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In questi files presentiamo, in modo
sintetico,
i concetti chiave della teoria dell'insegnamento
in Aristotele. Essi coincidono con quelli della filosofia generale dello stagirita, ma qui ci siamo impegnati ad enuclearne il riflesso pedagogico e quindi a mostrarne le implicazioni didattiche e metodologiche fondamentali. L'organizzazione dei materiali segue un criterio, quella della divisione in logica e dialettica, ad esempio, solo per comodità di esposizione. In realtà per Aristotele, inventore della logica, il termine, paradossalmente, non esisteva nemmeno e ci pare sempre piuttosto problematico separare la logica dalla dialettica quando parliamo di Aristotele. Manca in questi files una trattazione specifica attorno alla questione centrale dell'ontologia e della "fisica" aristotelica, cioè l'essere in atto e l'essere in potenza con la conseguente tematizzazione del "divenire" e del mutamento; nonchè della nozione di causa e "principio". Onde consentire l'intelligibilità di queste note anche a chi è completamente ignaro di tematiche filosofiche, vi accenniamo brevemente. La fisica. Per Aristotele è possibile, con molta approssimazione, una "scienza" fisica, cioè uno studio della natura che non si limiti alla "verosimiglianza" come in Platone, il quale negava che del sensibile potesse darsi più che un'opinione. Lo studio della fisica tuttavia non procede per sillogismo, ma con approccio dialettico, al fine di giungere così alla determinazione dei principi. Contrariamente ai fisici precedenti egli ritiene che vi debba essere un sostrato unitario, cioè un sottofondo di essere a tutti gli esseri visibili, o fenomeni. Tale sostrato è giocoforza sempre in atto, mentre ciò che diviene, ciò che accade al sostrato stesso, è in potenza. Per questo, per Aristotele, l'atto è anteriore a qualsiasi essere in potenza, in quanto non si capirebbe, altrimenti, da dove verrebbe (o in cosa sarebbe inclusa) la potenza, giacchè in nulla non vi può essere qualcosa in potenza e, nemmneno, il nulla potrebbe subire qualcosa che era in potenza in qualcos'altro. Io posso dare uno schiaffo a qualcosa, anche all'aria. Posso dare un calcio ad un'opportunità che è solo in potenza. Ma non posso schiaffeggiare il nulla. Quanto alle cause Aristotele ne distingue di quattro tipi. Innanzi tutto vi è una causa motrice, la quale interviene attivamente. Se la causa di motrice di un tavolo è un falegname, la causa motrice di un essere umano sono i suoi genitori. In secondo luogo il divenire delle cose è pienamnete comprensibile se ne scorgiamo senso e direzione, dunque vi deve essere una causa finale. Per Aristotele la causa finale di ogni esistente è la realizzazione della forma propria, cioè il conseguimento dello sviluppo. Tuttavia, sotto un profilo concettuale, il fine e la forma sono distinti in quanto il fine e il perchè, ciò in vista di cui ogni cosa si sviluppa. Sia la materia che la forma, unite, sono rispettivamente causa delle cose che sono. La materia ad esempio il legno; è causa materiale del tavolo; la forma - tavola è la sua causa formale. Il suo fine è servire come mobile. Nel caso dell'uomo è causa materiale la carne, e causa formale il suo essere in forma di uomo. Causa motrice il genitore e causa finale la sua realizzazione completa. molti studiosi ritengono che Aristotele abbia limitato il fine dell'uomo solo alla vita da studioso, alla vita teoretica, ma questa è una restrizione. La vita teoretica è uno dei fini per l'entelechia, la perfezione dell'essere in atto, ma è evidente che non può andare disgiunta da una completa realizzazione anche in senso biologico. |