home filosofia antica
Accademici dopo Platone: Speusippo, Senocrate, Eudosso, Filippo d'Opunte
di Daniele Lo Giudice

Alla morte di Platone , l'Accademia fu retta per otto anni da suo nipote Speusippo , che aveva mostrato di condividere con Aristotele una certa passione per le scienze naturali.
Ma c'era qualcosa che li teneva ostinatamente divisi ed in eterna polemica: la dottrina delle idee-numeri rigorosamente seguita da Speusippo. Molte delle pagine più vigorosamente polemiche della Metafisica di Aristotele avevano come bersaglio proprio le posizioni di Speusippo. Eppure, al di là di questo punto innegabilmente cruciale, il pensiero dei due filosofi non era così distante da giustificare tanta battaglia al calor bianco. Pare infatti che Speusippo si fosse significativamente allontanato dall'opposizione platonica tra conoscenza sensibile e conoscenza razionale. Quasi come un moderno Galileo, egli attribuiva fondata importanza alla conoscenza scientificada intendersi quale sensata esperienza. Non già una testarda opposizione a tutto ciò che testimoniano i sensi quale fonte d'inganno, ma una continua dialettica tra il momento della percezione sensibile e quello della riflessione razionale.
Tra Speusippo ed Aristotele c'era stata dunque una certa comunanza di vedute. L'Abbagnano suggerisce addirittura che la critica alla dottrina delle idee formulata da Platone sia da accreditarsi a Speusippo. Aristotele si sarebbe limitato a riprenderla e rinvigorirla con nuovi argomenti.
Il nostro Speusippo aveva dunque una personalità, non era il dottrinario epigono e l'ostinato custode del pensiero platonico. Di questo accettò solo l'ultima svolta, quella centrata sull'uno e la diade. Speusippo era convinto che il vero ordine divino rintracciabile oltre le contraddittorie apparenze dei fenomeni stesse nei numeri. La vera lingua della natura erano la matematica e la geometria. Il cosmo era ordinato da principi matematici e le cose stavano in rapporto tra di loro secondo misura e proporzione.
Anche rispetto alla dottrina del Bene quale principio del processo cosmico, Speusippo prese distanza dall'illustre zio. Tutti gli esseri viventi, secondo il nostro, manifestano in realtà una tendenza a passare da uno stato di imperfezione ad uno di perfezione. Il Bene è dunque il termine del processo di crescita e non l'inizio.
Se Platone aveva interpretato la vita come un'Odissea dell'anima anelante al ritorno a casa, in grado di conoscere solo ricordando la sapienza preesistente, Speusippo vide la questione secondo un'ottica del tutto differente. Il vero Bene è una meta che matura lentamente nella mentalità umana. Può darsi che essa venga dalla rammemorazione, ma effettualmente si da come rifiuto e negazione di tutto ciò che è malvagio sia agli occhi dei sensi che della ragione. Ancora la sensata esperienza diviene guida, l'unica vera certezza in un oceano di dubbi.
Pur non essendo propriamente un temperamento religioso (e quale sarebbe il vero filosofo con temperamento religioso?), Speusippo accettò di Platone anche il dogma del divino quale anima del mondo. Ma, a differenza dello zio, che doveva avere realmente provato il sentimento dell'amore che dall'alto scende verso il basso ed abbraccia idealmente i discepoli per il loro stesso bene e non già per qualche erotico desiderio egoistico (per fame d'amore), Speusippo era forse di natura troppo fredda per scaldarsi con tale visione intuitiva. Più pedestremente si rivolse allo studio del regno animale e vegetale con intenti classificatori, in un modo che potrebbe aver anticipato il moderno Linneo. Senza dubbio, finì con lo stimolare gli studi di Aristotele e del suo allievo Teofrasto. Purtroppo della sua opera in dieci Libri intitolata Similitudini non sono rimasto che alcuni frammenti, mentre Sui tipi dei generi e delle specie è andata completamente perduta.

Senocrate succedette a Speusippo nella conduzione dell'Accademia, si dice a seguito di un'elezione. Ma fu votato da una maggioranza risicata, dopo un probabile scontro politico-ideologico di cui possiamo immaginare i contorni, ma del quale non abbiamo versioni realmente attendibili. C'entrava anche la politica, ovviamente, e l'oggetto del contendere era l'atteggiamento degli ateniesi nei confronti dell'espansione macedone.
Come Speusippo era stato compagno di Aristotele, e lo aveva seguito anche nella permanenza ad Asso.Con lo stagirita, quindi, condivise molte vicessitudini, studi, ricerche ed infinite discussioni. I due si separarono quando Aristotele venne chiamato alla corte di Filippo per educare l'allora tredicenne Alessandro Magno.
Tornato ad Atene, Senocrate diresse l'istituzione per 25 anni, dal 339 al 314 a.C.. Fu stimato dagli ateniesi, a differenza di Aristotele filomacedone, per avere resistito alla tentazione di accettare un cospicuo finanziamento da parte di Alessandro Magno. La fonte della notizia è in Cicerone (Tusc. 5. 32).
«Senocrate, dopo che i legati gli avevano portato, da parte di Alessandro, cinquanta talenti, che costituivano una cospicua somma di denaro per quei tempi, soprattutto ad Atene, condusse i legati a cena nell'Accademia. » Ed accettò solo una piccola parte della donazione, più per probità che per orgoglio personale o nazionale. Non riteneva che l'Accademia necessitasse di tanto denaro e non credeva che i regali fossero realmente a fondo perduto. Come gli scienziati rispondono sempre, volere o volare, a chi finanzia la ricerca (basti pensare ai fisici che lavorarono alla bomba atomica americana sganciata su Hiroshima e Nagasaki). Senocrate, insomma, sospettava che dietro alla generosità di Alessandro si nascondesse qualche disegno politico di strumentalizzazione dell'Accademia.
Basta questo per accreditare l'immagine di uno Senocrate onestissimo e tutto d'un pezzo? Forse no, ma la saggezza del comportamento è fuori questione. Non rifiutando del tutto, non si fece nemici astiosi. Non accettando del tutto, evitò di avere grossi debiti di riconoscenza, salvando quindi l'autonomia dell'istituzione.

Senocrate aveva una teoria della conoscenza che in qualche modo rispecchiava quella platonica, distinguendo tra vero sapere, opinione e sensazione. Il primo aveva per oggetto l'intelligibilità della sostanza nella sua vera essenza. L'opinione era mescolanza di sapere e sensibilità inferiori, mentre la sensazione aveva tanto di verità quanto di falsità. Pertanto sia l'opinione che la sensazione non andavano respinte, ma attentamente vagliate.
Riteneva che la filosofia si potesse organizzare attorno a tre fondamentali campi di ricerca: dialettica, fisica ed etica.
Un'illuminante testimonianza di Cicerone restituisce profondità alla capacità speculativa di Senocrate, spesso trattato dagli storici della filosofia come un'onestuomo privo di grandi doti intellettuali: «Quin etiam Xenocraten ferunt, nobilem in primis philosophum, cum quaereretur ex eo quid adsequerentur eius discipuli, respondisse ut id sua sponte facerent quod cogerentur facere legibus.» (Cicerone, De republica 1. 2) Tradotto maccheronicamente:" asseriva Senocrate, filosofo assai nobile, che i suoi allievi imparavano a fare spontaneamente tutto ciò che gli altri facevano perchè costretti dalle leggi". In altre parole, aveva ben chiara la distinzione tra quello che si fa solo per timore di una punizione e quello che si fa per amore della verità e della giustizia.
L'Abbagnano, senza purtroppo citare la fonte, riporta in chiusura del paragrafo un detto riferito a Senocrate che sembra anticipare lo stesso insegnamento cristiano: « il semplice desiderio equivale già al compimento del'azione cattiva.» Il che, tradotto in un linguaggio più comprensibile a noi, significa: si possono provare desideri momentanei, ma guai a struggersi in essi, e non realizzarli solo per timore o per incapacità. Bisogna condannarli severamente se essi portano a danneggiare qualcuno.
Bisogna trovare la forza per realizzarli, se essi producono buone cose.
Nel campo etico, quindi, Senocrate rimase ben fedele a Platone ed a Socrate: il possesso della virtù e dei mezzi per conseguirla è l'unica via per essere felici.

Sul piano della ricerca fisica Senocrate accentuò il rapporto tra il platonismo, il pitagorismo ed altre dottrine non propriamente filosofiche, a mezza via tra le teorie mediche e pretesi insegnamenti religiosi.
Convinto come Speusippo della verità dei numeri come principi delle cose, asserì che il principio dell'unità è la divinità primordiale maschile, mentre quello della dualità risponde alla divinità primordiale femminile. Riprendendo alcuni concetti mitologici, non tutti di schietta origine greca, riconobbe l'esistenza dei demoni quali intermediari tra l'umano ed il divino.
Non sappiamo fino a che punto il nome della dea Ecate rispondesse al principio primordiale della dualità, o non fosse da considerarsi un demone, tuttavia il suo nome ricorreva in associazione alla Luna ed alla funzione di mediazione che l'astro notturno avrebbe tra il mondo sensibile ed il mondo intellegibile.
Questa teoria trovava certamente ripondenza negli antichi insegnamenti ippocratici sulla corrispondenza tra la Luna ed il diaframma, una linea fisica di separazione nella parte mediana del corpo tra il superiore e l'inferiore.
Sempre seguendo il principio delle idee-numeri, Senocrate definì l'anima come "un numero che si muove da sé". I numeri erano dunque l'essenza del mondo. Ma essi andavano distinti in numeri "ideali" e numeri reali, quelli con cui si fanno le operazioni. I numeri ideali, elementi primordiali di ogni cosa esistente erano solo dieci. E tra questi l'uno ed il due rivestivano un'importanza capitale in quanto espressione dei principi dell'indivisibilità e della divisibilità.
Dall'unione dell'uno con il due scaturiva il numero propriamente dettoe quindi tutta la sequenza dei numeri ideali.
Trasponendo questa dottrina alla sfera della conoscenza, Senocrate asseriva una sostanziale coincidenza tra l'unità, da intendersi come un punto geometrico, ed il logos. La conoscenza vera e propria coincideva con la linea, mentre l'opinione era derivata dalla somma di punto e linea nella figura della triade, dove gli estremi sono i punti che segnano il limite. Analagomente, la percezione sensibile era coincidente con la tetrade.

Successore di Senocrate alla direzione dell'Accademia fu Polemone di Atene, nato nel 314 e morto nel 270. Di lui si dice che ebbe una giovinezza dedita agli stravizi e che l'incontro con Senocrate fu provvidenziale per rimettere ordine e senso nella vita. suo successore fu Cratete. Ma nessuno di questi personaggi diede contributi sostanziali allo sviluppo della filosofia.
Tra le figure di filosofi e matematici interni all'Accademia meritano invece una certa attenzione altre figure. Crantore fu il primo commentatore di Platone, e scrisse un commento al Timeo. Inoltre inaugurò il genere letterario delle consolazioni con una composizione Sul dolore. Il dolore fisico, secondo Crantore, difendeva la salute, inviando segnali di protesta per la condotta del corpo; il dolore morale serviva a liberarsi dall'animalità.
Altra figura di un certo rilievo fu Eraclide Pontico, che si dice fosse il principale oppositore di Senocrate all'interno dell'Accademia e candidato alla successione di Speusippo. Nel 339 a.C. fondò una scuola filosofica ad Eraclea, nel Ponto, ma si discostò poi profondamente dalla linea platonica, accogliendo le vecchie dottrine atomistiche di Democrito e trasformandole in una nuova teoria della costituizione del mondo fisico centrata non già sugli atomi, ma su "corpuscoli non collegati".
A differenza di Democrito, egli continuò a credere in un'intelligenza divina autrice del mondo e quindi sostenne che essa aveva fatto uso dei corpuscoli per creare.
Scrisse poi un libro contro Democrito stesso, confutando la sua teoria della conoscenza sensibile. Ma non ci è chiaro cosa vi oppose.

Eudosso di Cnido fu soprattutto matematico insigne e guidò l'Accademia nei periodi di assenza di Platone, quando questi si trovava a Siracusa nei vani tentativi di indurre il tiranno Dionigi ad attuare metodi filosofici di governo della città. Visse presumibilmente dal 408 a.C. al 355.
Pur occupandosi prevalentemente di geometria e di astronomia, Eudosso coltivò anche fondate opinioni filosofiche ed Aristotele ne riporta alcune nella Metafisica.
Eudosso credeva, ad esempio, che le idee fossero causa delle cose e si mescolassero ad esse. La citazione di Aristotele rinvia ad una "bianchezza" che mescolandosi all'oggetto lo rende bianco.
Come matematico e come astronomo fu certemente più originale, intervenendo con acume ad autorità nel bel pieno della crisi degli incommensurabili e dello scandalo logico provocato dalla scoperta che l'ipotenusa di un triangolo rettangolo non può essere un numero intero se i cateti sono un numero intero. Noi oggi possiamo sorridere di questa "ingenuità" ma per gli antichi, specie se fermamente convinti della divina perfezione dei numeri, ciò costituiva davvero un problema.
La teoria delle proporzioni applicabile esclusivamente a grandezze omogenee ed il cosiddetto assioma di Archimede furono dunque opera di Eudosso.
Lo stesso Archimede riconobbe ad Eudosso il merito della prima dimostrazione soddisfacente del teorema secondo cui: il volume di un cono è uguale a 1/3 del volume di un cilindro avente la stessa base e la stessa altezza.
Ciò confermerebbe l'ipotesi che fu Eudosso il vero padre del metodo oggi noto come metodo di esaustione, che però non veniva chiamato così dai Greci, avvicinandosi molto anche alla prima formulazione del calcolo integrale.
Rispondendo ad una provocazione platonica mirante ad ottenere una rappresentazione geometrica dei movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti allora noti, Eudosso riuscì nell'impresa di dare per ciascuno dei sette corpi celesti una spiegazione piuttosto convincente (per quei tempi), avente per centro la terra. Per ciascun pianeta Eudosso presentò un sistema, poi definito delle sfere omeocentriche, che combinava la rotazione su stessi con un movimento di rotazione attorno ad un asse fisso rispetto alla superficie della sfera più larga immediatamente successiva. La rappresentazione eudossiana, che tra l'altro doveva tener anche conto dell'apparente moto retrogrado dei pianeti, diede vita a quella singolare figura geometrica oggi nota come lemniscata sferica, ma che allora fu definita ippopeda, o ferro di cavallo.
Charles Boyer scrive in proposito:« Questa curva, che assomiglia alla cifra 8 tracciata su una sfera, si ottiene dall'intersezione di una sfera con un cilindro tangente internamente alla sfera. Era questa una delle poche nuove curve scoperte dai Greci. A quel tempo vi erano solo due modi per definire una curva: 1) attraverso combinazioni di movimenti uniformi, e 2) come intersezioni di superfici geometriche conosciute. La ippopeda di Eudosso è un buon esempio di una curva derivabile da questi due modi. » (1)

Filippo di Opunte fu il probabile autore del dialogo Epinòmide, erroneamente attribuito a Platone. In esso vengono determinati quali tipi di studio conducono alla vera sapienza. Escluse con troppo rigore le arti che hanno di mira il solo successo mondano, quali l'arte di combattere, la medicina, la la musica, la navigazione, ciò che rimane, secondo il buon Filippo, è solo la scienza del numero. Senza questa conoscenza, l'uomo sarebbe immorale perchè dove non c'è sapienza matematica non ci può essere che disordine e confusione.
Il modello dell'ordine è il movimento dei corpi celesti. Mirandolo l'uomo impara la perfezione della virtù.
Siamo, come si vede, all'estremizzazione quasi fanatica di un concetto che ha tuttavia ha una sua eterna validità: chi non sa di matematica non può avere ordine in sé stesso, nella conduzione di sé e nella concezione del mondo. Si potrebbe solo obiettare: ma vivaddio, caro Filippo, chi si metterebbe oggi in mare senza saper navigare e tracciare rotte contemplando il cielo ed il moto degli astri? E chi andrebbe ad una guerra senza prima contare di quanti soldati dispone? Ordine matematico e ragione sono dunque propri di tutte le scienze e le arti e non solo di una, anche se è una la scienza basilare.


DLG - 28 dicembre 2003