PADRE ENRICO MENGA

Padre Enrico Menga, al secolo Giovanni, nasce a Montaguto il 20 gennaio 1920 da Lorenzo e Clementina Ricci, veste l’abito religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini il 12 agosto 1936, professò con voti temporanei il 19 agosto dell’anno successivo e con voti perpetui il 20 luglio 1941, è ordinato sacerdote il 18 luglio 1943.

Da allora una serie di incarichi lo portano a spostarsi continuamente tra la Puglia e il Molise: nel settembre del 1944 è a Cerignola, due mesi dopo a Campobasso, direttore della specola, nel 1950 insegnante e bibliotecario a Sant’Elia a Pianisi, nel 1954 dopo una breve permanenza a Montefusco lo troviamo a San Marco la Catola quale presidente e delegato delle Opere Missionarie, nel 1957 nuovamente a Campobasso in servizio presso la stazione meteorologica dove resterà dieci anni fino al maggio del 1977, quando fa richiesta di incardinazione nella Diocesi di Bovino.

Due anni dopo chiede ed ottiene di rientrare nell’Ordine con residenza nel convento dell’Immacolata di Foggia.

Minato da un male oscuro finisce di soffrire a San Giovanni Rotondo nell’Ospedale "Casa Sollievo della Sofferenza" il 31 gennaio 1980 dopo aver compiuto appena 60 anni di età e dal 1° febbraio riposa nella seconda Cappella dei Frati, nel cimitero comunale di quella città.

Convivevano in lui due tratti caratteristici, in apparenza disparati ma fondamentali: l’interesse e la passione per i complicati strumenti della tecnica delle comunicazioni ed una vena estrosa di fantasia.

A queste due grandi passioni, un’altra se ne aggiunge: l’amore per la propria terra e la sua gente.

L’amore per quel paese natio e quella gente dal volto umile e familiare e dai sentimenti ancora semplici e genuini (di cui si ricorda nel 25° del suo sacerdozio (1968), pubblicando "Montaguto nella storia"), lo accompagna tutta la vita come un’ombra fedele e costante; quello stesso amore lo spinge a sacrificare i suoi giorni migliori e ad impegnare le ore libere nella ricerca paziente e appassionata di notizie sulla storia del nostro paese, che la morte prematura, ma non inattesa, ha fatto precipitare nell’oblio, vanificando ogni sforzo.

 

                                

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