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Cassirer: la filosofia delle forme simboliche e il mito
«[Nel mito] - scrive Cassirer - non c'è una cosa-sostanza, la quale, come alcunché di permanente e di immutabile stia a fondamento dei mutevoli e fugaci fenomeni, dei semplici "accidenti". La coscienza mitica non inferisce dall'apparenza all'essenza, essa possiede, ha in sé l'essenza. [...] Il demone della pioggia vive esso stesso in ogni goccia d'acqua e in essa lo si può cogliere e afferrare. Così, nel mondo del mito ogni fenomeno è sempre ed essenzialmente incarnazione. L'essenza non si distribuisce qui su una molteplicità di diverse maniere possibili di rappresentazione, ciascuna delle quali contenga soltanto un frammento di essa, bensì si manifesta nell'apparenza come totalità, come unità integra ed indistruttibile. E' proprio questo stato di cose che, dal punto di vista "soggettivo", può essere espresso tanto in atti rappresentativi o simbolici, quanto in pure esperienze espressive. Ciò che qui è presente come "realtà" non è un complesso di cose fornite di determinate "note" e "caratteristiche", in base alle quali esse si possono riconoscere e distinguere le une dalle altre, bensì è una molteplicità e abbondanza di caratteri originariamente fisiognomici. » (1)
Se il mondo rappresentato nel mito non consiste di sostanze durevoli ma di un insieme fluttuante di eventi legati insieme da caratteri "fisiognomici" di tipo emozionale, allora è vero, osserva Friedman, che ... "ciascuna parte, letteralmente, contiene l'intero, di cui è parte e può quindi esercitare tutta l'efficacia causale dell'intero". (2)
Infatti Cassirer, ancora: «Nei capelli di un uomo, nelle sue unghie tagliate, nei suoi vestiti, nelle impronte dei suoi piedi è ancora contenuto l'uomo intero. Ogni traccia che l'uomo lascia dietro di sé ha il valore di una sua parte reale, che può reagire su di lui come tutto e lo può danneggiare come tutto [...] Anche il genere, rispetto a ciò che abbraccia in sé come specie o come individuo, non sta in un rapporto tale per cui, come universale, determina logicamente questo particolare, bensì è direttamente presente in questo particolare, vive e agisce in esso. [...] La struttura della visione totemica del mondo, per esempio, difficilmente può essere compresa se non si parte da questo carattere essenziale del pensiero mitico. Infatti, nella classificazione totemica degli uomini e dell'universo, non c'è una semplice coordinazione fra le classi degli uomini e delle cose, da un lato, e determinate classi di animali e piante, dall'altro; qui, invece, il singolo viene pensato come dipendente in modo reale dal suo progenitore totemico e, anzi, come identico ad esso.» (3)
Appare chiaro da queste citazioni che Cassirer rifiuta di lavorare sul mito in termini positivistici, alla Renan, anche se proprio a Renan (insieme a David Strauss) aveva riconosciuto il merito di aver aperto una via. «L'influsso esercitato dalle opere di Renan e dello Strauss - aveva scritto Cassirer molti anni prima - fu molto forte; ma si fondava in gran parte sulla polemica teologica da esse scatenata e condotta in modo estremamente violento ed aspro. Fu questo il solo aspetto del problema che da principio fu visto e a cui si volse tutto l'interesse. Esso però non merita la nostra attenzione e non è la cosa più importante dal punto di vista della storia spirituale. Oggi possiamo considerare quella lotta sotto un altra luce. L'essenziale per noi non è ciò che la critica di Strauss e Renan ha distrutto, bensì ciò che ha costruito. Abbiamo prima ricordato un detto del Niebuhr, secondo il quale ogni vero storico ha sviluppato in sé una certa facoltà visiva in modo da diventare capace di "vedere nell'oscurità". In Renan troviamo un passo che corrisponde esattamente a questa concezione circa la natura della conoscenza storica. "J'ai pris une sorte d'habitude, - è detto nei suoi Souvenirs, - de venir sous terre et de discerner des bruits que d'autre oreilles n'entendant pas." Egli coltivò in se stesso portandola al più alto grado questa finezza di udito, questa acutezza nel vedere e nel sentire. In ciò consiste la sua superiorità rispetto allo Strauss, il quale lavora sempre con tutto l'apparato concettuale e per così dire con l'artiglieria pesante della critica teologica e della polemica.» (4)
Cassirer afferma che Renan è stato influenzato da Kant, Herder, Fichte e Schelling, e che è stato il pensiero filosofico tedesco e non quello scientifico francese a persuaderlo ad abbandonare l'abito talare, deluso dalla fede, per avviarsi sul terreno della ricerca razionale. Nella genetica specificamente cassiseriana entrano anche nomi come quello di Lessing, il quale "intese lo svolgimento delle singole religioni come una progressiva e divina educazione del genere umano",o come quello di Vico. «Ma tutte queste tendenze non potevano raggiungere il completo sviluppo nell'ambito del secolo XVIII. Ciò che ostacolava questo sviluppo era la circostanza che anche quando si cominciò a riconoscere il carattere storico della religione, un altro tratto essenziale continuò a rimanere nascosto. L'essenza e la storia della religione non si possono intendere se prima non si è colta la natura specifica della coscienza mitica. Qui però l'epoca dell'Illuminismo si trovava al vero limite della sua comprensione e vedeva dinanzi a sé un enigma ch'esso con i suoi mezzi non poteva capire e ancor meno risolvere. Un solo pensatore nel corso del del secolo XVIII spezzò questa barriera. Giambattista Vico può essere definito il vero scopritore del mito. Non solo s'immerge nel multiforme mondo del mito, ma studiando impara che questo mondo ha la sua propria struttura, il suo proprio tempo, il suo proprio linguaggio; egli inoltre fa il primo tentativo per decifrare questo linguaggio; raggiunge un metodo in virtù del quale le "sacre immagini", i geroglifici del mito, cominciano a diventare leggibili. Per questa via è stato seguito dallo Herder.» (5) E sulla via tracciata da Vico ed Herder arrivò Schelling, "il quale era convinto che solo sulla base della sua dottrina fosse possibile fondare una vera filosofia della mitologia". Non a caso Cassirer riporta questa citazione emblematica: «Vi sono oggetti che la filosofia deve necessariamente considerare al di fuori di ogni relazione con se stessa. In essi rientra tutto ciò che non ha in sé una realtà sostanziale e che esiste solo nell'arbitraria opinione degli uomini. Il processo mitologico però è qualcosa che si è verificato nell'umanità indipendentemente dal volere e dall'opinare di questa... La mitologia è un prodotto naturale, un prodotto necessario... è una vera totalità, un che di concluso, di contenuto in certi limiti, un mondo a sé... Infine ciò che è morto, ciò che è inerte si trova in contrasto con la filosofia. Ma la mitologia è essenzialmente qualcosa che si muove, anzi qualcosa che si muove secondo una legge interna, e attraverso la contraddizione stessa, in cui s'avvolge, essa superandola, si dimostra reale, vera, necessaria.» (6)
L'idea di Schelling - dice Cassirer - fu quella di sostituire all'interpretazione "allegorica", questo parlar di questo per alludere ad altro, con quella "tautegorica" (termine che non si trova nemmeno sullo Zingarelli!) e che vuol dire "parlare proprio di questo e non d'altro". E qui Cassirer svolge considerazioni importanti anche per la sua ricerca futura: «Dobbiamo rinunciare a vedere in esso soltanto la veste esteriore dietro cui si nasconderebbe un'altra specie di verità; sia che questa venga da noi intesa come spiegazione di determinati fenomeni naturali, sia come un principio morale. Ma neppure serve ridurlo all'arte intendendolo semplicemente come immagine estetica. Il mito non è "invenzione poetica", giacché la poesia è opera del singolo che si abbandona al libero movimento della sua fantasia. Nel mito non c'è nulla di siffatta libertà, o meglio, di tale gravità. Tutto in esso è invece necessità: una necessità certamente che non ci è imposta dall'esterno dell'esistenza delle "cose", bensì dalla natura della coscienza. In questa infatti dobbiamo riconoscere il vero subjectum agens della mitologia.» (7)

Cassirer è dunque profondamente influenzato dalla teoria schellinghiana, al punto da condividerne alcuni presupposti, come quello che il mito non è un velo che copre la vera storia, e ci impedisce di vedere. Ecco che dice: «Ma se questo modo di considerare il problema si potesse anche capovolgere? Ciò che qui si presenta è soltanto un velame o non è anche scoprimento e rivelazione? Il cogliere la natura del pensiero e delle rappresentazioni del mito non può forse diventare un vero mezzo di consoscenze e servire di guida alla ricerca storica? Ciò può valere soltanto nel campo dell'evoluzione religiosa o piuttosto può essere esteso molto al di là di questa cerchia? Allorché tutte queste questioni furono poste in tutto il loro rigore la storia si trovò di nuovo a una svolta decisiva sotto l'aspetto metodologico. Anche i problemi della storia politica diventarono allora suscettibili d'essere trattati in modo diverso e sostanzialmente nuovo. Gli inzi di questa storia sembrano ovunque perdersi nell'oscurità del mito. Anche in questo caso però il compito dello storico non è di rifuggire da questa oscurità, bensì di utilizzarla per il suo lavoro, per il suo specifico scopo conoscitivo. Non solo dobbiamo imparare a vedere in questa oscurità, ma per quanto strano o contraddittorio ciò possa sembrare al primo sguardo, dobbiamo vedere con l'aiuto di essa. Il mito, che sembrava una barriera per la scienza storica, deve essere convertito in uno strumento di questa stessa scienza.» (8)
Tuttavia, in opposizione all'esito metafisico della riflessione di Schelling, in cui l'attività della coscienza viene subordinata al processo di autorivelazione dell'Assoluto, Cassirer sceglie decisamente "il punto di vista funzionale". Ciò porta ad attribuire decisiva importanza al problema dell'unità del principio spirituale, dal quale tutte le creazioni particolari risultano sostanzialmente dominate, pur considerando l'estrema diversità delle manifestazioni. La funzione, dunque, è sempre operante laddove la coscienza mitica attua una distinzione originaria del sacro e del profano, dunque fra la sfera dell'eccezionale e quella dell'ordinario. «Lo sfondo entro cui si delinea questa "antitesi fondamentale" è una coscienza che è essenzialmente affascinata e sopraffatta dal suo oggetto, in quanto oggetto dotato di una peculiare potenza mitico-magica. La coscienza mitica è una coscienza che vive nell'impressione immediata, abbandonandosi alla particolare e momentanea presenza dei suoi oggetti, e che non è in grado di operare ancora una distinzione tra il simbolo e la cosa simbolizzata. A questo suo tratto costitutivo si collega quello per cui il pensiero mitico rimane essenzialmente un pensiero concreto, cioè un pensiero che, a differenza di quello logico-scientifico, non sa prendere per così dire la distanza dalle cose, nel senso della loro risoluzione analitica in elementi distinti e in un complesso di relazioni.» (9)


note:
(1) Ernst Cassirer - La filosofia delle forme simboliche - vol.II - Il pensiero mitico - La Nuova Italia 1964
(2) Michael Friedman - La filosofia al bivio - Raffaello Cortina Editore 2004
(3) Ernst Cassirer - La filosofia delle forme simboliche - vol.II - Il pensiero mitico - La Nuova Italia 1964
(4) Ernst Cassirer - Storia della filosofia moderna - IV I sistemi posthegeliani Tomo secondo - Einaudi 1958
(5) idem
(6) citato in in idem da: Schelling - Introduzione alla filosofia della mitologia, Sämtliche Werke, II - Stuttgart und Augsburg 1856
(7) Ernst Cassirer - Storia della filosofia moderna - IV I sistemi posthegeliani Tomo secondo - Einaudi 1958
(8) idem
(9) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
moses - 1 dicembre 2005