| home | novecento | dizionario |

Rudolf Bultmann (1884-1976)
Il teologo della demitizzazione

Rudolf Bultmann nacque nel 1884 nei pressi di Oldenburg, dove poi frequentò il ginnasio insieme a Karl Jaspers. Ultimati gli studi universitari fu libero docente a Marburgo ed, in seguito, docente di teologia a Breslavia, Gießen ed ancora Marburgo fino al 1951.
Inizialmente, fu vicino a Barth e Gogarten e collaborò alla rivista "Zwischen den Zeiten". Successivamente ad un incontro con Heidegger, a Marburgo, cominciò a percorrere una propria strada, insistendo sull'analisi esistenziale della fede. Di tale approccio è testimonianza soprattutto l'opera Fede e comprensione.
Ma grande clamore suscitò Nuovo Testamento e Mitologia, del 1941. In tale scritto Bultmann affermava che l'involucro mitologico che ricopre il racconto evangelico è inessenziale rispetto al contenuto sostanziale che trasmette. Non si tratta di eliminarlo, ma di esaminarlo alla luce delle intezioni che esso esprime, per riportarlo al contenuto autentico dell'annuncio originario.
La predicazione cristiana contemporanea, se vuole essere efficace, non può domandare agl uomini di credere al racconto mitico, ma limitarsi ad enuclearne il messaggio ed il kerygma, cioè l'annuncio.
Ciò che rimane valido nell'annuncio cristiano sono la riflessione e l'analisi dell'esistenza, l'angoscia dell'uomo per il futuro, la miseria del presente.
Su queste basi, la tesi fondamentale di Bultmann si può riassumere ina formula tipicamente esistenzialistica: il cristianesimo dice all'uomo di rinunciare ad autoprogettarsi nel mondo per divenire capace di autoprogettarsi nell'amore e nell'obbedienza a Dio.
Ovviamente, intorno alle tesi di Bultmann si svilupparono grandi discussioni, dissensi e persino reazioni scandalizzate.
Nella chiesa evangelica ci fu chi pensò a misure disciplinari. Bultmann fu però difeso da Karl Barth.

Anche Bultmann, come già Barth, rimase fortemente critico nei confronti della teologia naturale ed all'apertura cattolica alla lumine naturalis ratione. Si può parlare del vero Dio solo a partire dalla fede e come egli scrisse: "Per la teologia protestante una tale teologia naturale è impossibile [...] perchè questa teologia ignora che l'unico modo possibile di accedere a Dio è la fede." Nella teologia naturale viene falsificato il concetto di Dio, ridotto a causa prima, "un essere alla maniera del mondo", oggetto di conoscenza e fenomeno; altrimenti, "la fede parla di Dio come Al di là del mondo".
Esemplare, anch'egli, per la sua drasticità: "resta dunque che ogni discorso umano su Dio al di fuori della fede, non parla di Dio ma del diavolo."
"Colui che volesse andare più lontano, cercando quali siano le necessità, i titoli, i fondamenti della fede, non riceverebbe che una risposta: sarebbe rinviato al messaggio della fede che lo interpella, esigendo di essere creduto. Non riceverebbe risposte tali da giustificare i titoli della fede davanti ad una qualsiasi istanza."
Paradossalmente, Bultmann arriva a dire che se fosse non credente, egli assumerebbe "un punto di vista che mi permetta di restare neutrale riguardo al problema di Dio."
Infatti, ovunque si pensa ad un Dio supremo, lo si definisce Onnipotente, ciò che determina tutta la realtà, determinando anche la realtà che lo problematizza. Ma se siamo determinati da Dio, allora sarebbe meglio rinunciare all'idea di Dio.
L'ostilità ad una teologia filosofica, risulta però attenuata rispetto al primo Barth. Il suo spazio è tuttavia ristretto ad un'impegnata interrogazione su Dio e l'impegno personale va riconosciuto come l'essere interpellati da Dio stesso. "Solo quando ci sentiamo interpellati da Dio nella nostra esistenza personale ha un senso parlare [...] di Dio."
Solo accettando la rivelazione e credendo nella fede possiamo quindi aprirci. "Dio diviene accessibile soltanto attraverso la sua rivelazione alla fede che risponde ad essa... Pertanto la teologia protestante deve fortemente ed indissolubilmente ancorarsi al principio che Dio non è visibile che per chi ha fede.

Ciò precisato, Bultmann ammette la realtà della teologia naturale e spiega che essa sorge da tre elementi innegabili: comprensione, fenomeno della religione, fenomeno della filosofia.
La comprensione
deriva dal fatto che il Kerygma cristiano può essere compreso anche da chi non crede, e ciò presuppone che l'uomo trovi "già prima della fede una pre-comprensione della rivelazione. Ad esempio, Bultmann dice: "il discorso umano parla anche del peccato e, quando la teologia parla del peccato, essa adotta una parola tradizionale." Ovvero il peccato è conosciuto anche da prima che esista una teologia, ed in particolare, una teologia protestante.
Secondo Bultmann, la pre-comprensione della rivelazione scaturisce dal fenomeno umano dell'inclinazione al peccato. L'uomo può comprendere solo se in generale è consapevole della problematicità dell'esistenza umana. Infatti, "la rivelazione non può problematizzare se non ciò che si trova già problematizzato. Essa attualizza la problematicità che [...] è vivente in essa come l'angoscia dell'esistenza.
Tuttavia, dall'esame di ciò si può solo concludere che l'esistenza pre-cristiana produce un sapere negativo di Dio. Quindi essa può condurre ad un'antropologia filosofica od un'ontologia fondamentale nel senso heideggeriano, ma non ad una autentica teologia filosofica, perchè il vero Dio rimane irraggiungibile alla filosofia ed i soli mezzi umani.

Anche il fenomeno della religione costituisce per Bultmann un elemento innegabile della realtà umana.
Anche al di fuori del cristianesimo si parla di Dio ed a Dio e subito coglie che quando gli uomini parlano di Dio, introducono caratteri quali l'Onnipotenza, la Santità, latrascendenza, l'eternità. Ma ciò che viene creduto Dio, è realmente Dio?
Secondo Bultmann, il teologo naturale (e filosofico) arriva a conoscere il problema di Dio, non il vero Dio. "... il sapere che è contenuto in questo problema, non è in fondo che un sapere dell'uomo su se stesso, dei suoi limiti e del suo nulla".
L''onnipotenza di Dio non è che un derivato dall'impotenza dell'uomo. La santità è il sapere che ciò "Dio esige" non è altro che "dover essere". La stessa trascendenza non è che un prodotto della consapevolezza del carattere limitato del proprio mondo e di sé.
In sostanza: i tentativi di giungere a Dio in modo diverso da quello della fede sono illusorie, e contro la rivelazione si infrange l'interrogare umano nella sua radicalità. La fede nel vero Dio, secondo Bultmann, deve essere accettata, non dimostrata.

Un terzo terreno d'indagine, per Bultmann, potrebbe definirsi a partire dal fatto che teologia cristiana e filosofia si incontrano nella considerazione dell'esserci dell'uomo.
L'ontologia fondamentale di Heidegger è l'occasione di questo incontro.
"L'ontologia filosofica come analitica esistenziale rende acuto il problema della teologia naturale per il fatto che essa fa sull'esistente, sulla sua storicità, sull'istante, sulla comprensione, delle affermazioni analoghe a quelle della teologia, che caratterizzano la fede attraverso tali concetti. Più ancora, non si trova che la teologia assume l'analisi filosofica dell'esistente, che essa la 'incorpora' e la 'corona' con espressioni specificamente teologiche, di modo che la teologia fungerebbe ancora da teologia naturale nell'antico significato di fondamento?" A tal proposito, Bultmann fa l'esempio seguente: il concetto cristiano di futuro (prossima venuta di Cristo) è preformato sul concetto filosofico (heideggeriano) di futuro (estasi della temporalità), nella quale si ha l'avvenire dell'esserci umano a sé stesso, nel mantenimento delle sue possibilità.
Anche nel concetto di giustificazione Bultmann riscontra un'analogia con concetti filosofici. La giustificazione contiene l'idea di "esclusiva efficacia di Dio", e questo rende chiaro "che questa idea di Dio, in quanto idea, non è legata alla rivelazione" ma è possibile per il pensiero umano.
Tale possibiltà è evidente anche per il correlato concetto di peccato, che non è certo ignoto alla filosofia.
Il riconoscimento che nella tradizione filosofica appaiano preformate alcune delle affermazioni della teologia, sembra tuttavia disturbare Bultmann, che subito riafferma la separazione tra teologia e filosofia: "il tema della filosofia è l'esistente che non crede, quello della teologia l'esistente che crede."
Il non-credere "non è in alcun modo un comportamento occasionale". Infatti, esso "è la disposizione fondamentale dell'esistente umano in generale..." Secondo Bultmann, il filosofo vede molto bene ciò che la teologia chiama il non-credere, ma esso, lungi dal risultare un dato negativo, costituisce la libertà originaria nella quale l'esistente si costituisce. Inoltre, il filosofo (che sempre più prende i contorni del volto di Heidegger) conosce anche la fede, ma essa è considerata l'opposto della libertà; la fede non decide per la libertà, ma per l'ubbidienza.

Tra i libri di Rudolf Bultmann disponibili in edizione italiana:
Storia ed escatologia - Bompiani 1962
Il cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche - Garzanti 1964
Nuovo testamento. Il manifesto della demitizzazione - Queriniana 1970
Nuovo testamento e mitologia - Queriniana 1970
Credere e comprendere - Queriniana 1977
Teologia del nuovo testamento - Queriniana 1985
moses - 5 marzo 2005