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Breve biografia di Norberto Bobbio (parte 1)
di Renzo Grassano
Non avevamo nel cassetto "coccodrilli" pronti anche se, personalmente, da tempo meditavo il progetto di una scheda su Norberto Bobbio, nel quadro di quel confronto destra-sinistra che avevamo programmato. Norberto Bobbio è stato certamente uno dei protagonisti del pensiero di sinistra, e tra l'altro uno dei pochi saggisti italiani sistematicamente tradotto in inglese, tedesco, francese e spagnolo, oltre che portoghese. Il che conferma la statura e l'importanza della sua figura.
Oggi, a pochi giorni dalla scomparsa, mi ritrovo un po' costretto dagli eventi a scrivere di getto un profilo biografico nel quale si mescolano cronologia, riflessioni, storie, molte delle quali da approfondire.
Il modo affrettato di mettere assieme i vari pezzi, non mi ha tuttavia impedito di curare anche il versante della profondità, perché non ho dovuto riflettere in modo particolare su cosa scrivere. Contrariamente a quanto spesso accade quando comincio un lavoro, sapevo esattamente cosa dire fin da prima e questo mi ha aiutato non poco.
Ecco perchè, quantomeno per la prima parte di questa breve biografia, siamo una volta tanto presenti e tempestivi in tempo reale.

Norberto Bobbio nacque a Torino il 18 ottobre 1909. Il padre Luigi Bobbio era medico, originario di Alessandria. La madre, Rosa Caviglia, proveniva da un comune dell'alessandrino, Rivalta Bormida.
Dal 1919 al 1927 frequentò il liceo-ginnasio Massimo D'Azeglio di Torino. Ebbe molti insegnanti dichiaratamente antifascisti, tra i quali Umberto Cosmo, collaboratore letterario del quotidiano La Stampa, e e Zino Zini, amico di Antonio Gramsci.
Nel 1927 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dove conobbe Gioele Solari e Luigi Einaudi. Si laureò nel 1931 con una tesi di Filosofia del diritto proprio con Solari, ed a quel punto volle anche la laurea in filosofia, che conseguì nel 1933. La tesi era dedicata alla Fenomenologia di Edmund Husserl.
Per buona parte del 1932 aveva soggiornato in Germania. Prima ad Heidelberg, dove aveva seguito le lezioni di Gustav Radbruch e dove aveva conosciuto Karl Jaspers, poi a Marburgo, ove ebbe per compagni Renato Treves e Ludovico Geymonat.

Durante il periodo di studi universitari frequentò amicizie decisamente pericolose perché antifasciste. Tra essi vi erano autentiche teste pensanti quali l'ebreo di origine russa Leone Ginzburg, il musicista-musicologo Massimo Mila, Vittorio Foa, Franco Antonicelli, Cesare Pavese.
Nel corso di una retata nel 1935 venne arrestato, ma se la cavò con un'ammonizione. Altri, come Foa, Mila e Augusto Monti, saranno condannati, mentre Antonicelli , Pavese e Carlo Levi furono inviati al confino.
L'8 luglio di quell'anno, Bobbio fu costretto ad una difficile prova: scegliere se diventare un intellettuale dissidente e quindi un pericoloso eversivo, con tutte le gravi conseguenze del caso, oppure chinare disciplinatamente il capo di fronte all'arroganza fascista. Decise di scrivere una lettera al duce nella quale si professava "fascista".
Nel 1992 la rivista Panorama pubblicò quella lettera, certamente non onorevole.
L'episodio provocò un vespaio di polemiche sulla presunta genuinità dell'antifascismo del Bobbio giovanile. Certo, secondo il manuale del perfetto antifascista, il comportamento non fu in quell'occasione di cristallina coerenza tra vita e pensiero. Ma aveva solo 26 anni e per carattere nutriva molti dubbi. Le sue azioni future, comunque, lo riscatteranno ampiamente. Certamente è vergognoso e sleale insistere su questo episodio a fini del tutto strumentali. Ma c'è anche da dire che la verità storica è importante e non può nemmeno risparmiare i "monumenti che sanno sorridere" (altra espressione del tutto infelice). Fortunatamente Bobbio non è un monumento, ma una voce stimolante anche da morto, come del resto lo sono non i monumenti, ma i veri grandi uomini con le loro debolezze ed anche le loro vicende più vergognose..
Tuttavia, è bene chiarire che l'episodio non venne rispolverato innocentemente. Rientrava in un preciso tentativo di screditare (sarebbe meglio dire: infangare) gli avversari più lucidi ed accesi del nascente berlusconismo. E Bobbio, già avversario di Craxi nell'ambito del partito socialista, era una delle voci più critiche e pericolose (insieme a quella di Indro Montanelli, davvero al di sopra di ogni sospetto di filocomunismo) per l'operazione politica che si andava realizzando.

Nel 1935 Bobbio ottenne l'incarico alla libera Università di Camerino. Nel 1938 vinse la cattedra di Filosofia del diritto a Siena.
Anche questa vicenda fu viziata da una macchia. Bobbio, infatti, si presentò al concorso per diventare professore di ruolo. Naturalmente, la faccenda dell'arresto saltò fuori. Dapprima venne escluso, e poi riammesso grazie all'interessamento di uno zio generale dell'esercito, che era intimo del gerarca De Bono, il quale scrisse una lettera a Mussolini.
Anche quest'episodio fu oggetto di speculazione postuma. Il fatto era stato reso noto dal quotidiano il Tempo nel 1986.

Nel 1940, Bobbio ottenne la docenza a Padova.
Fu in quegli anni che cominciò attivamente a militare nella Resistenza. Quando si trovava in Toscana aveva aderito al movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido Calogero.
In Veneto partecipò alla fondazione del Partito d'Azione.
Le posizioni di Capitini e Calogero sono molto importanti per definire i primi orientamenti politici di Bobbio. Entrambi si collocavano in una posizione intermedia tra quella di Piero Gobetti e quella di Carlo Rosselli, che nel periodo del confino, aveva scritto un libro, Socialismo liberale.
Rosselli era su un versante opposto a quello di Gobetti. Questi aveva infatti mostrato maggiori aperture e simpatie per la Russia sovietica, e prima di dar vita alla sua rivista Rivoluzione liberale nel 1922, aveva anche collaborato con l'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.
Gobetti, era un vero rivoluzionario capace di invitare gli operai a conquistare il potere, pur essendosi distinto, soprattutto, per aver tradotto Stuart Mill in italiano.
Rosselli, dal canto suo, era più un ammiratore dell'esperienza laburista inglese e fece molto per liberare il movimento socialista ed operaio dall'ipoteca marxista. Riteneva che socialismo e liberalismo potessero in qualche modo congiungersi.
Riuscì ad evadere ed a riparare in Francia, dove fondò Giustizia e Libertà insieme al fratello Nello. Nel 1937 sicari fascisti li assassinarono.

Capitini e Calogero, tuttavia, ne raccolsero appieno l'eredità. Il primo era più vicino a Gobetti, era cattolico ed animato da una forte tensione ed ispirazione religiosa.
Pensava ad un futuro ordine sociale "post-cristiano" e "post-comunista", capace di rendere compatibili la libertà legale e borghese con il massimo di socializzazione economica.
Guido Calogero era più vicino alle posizioni moderate di Carlo Rosselli e già condannava la Russia sovietica come stato totalitario ed illiberale.
Entrambe le posizioni confluirono nel Partito d'Azione, fondato nel 1942, con l'attiva partecipazione di Norberto Bobbio.
Nel partito era presente una terza componente che faceva capo ad Augusto Monti e Silvio Trentin. Potremmo definirla come una componente liberlcomunista in un senso molto più pronunciato e radicale rispetto alle stesse posizioni di Gobetti (ed, in parte, di Capitini).
Comunque sia, per dirla con Togliatti, "il partito d'Azione" era un partito "di generali senza esercito". A guerra conclusa, alla prima prova elettorale del 1946 non raggiunse il quorum. E scomparve come partito.
Ma durata il periodo della Repubblica di Salò, Bobbio fu coraggiosamente attivo politicamente. Venne anche arrestato nel dicembre del '43 dai repubblichini. nell'aprile si era sposato con Valeria Cova; dovette sopportare qualche mese di carcere.
Nei primi anni '40 fu prolifico anche sotto il profilo dell'impegno intellettuale. Nel '41 curò per l'editore Einaudi l'edizione critica della Città del sole di Tommaso Campanella. Nel '44 diventò padre di Luigi (che sarà uno degli esponenti più in vista del movimento di contestazione, insieme a Viale, nel '68) e pubblicò lo scritto La filosofia del decadentismo, scrivendo anche molti articoli per la stampa azionista.
Terminata la guerra, tornò a Padova per insegnare. Nel 1946 fu il primo ad occuparsi del lavoro di Karl Popper e del suo La società aperta ed i suoi nemici, con due saggi critici apparsi sulla rivista filosofica Belfagor.

Il suo impegno filosofico, politico e civile lo portò a prendere più volte posizione nel dibattito tra i costituenti.
Nadia Urbinati, che è docente di teoria politica alla Columbia University, ha riletto alcuni dei primi articoli scritti da Bobbio, trovando che «erano composti nello stile del di un illuminismo intellettuale che si rivolgeva più alla ragione più che alle passioni, e aborriva la polemica. Il suo stile era coerente al modo di operare e alla funzione delle istituzioni democratiche...[...]
L'oggetto della sua prima battaglia teoretica e politica fu la democratizzazione dello Stato, e più precisamente la l'istituzionalizzazione dell'autorità della legge. La sua principale preoccupazione era la struttura e l'ideologia dello stato etico ereditato dal fascismo. Di conseguenza riteneva che il compito prioritario dei costituenti fosse di creare un assetto giuridico tale che garantisse l'autonomia dello stato dalle ideologie, teologiche non meno che laiche, della Chiesa non meno che dei partiti. Considerava emblematico il fallimento della repubblica di Weimar, un esempio a contrario del fatto che che il successo della costituzione italiana sarebbe dipeso dalla sua capacità di democratizzare radicalmente la struttura dello stato. » (1)

Secondo la Urbinati, Bobbio si trovò a combattere due opposte visioni tipiche del periodo della "defascistizzazione" dello stato. Quella del mito dell'"apolicitismo" e quella del "politicantismo".
«La sua strategia illuminista si si sorreggeva sulla convinzione che fosse necessario escludere l'ideologia dalla sfera istituzionale e normativa. Ma, così, come pensava Bobbio, l'uso regolare delle procedure democratiche era quanto mai politico e civico perchè avrebbe consentito ai cittadini di comprendere che la libertà è un valore, non solo un esercizio meccanico, la condizione di un'etica della responsabilità.» (1)
La sconfitta del Fronte Popolare, la vittoria della DC, la stessa prematura scomparsa del Partito d'Azione, insieme all'avvento della guerra fredda (cioè il confronto pacifico ma armato tra occidente e blocco orientale egemonizzato dall'Unione Sovietica) imposero a Bobbio scelte politiche ed intellettuali sempre più stringenti.
Sebbene radicalmente anticomunista (ed anche antimarxista) scelse comunque di dialogare con i comunisti.
Ancora la Urbinati evidenzia:«La sua politica del dialogo era una risposta radicalmente democratica alla limitazione della dialettica politica imposta da "fuori" (cioè dalle condizioni internazionali, ndr) e voleva essere la dimostrazione del potenziale di apprendimento del processo democratico e, viceversa delle implicazioni antidemocratiche del dogmatismo... [...] L'avversione di Bobbio per il settarismo politico e lo spirito di guerra santa dava conto della sua inclinazione verso una visione realistica della politica e della sua convinzione che una politica secolarizzata comportava lo spostamento del conflitto dal piano della contrapposizione assoluta a quello del'antagonismo tra programmi politici. » (1)

Chiedersi se il nostro si sentisse in qualche modo un Caronte incaricato di traghettare comunisti e socialisti (non dimentichiamolo mai, anche loro!) dall'ortodossia marxista alla socialdemocrazia liberale potrebbe essere del tutto inutile, perchè certamente questo era il disegno di Bobbio.
Allo stato attuale delle cose, potremmo dire che vi riuscì, ma passando di sconfitta in sconfitta, ed attraverso molte umiliazioni.
Gli anni '50 sono segnati da un'intensa attività. Da evidenziare c'è anche un viaggio nella Cina di Mao Tse Dong, compiuto nel '55.
Ma è attorno alle questioni cruciale del dibattito politico-filosofico che dobbiamo centrare l'attenzione. Tra il '48 ed il '51 Einaudi pubblicò i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. E fu sopratutto Eugenio Garin, attivo a Firenze, a rileggerli ed a dare ad essi una prospettiva attuale, al punto da stabilire un rapporto di collaborazione privilegiata con Palmiro Togliatti, segretario del PCI.
Fu soprattutto scrivendo Cronache della filosofia italiana 1900-1943, edito da Laterza, che Garin si guadagnò ampia stima da Togliatti.
«Le Cronache rimangono un'opera fondamentale, dalla quale si deve sempre partire per studiare la filosofia italiana della prima metà del secolo.» (2)
E lo erano perchè evidenziavano in Gramsci l'alternativa a Croce e Gentile. «[...] Garin, pur conservando la sua autonomia di laico, affiancherà Togliatti (l'occasione più significativa sarà il primo convegno nazionale gramsciano all'inizio del 1958) nella strategia culturale volta a ricostruire storicamente, per un confronto politico-filosofico di rinnovamento, la tradizione De Sanctis-Spaventa-Labriola-Croce-Gentile-Gramsci.» (2)
Rispetto a ciò, ritroviamo Norberto Bobbio su posizioni più nettamente neoilluministe, difensore delle tradizioni politiche liberali, da Locke e Montesquieu e ed attento agli sviluppi di questa linea nell'Ottocento, sopratutto in relazione al pensiero di Cattaneo.
«Bobbio non crede molto ai sistemi filosofici, alla filosofia come specificità di lavoro sistematico; ritiene invece che si debba parlare di intellettuali ( e in questo si incontrava con Garin e con alcuni precisi spunti teorici di Gramsci), del loro impegno civile e culturale, del loro lavoro di costruzione più di tecniche della ragione che di sistemi della ragione. Non c'è, quindi, una filosofia di Bobbio, ma una serie di interventi da intelletuale civilmente e politicamente impegnato nelle questioni di fondo della vita culturale e sociale. [...]» (2)

Per avere idea dell'ampiezza e della profondità dell'impegno di Bobbio in quegli anni, bisognerà avere il tempo di leggere Bibliografia degli scritti 1934-1993, curata da Carlo Violi per l'editore Laterza (cosa che purtroppo non ho potuto fare finora). Ma particolare attenzione dovremo riservare a Studi sulla teoria generale del diritto, edito da Giappichelli, e Politica e cultura, uscito per Einaudi, nel 1955. Qui, in perfetta sintonia con la lezione kantiana, Bobbio distingueva con grande acume il ruolo dell'intellettuale da quello dell'avventuriero politico, asserendo che se per tagliare i nodi è sufficiente usare la spada, per scioglierli è necessaria la ragione.
Credendo fermamente nella ragione, tanto debole su un piano politico dominato dalle passioni e dall'applauso della "piazza" , non poteva dunque che insistere su quella linea azionista di dialogo ed insieme di provocazione sia nei confronti del comunisti che nei confronti dei socialisti (per un certo periodo più vicini a Mosca dello stesso PCI). Il suo chiodo fisso, che venne via via chiarendosi, era che il marxismo mancasse di una teoria generale dello stato e che quindi tutti i guasti provocati dai marxisti al potere fossero in gran parte dovuti a questo vuoto teorico.
La sua insistenza era del tutto giustificata dalla necessità di rilegittimare l'opposizione di sinistra per dare vita ad una democrazia compiuta. L'odio ideologico non avrebbe consentito quel confronto tra programmi indispensabile e quindi nessuna alternativa sarebbe potuta nascere democraticamente, ma solo in modo minacciosamente antagonistico. Il che alla lunga avrebbe gravemente danneggiato la democrazia e corrotto le classi dominanti. Che la previsione si sia realizzata fino all'esplodere di Mani Pulite, dovrebbe far riflettere.

Alcuni dei saggi di Bobbio comparvero sulla rivista "Nuovi Argomenti" fondata a Roma nel 1953 da Alberto Moravia e Alberto Carocci. E su questa rivista apparve nel 1954 l'articolo Democrazia e dittatura che provocherà reazioni di Della Volpe e Togliatti. «Bobbio ritiene che tra i marxisti operi una grossa confusione concettuale quando usano il concetto di dittatura senza tener conto delle necessarie distinzioni teoriche e delle loro conseguenze politiche. Affermano che ogni stato è una dittatura di una classe su un'altra e che quindi anche lo stato sovietico è una dittatura del proletariato sulle classi da questo sconfitte.Intanto, in quest'ultimo caso sarebbe preferibile, osserva Bobbio, usare l'espressione proposta da Gramsci, egemonia e non dittatura. Ma la confusione concettuale nasce da un'altra ragione: i marxisti non distinguono tra lo stato inteso come potere e lo stato inteso come strumentazione del potere. Per esempio: negli stati con la borghesia al potere si hanno strumentazioni del potere o di segno liberale (le democrazie anglosassoni) o di segno totalitario (gli stati fascisti e nazisti). Affermare che tutti gli stati borghesi sono dittature di una classe sull'altra, senza le ulteriori distinzioni, è concettualmente confuso e porta a disconoscere le differenze essenziali tra regimi liberaldemocratici e regimi dittatoriali nel senso comune del termine.» (2)

«Bobbio sosteneva che l'elemento distintivo della teoria della politica di Marx non risiedeva tanto nel problema della conquista del potere, ma in quello di come si preserva e si organizza il potere. Da un lato, la dittatura spiega non come si prende il potere (" non è necessario perchè si possa parlare di dittatura, che l'acquisto sia violento: si pensi al regime nazista") ma come lo si esercita. Dall'altro, Marx stesso non ha mai proposto una strategia specifica per la conquista del potere, e non ha mai individuato la rivoluzione come solo ed unico mezzo. Inoltre, i casi inglese e scandinavo avevano dimostrato in quegli anni che i partiti socialisti potevano conquistare il potere servendosi di mezzi democratici. Se ci si concentrava sull'esercizio del potere, invece, emergeva che mentre i partiti socialsti inglesi e scandinavi avevano preservato il potere servendosi di strumenti democratici, altrettanto non poteva dirsi dell'Unione Sovietica.
La vera questione, dunque, era se il socialismo marxista, e non il socialsmo in quanto tale, potesse creare uno stato democratico. Ovviamente quello sovietico era l'unico caso disponibile da studiare. L'URSS si proclamava "marxista", e dichiarava che la sua forma di governo era "democratica" perché respingeva la struttura liberaldemocratica, ed in particolare la separazione dei poteri dello stato e le procedure autonome di controllo sul potere legislativo. Così, dal momento che i comunisti italiani proclamavano di poter esercitare democraticamente il potere dello stato senza respingere il marxismo, Bobbio doveva sfidarli proprio sulla teoria dello stato di Marx. Pose dunque la seguente domanda: è possibile essere un democratico e rimanere marxista?» (1)
Sempre su Nuovi Argomenti arrivò la risposta di Galvano Della Volpe, e successivamente quella di Togliatti. Non è questa la sede per approfondirle, ma alcune cose vanno chiarite. Della Volpe risultò deludente sotto diversi profili. Ripropose infatti la tesi della superiorità della libertà comunista, egualitaria e materiale, rispetto a quella borghese, formale e civile., dunque di una libertà maior rispetto ad una minor.
Togliatti, dal canto suo, non mise in questione né la teoria della libertà di Bobbio, né la grande importanza delle garanzie giuridiche che le costituzioni e le leggi devono esprimere circa i diritti individuali. «Criticò invece due altri aspetti dell'articolo di Bobbio. In primo luogo, la visione implicita di una graduale evoluzione dal liberalismo alla democrazia, come se quest'ultima fosse semplicemente un completamento del primo, sicchè le rivoluzioni democratiche che vennero dopo la rivoluzione francese, apparivano come un'"aggiunta" di alcune libertà alle precedenti. Tuttavia, obiettava Togliatti con acume, se erano state necessarie rivoluzioni per istituzionalizzare nuovi sistemi politici e quindi nuovi diritti, era evidente che le nuove libertà non erano affatto un'aggiunta, ma rappresentvano una trasformazione radicale. Era chiaro che per la gran parte, le libertà si scontravano invece di armonizzarsi perchè favorivano od esprimevano interessi contrastanti: l'acquisizione e la realizzazione di una nuova serie di libertà può voler dire decurtare o limitare libertà precedentemente godute. E questo può dare il via a un conflitto radicale od ad un processo rivoluzionario.» (1)
Togliatti proseguiva asserendo che, sì, i regimi liberali, proteggevano i diritti del singolo, ma imponevano paritempo una limitazione. « Perchè la condizione dei lavoratori salariati dovrebbe essere considerato il gradino ultimo nel progresso della libertà'? Perchè[...]dovrebbero sentirsi soddisfatti della loro condizione presente e non dovrebbero cercare un ulteriore cambiamento? [...] Togliatti obiettava al formalismo di Bobbio riportando la questione di della libertà e dei diritti fondamentali della persona, e quindi anche della libertà di opinione, nell'ambito del processo storico: una determinata giuridificazione della libertà avrebbe dunque essere considerata un risultato, ma non l'ultimo.» (1)

Bobbio replicherà sia a Della Volpe che a Togliatti. Ma un primo risultato l'aveva ottenuto. Tra la risposta ortodossa dell'uno e quella più dinamica ed aperturista dell'altro si cominciavano ad intravvedere le premesse delle svolte più significative.
Purtroppo, la repressione sanguinosa dei moti ungheresi nel '56, anzichè stimolare un'ulteriore evoluzione delle idee di Togliatti, porterà a posizioni di chiusura inaccettabili.

(continua)


(1) Nadia Urbinati - Socrate e i comunisti, analisi di un rapporto - Reset n 74 - novembre-dicembre 2002
(2) Franco Restaino - Storia della filosofia di Nicola Abbagnano - volume X - Tea