"Tutto è buono come ci perviene dalle
mani del Creatore dell'universo ma
si corrompe
non appena capita nelle mani dell'uomo".
Questa frase, che si trova all'inizio
dell'Emile, esplica a grandi linee il pensiero di Rousseau,
pensatore spesso frainteso, anche perchè
facilmente fraintendibile in seguito
alle
numerose divulgazioni volgarizzanti
del suo
pensiero.
L'idea che la società sia la causa
fondamentale
della corruzione e della degenerazione
umana
è ovviamente vera nel senso che essa
sovrasta
comunque l'individuo, ed anche se non
lo
"educa", nel senso che non
gli
insegna, lo esclude dalla scuola delle
materie
e non gli inculca il sapere, comunque
lo
educa ai rapporti sociali consolidati,
alle
proprie credenze ed alle proprie abitudini.
dunque lo costringe ad agire "male",
potremmo dire scorrettamente, "falsamente",
in modo inautentico, non genuino; ed
è per
questo che è disumanizzante.
La società (francese) del tempo di
Rousseau
è "marcia", cioè intollerable,
per diversi motivi facilmente intuibili.
In tale contesto la rivoluzione sarà
inevitabile.
E Rousseau può a buon diritto considerarsi
come un ispiratore della rivoluzione,
anzi,
come il pensatore che esercitò la maggiore
influenza sull'ala più radicale dei
rivoluzionari,
cioè sui giacobini, come a significare
una
rottura tra rivoluzionari e gli illuministi,
che pure avevano preparato il terreno
seminando
germi di un profondo rinnovamento.
Rousseau stesso, come vedremo, fu infatti
tutt’altro che un illuminista, nonostante
le sue amicizie e le sue simpatie.
La vita.
Jean-Jacques nacque a Ginevra nel 1712,
in
un caldo mese di luglio.
Sua madre morì quando aveva pochi giorni
di vita.
Suo padre era un orologiaio e gli insegnò
a leggere, cosa molto importante per
quei
tempi.
Saper leggere faceva già la differenza.
Tuttavia, a 10 anni, fu uno zio a prendersi
cura di Jean-Jacques e questi lo mise
nelle
mani di un pastore.
A 12 anni, ultimati gli studi elementari,
fu collocato come apprendista presso
un notaio.
Ma non era il suo mestiere.
Così provò a fare l'incisore...ma evidentemente
neanche questo faceva per lui.
Nel 1728 abbandonò il pastore (suo
maestro),
lasciò la città e se ne andò per conto
suo.
Nei vent’anni successivi provò a sbarcare
il lunario in molti modi.
Ad un certo punto si convertì al cattolicesimo,
servì come lacchè, provò a studiare
per farsi
prete.
Fece pratica di musica, lavorò come
segretario.
Fu mantenuto per oltre un decennio,
dalla
sua amante, Madame de Warens, più anziana
di lui.
Per qualche tempo fece il precettore.
E compose anche suites musicali di
un certo
interesse.
Ma come precettore fallì.
Raggiunse i 37 anni senza aver mostrato
alcun
segno di genio intellettuale ed alcuna
vera
vocazione.
Nel 1749 la svolta.
Vinse una gara indetta dall'accademia
di
Digione per il miglior saggio sul tema: Ha il progresso delle Arti e delle Scienze
contribuito alla corruzione o alla
purificazione
dei costumi?
In seguito a questo successo Diderot
gli
richiese un articolo di politica e
Rousseau
compose il Discorso sull'economia politica che apparve per la prima volta sull'Encyclopèdie
nel 1755.
Nello stesso anno pubblicò il Discours sur l'origine et les fondaments
de l'inegalitè parmi les hommes.
Le sue opere più famose furono pubblicate
entrambe nel 1762.
Erano il Contrat social e l'Emile.
Il resto della vita di Rousseau passò
spesso
nell'ombra, invischiato in dispute
originate
dai suoi scritti e dal suo comportamento
certamente stravagante.
Viaggiò molto in Prussia e in Inghilterra,
dove fu ospite del filosofo David Hume
e
probabilmente ebbe degli scazzi non
da poco
con l'illustre scettico.
Solo nel 1770 ritornò in Francia per
completare
le sue Confessions.
Le istituzioni educative ai tempi di Rousseau.
Tutte le istituzioni formali, nella
Francia
del secolo XVIII, erano controllate
dalla
chiesa cattolica romana.
Scuole e collegi erano gestiti da monasteri,
conventi, o ordini insegnanti come
i Gesuiti
e le Orsoline.
Era anche nel costume della nobiltà
e delle
altre famiglie benestanti far educare
i loro
rampolli da precettori privati che
vivevano
nella dimora padronale.
Dominavano la scena educativa le scuole
secondarie
e i collegi dell'ordine insegnante
della
Società di Gesù, vero braccio "armato"
della Controriforma
Il piano di studio delle scuole gesuitiche
verteva essenzialmente sugli studi
della
classicità latina, alla quale si aggiungeva
un pò di greco.
Permeato di umanesimo e di ortodossia
religiosa,
il programma gesuitico era carente,
se non
gravemente manchevole, nei confronti
di tutti
gli studi scientifici del tempo.
Fisica, anatomia, astronomia, navigazione,
contabilità, matematica, scoperte geografiche
erano sistematicamente ignorate.
Eppure queste scuole godevano di buona
reputazione
perchè bene ordinate.
Ma era questa assoluta ignoranza del mondo
vero e del presente che indignava gli
illuministi.
Ma per i membri dell'aristocrazia era
probabilmente
più importante trovare un buon maestro
di
ballo, od un istruttore di cappa e
spada,
piuttosto che riformare i collegi.
L'educazione si risolveva in un'elaborata
istruzione che aveva, per giunta, anche
poco
a che fare con la grammatica e la retorica
classiche.
L'intricata rete di relazioni sociali
ed
il cerimoniale della buona società
della
Francia prerivoluzionaria richiedevano
che
ciascuno conoscesse il suo ruolo e
avesse
imparato la parte da recitare.
Scriveva Taine nel suo Ancien Règime:
...può dirsi sinceramente che il fulcro dell'educazione
in questo paese sia il maestro di ballo...perché
senza di lui, come avrebbe potuto la
gente
sbrigarsela facilmente, convenientemente
e graziosamente con le mille ed una
azione
della vita quotidiana; camminare, sedere,
alzarsi, offrire il braccio, usare
il ventaglio
ascoltare e sorridere, davanti a sguardi
coi ricchi di esperienza e davanti
ad un
pubblico così raffinato?
I primi scritti di Rousseau.
A ventisette anni, circa nel 1740,
quando
accettò di fare il precettore dei due
figli
di M.de Mably, egli constatò quanto
fosse
difficile educare e questa sua esperienza
fu un fallimento.
Alla fine di un periodo di due anni
egli
scrisse Il Progetto per l'educazione di M. de Saint-Marie, che in effetti era un piano per l'educazione
del figlio maggiore di M. de Mably.
E' curioso notare che a quei tempi
Rousseau
non era "Rousseau", cioè
quello
scritto risultava presentarsi niente
più
che una versione "francese"
dei
pensieri di Locke sull'educazione.
Solo nel 1749, al termine di un periodo
inquieto
ed errabondo arrivò a una svolta.
Infatti compose lo scritto per la gara
indetta
dall'Accademia di Digione.
Pare che il saggio in sè fosse immaturo
e
pieno di debolezze logiche e storiche.
Tuttavia fu in questo testo che Rousseau
prese posizione contro la civilizzazione
e la corruzione dell'umanità.
Violentemente ed ardentemente retorico,
lo
scritto ricevette il premio e il plauso
e
Rousseau fu acclamato dagli intellettuali
del tempo.
Da un giorno all'altro divenne famoso
ed,
insieme, scoprì la sua vocazione di
critico
sociale.
Qui conviene una citazione, (tratta
dalla
lettera a M. de Malesherbes,II), per avere anche un'idea dello stile di
Rousseau oltre che di quello che pensò
per
tutta la vita.
Andavo a visitare Diderot allora prigioniero
a Vincennes; avevo in tasca una copia
del
"Mercure de France" che durante
il cammino mi misi a sfogliare. Mi
cadono
gli occhi sul quesito dell'Accademia
di Digione
che ha dato origine al mio primo scritto.
Se mai qualcosa rassomigliò a un'ispirazione
improvvisa, questo fu il turbamento
che si
destò in me a quella lettura; ad un
tratto
mi sento la mente abbagliata da mille
luci;
mille idee vive vi si affollarono insieme
con una forza e una confusione che
mi gettarono
in uno sconvolgimento indescrivibile;
mi
sentii colto da una vertigine simile
all'ebbrezza...o
signore, se mai avessi potuto scrivere
un
quarto di ciò che ho visto e provato
sotto
quell'albero, con quale chiarezza avrei
messo
in luce tutte le contraddizioni del
sistema
sociale, con quale semplicità avrei
esposto
che l'uomo è naturalmente buono e che
solo
a causa di queste istituzioni gli uomini
diventano malvagi.
Il Discorso Sulle scienze e le arti è fondamentalmente l'espressione di una
posizione polemica dell'ottimismo illuminista
sul valore ed il significato del progresso.
Forse la parte più significativa di
questo
strillo un pochetto isterico (ma gli
isterici,
a volte, sono ispirati) è nella preghiera
che gli uomini futuri avrebbero innalzato
al creatore:
Dio onnipotente! Tu che tieni fra le Tue
mani le menti degli uomini, liberaci dalle
nefasti arti e scienze dei nostri padri;
restituiscici l'ignoranza, l'innocenza e
la povertà, che possono renderci felici e
preziosi alla Tua vista.
Fortuna che fu una preghiera inascoltata.
Ma il problema è che tanti commentatori
di
Rousseau hanno visto in questo saggio
"infelice"
e delirante il manifesto delle sue
idee.
Per fortuna Rousseau non fu solo questo,
anche se il taglio melodrammatico ed
esagerato
permane in molti suoi scritti.
Un altro premio posto in palio dall'Accademia
di Digione occasionò un secondo scritto
e
questa volta Rousseau fece davvero
del suo
meglio.
Il tema verteva sulla seguente domanda:
Qual è l'origine dell'ineguaglianza tra gli
uomini ed è essa autorizzata dalle
leggi
della natura?
Il tema di Rousseau non vinse il primo
premio,
ma a detta di molti studiosi, è tutt’altra
cosa rispetto al Discorso precedente.
Qui Rousseau affrontò molti dei problemi
che erano stati posti nel primo Discorso, ma ad un livello di analisi più profondo.
Identificò due tipi di differenza tra
gli
uomini: le differenze individuali,
che essi
recano in sè dalla nascita, e le differenze
sociali, che sono frutto delle degenerazioni
sociali.
Le differenze individuali sono dovute
all'abilità,
al temperamento, al fisico, in sostanza
al
corredo di doti fornite da madre natura.
Le differenze sociali, al contrario,
non
si manifestano prima che la società
abbia
raggiunto un certo sviluppo.
Questo tipo di ineguaglianza si fonda
su
distinzioni artificiose rese possibili
e
inevitabili dal modo in cui l'uomo
tende
a valorizzare le proprietà, la ricchezza,
l'onore, il prestigio e così via.
Ma il Discorso sull'origine dell'ineguaglianza non esaltava, come molti hanno sostenuto
(per ignoranza del testo?) uno stato
di natura
presociale, di cui si sarebbe dovuta
supporre
l'esistenza anteriormente allo stabilirsi
del primo governo tra gli uomini.
In realtà Rousseau, anche qui, si rivelò
carente in storia (ed anche in storia
sacra)
perchè l'origine della disuguaglianza
fu
trattata in una forma che non è mitica,
non
è storica, non è religiosa, ma semplicemente
metadiscorsiva, fantasiosa e quindi
metafisica.
Egli affermò infatti che l'introduzione
della
proprietà privata venne nel momento
in cui
il primo che circondò con un recinto un pezzo
di terra, pensò di dire questo è mio e trovò
delle persone abbastanza stupide da credervi,
fu il vero fondatore della società civile.
Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii,
quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato
al genere umano chi, strappando i piuoli
o colmando il fossato, avesse gridato ai
suoi simili: - Guardatevi dal dare ascolto
a questo impostore! Se dimenticate che i
frutti sono di tutti e la terra non è di
nessuno, siete perduti!
Rousseau non pensò neppure che cintare
un
orto, ad esempio, fu necessario per
tener
lontane non solo le volpi, ma anche
gli erbivori
in generale.
Non pensò che il frutto del "mio"
lavoro mi dà un diritto di prelazione
se
gli altri non lavorano ed aspettano
solo
che giri l'occhio per approfittarne.
Posso avere pietà degli altri, ma non
possono
mantenere dei fannulloni privi di buona
volontà.
In realtà la proprietà privata all'inizio
della storia andrebbe trattata come
una necessità
vitale oltre che un diritto.
La vera ingiustizia nasce con la costrizione,
col mettere in schiavitù altri esseri umani, costringendoli a lavorare,
quindi usando il loro tempo e la loro
energia,
in una parola: sfruttandoli.
Ma al di là di questa pur grandiosa
inesattezza
rimane che l'analisi e la denuncia
di Rousseau
era, per certi aspetti, anche severamente
giusta.
Di quella originaria corruzione per
Rousseau
erano espressione anche le istituzioni esistenti nel suo tempo in quanto assolutamente votate
a perpetuare la diseguaglianza.
Come si vede questo secondo scritto
di Rousseau
costituiva un messaggio politico di
radicale
sovversione nei confronti dell'ordine
esistente,
molto più estremo e rivoluzionario
rispetto
a quello degli illuministi come Montesquieu,
come Voltaire.
Non a caso il giacobinismo, cioè l'ala
estrema
della rivoluzione, si ispirò in gran
parte
proprio a Rousseau.
D'altra parte l'articolo Economia Politica, scritto su commissione di Diderot per l'Enciclopedia (quinto volume, 1755) impegnò Rousseau molto
più seriamente che nei suoi concorsi
a premio.
Conteneva vari paragrafi dedicati all'educazione
e difendeva apertamente la necessità
di un
sistema scolastico pubblico al fine
di educare
cittadini buoni e leali.
In quest'articolo Rousseau si rifece
largamente
a Platone ed insistette nel mettere
enfasi
sull'uomo educato, come uomo guidato a trovare il proprio benessere comune della
comunità.
Qui, non desti meraviglia, Rousseau
giunse
ad affermare come questo modello educativo
a Sparta ed in Persia "ebbe immenso successo...e produsse meraviglie".
Ecco che il nostro esagerò, come al
solito.
Ma questo articolo mostra con evidenza
come
le posizioni di Rousseau sull'educazione
non erano affatto stabili.
Probabilmente era ancora in fase di
tormentosa
ricerca e quindi onore ai prodi ricercatori
inquieti!
Il contratto sociale.
Nel Contratto sociale Rousseau riprende alcuni temi sviluppati
nel Discorso sull'origine della diseguaglianza affermando innanzi tutto che
l'uomo è nato libero e tuttavia è dappertutto
in catene.
Il suo rimedio è di ricostruire la
società
sulla base di un patto, detto appunto
Contratto sociale, il quale ristabilisca il più possibile
condizioni naturali di libertà e di
uguaglianza
tra gli uomini.
Di notevole interesse è l'affermazione
che
per creare una società occorre un patto
perchè
nessun uomo ha diritto di esercitare
una
qualsiasi autorità su di un altro.
Solo il consenso dell'altro può autorizzare un uomo ad esercitare
autorità.
Come si vede siamo ad una teorizzazione
della
democrazia e del potere nella democrazia
piuttosto radicale, anche se non lontani
dalla dottrina di Hobbes.
Ma per Hobbes era necessario un patto
di
soggezione, mentre per Rousseau è necessario
che il contratto sia di libera unione.
Ance Rousseau, in sostanza, accetta
il principio
della "sovranità" che sta
a fondamento
degli stati moderni.
Tuttavia esso viene legittimato dal
consenso
di tutti.
il contratto sociale si fonda sulla
premessa
per la quale ciascun individuo cede
i propri
diritti a tutti gli altri, e nessuno
venga
a trovarsi in una condizione di superiorità,
perchè nessuno conserva un diritto
particolare.
Ecco cosa scrisse in proposito:
l'alienazione totale di ciascun associato
e di tutti i suoi diritti nelle mani
della
comunità; infatti, dato che ognuno
si aliena
completamente, la condizione è uguale
per
tutti; ed essendo la condizione uguale
per
tutti, nessuno ha interesse di renderla
pesante
per gli altri.
Poichè la condizione è uguale per tutti,
secondo Jean-Jacques Rousseau, nessuno
avrebbe
interesse a renderla onerosa per gli
altri
in quanto ciò equivarrebbe a renderla
onerosa
anche per sè stesso.
Rousseau esclude che ci siano dei "furbi"
in circolazione e che la "furbizia"
sia una forma di idiozia prticolarmente
radicata
tra gli esseri umani.
E' questo limite di tale teoria: la
realtà
è molto diversa.
Se è vero che l'uomo nasce "buono",
dev'essere vero che nasce anche "furbo".
Come si intuisce facilmente, Rousseau
pensa
la società nuova come una comunità,
più che
come una società civile strutturata
in classi
deivanti dalle funzioni che ogni singolo
cittadino esercita.
Da questa forma di unione massimamente
integrata
si verrebbe a determinare quella che
Rousseau
definisce come volontà generale, che non è semplicemente la somma della
volontà di ognuno, ma una volontà unica
e
indivisibile, ovvero la volontà dell'intera
società considerata come un unico individuo.
Ovviamente tutti devono essere sottomessi
alla volontà generale,perchè, ciascuno,
obbedendovi,
è come se obbedisse a se stesso.
Il corpo sociale risultante da questo
patto
è il popolo, il solo titolare della sovranità.
Rousseau è molto convinto del fatto
che la
volontà generale sia in grado di indirizzare
al bene comune.
Non solo: egli stabilisce anche che
essa
è inalienabile ed indivisibile, dunque
che
non si devono avere più poteri.
Ciò è una critica a Montesquieu ed
alla teorizzazione
di un potere esecutivo, di un potere
legislativo
e di un potere giudiziario in qualche
misura
autonomi.
Lo stato è uno e tutto il potere spetta
al
popolo sovrano.
Qui Rousseau propugna anche forme di
democrazia
diretta.
E' l'assemblea di tutto il popolo a
fare
le leggi.
L'esecuzione di esse è demandata ad
un principe, termine che non designa una sola persona,
ma un'equipe di esecutori, e l'esercizio
di tale potere si chiamerà governo.
In questo senso il governo non sarebbe
per
nulla autonomo, quindi in grado di
svolgere
una propria iniziativa, ma solo il
mezzo
per l'esecuzione della volontà generale.
Rousseau è comunque contrario alla
formazione
di un parlamento, e quindi ad una monarchia
costitutzionale simile a quella inglese.
Considera come forma di governo ideale
la
repubblica, cioè la forma di governo
delle
polis greche, che era anche la forma
di governo
della natìa Ginevra.
L'Emile.
L'Emile è l'esemplificazione del tentativo
di Rousseau di spiegare come potrebbe
essere
possibile un simile sistema sociale
e politico
se, anzichè educare forzatamente i
giovani
secondo le convenzioni vigenti al suo
tempo,
si seguisse un metodo differente, ispirato
a principi di sviluppo psicofisico
dell'individuo
in termini più naturali.
Considerato che l'ipotesi di partenza
consiste
in un'affermazione perentoria, l'uomo è buono di natura, si comprende perchè Rousseau, tornando
alla natura verrebbero solo uomini
buoni
ed adatti al tipo di società che egli
propugna.
Per questo è necessario che l'educazione
e la pedagogia tradizionale non interferiscano
nella libera e spontanea crescita dei
fanciulli.
I fanciulli non devono avere maestri
e non
devono frequentare altra scuola che
quella
della libera esistenza.
Non devono essere forzati ad apprendere.
Bisogna che il fanciullo conduca un'esistenza
da fanciullo e non da adulto.
Bisogna lasciargli il tempo di crescere,
senza pretendere di accelerare la sua
maturazione
con innesti artificiosi e concimi chimici.
Lasciando il fanciullo libero di seguire
il proprio istinto, che Rousseau chiama
sentimento, egli sarà come vuole essere e non come
la società pretende che sia, cioè corrotto.
Più volte Rousseau affermò che l'Emile voleva essere più un'opera filosofica, volta
alla soluzione dei problemi della vita,
accettando
il presupposto della bontà naturale,
che
un trattato di pedagogia.
Rispondendo a F. Cramer aveva scritto
in
una lettera:
voi mi dite molto bene che è impossibile
fare un Emilio. Ma io non posso credere che
voi prendiate il libro che porta quel nome
come un vero trattato di educazione. E' un'opera
molto filosofica sul principio proposto dall'autore
in altri scritti che l'uomo è naturalmente
buono. Per conciliare tale principio con
quell'altra verità non meno certa che gli
uomini sono cattivi, bisognava mostrare l'origine
di tutti i vizi nella storia del cuore umano.
Ed è ciò che ho fatto in quel libro spesso
con esattezza e talvolta con sagacia. In
questo mare di passioni che ci sommergono,
prima di imboccare la via, bisognava incominciare
a trovarla.
Ciò non toglie che l'Emile abbia una reale contenuto pedagogico e che
diversi contemporanei l'abbiano colto.
Da una risposta all'abate Maydieu del
1770
veniamo a sapere che questi aveva deciso
di applicare alcune direttive di Rousseau.
se è vero che voi avete adottato il piano
che io ho tentato di delineare nell'Emile,
io ammiro il vostro coraggio; poichè voi
siete troppo intelligente per non capire
che un simile sistema va preso tutto o nulla
e che sarebbe cento volte meglio riprendere
l'andazzo delle educazioni ordinarie...anzichè
seguire a metà quella, così da ricavarne
un uomo mancato. Quello che io intendo per
"tutto" non significa seguire servilmente
le mie idee, al contrario, si tratta sovente
di correggerle; bensì di attaccarsi ai principi
e di trarne esattamente le conseguenze con
quelle modifiche che esige necessariamente
ogni applicazione particolare.
A parte questa sentimentale esagerazione
di Rousseau rispetto alla propria opera,
va detto che l'Emile è un testo ricco di
osservazioni argute, non solo relativamente
ai mali della società contemporanea, ma anche
ai mail perduranti in eterno nella specie
umana e nei suoi esemplari meno riusciti.
E' difficile stabilire quanto l'Emile sia
"coerente" con tutto il rimanente
pensiero di Rousseau, per esempio con
lo
scritto sulla situazione in Polonia
(dove
viene proposta un'educazione del tutto
diversa
per i giovani polacchi).
Tuttavia è altrettanto facile leggerlo
e
scorgere praticamente in ogni pagina
affermazioni
ed analisi di penetrante acutezza,
indubbiamente
vere.
Il tema centrale, come si è visto,
è come
impedire che la società interferisca
nello
sviluppo del bambino, distorcendolo
o costringendolo.
Rousseau offre un percorso alternativo:
lasciare
che al natura stessa faccia il suo
corso.
Ma attenzione, perchè spesso si è fatta
confusione:
non è la stessa cosa che affermare
una sorta
di lassez-faire.
Rousseau non ha mai realmente teorizzato
l'idea che sia giusto lasciar fare
ai bambini
quello che vogliono, cioè accondiscendere
ai loro capricci.
Anzi, è vero il contrario.
Emile deve avere perfetta libertà di
fare
ciò che vuole, ma questa libertà deve
essere
esercitata in un ambiente "fisico"
accuratamente ripulito da ogni elemento
che
possa influire negativamente o produrre
cattive
conseguenze.
La figura del maestro è sullo sfondo,
ma
non perde mai il controllo della situazione.
Anzi, è protagonista più di qualsiasi
altro
maestro, in quanto interviene attivamente
nel proporre "provocazioni"
e stimoli.
Scrive Rousseau:
lasciate sempre che egli sia padrone di sè
in apparenza, ma siatelo voi nella
sostanza.
La lezione particolare che il precettore
vuole dare ad Emilio è che lo stesso
impari
ad adeguarsi alle cose e non siano
le cose
ad adeguarsi a lui.
Quindi, quando Emilio rompe un vetro nella
sua camera da letto, il precettore
lo costringe
a dormire nelle correnti d'aria.
Solo in tal modo Emilio imparerà le
ovvie
e naturali conseguenze delle proprie
azioni.
Questo precetto costituisce esattamente
il
contrario dell'educazione "mammona"
che viziava i rampolli della nobiltà
insegnando
loro che potevano disporre di cose
e uomini
a loro piacimento.
Parte dell'educazione di Emilio consisteva
nel tenerlo lontano dai libri.
Odio i libri scriveva Rousseau Essi ci insegnano solo a parlare di cose
che non sappiamo.
Delle cose bisogna fare esperienza
direttamente
e naturalmente; i libri devono essere
lasciati
ad una fase ulteriore dello sviluppo
di Emilio.
Nei primi dodici anni di vita l'obbiettivo
primario è un corpo sano e saldo.
In secondo luogo viene la conoscenza
del
mondo fisico, acquisita per esperienza
diretta.
Ma è altresì importante che Emilio
impari
a conformarsi alle cose, cioè alla
realtà
e non alla volontà del maestro, sia
pure
il precettore di Rousseau.
Emilio deve imparare che non è il maestro
a vietare, per fare un esempio, di
attraversare
un fiume in piena, ma che sono i rapporti
di forza tra Emilio ed il fiume a consigliare
al fanciullo una certa prudenza.
Emilio così può imparare a graduare
i propri
pensieri e le proprie volontà in modo
realistico.
E Rousseau sottolinea una grande verità
anche
nel mondo attuale: parte del male di
una
società civilizzata consiste nel risvegliare
desideri senza preoccuparsi che vi
sia la
corrispondente possibilità di soddisfarli.
Un'altra importantissima sottolineatura
dell'Emile
è la nozione di stadi dello sviluppo
attraverso
i quali il fanciullo e poi l'adolescente
cresce e matura.
Rousseau li individua designandoli
come:
infanzia, fanciullezza, preadolescenza,
adolescenza,
giovinezza.
Questi cinque stadi sono nettamente
distinguibili
in quanto ciascuno ha proprie particolarità
e limitazioni.
Parte di ciò che Rousseau chiama "educazione
secondo natura" consiste nel fatto
che
l'educazione deve essere appropriata
ad ogni
stadio.
Accorto educatore è chi evita di introdurre
prematuramente percorsi e contenuti
educativi
tipici della fase successiva.
Secondo Rousseau l'educazione letteraria
non deve essere tentata fino a dodici
anni,
perchè lo sviluppo del bambino, fino
a quell'età
sarebbe adatto solo ad un'educazione
dei
sensi.
Su questo piano conviene notare che
Rousseau
consiglia di non avere nessuna fretta
(probabilmente
sa bene che sono i bambini ad avere
fretta
di per sè).
Per questo sarà regola- scrisse-
non di guadagnare tempo, ma di perderne perchè quando non si ha fretta di istruire non si
ha neppure fretta di esigere e si sceglie
il momento adatto per non esigere se
non
a proposito.
Va osservato che in una forma o nell'altra
la "teoria dello sviluppo"
era
già presente nelle anteriori dottrine
educative,
ma Rousseau le diede un fondamento
più motivato
ed argomentato.
Con le sue opinioni sui neonati Rousseau
può davvero essere additato come il
fautore
del ritorno all'allattamento al seno
materno
tra le classi agiate.
Tra i poveri, si sa, la pratica non
era mai
stata abbandonata.
Per Rousseau l'infanzia fino ai cinque
anni
va curata soprattutto come fase di
sviluppo
fisico-sensoriale, al fine di facilitare
un'equilibrata manifestazione di tutte
le
potenzialità.
Bisogna evitare che il bambino acquisti
cattive
abitudini, ma bisogna che abbia libertà
di
movimento e che insieme cominci ad
avere
la capacità di sopportare il dolore.
Importante è che il bambino prenda
coscienza
dei suoi limiti e della sua dipendenza dagli adulti.
Non è lui a comandare, ma sono gli
adulti
che con la loro benevolenza lo accudiscono
e lo assistono.
In questa fase, tuttavia, non si deve
pretendere
di iniziarlo ad una sorta di vita morale.
Non ne sarebbe capace.
Ciò che impara, lo impara per abitudine.
Il secondo periodo, da quando il bambino
ha imparato a camminare e a parlare
fino
ai dodici anni, sarà caratterizzato
per l'Emile
dall'introduzione alla manualità, dalle
prime
esperienze di ordine sociale e morale,
fondate
sulla sensibilità e su una ragione
"sensitiva".
In questa parte dll'Emile si trovano
le polemiche
contro l'istruzione libresca e persino
le
favole; si insiste sulla necessità
delle
lezioni della vita.
Premi e castighi vanno visti in questa
luce
non come atti arbitrari di cattivi
educatori
dalla mano pesante, ma come conseguenze
del
proprio comportamento.
Al termine di questo secondo momento
si trova
una sintesi dei risultati:
volete ora giudicarlo per confronto? Mettetelo
con altri fanciulli e lasciatelo fare. Vedrete
presto qual è quello veramente formato, quello
che si avvicina di più alla perfezione della
sua età. Tra i fanciulli della città, nessuno
è più avveduto di lui, ma egli è il più forte
di tutti. Fra i contadinelli, egli li eguaglia
in forza e li supera in avvedutezza. in tutto
ciò che è alla portata della fanciullezza,
egli giudica, ragiona, prevede meglio di
tutti loro...E' fatto per guidare, per governare
i suoi coetanei: l'abilità e l'esperienza tengono per lui il posto del diritto e dell’autorità
…E’ giunto alla maturità della fanciullezza,
ha vissuto la vita di un fanciullo e non ha acquistato la perfezione a spese della
felicità: viceversa l’una ha concorso ad
affermare l’altra. Acquistando tutta la ragione
della sua età, è stato felice e libero quanto
la sua costituzione gli ha permesso di esserlo…….
Dai dodici ai quindici anni.
Questo periodo è trattato da Rousseau come
l’età in cui emerge e si afferma la
ragione.
Il ragazzo incomincia a ragionare in quanto
si trova ad avere energie in sovrappiù,
le
forze straripanti da indirizzare.
La ragione si mostra, quindi, innanzitutto
come strumentale, anche come forma di controllo
sulle possibili immaginazioni, dalle quali
possono venire molti mali.
Insieme ad essa cresce la curiosità, la quale
va incoraggiata ed indirizzata allo studio ed all’acquisizione di un metodo.
Tuttavia, fin dove è possibile, Rouseau sottolinea
l’importanza dell’esperienza diretta, di
un rapporto non libresco con il sapere.
Ma la cosa più importante da evidenziare
è che Rousseau considera la conclusione di
questo periodo come una seconda nascita.
Scrisse: noi nasciamo, per così dire, due volte: una
per esistere, l’altra per vivere; una per
la specie e l’altra per il sesso…Ma l’uomo,
in generale, non è fatto per restare sempre
nella fanciullezza. Egli ne esce al momento
stabilito dalla natura; e questo momento
di crisi, sebbene brevissimo, influisce per
molto tempo….avviene ora la seconda nascita
di cui ho parlato; è ora che l’uomo che nasce
veramente alla vita e che nulla di umano
gli è estraneo. Finora le nostre cure non
sono state che giochi da fanciulli; solo
adesso acquistano vera importanza. Quest’epoca,
in cui finiscono le educazioni ordinarie,
è precisamente quella in cui la nostra deve
cominciare…..
In questo elemento della seconda nascita
deve avere una certa parte il dato autobiografico.
Il giovane Jean-Jacques abbandonò Ginevra
a sedici anni.
Da questo momento in poi egli sarà il solo
responsabile di se stesso ed il protagonista
della propria autoeducazione.
Tuttavia nei precetti dell’Emile la fuga
è nettamente sconsigliata.
Deve solo cambiare l’atteggiamento del precettore,
onde evitare proprio il pericolo di una fuga.
L’educatore, infatti, fino alla fine della
fanciullezza dovrà condividere la vita dell’allievo
in tutto e per tutto, di giorno in giorno
<<in modo sempre più esclusivo>>.
Durante l’adolescenza, invece, l’educatore
dovrà diventare l’amico, la guida che non
risparmia i consigli, ma che non si permette
di decidere al posto di Emilio stesso.
Rousseau coglie, con molta finezza psicologica,
che il passaggio della fanciullezza all’adolescenza
è contrassegnato dal totale compimento dell’amore
in sé, che aveva caratterizzato l’infanzia
e la preadolescenza, e dall’inizio dell’amore
per l’altro, cioè dall’inizio delle passioni
vere e proprie.
In sostanza abbiamo che la ragione, appena
sorta, si trova subito alle prese con sentimenti
nuovi e brusche emozioni determinate dall’interesse
per l’altro sesso, per la società, per i
problemi sociali e politici, etici, dunque
per una ricerca dei fondamenti, per la religione.
Alla maturazione del corpo deve quindi seguire
una maturazione psichica che porti a distinguere
il bene dal male.
Non è dunque un caso che il quarto capitolo
dell’Emile sia intitolato Professione di fede del vicario savoiardo.
Qui Rousseau espone il suo pensiero sulla
religione fingendo di riportare lo scritto
di un parroco della Savoia.
E francamente appare abbastanza contradittorio inserire una simile professione di fede in
un testo sull’educazione degli adolescenti.
Infatti le credenze di Rousseau, per quanto
si sforzino di razionalizzare ciò che non
è del tutto razionalizzabile, sono comunque
un insieme di dogmi, cioè affermazioni senza
riscontro empirico, di fatto indimostrabili,
che fanno il paio con i dogmi della religione
ufficiale.
Dopo aver affermato che Dio esiste, Rousseau
afferma la religione naturale, dice di credere nella creazione, nella provvidenza,
nella spiritualità e l’immortalità dell’anima,
nell’ordine finalistico della natura; ma
nega tutti gli aspetti soprannaturali della
religione cristiana: la rivelazione, le profezie,
i miracoli, l’istituzione della Chiesa, i
sacramenti, ma anche e soprattutto, i misteri della redenzione .
Rousseau non crede nel peccato originale,
perché ritiene che l’uomo sia innocente e
che sia la società a corromperlo.
E’ singolare notare che lo stesso Roussseau
con la sua teorizzazione dell’origine della
corruzione umana abbia di fatto prodotto
un’altra versione dello stesso peccato!
Se per la Bibbia il peccato originale consiste
nella pretesa umana di avere scienza del
bene e del male, secondo una dubbia rivelazione,
proveniente per altro da un animale alquanto
dubbio come il serpente, per rousseau, il
peccato originale non era altro che la “proprietà
privata” e la comparsa del diritto individuale.
Ciò detto è evidente che Rousseau non colse
mai direttamente nei testi religiosi il particolare
pathos che li permea ed il particolare atteggiamento
che occorre avere nei loro riguardi.
Essi, vien detto esplicitamente, parlano
in parabole, in simbologie, che possono essere
colte solo da chi è riuscito a liberarsi
dai condizionamenti delle convenzioni e delle
regole fatte da uomini per dominare altri
uomini e non sono dunque, Parola di Dio,
perché Dio non vuole che alcuni uomini dominino
su altri uomini.
Tutti abbiamo un’etica che in qualche modo
“copre” le nostre vergogne.
Quest’etica è il prodotto delle regole fatte
dagli uomini posseduti dalla volontà di potenza.
Se al confronto con Dio noi sentiamo il bisogno
di coprirci con una foglia di fico è evidente
che noi ci vergogniamo di quello che Dio
stesso ci ha dato.
Cioè siamo condizionati dalla credenza che
quelle regole siano regola di Dio.
In questo paradosso “biblico” sta la natura
del peccato vero ed autentico: la vergogna
per come siamo fatti.
Evitando di confrontarsi con questa tematica e cercando scappatoie pseudorazionalistiche
Rousseau finì dunque per proporre un nuovo
dogmatismo distico che non fece realmente
i conti con la sostanza del messaggio religioso originale.
Dunque contribuì ad aumentare la confusione
anziché portare chiarimenti.
Kant, sotto questo profilo, fu indubbiamente
più fecondo.
Sofia.
L’ultimo capitolo dell’Emile è dedicato prevalentemente
a Sofia.
Sofia è la compagna ideale di Emilio, ma
il nome scelto da Rousseau per questa fanciulla
ci mette in qualche imbarazzo.
Non sarà che Sofia sia proprio la Sofia della quale è oggetto la filosofia?
Di fatto, parlando dell’educazione di Sofia,
Rousseau riabilita la pedagogia tradizionale
ed il risultato di questa pedagogia, cioè
la donna per bene che può essere degna compagna
del suo uomo libero realizzato.
Non sembra metter in conto il fatto che proprio
questa figura socialmente conforme a tutti
gli standard, il fulcro della “buona famiglia”,
docile e sottomessa, potrebbe essere la causa
della perdizione di Emilio, cioè il suo allinearsi
al più bieco conformismo sociale, all’etica
del bene e del male, dettata da uomini che
vogliono continuare a tenere soggiogati altri
uomini.
Ciò che ci rende perplessi, pertanto, non
è la semplice (e semplicistica) considerazione
che Rousseau risulti in fondo più maschilista
che i maschilisti tradizionali, ma che egli
accetti il germe del convenzionalismo, il
fondamento stesso della proprietà privata,
cioè la famiglia tradizionale, si riaffacci
alla porta principale dopo essere stata gettata
dalla finestra come causa di tutti i mali
del mondo.
La conclusione.
In realtà l’educazione di Sofia sembra avere
uno scopo solo: determinare un essere che
servirà Emilio e saprà soddisfare ogni suo
desiderio.
Ciò appare davvero inaccettabile.
Che questa impostazione rischi, poi, di risolversi
nel suo contrario sarà Hegel a spiegarcelo
nella famosa “dialettica servo-padrone”,
pagina fondamentale della Fenomenologia.
Il libro termina con Emilio sposo di Sofia,
che gli ha dato un figlio.
Parlando si suo figlio con quello che è stato
il suo precettore, Emilio afferma risolutamente
che l’educazione di suo figlio non sarà affidata
a un precettore, ma che egli stesso se ne
farà carico.
Quindi Rousseau ci manda a dire che il precettore
era stato un utile stratagemma per mostrare
la sua teoria.
Nella vita reale i genitori, e specialmente
il padre, devono essere “precettori”.
Da nessun precettore “estraneo” ci si potrebbe
attendere tanto interesse esclusivo per il
benessere di Emilio.
Negli anni che trascorsero tra la pubblicazione
dell’Emile e la morte, avvenuta nel 1772,
Rousseau subì una serie di crisi emotive,
rese indubbiamente più intense dalla scrittura
delle sue Confessions autobiografiche, così intimamente introspettive
quanto nessun testo precedente.
Tuttavia, sebbene le Confessions contengano poco materiale di reale interesse
pedagogico, Rousseau ebbe il tempo di comporre
un’opera assai importante cioè le Considerations sur le governement de Pologne,
del 1772.
Le scrisse su richiesta di un nobile polacco,
preoccupato per la sua patria.
Rousseau rispose proponendo di far rinascere
nel popolo polacco attraverso la rigenerazione
dello spirito nazionale.
Questo testo sembra dunque preludere in qualche
modo al romanticismo ed a temi tipicamente
romantici.
Per rousseau è <<l’educazione che deve
dare alle menti la forma nazionale e dirigere
le opinioni ed i gusti degli uomini in modo
che essi siano patrioti per inclinazione,
per passione, per necessità<<.
Lo stesso Rousseau, dunque, che aveva denunciato
le istituzioni della società in quanto corruttrici
della originaria natura dell’uomo finì per
scrivere che
sono le istituzioni nazionali che formano
il genio, il carattere, i gusti, la morale
di un popolo. Per mezzo di loro si ispira
quell’ardente amor di patria basato su non
sradicabili abitudini che fa morire di nostalgia
i suoi cittadini in terre straniere…
Rousseau, per la verità, arrivò anche a prescrivere
ricette del tutto in antitesi alle affermazioni
dell’Emile.
Scrisse che ai fanciulli polacchi non doveva
essere concesso di giocare separatamente
o individualmente, che i loro giochi dovevano
essere pubblici e di gruppo, in modo che
fossero spinti alla rivalità ed all’emulazione
(tutto ciò che era stato condannato nell’Emile
in quanto radice del male).
Raramente gli storici del pensiero pedagogico
hanno dato peso a queste Considerations , che pure, in un certo senso, si riallacciano
a quanto scritto nell’articolo per l’Enciclopedia
pubblicato nel 1755.
A questo punto sarebbe perfino lecito chiedersi
quale sia il vero pensiero di Rousseau.
O comunque, sicuramente, chiedersi se egli
non abbia usato due pesi e due misure, come
spesso accade: questo è per i miei figli,
questo è per i figli degli altri.
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