Cristo ed il cristianesimo Le prime correnti cristiane
di Daniele Lo Giudice
Vivo e presente il Maestro, non si hanno
notizie di divisioni e contrasti tra i seguaci
di Gesù. Almeno apparentemente. Piuttosto
ci fu un dissidio con Giovanni il Battista,
e cercheremo di mettere in evidenza perchè.
Giovanni era un fondamentalista, un "puro"
impegnato in una crociata di pulizia radicale
e non ammetteva possibilità di compromesso
con il modo di vivere "peccaminoso"
della stragrande maggioranza del popolo.
Definiva tutti indistintamente "razza
di vipere" i suoi compatrioti e prese
una coraggiosa posizione di denuncia contro
l'adulterio consumato da Erode Antipa, che
aveva ripudiato la moglie per sposare Erodiade,
consorte del proprio fratello. Gesto che
lo condusse prima alla prigionia e poi alla
morte nella fortezza di Machero.
Giovanni fu dunque soprattutto un fustigatore
di costumi. Ma la sua predicazione mancava
di qualcosa di vivo ed attuale.
L'atteggiamento di Gesù era indubbiamente
diverso e non solo per questioni di prudenza
e di tattica. I peccati degli uomini, in
particolare degli israeliti, erano ben altri
e ben più gravi. Rubavano, ammazzavano, compivano
ogni sorta di nefandezza per arricchirsi.
E continuavano pervicacemente a coltivare
sogni di grandezza e di indipendenza politica
da conquistare con le armi, quando ormai
era evidente che il mondo era mutato, che
i Romani erano i padroni e che, tutto sommato,
sotto Roma non si stava così male. Gesù ebbe
parole di ammirazione per l'efficienza e
la disciplina dell'esercito romano.
La vera questione era come conservarsi puri
e giusti nel mondo, senza ritirarsi nel deserto,
e forse, senza nemmeno rinununciare ad un
minimo di vita politica e sociale, ad esempio
partecipando alle riunioni nelle sinagoghe,
che non erano solo luoghi di culto, ma luoghi
di incontro nei quali si dibattevano anche
problemi concreti quali la costruzione di
un pozzo, la sicurezza delle strade, l'esecuzione
dei testamenti, il mantenimento delle vedove
e degli orfani, e così via.
Nei Vangeli si incontrano anche di queste
problematiche, ad esempio quando un sadduceo
si rivolse a Cristo per chiedere quale sarebbe
stata la sue vera moglie nella vita eterna,
se la prima, o la seconda, quella che aveva
dovuto sposare in quanto vedova di suo fratello.
La risposta di Gesù fu sorprendente, ma applaudita
dai farisei presenti:" in futuro non
ci saranno più mogli né mariti, perchè sarete
come angeli del cielo."
A prescindere dalla dimensione vagamente
assurda della domanda, essa comunque testimoniava
di un problema reale piuttosto diffuso e
sentito: come prendersi cura dei deboli e
degli indifesi.
Le sinagoghe erano cellule dello stato sociale
e come ogni istituzione di questo tipo non
potevano evitare di confrontarsi con problemi
di giustizia ed equità.
Ma la questione, a mio avviso, non sta nemmeno
nel ristabilire le giuste proporzioni della
gravità degli errori commessi dal popolo
ebraico.
Per fare un esempio comprensibile di come
potrebbe aver ragionato Gesù nei confronti
del Battista, provo a riferirmi all'attualità:
che ce ne importa se un ex-ministro assume
cocaina, se un presidente degli Stati Uniti
ha rapporti sessuali impropri con la sua
stagista, o se troppe figure di pubblico
dominio danno scandalo con i loro comportamenti
disinvolti? "E' inevitabile che ci siano
scandali" disse Gesù. Ma pensate piuttosto
a voi stessi.
Mi interessi tu, povero, disoccupato, attratto
dalla droga, che hai messo incinta un'altra
disgraziata come te, che pure era minorenne.
Mi interessa salvare la tua vita e la tua
anima. E non è gridandoti in faccia che sei
una vipera, o facendoti un bagno purificatore
che ti aiuto. Su di te deve scendere uno
spirito nuovo, tu puoi diventare un uomo
nuovo!
Chiarito questa fondamentale differenza,
tuttavia, leggendo attentamente i Vangeli,
alcune discrepanze tra Gesù e la sua cerchia
si notano e potrebbero dare da pensare. A
prescindere dal tradimento finale di Giuda,
che lo vendette per trenta denari alla mafia
del tempio, questo apostolo si distinse in
un'occasione per una sua presunta intransigenza.
Una donna, una meretrice, si era accostata
a Gesù per lavarlo e profumarlo con costosi
unguenti. Giuda condannò lo spreco. Con quei
soldi si potevano aiutare i poveri. Forse
era il segno di un qualche dubbio che cominciava
a serpeggiare tra i discepoli sui comportamenti
stravaganti del Maestro. Il moralismo è un
vecchio vizio.
La tradizione racconta che essi ricevettero
una vera illuminazione, cioè una discesa
dello Spirito, soltanto a Pentecoste, quaranta
giorni dopo l'ascesa in cielo di Gesù. Prima
di allora essi vissero molte esperienze,
videro prodigi, ascoltarono discorsi e spiegazioni,
ma non compresero del tutto né il senso delle
cose che Gesù andava facendo, né l'autenticità
del messaggio, semplice e complesso insieme.
Il problema è che, terminato il soggiorno terreno del Maestro,
le cose per un po' ebbero un andamento facile
e persino clamoroso, poi cominciarono a complicarsi
terribilmente. I seguaci di Gesù ripresero
coraggio, cominciarono a parlare le lingue
più conosciute, in particolare il greco ed
il latino suppongo, ed incontrarono molte
persone disposte ad ascoltarli. Gesù li aveva
completamente trasformati: da impacciati
ed ignoranti pescatori, in soli tre anni,
erano diventati dei sapienti capaci di disputare
con farisei e dottori della legge, di spiegare
le scritture sia ai compatrioti che agli
stranieri, di educare, di guarire (soprattutto
le malattie dell'anima, cacciando i cattivi
spiriti e le cattive inclinazioni, vincendo
depressione e risentimenti covati nel profondo).
Il movimento cristiano, che non si chiamava
ancora così, sembrava averla vinta persino
sulla filosofia e non già in forza di discorsi,
ma di fatti, di azioni, di una prassi, per dirla in termini moderni: era il movimento reale che cambiava il presente. Sorsero comunità comuniste nel vero senso della parola, non già attraverso
l'espropriazione dei ricchi, ma per volontaria
e convinta adesione di chi partecipava. I
beni era messi a disposizione di tutti.
Tra i più attivi si misero in luce persino
convertiti di lingua greca, anche se di origine
giudaica, come i cosiddetti ellenisti di
Gerusalemme. Tra essi emerse Stefano, il primo vero martire cristiano, non un
Apostolo, ma uno dei tanti toccati dallo
spirito nuovo che si andava effondendo. "Egli
compì molti prodigi in mezzo al popolo"
- come raccontano gli Atti. Quel tipo di prodigi che abbiamo già detto,
ovvio. La nascita di una nuova solidarietà,
la prova vivente che il mondo si poteva cambiare
non già con rivoluzioni violente ma cominciando
a cambiare sé stessi, e mostrando quali miracoli
poteva compiere la solidarietà.
Tutto questo non piacque ai potenti e temo
non piacerà mai. Essi temono l'autosufficienza
dei poveri e degli oppressi e la solidarietà
umana molto più che le rivoluzioni violente,
le guerriglie e quant'altro possa turbare
gli ordini politici ed economici costituiti.
Sanno perfettamente quanto sia rivoluzionaria
la cooperazione pacifica e la conquista di
una dignità.
Per questo Stefano divenne il capro espiatorio
ed un esemplare avvertimento nei confronti
di tutte le comunità ispirate a Gesù. Guai
a voi se perseverate. Fu preso e processato
sommariamente. Luca, l'autore degli Atti, riporta integralmente quello che potrebbe
essere stato il suo discorso di difesa ed
invece divenne un intollerabile atto d'accusa
contro gli infami che lo stavano processando.
Fu lapidato. Una morte orrenda. Ad assistere
all'esecuzione c'era Saulo di Tarso, un fariseo
fanatico, convinto nel profondo di essere
stato chiamato a combattere il male assoluto
per il bene assoluto in virtù di una visione
di origine persiana più che giudaica.
Eppure questi diventerà il vero fondatore
del cristianesimo, noto con il nome di Paolo, l'uomo che riuscirà a codificarlo come
una religione, a trasformarlo da movimento
in setta, in Chiesa, a dargli, per dirla
in linguaggio moderno, una identità precisa
e quindi una ideologia dogmatica fondata
su una ferrea organizzazione istituzionale.
Alla morte di Stefano seguirono violenze
inaudite contro gli aderenti al movimento.
Le loro case furono attaccate e devastate
dai teppisti e dalla feccia del Tempio, lo
stesso tipo di individui che aveva fatto
massa nel processo a Gesù, scegliendo la
salvezza di Barabba. E Paolo partecipò al
massacro ed alla devastazione, anche se Luca
non riferisce con precisione quanto e come.
O forse qualche "manina" ha cancellato
le parti più scottanti.
La conversione di Paolo è raccontata da Luca
come un'improvvisa folgorazione avvenuta
sulla via di Damasco. Aveva in tasca lettere
del sommo sacerdote che lo autorizzavano
ad avviare inchieste per individuare seguaci
di Gesù e perseguitarli.
Caduto nella polvere, accecato mentre cavalcava
baldanzoso, si racconta che gli apparve il
volto di Gesù e che udì una voce:" Saulo!
Perchè mi perseguiti?"
Già, perchè?
Quel tipo di fanatismo in fondo non ha spiegazione
al di fuori di una sorta di follia e di mania,
a meno che non si creda alla storia di un
Saulo ladro e delinquente del tutto identico
alla feccia che frequentava. Avido di denaro?
Storie del genere sono apparse persino in
rete a cura di approssimativi esegeti, ma
sembrano ignorare che la famiglia di Tarso
era benestante e che Saulo godeva anche del
privilegio di essere cittadino romano.
Quindi non agiva per avidità. Agiva per intima
convinzione ideologica, convinto di essere
anch'egli in missione per conto di Dio, esattamente
come un fanatico dei nostri giorni.
Dopo l'evento, non fece quello che un qualsiasi
uomo onesto di qualsiasi religione avrebbe
fatto. (1) Non tornò a Gerusalemme per chiedere
scusa ai sopravvissuti e risarcirli in qualche
modo. Un gravissimo errore che pagò successivamente,
quando cercò di rientrare a Gerusalemme e
si accorse di essere odiato da tutti quelli
che aveva perseguitato ed anche qualcun altro.
Forse fu persino calunniato per aver fatto
discorsi contro la Legge. In ogni caso, si
rivelò ingenuo e superficiale a credere che
le sue vittime lo avessero dimenticato o
perdonato. Si possono perdonare tante cose
che ci riguardano, difficile che si possa
perdonare "conto terzi". Sarebbe
persino sbagliato, credo.
Fu invece molto abile nel difendersi al processo
intentato contro di lui. Vistosi con le spalle
al muro, invece di proclamarsi cristiano,
si proclamò fariseo, figlio di farisei, ed
in quanto tale accusato ingiustamente dalla corrente avversa
dei sadducei. Ne nacque una vera e propria
rissa tra le due fazioni e Paolo fu salvato
dai farisei.
Si era convinto che il suo compito fosse
quello di propagandare il vangelo tra i pagani,
ma secondo una rotazione simmetrica delle
sue vecchie convinzioni. C'era sempre un
male assoluto da combattere ed un bene assoluto
da diffondere. Prima Gesù era il male, ora
il male era tutto quello che si opponeva
a Gesù, anzi al "Gesù" di Paolo,
l'unico in tutto il mondo ad averne compreso
fino in fondo la radicalità del messaggio.
Questa mia interpretazione non viene dal
nulla ma da un'attenta lettura delle famose
Epistole e da numerosi testi di commento.
Da esse è facile intendere che l'originaria
spinta alla costruzione di comunità sul modello
gerosolomitano passò presto in second'ordine.
Prevalevano preoccupazioni di tipo dottrinario
e tentativi di spiegazione ed interpretazione
della scrittura sacra non sempre chiari e
condotti con la necessaria lucidità.
Alcune sue intuizioni furono comunque rivoluzionarie.
Tra i giudei convertiti della prima ora c'era
ancora chi richiedeva ai cosiddetti gentili, cioè ai pagani, la circoncisione ebraica e l'accettazione
integrale della Torah, cioè la Legge, come
precondizione per l'adesione alle comunità.
Paolo si battè per abolire questa sciocca
restrizione. Dopo Cristo non c'è più distinzione
tra Ebrei e non-Ebrei. Come dargli torto?
Però egli non fu abbastanza preciso sul punto
della Legge, non introdusse alcuna distinzione
tra il decalogo, cioè i comandamenti fondamentali,
e tutto il resto, cioè l'insieme di norme,
prescrizioni, cerimoniali, consuetudini,
festività e quant'altro potesse passare per
appartenente più al costume ed alla identità
nazionale giudaica che ad una morale di tipo
universale..
E questo diede origine ad una singolare confusione.
Paolo parlò e predicò effettivamente contro
la Legge? E chi può dirlo? La sensazione
che si ricava dalla lettura dei suoi testi
non porta a trovare una risposta, ma solo
ad ulteriori domande. Verrebbe da dire che
egli parlò soprattutto contro l'esteriorità
della Legge stessa, e quindi contro l'ipocrisia
di chi predica bene, magari agisce anche
bene, però in cuor suo coltiva sentimenti
e passioni aberranti. Ma non è così, o almeno,
la cosa non è detta in modo chiarissimo.
Sappiamo che per lui Cristo era la nuova
Legge, anzi il suo definitivo sostituto.
Ed un certo passo del Vangelo di Matteo,
composto dopo la pubblicazione delle epistole
paoline, sembra persino suonare come una
risposta: "Cosa credete, che sia venuto
ad abolire la Legge? Non uno iota cadrà della
Legge!"
Potremmo considerare questo Vangelo come
la più schietta e fedele espressione del
giudaismo-cristiano e dei cristiani giudei.
E quindi una sorta di manifesto della corrente
più ortodossa in risposta alle provocazioni
paoline.
Un altro punto importante della predicazione
di Paolo fu la denuncia delle divisioni artificiose.
Nelle comunità c'era chi si proclamava seguace
di questo o di quello e la cosa era indice
di un chiaro malcostume essendo molto più
importante il comune riferimento all'unico
vero maestro.
Ma su questo punto non fu poi molto coerente,
visto che non ebbe ritegno ad accusare Pietro
in una lettera, in un passo molto scorretto,
strumentalizzando un comportamento del tutto
naturale e spontaneo, ovvero il fatto che
Pietro preferisse sedere tra i suoi compaesani
a consumare i pasti in comune, invece che
tra i gentili convertiti. Miserie di uno
che vede il male dappertutto. In altro passo
si lasciò persino andare ad una maledizione.
Fatto non nuovo, si dirà. Persino Gesù maledisse
il fico sterile.
Ma qui la questione era del tutto differente;
maledisse chiunque predicava un Vangelo diverso
dal suo. Cioè maledisse dei fratelli che agivano
in buona fede, persino giustificati dalla
loro fede secondo la sua stessa teoria.
Un altro punto importante della predicazione
paolina consisterà nel diffondere la convinzione
che i convertiti al cristianesimo sono stati
in qualche modo graziati da Dio.
La salvezza del credente era quindi legata
strettamente al ricevimento della grazia di credere. Questa dottrina implicava in qualche modo
una teoria della predestinazione, che infatti
sarà filosoficamente e teologicamente ripresa
da molti dopo di lui. Ma portava anche ad
un radicale pessimismo antropologico, nonostante
lo stesso Paolo avesse messo le mani avanti
per esorcizzare il pericolo, asserendo che
tutti gli uomini avevano per natura un lume
naturale che poteva portarli a distinguere
il bene dal male.
Questa sfiducia nei confronti dell'uomo,
incapace di salvarsi senza l'intervento divino
che concede la grazia di credere, era del tutto coerente con una prima forma
di dualismo: carne e spirito, ergo male e
bene, che Paolo predicò fino all'esasperazione.
Finchè l'uomo è carnale, è male (qualcosa
di aberrante per un giudeo doc) e solo chi
viene allo spirito, chi è toccato dallo spirito,
esce veramente dalla tentazione del male.
Ma ciò è impossibile senza il ricevimento
della grazia.
Siamo a Pitagora, a Platone, a Zarathustra,
più che alla tradizione giudaica. Siamo,
cioè alla filosofia, anche se la più rozza,
ed una prima esposizione di quella che sarà
poi la teologia, cioè un ragionamento dell'uomo,
condotto da uomini, spesso limitati (spiace
dirlo) sul divino e le realtà trascendenti.
Basterebbe leggere il Libro di Giobbe e meditare
un pochetto la celebre autodifesa di Dio
per capire che se è vero che il mondo fu
creato, fu creato al meglio, ergo che viviamo
in una natura (un mondo) che è la migliore
di quelle possibili, e quindi anche l'uomo
è il migliore possibile.
Dove sta il male? Nell'esistenza dei coccodrilli,
delle cimici e dei virus? O non sta forse
nella cupidigia umana e nella sua volontà
di dominio e di potenza?
Paolo, in sostanza, pur dichiarando la filosofia
come fonte di errore e cattiva maestra, cominciò
a filosofare e teologare dogmaticamente;
a buon diritto possiamo considerarlo come
il primo filosofo cristiano, oltre che il
fondatore di una corrente che nel tempo sarebbe
prevalsa su tutte le altre diventando egemone
nelle chiese.
A Paolo si oppose la corrente dei cosiddetti
pietrini, cioè i seguaci dell'Apostolo Pietro,
ed ancora di più quella di Giacomo, autore
di una lettera polemica nei confronti della
teoria della giustificazione per fede. In essa Giacomo ribadì a chiare lettere
un principio molto ovvio: ovvero che è difficile
essere giusti, ma non si è giusticati dalla
fede, ma solo dal comportamento, e quindi
dall'osservanza della Legge.
Giacomo era parente di Gesù, forse un suo
cugino o persino un suo fratello. Giudeo
osservante, non aveva fatto parte della cerchia
degli Apostoli ed il suo nome apparve sulla
scena solo dopo la scomparsa di Gesù. Eppure
guadagnò subito una straordinaria influenza.
Non è del tutto vero che egli si oppose all'evangelizzazione
dei non Ebrei. Probabilmente è solo vero
che non condivideva l'ottimismo di Paolo,
che giudicava un facilone confusionario.
Si limitò a porre alcune condizioni con un
discorso che venne largamente approvato dagli
anziani della comunità e da tutti gli Apostoli
presenti. In primo luogo ribadì che i gentili
avrebbero dovuto astenersi dal mangiare carne
immolata agli idoli ( e quindi a partecipare
a festività e cerimonie pagane, comprese
quelle patrocinate dall'autorità imperiale
romana) Aggiunse che non dovevano fornicare
e commettere atti impuri e presumo che l'avvertenza
riguardasse soprattutto due aspetti piuttosto
diffusi nell'antichità: l'unione sessuale
tra consanguinei e la pederastia, quando
non la pedofilia., vecchio vizio filosofico.
Giacomo mostrò di avere idee molto chiare
ma anche una certa rigidità di pensiero.
Per questo si parlò di una corrente pietrina
che su qualche punto doveva differenziarsi
dalle posizioni di Giacomo. Indubbiamente
Pietro era meno rigido di Giacomo e possedeva
una visione più ecumenica. Gli Atti raccontano che ebbe la visione di Cristo
che gli comandava di uccidere e mangiare
ogni sorta di animale impuro, compresi maiali,
molluschi, cozze, rettili ed anfibi. Ovvero
tipi di carne che la Legge proibiva.
Poichè gli ordini del capo non si discutono,
da quel momento anche Pietro assunse una
posizione revisionistica e possibilista nei
confronti di alcuni punti della Legge giudaica.
Cominciarono ovviamente altre dispute, visto
che nel Vangelo di Matteo sarà scritto quello
che abbiamo già detto, ovvero che lo stesso
Gesù aveva proclamato: "Non uno iota
cadrà della Legge!"
Problemi e contraddizioni non da poco, a
cavallo tra lettera e spirito. Ma una cosa
è certa, dopo solo pochi anni l'unità dei
seguaci di Gesù, che ormai si autodefinivano
cristiani era rotta. Gli ottimisti potrebbero
parlare di un pluralismo dialettico utile
al progresso della Chiesa e della dottrina.
I pessimisti potrebbero dire che le divisioni,
una volte introdotte, non avrebbero cessato
la loro influenza nefasta.
Note
Per la scrittura di questo file, oltre alla
bibliografia riportata nel precedente capitolo,
ho fatto riferimento anche a Ermanno Lupieri
- Giovani e Gesù: storia di un antagonismo - Oscar Mondadori (collana uomini e religioni)
Anche in questo caso devo ringraziare Guido
Marenco per alcuni suggerimenti, non ultima
la precisa e tagliente definizione delle
differenze tra Giovanni e Gesù, anche se
nell'esposizione ho seguito un mio filo di
ispirazione personale.
(1) Negli Atti Paolo racconta in prima persona: «Io
dissi allora: Che devo fare, Signore? E il
Signore mi disse: alzati e prosegui verso
Damasco; là sarai informato di di tutto ciò
che è stabilito che tu faccia. E poichè non
ci vedevo più a causa del fulgore di quella
luce, guidato dai miei compagni, giunsi a
Damasco» (At 21,40 -22,11)
Non posso escludere che questo racconto sia
vero e sentito, e ci mancherebbe ancora che
io pensassi a confutarlo. Ma esso contrasta
e stride in maniera urtante con una precisa
raccomandazione evangelica: "se tra
te un tuo fratello c'è qualcosa da chiarire,
abbandona immediatamente la tua occupazione
per chiarire ogni cosa." Paolo avrebbe
dovuto chiarire molte cose con moltissimi
suoi nuovi fratelli a Gerusalemme, ma non
lo fece!!! Mai.
DLG - 2 dicembre 2003