Per Aristotele l'uomo non si può realizzare
pienamente in modo individuale.
Egli ha bisogno degli altri, cioè di una
società.
E' per questo che prima nasce la famiglia,
poi il gruppo, poi il paese ed infine la
città.
Lo stagirita sostiene che l'uomo è "animale
politico per sua natura.
Ma aggiunge che colui che è senza città (apolis)
per via del suo carattere e non per qualche
accidente è un meschino oppure è superiore all'uomo; egli è come colui che è stato ingiuriato
da Omero con le seguenti parole: senza famiglia,
senza legge (athemistos), senza focolare.
Chi è di tal natura - prosegue Aristotele
- è immediatamente desideroso di guerra,
essendo privo di legame alla maniera di un
pezzo isolato nel gioco della petteia. (non so cosa sia, suppongo qualcosa di simile
alla dama - ndcactus).
Pertanto l'uomo è un animale politico ben
altrimenti che ogni ape e ogni animale gregario.
(Politica I253a 2-8)
Sarebbe interessante seguire queste riflessioni
ma, in questa sede dobbiamo procedere un
po' all'ingrosso.
Rinviamo ogni approfondimento al file Politica
in Aristotele nella sezione filosofia.
Anche per Aristotele, come per Platone, il
problema dello stato, delle forme di governo,
del giusto governare ha un'importanza centrale,
anche se le analisi e i giudizi sono differenti.
Per la filosofia di Platone infatti è necessaria
una scienza politica.
Per Aristotele, per il quale già la definizione
di scienza, cioè di un sapere certissimo
ed incontrovertibile, è problematica, la
politica non può esser scienza, ma solo il
risultato di approssimazioni a forme di governo
migliori e più adatte alla situazione.
Siamo, come già nell'etica, ad una forma
di relativismo tutt'altro che dogmatica.
Una buona politica non afferma principi,
ma propone risposte fattibili a problemi
concreti.
Diversamente da Platone, Aristotele non considera
connaturato nell'uomo, e nemmeno necessaria,
la comunanza delle donne o quella dei figli
e dei beni.
Inoltre Aristotele non considera necessaria
una uguaglianza tra uomini e donne da un
lato, e uomini greci e non greci dall'altro.
Contrariamente a quanto si dice, e, purtroppo,
si insegna, questo non era un giudizio assoluto,
ma solo una presa d'atto della realtà esistente,
che muoveva da considerazioni sull'oikos,
cioè l'organizzazione economica della famiglia,
nella quale uomo, donna e schiavi, peraltro
trattati umanamente, avevano ruoli diversi.
I barbari erano inferiori ai Greci in quanto
incivili e privi di paideia (cultura ed educazione); la donna era subordinata all'uomo in quanto
più debole e quindi bisognosa di protezione;
la ragion d'essere dello schiavo era che
non manifestava autosufficienza ed era un
bene che qualche generoso signore lo proteggesse
e lo mantenesse.
Molti potrebbero trovare contraddittorio,
o quantomeno sorprendente, che lo spregiudicato
relativismo politico si accompagnasse a considerazioni
di arcaico conservatorismo sui problemi dei
diritti e dell'uguaglianza.
In realtà, se ben si guarda, non si tratta
affatto di contraddizioni, ma semplicemente
di realismo rispetto al quale nessuna possibilità
è negata a priori, ma nemmeno è forzata come
nelle tesi di Platone nella Repubblica.
Ciò detto possiamo esaminare in che modo
si collocasse, per Aristotele, la questione
di un sistema educativo controllato o diretto
dallo stato, o meglio, dal governo della
polis.
Il problema è trattato nei libri VII e VIII
di Politica.
Come si è già visto l'importanza dell'educazione
è bivalente: con essa l'uomo concorre alla
realizzazione della propria felicità da un
lato, e dall'altro tutta la società ne trova
giovamento. L'uomo acculturato è più aperto,
o dovrebbe esserlo anche sulle questioni
di principio accennate pocanzi.
Per questo non è di poca importanza che fin
da giovani si sia abituati in un modo oppure
in un altro; è, al contrario, supremamente
importante o, piuttosto, è tutto lì.
Su questa base Aristotele propone che lo
stato cominci ad occuparsi dell'educazione
dei bambini a sette anni.
Tocca ovviamente alla famiglia occuparsene
prima.
Di notevole interesse sono quei brani del
libro VIII Politica in cui se ne parla, in quanto viene dato
ampio rilievo sia al gioco, che alla musica,che all'ambiente umano che deve circondare
i bambini.
Successivamente al settimo anno Aristotele
individua due periodi ben distinti: dai sette
anni alla pubertà e poi dalla pubertà al
ventunesimo anno.
Di fatto egli crede che il periodo di formazione
si concluda non già, come si crede oggi,
al diciottesimo anno, ma al ventunesimo.
Ciò è sicuramente dovuto al fatto che secondo
Aristotele si è realmente maggiorenni non perché lo dice mammasantissima bensì,
perché si sono esperite prove quali il servizio
militare ( o sostitutivo), si è pronti ad
assumere responsabilità, e si è capito cosa
è il mondo e come gira.
Il ventunesimo anno, sotto questo profilo,
segna una reale maturazione psicofisica per
la maggioranza degli individui, anche se,
(direbbe lo stagirita) non possiamo escludere
che si diano casi eccezionali di maturazioni
precoci, o di mancate maturazioni.
Da notare inoltre che Aristotele si pronuncia
nettamente contro i matrimoni precoci per
diversi motivi, non ultimo quello che le
donne sottoposte a gravidanze premature soccombono
più facilmente e generano figli piccini e
di debole costituzione. La donna si potrebbe
sposare a 18 anni - scrive Aristotele - l'uomo
a 37 (dicesi trentasette), cioè al raggiungimento
di una completa maturità ed assoluta autonomia
economica.
Ma anche questo non è un dogma; è il risultato
di una riflessione sull'esperienza concreta.
Le pagine dedicate al periodo prepuberale
non sono molte, tuttavia sono incisive.
Purtroppo si ha l'impressione che manchi
qualcosa ed è facile supporre che alcuni
libri dedicati appositamente al problema
dell'educazione siano andati perduti.
Contrariamente a quanto si crede, ed a quanto
si trova scritto anche in alcuni libri di
testo per le Magistrali, non è affatto vero
che Aristotele dà l'impressione di una condanna
indiscriminata del lavoro manuale.
(Filosofia e pedagogia vol 1 - SEI - tre volumi)
Aristotele si pronuncia contro l'abbruttimento
del fisico e quindi contro il lavoro minorile,
contro pratiche assurde come l'esagerato
esercizio fisico dei Laconi (leggesi Spartani)
e quindi per una tutela dell'infanzia ai
fini di un equilibrato sviluppo.
Il problema di una divisione tra teoria e
pratica, tra vita teoretica e vita lavorativa
riguarda semmai la fase educativa successiva,
quella dalla pubertà in poi.
Lungi dal voler negare che in effetti si
dia questa divisione e che l'educazione del
libero cittadino sembri piuttosto carente
di manualità e consapevolezza del che significa
"faticà", ci pare corretto osservare
che l'istituto dell'efebia, conosciuto e considerato da Aristotele, costituiva di fatto un superamento di questa
carenza.
Nella pratica esisteva già, in sostanza,
un momento nel quale il giovane da 18 a 20
anni, dovevano giocoforza imparare a fare
le cose, a farsi da mangiare, a lavarsi gli
abiti, a cucirsi i bottoni, a pettinarsi,
a scavare trincee e terrapieni, a piantare
le tende, a levare il campo, a combattere,
a fare la corte alle belle e rubiconde campagnole
di Megara e dintorni (onde evitare dubbi
orientamenti sessuali
Il modello dell'efebia era sicuramente tratto
dal modello dell'agoghè spartana e certamente
era un po' meno duretto, ma non era roba
da educande e fighetti incapaci di manualità.
C'è poi da considerare che la spassionata
difesa dell'otium non era fatta ai fini dell'ozio in quanto
padre di tutti i vizi, ma in vista del fine
di avere tempo libero per studiare, conoscere,
riflettere.
Il modello didattico del Liceo, proprio in
quanto rivolto anche ai giovani di periodo
postpuberale, ma non solo, non spingeva affatto
a dividere vita e pensiero, ma semmai a usare
meglio il pensiero per studiare tutte le
manifestazioni della vita, a partire dalla
fisica, cioè la natura, per proseguire appunto
con le discipline di cui lo stesso stagirita
scrisse.
Il Liceo era a tutti gli effetti una sorta
di liceo scientifico + un corso universitario
in lettere e filosofia con particolare attenzione
alla Logica, alla Dialettica, all'Etica,
alla Poetica ed alla Retorica, probabilmente
anche alla Psicologia, alla Musica, alla
Educazione Fisica, alla Medicina, all'Astronomia,
alla Matematica ecc..
Non si dovrebbe dimenticare, inoltre, che
proprio presso il Liceo era sorto un Museo
nel quale erano raccolti reperti di vario
genere, in particolare di botanica e zoologia,
mineralogia, arti grafiche ecc...
A tutti gli effetti questa istituzione colmava
un vuoto, quello dell'istruzione superiore,
un vuoto che lo stato ateniese, nello specifico,
non aveva mai colmato e del quale, solo grazie
ad iniziative private quali quelle di Platone
ed Isocrate, si era poco alla volta preso
coscienza.
Di più: i moderni concetti di Università,
di scuola serale per gli adulti, di formazione
permanente, sono chiaramente dovuto al modello
del Liceo ed al personale impegno dello stagirita:
una vita per la cultura e l'emancipazione
dell'uomo dall'oscurantismo.