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Theodor Wiesengrund Adorno
Minima moralia

Abbiamo conosciuto Adorno come coautore della Dialettica dell'illuminismo, insieme a Max Horkheimer, quindi come critico della logica del dominio. Sergio Moravia (in Adorno e la teoria critica della società, 1974), aggiunge a tale aspetto centrale una nota caratteristica: rifiuto di tutto ciò che è sistematico; rigetto di una qualsiasi dialettica positiva, intendendo per essa la possibilità di afferrare e descrivere la "totalità del reale" sia pure in modo dinamico, sulla scia di Hegel (in cosa sono andato al di là di tutti i filosofi che mi hanno preceduto).
Tale impossibilità non è nel linguaggio, o nei limiti dell'intelletto, ma nella realtà stessa, "il cui ordine e la cui forma respingono e reprimono ogni pretesa della ragione". Le critiche alle pretese sistemiche della grande filosofia trovano espressione in quel capolavoro che fu Minima moralia (1951), con sottotitolo significativo: riflessioni sulla vita offesa.
I Minima moralia, nei quali Adorno riflette soprattutto sul concetto di individuo, vengono scritti fra il 1944 e il 1947, durante l’esilio americano dell'Institut für Sozialforschung e pubblicati in Germania nel 1951.
Adorno coglie qui l'alienazione fondamentale del mondo d'oggi, un mondo nel quale "la vita non vive" e"le potenze oggettive determinano l'esistenza individuale fin negli anditi più riposti."
Può sorprendere che ad una critica del soggetto, della soggettività borghese, come quella attuata nella Dialettica dell'illuminismo, segua ora un lamento sulla dissoluzione del soggetto, ma è evidente che Adorno trae una conseguenza ovvia, implicita ed esplicita nel lavoro con Horkheimer: il soggetto ha dissolto sé stesso affermandosi in modo esagerato e prepotente, violentando il mondo ed i suoi simili.
Minima moralia è un testo di aforismi, che prendono il la dall'esperienza "dell'intellettuale dell'emigrazione" (Adorno in fuga dalla Germania nazista) e si sviluppano cameristicamente in "considerazioni di più vasta portata sociale e antropologica, riguardanti la psicologia, l'estetica, la scienza nel loro rapporto con il soggetto."
Svelare ciò che le ideologie velano, portare alla luce il non detto ed il rimosso: ecco l'intento.

A volte le cose che cerchiamo di dire, le hanno già dette meglio altri. Minima moralia è difficilmente riassumibile e lo scrittore Günther Grass colse parzialmente il bersaglio in un'intervista per la Süddeutsche Zeitung, poi tradotta sul Corriere della Sera dell'11 aprile 2001: «Non mi ricordo più la data in cui lo lessi per la prima volta. So soltanto che quella famosa frase "scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro" mi ha impressionato.
Non si poteva non sentire o non vedere la parola di Adorno. Era una specie di segno premonitore e un criterio, ed era corretto in quanto uno scritto dopo Auschwitz doveva sempre includere la conoscenza degli eventi di Auschwitz e le loro conseguenze.
A quella frase famosa ho dato il significato di un segnale di pericolo, non di divieto. Questo ha influenzato molto il mio scrivere. Era qualche cosa che nessun altro aveva formulato così chiaramente - in modo esagerato, altrimenti non avrebbe avuto nessun effetto.
Ho incontrato Adorno una volta o due: era un uomo brillante, anche vanitoso in modo divertente.
L’ultima volta che lo vidi, è stato in occasione della Fiera del Libro nel 1968: allora fu fatto a pezzi dai suoi stessi seguaci, davanti a un pubblico studentesco urlante. Se ricordo bene, Habermas ed io siamo stati gli unici a opporci. È stato vergognoso vedere come questa persona anziana sia stata derisa, con odio.
Dopo quel vergognoso incidente a Francoforte, ho avuto un breve scambio epistolare con Adorno: è stato poco prima della sua morte.
Non ho capito come abbia potuto esporsi a tutto questo per poi ridursi infine al silenzio.
Qui inizia però la mia critica: la sua magnifica struttura teorica, che non voglio sottovalutare, nutriva un certo timore nei confronti della realtà. Certo, forse una parte delle accuse degli studenti deriva anche dal fatto che la teoria era in un certo modo lontana dalla realtà. Infatti un’alternativa democratica compariva chiaramente all’orizzonte dal 1969 e ciò si delineava già prima con il sorgere della nuova politica, che un Willy Brandt aveva già professato quando era ancora sindaco in carica di Berlino. Ma sussisteva in tutta la Scuola di Francoforte un certo timore di avvicinarsi troppo alla politica quotidiana.
Indipendentemente dal fatto che la famosa frase di Adorno sulla cultura dopo Auschwitz ha avuto un grande effetto su di me, posso dire, per quanto concerne il mio sviluppo personale, che dopo la mia formazione professionale, grafica, scultura, pittura, tutto il mio interesse era rivolto verso l’arte e che ho fatto tremende acrobazie per evitare quei temi che mi opprimevano. Fino al momento in cui non c’è stata più alcuna scusa e mi sono confrontato con questa tematica che fino a oggi non mi ha più abbandonato.
La sua critica all’illuminismo voleva dire, e vuol dire, non rompere la brocca, perché ha una crepa, ma tentare di rivedere l’illuminismo con i mezzi dell’illuminismo: così almeno io ho inteso Adorno.
Anche questo in completa contraddizione con gli sviluppi successivi, in cui si pensava di dover prendere definitivamente congedo dall’illuminismo.
Il che è un’idea virulenta ancora nei giorni nostri.»

Per dare un'idea dell'impianto e dell'aura che circonda l'opera, Moses ha selezionato tre aforismi, tra i pù significativi.:

Per Marcel Proust.
«Il figlio di genitori benestanti che, non conta se per talento o per debolezza, prende una professione, come si dice, intellettuale, quella dell’artista o dello studioso, si trova particolarmente a disagio tra coloro che portano il nome stomachevole di colleghi. Non solo gli si invidia la sua indipendenza, si diffida della serietà delle sue intenzioni, e si sospetta in lui un inviato segreto dei poteri costituiti. Questa diffidenza è bensì prova di risentimento, ma sarebbe, per lo più, giustificata. Ma le resistenze vere e proprie sono altrove. Anche l' attività spirituale è diventata, nel frattempo, “pratica”, un’azienda con rigida divisione del lavoro, branche e numerus clausus.
Chi è materialmente indipendente e la sceglie perché rifugge dall’ onta del guadagno, non sarà incline a riconoscere questo fatto. E per ciò sarà punito. Non è un professional: è considerato, nella gerarchia dei concorrenti, come un dilettante, indipendentemente dalla quantità delle sue conoscenze, e, se vuol fare carriera, deve battere, in ostinazione e chiusura mentale, anche lo specialista più bornè.
La sospensione della divisione del lavoro, a cui egli tende, e che la sua situazione economica gli consente, entro certi limiti, di realizzare, è particolarmente sospetta, in quanto tradisce la ripugnanza a sanzionare il tipo di lavoro imposto dalla società; e la competenza trionfante non tollera queste idiosincrasie.
La scompartimentazione dello spirito è un mezzo per liquidarlo dove non è esercitato ex officio, e un mezzo che funziona tanto più egregiamente in quanto colui che denuncia la divisione del lavoro (anche solo in quanto il suo lavoro gli procura piacere) scopre –dal punto di vista di quella – punti deboli che sono inseparabili dai momenti della sua superiorità. Così si provvede alla conservazione dell’ ordine: gli uni debbono collaborare perché altrimenti non potrebbero vivere, e quelli che potrebbero vivere altrimenti, vengono tenuti al bando perché non vogliono collaborare. E’ la vendetta della classe disertata dagli intellettuali indipendenti: le sue esigenze si impongono fatalmente proprio là dove il disertore cerca rifugio.» (Theodor W. Adorno - Minima Moralia / Meditazioni sulla vita offesa - Einaudi, 1994)

Nell'aforisma 72 dei Minima Moralia Adorno presenta una contrapposizione tra fiori di vita e fiori di morte. «Da quando non si possono più cogliere fiori per l'ornamento dell'amata, come sacrificio che viene riconciliato in quanto l'eccesso per lei sola si fa spontaneamente carico del torto fatto a tutte, il coglier fiori diventato qualcosa di cattivo. Esso non ha più altra funzione che di eternare il caduco e il perituro, immobilizzandolo e mettendolo a portata di mano. Nulla però è più funesto: il mazzolino senza profumo, il ricordo organizzato e predisposto, uccidono quel che resta proprio in quanto viene imbalsamato e conservato. Può vivere solo l'attimo fuggevole nel flusso mormorante dell'oblio se cade su di esso, all'improvviso, il raggio che lo fa lampeggiare; la pretesa di possedere l'istante lo ha già perduto. Il mazzo rigoglioso che il bambino trascina a casa malvolentieri per ordine della madre potrebbe stare in mostra - dietro lo specchio - come quello artificiale di sessant'anni fa, e quello che ne risulta, alla fine, è l'istantanea di viaggio scattata con avida ingordigia, dove appaiono, sparsi come rifiuti, nel paesaggio, quelli che a suo tempo non ne hanno visto nulla, e credono di arraffare come ricordo ciò che è svanito e si è inabissato senza traccia. Chi, però, ammaliato, manda fiori, certamente, senza volerlo, sceglierà quelli che gli appaiono mortali.» (Theodor W. Adorno - Minima Moralia / Meditazioni della vita offesa - Einaudi, 1994.)

Pierino Porcospino
«Hume?, cercando di difendere contro i suoi compatrioti, tutti rivolti alle cose del mondo, la contemplazione teoretica, la «pura filosofia» (che non ha mai avuto buona fama tra i gentlemen), si servì di questo argomento: "L'esattezza torna sempre di vantaggio alla bellezza, il retto pensiero alla delicatezza del sentire". L'argomento, pur essendo a sua volta pragmatico, contiene implicitamente e negativamente tutta la verità sullo spirito della prassi. Gli ordinamenti pratici della vita, che pretendono di giovare agli uomini, determinano, nell'economia del profitto, l'atrofia di tutto ciò che è umano, e via via che si estendono eliminano sempre più ogni delicatezza. Poiché la delicatezza tra gli uomini non è che la coscienza della possibilità di rapporti liberi da ogni scopo, che sfiora tuttora ? consolante ? gli uomini avvinti agli scopi: eredità di antichi privilegi che è la promessa di un mondo senza privilegi. La liquidazione del privilegio ad opera della ratio borghese finisce per liquidare anche questa promessa. Quando il tempo è denaro, sembra morale risparmiare tempo, soprattutto il proprio, e si legittima questa parsimonia col riguardo per l'altro. Non si fanno più cerimonie. Ogni velo che si frappone nel commercio tra gli uomini è avvertito come una perturbazione nel funzionamento della macchina in cui non solo sono oggettivamente incorporati, ma con cui s'identificano con orgoglio. Che, anziché levarsi il cappello, si salutino con l'allò di una familiare indifferenza, o che, invece di lettere, si scambino «inter office communications» senza indirizzo e senza firma, sono sintomi, scelti a caso, di una paralisi del contatto. Paradossalmente, l'estraniazione si manifesta negli uomini come caduta delle distanze. Poiché solo in quanto non sono sempre a ridosso gli uni agli altri nel ritmo di dare e di prendere, discussione ed esecuzione, direzione e funzione, resta sufficiente spazio tra di loro per il tessuto sottile che li collega gli uni agli altri e nella cui esteriorità soltanto si cristallizza l'interiorità. Certi reazionari, come i seguaci di Jung, hanno osservato questo fatto, «È un'abitudine caratteristica delle persone che non sono ancora completamente foggiate dalla civiltà, quella di non affrontare direttamente un argomento, e di non nominarlo troppo presto; il colloquio deve dirigersi quasi da sé, a spirali, verso il suo vero oggetto» (G.R. Heyer, in un saggio su «Eranos»). Oggi, invece, il collegamento più breve fra due persone è, come tra due punti, la retta. Come accade per le pareti delle case che sono gettate in un pezzo solo, il cemento tra gli uomini è sostituito dalla pressione che li tiene insieme. Tutto ciò che si scosta da questo modello, non è più compreso, ed appare, se non come specialità viennese e cortesia da maitre d'hotel, come confidenza infantile e illecito approccio. Nelle due o tre frasi sullo stato di salute della consorte che precedono il colloquio d'affari al lunch, anche l'antitesi all'ordinamento degli scopi è stata afferrata e incorporata in quest'ultimo. Il tabù contro i discorsi professionali e l'incapacità di discorrere insieme sono, in realtà, la stessa cosa. Poiché tutto è affari, il loro nome non può essere fatto, come non si può parlare della corda in casa dell'impiccato. Dietro la demolizione pseudodemocratica delle formalità, della cortesia vecchio stile e della conversazione ormai inutile e sospetta ? non del tutto a torto ? di non essere che pettegolezzo, dietro l'apparente chiarezza e trasparenza dei rapporti umani, che non tollera più nulla di indefinito, si annuncia la pura brutalità. La parola diretta, che senza dilungarsi, senza esitare, senza riflessione, ti dice in faccia come stanno le cose, ha già la forma e il tono del comando che, sotto il fascismo, i muti trasmettono ai muti. La semplicità e oggettività dei rapporti, che elimina ogni orpello ideologico tra gli uomini, è già diventata un'ideologia in funzione della prassi di trattare gli uomini come cose.» (Theodor W. Adorno - Minima Moralia / Meditazioni della vita offesa - Einaudi, 1994.)
moses - 30 ottobre 2004