quanto espressione, ma in quanto espressione così e così condizionata; e se le condizioni che fanno dell'espressione un'espressione poetica sono la teoresi, il conoscere, l'universalità, la totalità, l'infinità, ecc., cioè caratteri o determinazioni cche trovano la loro realtà piena nella conoscenza logica, il carattere specifico dell'espressione poetica è andato dissolto e il caposaldo stesso dell'estetica crociana è stato abbandonato. Se il sentimento che si manifesta o realizza nell'espressione poetica non è quello che appartiene alla forma pratica dello spirito, ma è creato o suscitato ad hoc, il passaggio dalla forma pratica all'arte o dall'arte alla forma pratica diventa impossibile.» (14)
Queste critiche dell'Abbagnano, conseguono da un momento di forte accentuazione della critica all'idealismo nel secondo dopoguerra, ma per quanto filosoficamente fondate, appaiono forse eccessive. Mentre non va dimenticato che anche Lukàcs, pur muovendo da presupposti diversi, formulò una teoria del romanzo non molto diversa da quella crociana, insistendo sul carattere di totalità del reale che un romanzo dovrebbe possedere, appare oggi molto più criticamente fondato il rilievo che tale visione crociano serviva soprattutto a giustificare il suo rifiuto non tanto per le espressioni artistiche più spontanee e popolari, quelle dove il sentimento dovrebbe spadroneggiare, quanto per le avanguardie artistiche più innovative, con particolare riferimento ad autori come Kafka, Joyce, Pirandello, Mallarmé, Valery, lo stesso Proust e Musil.
Non andrebbe inoltre mai dimenticato che Croce ebbe il grande merito di produrre la prima edizione critica della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, per Laterza nel 1912.
(1) B. Croce - Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale - Laterza 1928
(2) idem
(3) idem
(4) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(5) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. VI / TEA 1995 (UTET 1993)
(6) B. Croce - Nuovi saggi di estetica -
(7) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(8) B. Croce - Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale - Laterza 1928
(9) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(10) B. Croce - Breviario di estetica - Laterza 1954
(11) B. Croce - Nuovi saggi di estetica - Laterza 1920
(12) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. VI / TEA 1995 (UTET 1993)
(13) B. Croce - La poesia. Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura - Laterza 1953
(14) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. VI / TEA 1995 (UTET 1993)
moses - 21 dicembre 2005