IL PONTE DI SOFIA

Lungo la provinciale 26, a 2 km da Montaguto, c’è una fontana con annesso lavatoio, dove ancora oggi è possibile vedere, come in un ‘immagine di altri tempi, qualche donna di non giovane età, lavare i panni.

Già ex "ponte di Iorio" è stato poi consegnato alla memoria come il "ponte di Sofia", dal nome di una giovane donna di soli 22 anni, la possidente Di Vitto Maria, Sofia Amalia, uccisa nel 1884 proprio in questo luogo dal marito, il pastaio ventisettenne Domenico Conte, dopo solo 4 anni di matrimonio, perché accecato dalla gelosia.

La tradizione popolare racconta che nelle notti di luna piena gli innamorati che passano di lì abbracciati, in cerca di un po’ d’innocente intimità, avvertono gli sguardi invidiosi e vogliosi di Sofia, misti ai sospiri e ai lamenti per la sua giovane vita fermata per sempre.

Era il lontano 1884...

Il paese sembrava dipinto, irreale, e da quell’incantato silenzio nasceva, a mano a mano che Sofia si portava fuori dall’ abitato, una musica dolce, un cinguettio festoso. Intorno era il silenzio. La calura estiva era sconfitta dal fresco della nuova e limpida mattinata. Era sola, in compagnia dei suoi pensieri e del suo segreto. Pensieri che le davano gioia e turbamento, felicità e malinconia, paura e sicurezza. Nei sandali i suoi piedi nudi si accavallavano come per sfuggire ad un qualcosa, mentre si affrettavano per andare incontro a quella solitudine ricca di tanta eccitazione.

Le gambe dorate dal sole la portavano a quella fontana a volte vuota di presenze umane, ma nella sua mente sempre piena di una sola figura a lei tanto cara: Domenico.

La vita per lei era una gioia in quei momenti di solitudine, e, assorta nei suoi segreti pensieri d’amore, lasciava correre il tempo...

La notte accolse nel suo silenzio le cose terrene, le anime inquiete, i cuori trepidi e gli spiriti beati.

Sulla pace del piccolo paese vegliava solo lei, la grande luna che, col suo bagliore biancastro, illuminava ogni cosa, ammantandola di un argento piovuto dal cielo. Il vento che appena smuoveva l’aria, sembrava volesse cullare ogni cosa.

Sofia nel suo letto nuziale, sfinita, gli occhi volti al soffitto, accennò appena un commiato al suo sposo e si affrettò a restare sola con i suoi pensieri fino a quando le palpebre appesantite si abbassarono, lasciando il posto al dio sonno, a quel sonno ristoratore che portò pace nel suo giovane cuore.

Una nuova e triste alba giunse in quella mattina dell’estate 1884.

Sofia alzò le palpebre, guardò quell’uomo che giaceva al suo fianco e, al suo posto, ne immaginò un altro. Fu richiamata alla realtà dai rumori della strada. Un brivido corse nelle sue vene. Il pensiero spaventoso di una punizione divina le folgorò la mente. Ella aveva visto con i suoi occhi ancora ingenui tante mogli e tanti mariti ingannarsi reciprocamente, ovunque vi fossero uomini e donne, il tradimento e le infedeltà accadevano.

Lei, però, senza ancora saperlo, avrebbe pagato quel suo amore con la vita. Calde lacrime solcarono le sue guance. Gli occhi umidi le impedirono una reale visione delle cose, il suo cuore era triste e spaventato. Scacciò ogni paura, fermò il suo pianto, arrestò le sue lacrime, asciugò il viso con le mani, strofinò gli occhi velocemente, si alzò e si portò in cucina. Spalancò la finestra. L’aria fresca del mattino inondò la stanza e dette a Sofia un senso di benessere e di rinnovata forza. I profumi incontaminati di quell’ora furono assorbiti con vigore dalla donna, quasi a caricarsi per una nuova giornata.

Dalla finestra spalancata scorse una figura bianca che, staccandosi dalla sua ombra, si fece avanti furtivamente e posò il suo sguardo sul dolce viso di Sofia che, combattuta tra desiderio non lecito e gioia che quella visione le recava, lasciò la sua immaginazione per un attimo libera di viaggiare sul binario di quella felicità, che a lei era proibito manifestare apertamente.

Il giovane, timoroso, sussurrò qualcosa, poi con un gesto rapido e furtivo, lanciò verso la finestra un foglio accartocciato che Sofia si apprestò a raccogliere e a nascondere in una tasca della sua gonna pieghettata.

Il cuore cominciò a battere in una maniera frenetica, un groppo le si formò in gola e, simile ad una adolescente, si sedette per porre fine a quell’ansia della quale era stata vittima.

Il giovane sparì sotto i raggi del sole da poco nato. Sofia si guardò intorno, si affacciò alla finestra, tutto sembrava ancora dormire in quelle prime ore del mattino. Intanto, un’altra finestra si richiudeva. La donna dai lunghi capelli grigi, raccolti sulla nuca, aveva assistito al lancio del messaggio d’amore. Sofia custodì quel biglietto come il più prezioso dei gioielli e intanto non osava leggerlo per timore che il marito potesse alzarsi ed entrare nella stanza. Il sorriso era ritornato sul suo viso, mentre si apprestava ad assolvere alle faccende come ogni mattina. Domenico la trovò raggiante, vogliosa di fare mille cose e ne fu felice. La salutò ed usci.

Si avviò lentamente lungo la strada ancora deserta sul suo calesse, mentre i suoi pensieri erano concentrati sulla sua Sofia per la quale nutriva un grande amore ed un senso di possesso quasi ossessivo.

Un’ombra avanzò a rapidi passi, lo raggiunse, lo affiancò e proseguì accanto a lui; era una donna alta, magra, con i capelli lunghi e grigi raccolti sulla nuca. L’aspetto lasciava presupporre che in gioventù era stata anch’ella bella, amata e desiderata.

Con fare che voleva avere del materno, mise al corrente l’uomo su ciò di cui lei era stata spettatrice e con cattiveria mista a gelosia gli raccontò di aver già da tempo dei sospetti sulla bella Sofia.

L’uomo rabbuiò in viso, gli occhi si accesero per la gelosia, l’ira lo assalì, la ragione lo abbandonò, davanti ai suoi occhi apparve la moglie tra le braccia di un altro. Impazzì. Frustò violentemente i cavalli, li guidò in modo che potessero girare il calesse e come un automa ritornò verso casa.

Le stanze linde e profumate di fresco erano deserte.

Il letto, appena rifatto, lì, in una stanza semivuota e nel mezzo una bambola col viso di porcellana dal sorriso accattivante. L’uomo urlò più volte il nome della sua Sofia. Non ebbe risposta. Rivoltò la casa con disperazione in cerca di quel pezzo di carta. Nulla. Sofia l’aveva con lei.

La gelosia lo attanagliò, l’impotenza contro quell’amore nascosto e taciuto lo fece impazzire. Si rigirò come in preda ad un’ossessione, senza possibilità di contenimento. Ecco! In un lampo di lucidità guardò la cesta della biancheria da lavare: era vuota. Si lanciò contro la parete, staccò da esso un lungo fucile, con freddezza lo caricò ed uscì lasciando aperta la porta alle sue spalle. Ripose l’arma in un angolo del calesse e, frustando i cavalli che sbuffavano, si avviò nel luogo ove sapeva per certo di trovare Sofia: la fontana del ponte.

L’acqua scorreva limpida e fresca e le dorate braccia di Sofia affondavano piacevolmente in quella frescura. Felice nel viso, di tanto in tanto estraeva quel foglio bianco e lo leggeva e lo rileggeva mille volte. Assorta in quella sua estasi d’amore non sentì il carro che portava verso di lei la morte. Fu colta nell’ attimo in cui con mano tremante estraeva il biglietto celato in una coppa che custodiva il suo giovane seno. La voce fredda e cupa dell’uomo la fece trasalire. Un pallore improvviso ricoprì il suo viso, la voce le tremò, e intanto si camuffò dietro un sorriso costruito di forzata gioia, mentre cerco riparo per il biglietto. L’uomo le intimò di mostrargli quel pezzo di carta; Sofia era in preda al terrore, e, temendo che potesse esser noto non solo il suo segreto ma il nome del suo amato, lo ingoiò.

La donna si autoaccusò. L’uomo, in preda alla follia, imbracciò il fucile e fece fuoco.

In pochi attimi si consumò la tragedia e Sofia portò con sé il messaggio d’amore ed il segreto nome del suo amante...

 

                                

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