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Bobbio, Dio, la ragione e la religione
di Guido Marenco
Il breve intervento di Norberto Bobbio sul numero 2 di "Micromega" 2000 (1) non mi aveva particolarmente colpito. Appariva come il primo di una serie di saggi dedicati al problema di Dio ed al rapporto tra filosofia e religione, tra i quali quelli del cardinale Ratzinger, Cacciari, Flores d'Arcais, Kolakowski, Vattimo, Galimberti, Givone, Bianchi, Bruno ed altri, ma non mi sembrò particolarmente pregnante.
Avrebbe potuto scriverlo un qualsiasi uomo di buon senso del nostro tempo che avesse abbandonato la fede nella prima metà del secolo trascorso a favore di una visione razionale e scientifica, per ritrovarsi alla fine del tragitto a tracciare una sorta di bilancio. Di mezzo orrori come Auschwitz, Hiroshima, la guerra del Vietnam e guerre contro il comunismo spinte ai livelli di Pinochet, e guerre in nome del comunismo, cioè stragi di innocenti, come quelle fatte da Pol Pot.

Il rileggerlo a solo quattro anni di distanza non migliora sensibilmente il giudizio. Mi consente solo di capire un po' meglio che esistono atei pieni di livore e pregiudizi nei confronti di tutti i fenomeni religiosi, ed atei più aperti e curiosi, spesso intimamente coinvolti nel problema di Dio ed insieme recalcitranti a prendere una posizione pubblica nutrita di tutti i loro dubbi e le loro necessità. Posizioni che farebbero "bene" sia alla ragione che alla fede.
Beh... certamente la posizione espressa da Bobbio si iscriveva a questo secondo orientamento, che in un certo senso è anche il mio, sebbene non mi senta particolarmente "ateo". Molto probabilmente, una volta compilate tutte le voci di un questionario ben fatto, emergerebbe che sono piuttosto un a-gnostico o, ancor meglio, un antignostico, cioè uno che sa, non solo di aver capito ben poco, ma di aver capito ancor meno di niente e che diffida in particolare di quelli che presumono di aver capito tutto.
Tuttavia nel mio antignosticismo, forse a differenza di Bobbio, arrivo facilmente ad augurarmi che Dio esista, e che esista proprio come affermano alcune pagine della Bibbia (non tutte, per carità, perchè allora Dio sarebbe un infame, altro che Dio!).

In sostanza, su questo piano Bobbio mi ha deluso, perché le obiezioni a Dio appartenevano ad un catalogo piuttosto vecchio, e persino il mio era migliore già nel mezzo dell'anno 2000.
Ma poiché anche tale modesto contributo fa parte del complesso lascito che tutti ereditiamo, è buona cosa raccontarlo.

"Uomo di ragione e non di fede" si dichiara all'inizio, ma "io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all'uomo di ragione che all'uomo di fede. Con la differenza che l'uomo di fede riempie questo mistero con rivelazioni e verità che vengono dall'alto, e di cui non riesco a convincermi."
Bobbio definisce il senso del mistero come senso di religiosità, uno spazio riservato all'indagine razionale, stretto ed angusto.
E questa strada si ferma dopo pochi passi. "Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere. Qualsiasi scienziato ti dirà che più sa e più scopre di non sapere. Credevano di sapere di più gli antichi, che non sapevano niente...Cosa sappiamo del cosmo? Come e perchè il passaggio dal nulla all'essere?"

"... non posso dare una risposta, benchè appartenga ad un'umanità che ha realizzato progressi enormi - mi sento un piccolo granello di sabbia in questo universo. E negare che la domanda abbia senso, come potrebbe fare una certa filosofia analitica, mi pare un gioco di parole."

"Ma quando sento di essere arrivato alla fine della vita senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. ... La accetto e non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere."

Le risposte consolatorie della religione non lo toccano. Alla sua veneranda età, dice Bobbio, il suo unico desiderio ed il suo unico bisogno "è quello di morire in santa pace... Non voglio risvegliarmi."

Sazio d'anni e di vita, come un patriarca biblico, non aspira ad altro che a coricarsi con i padri. E' una posizione pre-religiosa e pre-metafisica, tutto sommato, che non ammette non già la resurrezione del vecchio io, ma la rinascita, dall'inizio in una esistenza tutta nuova, forte del vigore e dei desideri dell'inizio. Non ne coglie la dimensione della possibilità. E certo non la desidera. Il suo vecchio "io" gli impedisce forse di scorgere in sé stesso il suo vero "io".
Bobbio denuncia di non credere nei miracoli, da razionalista.
E di non credere ai miti, tra i primi quello del peccato originale.
Condivide quello che ha scritto il suo amico cattolico Luigi Lombardi Vallauri (cacciato dalla Cattolica per queste sue eresie). Inaccettabile che una colpa personale, quella di Eva e di Adamo, sia trasmessa da una generazione all'altra. "La colpa collettiva è addirittura una concezione tribale. Credere all'Antico Testamento è difficile. Credere al Dio di Abramo che si rivela chiedendo un sacrificio così crudele. E qui mi fermo. Ma resta il mistero dell'universo."

Arrendersi di fronte al mistero impenetrabile. Accettare la morte non come trapasso, ma come morte. Epperò non cessare d'interrogarsi se la Rivelazione religiosa non convince. Non è che io sia andato più avanti della religione - dice Bobbio - anche le mie riflessioni sono ferme da tempo davanti al mistero.

"All'enciclica Fides Et Ratio rimprovero proprio questo, di fare una polemica nei confronti delle filosofie d'oggi per poter tornare alla filosofia di san Tommaso, ma quello che sconvolge il mondo, e di cui il papa dovrebbe rendersi conto, quello che cambia il mondo, è proprio il progresso scientifico. In questo sono d'accordo con Umberto Galimberti. E' il progresso tecnico-scientifico che ha travolto e travolge le credenze tradizionali."
Tra queste credenze, per Bobbio, vi è la più folle, quella della nascita miracolosa del Cristo operata dallo Spirito Santo. Alla lettera, e senza alcuna apertura alla metafora per cui un uomo che sia un uomo e non un burattino senza fili, non è mai figlio di suo padre, ma del meglio della cultura, della scienza e della morale del suo tempo.
Proprio Bobbio, che in fondo non era figlio di suo padre (medico, cattolico e soprattutto fascista) sembra non cogliere questo lato inquietante della narrazione, la quale allude ad una verità più profonda.
Ed attenzione: non voglio dire che lo Spirito Santo sia lo spirito del tempo. Non voglio cioè dire una sciocchezza hegelota del tipo Gesù figlio di una qualche figura di coscienza infelice dello spirito mondano. Voglio solo evidenziare che se esiste lo Spirito Santo, esso, al contrario, è proprio il polo opposto a tante figure dello spirito storicizzato e mondano. E' lo spirito eclettico che separa il giusto dall'ingiusto, il vero dal falso, la pace dell'anima e del corpo dalla guerra e dalla inimicizia preconcetta. E' lo spirito che insegna a parlare tutte le lingue, sia per dire che per ascoltare (cosa che i nostri teologi non hanno mai detto con sufficiente chiarezza: lo Spirito Santo, se è, è anche ascolto e lettura, non solo discorso e scrittura.)

Sullo stesso insegnamento cristico Bobbio nutre uno dei tanti dubbi più comuni. Come si fa a dire "lasciate che i morti seppelliscano i morti" ? "Non mi convince questa indifferenza, quasi disprezzo, per una pratica che è invece così umana, pietosa".

Ma il vero scoglio non è ancora arrivato. Eccoci infine al problema del male. Cioè ad Epicuro, alla vecchia obiezione del perchè SE DIO E' virgola PERMETTE IL MALE?
Cita Ceronetti. La sua risposta: viviamo in una terra inospitale.
Il passaggio di Bobbio è notevole, e vale la lunga citazione:«Alluvioni spaventose che spazzano via migliaia e migliaia di persone... terremoti... Proprio per un terremoto, quello di Lisbona, è stata da Voltaire riformulata la domanda del perché del male (visto che Dio dovrebbe essere sia onnipotente che infinitamente buono: il problerma della teodicea), a cui i teologi non sanno cosa rispondere. Io dico spesso che il papa può dire di no alla guerra - e Woytila lo ha fatto - ma non può dire di no al terremoto. Che senso avrebbe se il papa in un discorso dicesse "Mai più terremoti!"? Parrebbe uno stregone.» (1)

La malattia, il cancro, possiamo intenderli come punizione?
Eppure c'è ancora chi insiste su questo. Vetero-teologia da quattro soldi. Come può un neonato morire di fame dopo pochi giorni di vita e tra atroci sofferenze? Di quale colpa si è macchiato?
E' l'occasione per un fendente a Pareyson che nel suo Ontologia della libertà "parla continuamente della sofferenza, ma non parla mai della sofferenza gratuita. Sembra che per lui la sofferenza sia dovuta sempre a qualche forma di contrappasso. Ma poi deve arrivare alla soluzione stupefacente che ti lascia sempre senza fiato: il male c'è in Dio."
Indubbiamente Pareyson ha letto Schelling.

Ed arriviamo al dio misericordioso, al Dio del perdono contrapposto a quello vendicativo.
Qui Bobbio ha una improvvisa salita di stile, un volo d'aquila.
«Il papa continua a chiedere perdono. Ma il perdono non cancella niente. Il male che è stato compiuto rimane indelebile. Ricordo che quando eravamo piccolini e andavamo a confessarci la spiegazione era questa; ogni ogni peccato che commetti macchia la tua anima; se vai a confessarti, lavi queste macchie, la tua anima ritorna pulita. L'idea religiosa è che il pentimento lava. Ma c'è una differenza essenziale tra perdonare, che è un atto soggettivo, e chiedere perdono. Chiedere perdono significa chiedere che l'altro accetti a tua richiesta di perdono. E se non l'accetta? Credo non ci sia nessun ebreo che accetti questa richiesta dalla Chiesa di essere perdonata per un antigiudaismo che ha creato grandi mali. Non basta chiedere perdono per tutto quello che è stato detto contro gli ebrei per due millenni, in alto e in basso, perchè l'antigiudaismo è stato un sentimento popolare diffuso. Popolarissimo. Che si fondava su questa affermazione pronunciata dalla Chiesa come indiscutibile: gli ebrei sono quelli che hanno ucciso Nostro Signore.» (1)

Bel colpo, maestro. Però in tutte le teorie terrene e mondane della giustizia, sbocciate come fiori in questi duemila anni, ed anche prima, sono sempre emersi due elementi irrinunciabili del perdono e della riconciliazione tra offesi ed offendenti: l'esistenza materiale di una parte lesa ed il risarcimento dei danni subiti. A Dio spetterà il perdono ultimo. Ma a noi umani spetta una meno impegnativa valutazione dell'accaduto nell'ambito angusto e ristretto delle regole violate. E se una di queste "santissime regole" è non rendere falsa testimonionanza contro qualcuno, senza se e senza ma (nemmeno per salvare tuo figlio che è innocente ed ingiustamente accusato), chi la viola deve espiare e risarcire. Oppure andare in galera.
Non solo: perdonare delinquenti incalliti, solo apparentemente pentiti, può assumere aspetti di pericolosità sociale senza precedenti. Irresponsabilità pura di chi teorizza perdoni e condoni di questo stampo. Come quella che mostrava la Chiesa ai tempi di Lutero, scatenando il suo giusto sdegno, e che continua a risorgere al tempo dei Giubilei. Una piccola offerta alla Chiesa e stai lavato. Che importa se non hai risarcito la parte lesa? Ciò che importa è il tuo ritorno alla Chiesa una santa cattolica romana ed apostolica, perchè è solo così che torni a Dio.
Balle.
Era questo ciò che andava detto, ma che Bobbio non è più riuscito a dire, preccupato maggiormente in questo scritto di imputare a Dio le ingiustizie degli uomini che di imputare agli uomini reali, od anche alle forze della natura, le presunte ingiustizie di Dio.
"Non c'è risposta al problema del male e della cattiva distribuzione della giustizia. Stalin muore nel suo letto. Pinochet morirà nel proprio letto, e Anna Frank in un campo di sterminio... non c'è nessuna giustificazione, è semplicemente terribile. E non si può rispondere che il giudizio di Dio è semplicemente imperscrutabile. Non è una risposta, è un atto di fede."

Dell'unica semi-teodicea con fondamenti razionali, quella di Kant, nessuna traccia. Peccato. Un'occasione persa. Diceva Kant che se Dio fosse visibile nell'alto dei cieli, l'uomo non sarebbe libero di compiere scelte. Perché si sentirebbe sempre inquadrato dalle telecamere come in un moderno supermercato. Non puoi rubare perché ti beccano subito. Dove sta la libertà?
Questa libertà di fare il male non può che recare in sé la perfida necessità del subirlo. Ergo, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. E' buono e santo tutto ciò?
Se ci liberiamo un attimo dei nostri angusti problemi e guardiamo alla crocifissione di Gesù può essere che capiamo. Dio non è nemmeno stato in grado di evitare la sofferenza a sé stesso! Poi si è resucitato, ma quelli che credono all'epilogo della storia con tanto di lieto fine sono molti di meno di quelli che credono alla storia.
Del resto, basta guardare a cosa portano al collo i religiosi. Forse un Cristo trionfante e risorto? No, il crocifisso, una perpetuazione della sciagura.

Dunque?
Non saprei se sia buono e santo, so però che è così che si può ancora sperare di intendere Dio, e che questo è l'unico modo per accettarne l'esistenza, che assomiglia molto al negarne l'esistenza, visto che rispetto al conflitto tra oppressori ed oppressi sembra neutrale ed ipocrita come la Svizzera. Ed è questo che fa tremendamente incazzare.
Non è che il debole sia comunque senza risorse. Gli rimane la preghiera e la credenza dell'intervento miracoloso, quella salvezza del deus ex-machina che mise in luce Euripide con l'Ifigenia.
Dicono che a volte funzioni! Però ad Auschwitz niente da fare.

In queste condizioni tante volte desolanti e disperate, il debole non ha però altra ancora di salvezza che un subitaneo ritorno alla fiducia in Dio, al diretto rapporto con il massimo senza mediazione ecclesiale e sacerdotale. Prega e spera in Dio, con sue parole, magari bestemmiando, che altro potrebbe?
Desolante che un razionale non colga questa umanità comune, questo fondo cui tutti, volere e volare, e nonostante Auschwitz, attingiamo nei momenti cruciali e nel cuore del non so più a che santo votarmi.
Ergo Bobbio delude con questa riflessione tardiva, monca e zeppa di luoghi comuni, non già perchè denuncia insopportabili comportamenti e sciocchi dogmi di una Chiesa sempre più sconsacrata e priva di credibilità, ma perchè poi il suo interrogare non arriva a riconoscere le più ovvie banalità della tradizione filosofica in merito alla teodicea, la cosiddetta giustificazione di Dio. Con Voltaire contro Leibniz. Ma dopo venne Kant, mica l'ultimo dei perdaballe. E da allora il problema non è progredito di un millimetro. Anzi, di una religione nei soli limiti della ragione non se ne parla neanche più!

Dove Bobbio ritorna ad avere buoni argomenti, a mio avviso, è nella seconda parte dello scritto, intitolata non a caso Lettera ad alcuni amici su Fides et Ratio.
«I vostri commenti non mi hanno molto convinto. Mi pare abbiate ecceduto nell'analisi testuale con copiose citazioni e nella ricerca delle contraddizioni interne al testo. Oggi l'avversario più pericoloso contro il quale dovrebbe combattere la Chiesa non sono le filosofie dominanti, forti o deboli che siano, che si oppongono, come sempre si sono opposte, alla filosofia perenne. Che cosa contano oggi nel mondo queste filosofie se non per alimentare dispute tra dotti?
L'avversario più pericoloso delle verità tramandate dalla Chiesa attraverso la filosofia perenne, è il progresso tecnologico sempre più rapido, irresistibile e irreversibile.»
Ovviamente nella sua particolare declinazione di conseguenze negative. Il progresso scientifico non è accompagnato dal progresso morale. In alcuni casi comporta anzi un peggioramento della moralità. Si mettono in mano a degli irresponsabili giocattoli pericolosissimi. Il pianeta e la vita sono sempre più a rischio.
In questo quadro preoccupa il progredire di armamenti sempre più micidiali, facili da usare, mentre la globalizzazione selvaggia accentua le disuguaglianze e gli sfruttamenti.
Secondo Bobbio la Chiesa non vede a sufficienza su questo piano. Più preoccupata di riaffermare il carattere di serie B del pensiero scientifico rispetto al carattere di serie A della filosofia perenne e della teologia, essa arriva affannosamente con gli appuntamenti decisivi del terzo millennio.
«Un'intero paragrafo (§ 88) è dedicato alla critica dello scientismo, che si rifiuta di ammettere altre forme valide di conoscenza, e relega i valori a semplici prodotti dell'emotività. In tal modo la "scienza si prepara a dominare tutti gli aspetti della dell'esistenza umana attraverso il progresso tecnologico". Sono gli "innegabili" successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea che hanno contribuito a diffondere "la mentalità scientista, che sembra non avere più confini." Le domande di senso vengono relegate al dominio dell'irrazionale e dell'immaginario.» (1)

La Chiesa, suggerisce Bobbio, insieme ammira e teme il pensiero scientifico, ma continuando a pensarlo come settoriale, sembra non colga che il valore dirompente è la sua autonomia. Gli scienziati se ne fregano delle raccomandazioni etiche dei filosofi e dei magisteri ecclesiali. E le cose si son fatte ancora più complicate da quando la scienza indaga non solo più la fisica, ma persino la mente.
Ed è qui che Bobbio si domanda: "Attraverso questo sconvolgimento come si recuperano le "verità tradizionali?"
Bobbio, ovviamente non risponde e non può rispondere, giacché gli è estraneo tutto il territorio dell'ermeneutica e dell'indagine dell'irrazionale.
Ma argutamente cita, in chiusura, l'intervento di Giulio Giorello su Aut Aut . Lo ha colpito il fatto che Giorello abbia spostato il tradizionale contrapporsi tra fede e ragione sul piano del contrapporsi tra fallibili ed infallibili, "tra una verità che non è capace di salvare neanche sé stessa e una verità che promette la salvezza a chiunque vi aderisca, tra una ragione che misura la propria gratuità e finitezza senza aver bisogno di né di colpa né di grazia e una ragione che nella colpa e nella grazia trova il proprio sostegno e la propria giustificazione."
Con tanto di bruniana citazione finale che vi risparmio.
A reveder il sole io ci tengo tanto, però il punto è questo: se il papa ha riconosciuto che i suoi predecessori si sono sbagliati, ed ha chiesto scusa agli ebrei ed a Galileo, perchè non ha rimosso il dogma dell'infallibiltà? Non è questa suprema e sbellicante violazione del principio di non-contraddizione la più grossa delle contraddizioni?
D'accordo, abbiamo fallito, ma continuiamo ad essere infallibili.
Peccato che Bobbio non lo abbia detto. Lo dico io, ma non è la stessa cosa.


(1) Norberto Bobbio - Religione e religiosità - Micromega n 2, maggio-giugno 2000.


gm - 20 gennaio 2004
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