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Non spariamo sulla scienza
di Eric Amich

Nel 2000, una bambina californiana di nome Molly fu salvata grazie al trapianto di sangue cordonale del fratellino Adam appena nato.
Il problema è che Adam non era in programma. Fu progettato per salvare la sorellina. Nacque per fecondazione artificiale, e probabilmente non sarebbe mai stato concepito se Molly non avesse avuto "bisogno" di lui per guarire dall'anemia di Fanconi.
Come la mettiamo sul piano etico?
Una commissione, ci sono sempre commissioni e comitati in queste faccende spinose, decise che la cosa non era così stupida ed immorale. Si poteva fare. Ed ecco che venne al mondo il "salvatore".
Io non so se Adam verrà mai messo al corrente di questa strana storia, e nemmeno ho idea di come potrebbe prenderla sul piano psicologico. Probabilmente sarebbe meglio non venisse mai a saperlo, ma non è detto.
Ciò su cui occorre riflettere, però, è che da molti anni esistono società private commerciali che si rivolgono ai futuri genitori offrendo loro l'opportunità (a costi rilevanti e persino scandalosi) di conservare il sangue del cordone ombelicale nell'eventualità che possa diventare necessario in famiglia. Gli spots parlano di "assicurazione biologica".
In realtà, la questione va oltre il ristretto interesse dei familiari, perché il trapianto di sangue cordonale si presenta al momento più sicuro di quello del midollo osseo anche quando tra donatore e beneficiario non esistano stretti legami di parentela. Le cellule del midollo sono infatti più mature e quindi più esposte al rischio di un rigetto da parte dal sistema immunitario.
La questione della conservazione del sangue cordonale, dunque, comincia ad avere rilevanti aspetti di interesse sociale e sanitario. Come viene affrontata sul piano etico e politico?
L'Italia non è all'anno zero, fortunatamente. Se ne occupò anche l'attuale ministro Girolamo Sirchia, quand'era direttore del Centro trasfusionale del Policlinico di Milano. Al tempo rilasciò anche la seguente dichiarazione alla giornalista Adriana Giannini: "L'espansione delle cellule staminali è la naturale evoluzione dell'attività della Banca milanese. Ci occupiamo del problema da circa sei anni e, sulla base dei buoni risultati ottenuti in fase pre-clinica, abbiamo messo a punto, insieme con ricercatori di Pavia e Torino, un protocollo per la sperimentazione nell'uomo. Ora attendiamo la risposta del ministero della Sanità per avviare la ricerca." (1)
Sarebbe interessante verificare cosa il Sirchia-ministro ha poi risposto al Sirchia direttore, ma per non scadere nella satira politica, torniamo al nostro problema.

E' evidente che le nuove frontiere delle scienze, in particolare quelle aperte dalla biologia, dalla genetica e dalla medicina, propongono a tutti e non solo a uomini di scienza e filosofi, problemi di coscienza inediti ed anche tormentosi.
Uno di questi fu sollevato dal filosofo della scienza Evandro Agazzi, che tra l'altro è cattolico. Sosteneva Agazzi, di fronte alla scarsità di organi da trapiantare ed al correlativo crescere della domanda, che sarebbe stato opportuno costituire comitati etici per stabilire una scala di priorità più razionale rispetto alla pratica di seguire l'ordine dell'iscrizione nel registro dei richiedenti.
Agazzi, in sostanza, proponeva di arrivare a selezionare in base al profilo sociale e sessuale, operando distinzioni, per esempio, tra uno scienziato, una madre con figli molto giovani, uno scapolo sterile e poco rilevante sul piano socioculturale, un famoso cantante. Un secondo criterio avrebbe potuto essere quello dell'età: prima i giovani e poi gli anziani. Un terzo, quello della possibilità di riuscita.
Dilemmi non da poco, e credo francamente irrisolvibili, o risolvibili solo in parte, perché a me pare che, razionalmente, l'unico criterio con validità scientifica sia di competenza dei medici ed attenga la percentuale di riuscita, od un'eventuale urgenza simile alla situazione "ora, o potrebbe essere troppo tardi".
Per il resto, visto che siamo in una democrazia secondo la quale "la legge è uguale per tutti", non restava e non resta che il rispetto dell'ordine di iscrizione. Non vedo affatto la necessità di moltiplicare all'infinito comitati etici, come del resto non vedo come un qualsiasi individuo, sia pure di rilevante spessore intellettuale, dovrebbe accettare di impegolarsi in simili questioni, diventando di fatto padrone della vita e della morte di alcune persone.
Certo, prevedo di ricevere molte obiezioni a questi pensieri catalogabili come "meschini" e non pretendo di avere ragione in assoluto. Però, se io fossi nei panni di una persona bisognosa di un cuore nuovo, non vorrei mai trovarmi in competizione col Papa o con un famoso cantante, né tantomeno trovarmi nelle mani di un comitato etico. Oserei solo sperare di trovarmi nelle mani di un buon chirurgo, ben cosciente di dovere la mia vita alla morte di qualcun altro.

Un'altra questione urgente della bioetica è quella dell'eutanasia. Ormai, siamo tutti consapevoli che allungare la vita di un individuo senza migliorarne sostanzialmente le condizioni di esistenza, comporta in molti casi il semplice prolungamento delle sofferenze. Alle situazioni limite di persone tenute in vita solo per vegetare, si aggiungono casi di individui affetti da patologie come il morbo di Alzheimer. Ronald Dworkin portò provocatoriamente un esempio sul quale varrebbe la pena di meditare. Margo ha perso il senso dell'orientamento, non è più in grado di leggere e sebbene segua terapie di riabilitazione centrate sul disegno, da tempo non riesce a far altro che ripetere ossessivamente la stessa figura in modo sempre più rozzo.
Nonostante la malattia, secondo il medico che la segue, Margo è una delle persone più felici mai incontrate. Quando riesce a mangiare panini con burro di arachidi e marmellata è semplicemente stupenda. Purtroppo, Margo non ha più memoria, psicologicamente da tempo non è più un individuo con una precisa identità, una storia, un passato di affetti e dolori.
Se Margo, dice a questo punto Dworkin, avesse sottoscritto un testamento biologico, quando era ancora lucidamente in grado di intendere e volere, per ottenere la sospensione di ogni trattamento nel caso si fosse trovata nelle condizioni in cui si trova ora, noi che dovremmo fare? Eseguire le sue ultime volontà da persona lucida, espresse dalla vera Margo, oppure seguire le impersonali volontà di un potere senza volto che impone l'accanimento terapeutico in nome di non si sa bene di che?
Venisse il giorno in cui nemmeno più il burro di arachidi e la marmellata riuscirebbero a strapparle un sorriso, credo saremmo in bel dilemma.
Dworkin suggeriva di seguire il criterio del rispetto delle volontà di una persona integra ed autonoma, una persona in grado di decidere dal passato il suo presente e futuro. Attualmente, non sono in grado di condividere un'ipotesi del genere perché a mio avviso anche un individuo fortemente debilitato conserva, finché è in vita cosciente e semicosciente, una psicologia ed un istinto per la vita. Può ancora prendere decisioni minime, può ancora vedere il sole e la neve, un passerotto posarsi sul davanzale, piangere e ridere come un bambino nella culla. Ed è forse questo che vorrebbe ancora: tornare ad essere un bambino nella culla.
Tuttavia, al di là del caso specifico, è evidente che la questione sollevata da Dworkin pone interrogativi molto seri, che non si possono liquidare con la poesia del sole, della neve e del passerotto. Se quando ero "lucido" ho chiesto di poter morire in santa pace, perché la società, i medici e la santa inquisizione devono farmi soffrire a tutti i costi?

Ho fatto tre esempi molto diversi l'uno dall'altro per evidenziare che i problemi della bioetica non sono affatto, prevalentemente, problemi che derivano dalla potenza della scienza e dall'onnipotenza dello scienziato, semmai è vero il contrario. La scienza attuale ha pochissimo potere, anzi, è del tutto impotente rispetto ad eventuali prospettive "miracolose".
Questo dello scienziato onnipotente che aspira al governo del mondo ed al dominio sull'umanità è quindi una leggenda metropolitana. Faremmo bene a liquidarla. Cerchiamo piuttosto di valorizzare quanto di buono ed utile stanno combinando i ricercatori.
Ciò detto, credo sia chiaro che quando parliamo di bioetica, dobbiamo evitare di sparare nel mucchio, e soprattutto di sparare su ricercatori e scienziati. Dobbiamo procedere con molta cautela, in modo analitico, discutendo caso per caso, ed anche evitando di confondere procedure del tutto diverse quali la clonazione e la procreazione assistita.
L'idea che supposti principi eterni ed irrinunciabili entrino in conflitto con le pratiche scientifiche in generale mi pare un'assurdità indegna perfino per i "nipotini di Heidegger"; e su questo sito, tra l'altro, mi pare non ce ne siano nemmeno uno, visto che anche Renzo Grassano non si pone frontalmente contro la scienza in nome della parola di Dio, o in nome dell'essere, ma solo contro una possibile degenerazione della scienza in nome del buon senso.
Ma ciò non toglie che io mi senta in obbligo di dire che l'idea che l'umanità sia "in errore" da Cartesio in poi è ormai diventata una banalità insopportabile anche per i partigiani della scienza meglio disposti al dialogo. L'umanità è sempre in errore, anche quando cerca di correggersi. E' solo sbagliando che impariamo qualcosa di nuovo. Il meccanicismo fu una fase necessaria. Fortunatamente siamo riusciti a superarlo, ma certo non grazie alle dottrine vitalistiche che di scientifico non avevano alcunché, ma semmai, grazie al fatto che lo stesso meccanicismo non riusciva a spiegare fenomeni più complessi come il livello chimico e biochimico delle trasformazioni della materia.
Infine: credo che il bersaglio preferito dal nostro Renzo Grassano, il povero Wolpert, abbia ragione almeno su un punto: chi oserebbe rifiutare un farmaco ricavato da prodotti OGM, però efficace anche solo per curarsi un'emicrania?
E non venitemi a dire che la causa dell'emicrania è l'aver mangiato un prodotto OGM!

1) Le Scienze - numero 392 - aprile 2001

EA - 23 febbraio 2005