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Croce e il marxismo

Nella Prefazione a Materialismo storico ed economia marxistica ( prefazione scritta nel 1946 ad un testo del 1900) Croce rievoca il suo giovanile rapporto con il marxismo: « ... attraverso quel sistema, io risentivo il fascino della grande filosofia storica del periodo romantico, e venivo come scoprendo un hegelismo assai più concreto e vivo di quello che ero solito d'incontrare presso scolari ed espositori, che riducevano Hegel ad una sorta di teologo o di metafisico platonizzante.» Croce aveva conosciuto il marxismo attraverso Antonio Labriola. L'itinerario di questo filosofo sarebbe ultra-interessante da vedere più in dettaglio perché emblematico di una condizione esistenziale (economicamente difficile, a differenza di quella in cui vivrà Croce) e di una evoluzione personale. Dichiarato avversario "dell'individualismo", egli scoprirà più tardi di essere stato portatore sano di un "socialismo inconsapevole", ma cosciente del fatto che una critica al liberalismo individualistico non poteva che risultare sterile senza un'alternativa. Attraverso Herbart, comunque, conobbe meglio Kant. E da Herbart imparò che l'impianto etico della filosofia hegeliana poteva condurre all'indifferentismo morale. La posizione antindividualistica di Labriola non poggiava dunque su motivi hegeliani ma, si orientava piuttosto all'analisi dell'esperienza morale, dalla quale derivavano i compiti etici dello Stato.
Scrivendo a Bertrando Spaventa, nel 1875, una lettera che descriveva lo sfacelo della vita economica e politica ad Ancona, Labriola aveva scritto: «Io mi domando sempre se in Italia c'è o non c'è una dozzina di persone che sentono la responsabilità dello Stato, per farla finita con le vuote forme della libertà, e per ristabilire la serietà della vita. Lo Stato dev'essere il dominio dell'ottimo, e l'ottimo non nasce dal caso, con buona pace di Darwin e dei furfanti che si chiamano liberali.» (1)
Il passaggio di Labriola da un vago moderatismo antindividualistico ad un socialismo di tipo marxista fu dunque dettato in gran parte anche da motivi etici oltre che schiettamente filosofici. Nel giugno dell''87 aveva mosso la sua prima vera sortita politica all'Università di Roma contro il tentativo di "conciliazione", in difesa della laicità dello Stato. Questo ammirevole rigore non si esplicava, tuttavia a senso unico. Scrivendo a Turati, nel 1891, egli non ebbe remore a denunciare i mali del movimento socialista italiano: «Io sono arrivato alla perfetta persuasione che il socialismo italiano non è il principio di una nuova vita, ma la manifestazione estrema della corruzione politica ed intellettuale.» (2)

Il Labriola che ispirò Croce, il quale ascoltò alcune sue lezioni all'Università di Roma, è ancora un Labriola pre-marxista. «... quelle lezioni - scrisse Croce - vennero incontro inaspettatamente al mio angoscioso bisogno di rifarmi in forma razionale una fede sulla vita e i suoi fini e i doveri, avendo perso la guida della dottrina religiosa e sentendomi nel tempo stesso insidiato da teorie materialistiche, sensistiche e associazionistiche. [...] L'etica herbartiana del Labriola valse a restaurare nel mio animo la maestà dell'ideale, del dover essere contrapposto all'essere, e misterioso in quel contrapporsi, ma per ciò stesso assoluto e intransigente.» (3)
L'occasione per avvicinarsi a Marx venne dallo stesso Labriola, che inviò al proprio ex-allievo una copia del manoscritto In memoria del Manifesto dei comunisti. Ancora Croce racconta il suo entusiasmo: «Infiammato dalla lettura delle pagine del Labriola, preso dal sentimento di una rivelazione che si apriva al mio spirito ansioso, non posi tempo in mezzo e mi cacciai tutto nello studio di Marx e degli economisti e dei comunisti moderni e antichi.» (4)
Fu un bagno di idee voluttuoso, che condusse Croce a vedere in Marx, il "Machiavelli del proletariato". L'espressione segnava però una sorta di involuzione crociana, dovremmo dirla "infelice", ma dietro all'espressione stava però una comprensione di Marx che di fatto tradiva l'ispirazione morale appresa dal Labriola. «Nella concezione politica poi - scriveva Croce - il marxismo mi riportava alle migliori tradizioni della scienza politica italiana, mercé la ferma asserzione del principio della forza, della lotta, della potenza, e la satirica e caustica opposizione alle insipidezze giusnaturalistiche, antistoriche e democratiche, ai cosiddetti ideali del'89.» (5) Ma l'entusiasmo crociano finì presto in un mare di melma. Nei saggi dedicati al marxismo, Croce sviluppò quattro tesi fondamentali, che vediamo appresso.
Leggendo Il capitale di Marx, si accorse, singolarmente, che esso non costituisce un'analisi storica di una società determinata, e nemmeno un'opera che sia "pura teoria economica". Quando Marx dice che il valore di una merce corrisponde al tempo lavorativo socialmente necessario per produrla, stabilisce un fatto tipico di una coscienza considerata esclusivamente sotto il profilo economico. Questo "fatto di pensiero" è utilizzato da Marx per istituire un paragone tra la società economica in se stessa, nella quale tutti i beni sono prodotti con il lavoro, e la società capitalistica con la sua forma sociale di lavoro. E' da questo paragone che deriva il concetto di plusvalore. Marx, in sostanza, studia un'astratta società lavoratrice: non è quindi un'economista, e nemmeno uno storico. La seconda obiezione di Croce a Marx mostra come il progresso tecnico, cui Marx aveva imputato la responsabilità della caduta del saggio di profitto, proprio perché "moltiplica la ricchezza nelle mani della classe capitalistica", permette ai capitalisti di "ottenere, con l'anticipo dei beni che valgono sempre meno, gli stessi servigi che ottenevano prima del progresso tecnico dai proletari". Da qui la conseguente conclusione: modificandosi il rapporto tra valore dei servizi e valore del capitale a favore del primo, il saggio del profitto, lungi dal diminuire, addirittura finisce per crescere.
Sono argomentazioni che richiederebbero ben altri approfondimenti, ma risultavano sufficienti, al Croce, per escludere perentoriamente "la fine automatica ed imminente della società capitalistica" in base alla considerazione della caduta del saggio di profitto.
Il materialismo storico, nella versione data dal Labriola, non è per Croce né una filosofia della storia e nemmeno un nuovo metodo del pensiero storico, ma solo un canone d'interpretazione che "consiglia di rivolgere l'attenzione al cosiddetto sostrato economico delle società per intendere meglio le loro configurazioni e vicende".
«Si capisce allora perché la quarta ed ultima tesi del "revisionismo" crociano consista nella proposta di una scienza filosofica dell'economia fondata sulla definizione del concetto generalissimo di valore economico, o utile. Il contributo del marxismo si ridurrebbe, in sostanza, alla scoperta dell'utile come quarto valore ideale da collocare accanto alla tradizionale triade di vero, bello e buono.
Da tutto questo appare abbastanza evidente quanto Croce sia, in fondo estraneo al marxismo, anche nel momento in cui si trova a nutrire un grande interesse nei suoi confronti. Uomo di studi, indifferente all'impegno o alla miltanza politici, abituato ad affrontare i problemi da un punto di vista strettamente teorico-culturale, egli sa ricavare dalle suggestioni del marxismo solo ciò che può servirgli ad approfondire meglio le questioni di metodologia storiografica, rimanendo estraneo alla richiesta marxista di tenere uniti lavoro teorico ed impegno pratico a servizio della causa del socialismo.» (6)

La posizione di Croce, tuttavia, di fronte al nuovo discorso di Sorel, rimase sostanzialmente aperta. Sorel era andato oltre Labriola. Questi, infatti aveva concepito la filosofia come "immanente" al divenire storico, ma non aveva detto che l'azione poteva dirsi "determinata"; infatti la lettura scientifica della storia umana implicava "la previsione morfologica del socialismo", ma non prevedeva in quali forme si sarebbe manifestata. (7) Sorel riteneva che la "necessità immanente" non operasse da sola, ma dovesse rientrare nel movimento reale, facendo leva sulle attività sociale, perché altrimenti la resistenza delle zone inerti avrebbe tolto, o fortemente limitato ogni carattere di "necessità" del socialismo. E Croce, accettò, per un po' tale revisione, perché non poteva esistere alcuna filosofia della storia e quindi non si poteva dare alcun elemento prevedibile di determinazione. Il marxismo, tuttavia, avrebbe potuto "verificare" il suo esperimento ideale, purché sapesse imporre una volontà in grado di indirizzare le cose in maniera sostanzialmente diversa da quella prevista dalla "teoria del crollo" del capitalismo. Scriveva Croce: «... le relazioni di assoggettamento non si concepiscono come necessarie per l'ordine sociale in genere, ma semplicemente come necessarie per uno stadio storico di esso, e quando cominciano a formarsi nuove condizioni che rendono possibile l'abolirle (come fu il caso del progresso industriale di fronte al servaggio, e come i socialisti stimano che stia per accadere per le fasi ulteriori della civiltà moderna rispetto al salariato ed al capitalismo), allora la condanna morale è giustificata, e in certa misura efficace ad accelerare il processo di dissoluzione e a spazzar via gli ultimi rimasugli del passato.» (8) Pertanto, osserva Badaloni, la "filosofia di Croce può definirsi come una teoria di rapporti di forza aperti, e la funzione del giudizio storico consiste appunto nel saper riconoscere quale delle possibilità agenti sappia esprimersi con quel maggior vigore che è necessario per vincere".
Queste considerazioni crociane furono l'occasione per rimpolpare il fitto scambio epistolare con Giovanni Gentile. Gentile obiettava che, così, ci si lasciava sfuggire la "compattezza del pensiero di Labriola": «Non credo di potere accordarmi con quanto ella dice - scriveva Gentile - della interpretazione storica del pensiero marxista distinta dalla sua esposizione teorica.» (9)
Croce rispondeva: «Perché impedire ai socialisti di chiamare scientifica la loro concezione che scientifica non è, ma pure si fonda su tanta osservazione della realtà?» (10) La filosofia - aggiungeva Croce - non è una scienza e non è un'illusione; non può che definirsi come il "modo di recarci alla coscienza ciò ch'è il presupposto di ogni attività razionale dell'uomo, di ogni attività teoretica e pratica". Non è quindi escludibile a priori che il socialismo possa riuscire, proprio se smette di essere una "filosofia". Sorel non è filosofo di professione, non fa, dunque, "salti" come purtroppo fa Labriola, ed è per questo che la sua volontà può riuscire, anche se l'intero senso del socialismo soreliano continua a presentarsi come un "mito".
Gentile, dal canto suo, continuava a rifiutare di ammettere che il momento economico fosse "un'attività fondamentale dello spirito" visto che "da una parte rientra nella teoretica, dall'altra nell'etica." Erano obiezioni un po' oscure e Croce ebbe buon gioco a confutarle. Il mondo della pratica è ancora mondo della vita, ed in essa si esprime la "volontà", che nella sua unità di momento economico e momento etico (e morale) non ha nulla di normativo ed esclude perciò ogni giudizio di valore rispetto alle "volizioni". L'azione, sosteneva Croce, è «opera del singolo, l'accadimento è opera del Tutto: la volontà è dell'uomo, l'accadimento di Dio. O per mettere questa proposizione sotto forma meno immaginosa, la volizione dell'individuo è come il contributo che esso reca alle volizioni di tutti gli altri enti dell'universo e l'accadimento è l'insieme di tutte le volizioni, è la risposta a tutte le proposte.» (11) Torneremo su questi punti a proposito del Croce più maturo.


(1) 123 lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando Spaventa (seconda parte), pubblicate su "Rinascita", supplemento al n.1 1954
(2) Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925)
(3) B. Croce - Contributo alla critica di me stesso - in Etica e politica - Laterza 1945
(4) idem
(5) B. Croce - dalla prefazione a Materialismo storico ed economia marxistica - Laterza 1946 (sono saggi però composti tra la fine dell'Ottocento ed i primissimi anni del Novecento)
(6) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(7) sono "suggestioni" derivanti dalla lettura di Il marxismo di Gramsci - di Nicola Badaloni (Einaudi 1973) in particolare al capitolo 8 - La "filosofia dello spirito" e una divagazione su alcune teorie della "rivoluzione passiva".
(8) B. Croce - Materialismo storico ed economia marxistica - Laterza 1946 (sono saggi però composti tra la fine dell'Ottocento ed i primissimi anni del Novecento)
(9) Giovanni Gentile - Lettere a Benedetto Croce - vol. I - Sansoni 1972
(10) B. Croce - Lettere di Benedetto Croce a Giovanni Gentile - in "Giornale critico della filosofia italiana" 1969
(11) B. Croce - Filosofia della pratica. Economia ed etica - Laterza 1950
moses - 21 dicembre 2005