ango Trance



Occhi che si perdono oltre, in una dimensione altra. Guance che si sfiorano bagnando l'altrui verticalità. Passi che trasudano calore e adrenalina. Bacini che ritmano l'architettura del tempo. Tambor del ritmo negro che scolpiscono la melodia. Mani che si intrecciano, che posano, che marcano. Gambe che avvolgono, scommettono,rimpiazzano.
I corpi di chi vive tango si fondono nel pilado e nel milonguero in una sorta di ipnosi che li rende quasi sonnambuli. Sono in trance, si direbbe. Viaggiano spazialmente. Ove il maschile e il femminile si tocca, si tange e si patteggia con botta e risposta, alimentando un' energia reciproca.
In una danza che apre il dialogo al ricongiungimento con ciò che nella radice atavica del nostro esistere abbiamo tacitamente conservato: il desiderio di ricongiungimento. Alla terra, alla nostra identità. All'altro. Il ritorno alla fusione, all'Unità.
E in questo rituale plastico spesso c'è aspirazione creativa, a volte persino comunione spirituale. Forse guarigione. Forse perdizione.
Visti dall'occhio vagabondo dei "non addetti ai lavori" i tangueri sono testimonianza impedibile del piacere estetico, appagamento sensuale del voyeurismo più puro.
Certamente gli uomini amano anche guardare la coquetterie del femminile. E le donne? Le donne, sia quelle che vi partecipano attivamente, sia quelle che ne fruiscono da spettatrici sovente raggiungono una forma di estasi. Nel tango il corpo è quello straordinario contenitore che libera dal pozzo nero dell'anima. Senza inutili e false digressioni intellettuali.
Ed è sempre il tango che ci offre una forma di comunicazione priva di parola, quindi più profonda del lessico stesso. Come sotto effetto di una droga che cattura, ci muoviamo, reagiamo, equivochiamo - sulle marche, sulle intese, sul feeling d'attrazione - obbedendo alla legge del tango, che sfugge ad ogni razionale comprensione e ad ogni analisi oggettiva. Bello, brutto, buono, cattivo. Se si balla bene e c'è intesa, va bene tutto.
Tra le tande, solo la fatidica cortina interrompe o suggella il silenzio di un rito che si compie a due. Ma il vociare in milonga andrebbe quasi bandito. E' una violenza all'atto che il corpo attua in sincerità. La parola in qualche modo è superflua, diventa un filtro della realtà, un qualche cosa che permette di nascondere con un filo di pudore l' aggancio immediato con chi ci è normalmente estraneo nel quotidiano: l'intima condivisione di uno empatico percorso temporaneo.
Il corpo è cambiato moltissimo nei millenni. Nel contesto attuale subisce costanti inquinamenti. Eppure cerca di mantenere la sua verità, nonostante la corruzione dell'aria, della società, delle condizioni di vita. In tempi primordiali il centro della personalità umana non era il cervello, bensì il cuore. E ancora prima di allora, non era nemmeno il cuore. Il centro della personalità era più in basso. Vicino all'ombelico. Nel corso dei millenni si è spostato ancora più lontano dall'ombelico: il centro, come gli psicanalisti - in particolare i lacaniani - ci ricordano, è il cervello. E in esso, la parola. E tutti gli equivoci interpretativi che da essa si generano... Ma allora il corpo può essere ancora degno custode della verità? Tutti sono concordi nel dire che il tango, agisce sul corpo, ed è ingrediente catartico, ovvero elemento di trasformazione dell'individuo. E fors'anche della sua personalità. Vediamo allora di fare un passo indietro per capire cosa agisce sulla parte non tangibile dell'individuo. Nell'anima. Nello spirito.
Se chiedi a un monaco Zen: "Con che cosa pensi?", lui si mette la mano sulla pancia. Quando gli occidentali sono entrati per la prima volta in contatto con i monaci giapponesi, faticavano a capire. "Che sciocchezza! Come puoi pensare con la pancia." La risposta Zen è significativa. La consapevolezza può usare qualsiasi centro del corpo, e il centro che è più vicino alla sua sorgente originaria è l'ombelico. Esattamente l'area del corpo che agisce energeticamente sulla comunicazione silente che passa tra due ballerini di tango. I maestri di tango che lo sanno, lo insegnano induttivamente. Ma sta agli allievi comprenderne il vero potenziale. Per fare questo però occorre annullare l'elaborazione intellettiva e riprendere il contatto con l'hara, quella parte del corpo che sta sotto l'ombelico e che gli orientali sostengono essere sede del nostro antico potere personale. Ma il fatto è che questo lo sostengono anche i ricercatori spirituali sudamericani: persino i divulgatori più popolari. Basta pensare agli scritti di Castaneda o Cohelo.
Assenti di questa comprensione, tutti si fermano a guardare i passi che fanno i grandi tangueri argentini, ma nessuno nota il rapporto energetico che passa attraverso i loro bacini. L'arco voltaico nel loro centro ventre. Saranno i tabù occidentali su questa parte del corpo che ci impedisce di vedere veramente? Tutti son attenti a memorizzare le sequenze, incamerando pose e coreografie. Che appagano l'estetica ma sono informazioni inutili nella mente. Nessuno che riesca a guardare oltre la superficie delle cose per capire cosa passa veramente in quel legame di forze plastiche. Tutti vogliono farsi somministrare il pesce, nessuno che abbia voglia di andare a prendersi la canna da pesca.
Il tango attrae anche quelle categorie sociali che mettono sotto pressione costante il cervello: ingegneri, avvocati, imprenditori, insegnanti. Professionisti costretti a elaborare incessantemente con la materia grigia. Per fortuna che col tempo il cervello viene parzialmente annullato nel tango! A partire da un certo grado di pratica in poi, si vola liberi se si lascia spazio al movimento spontaneo che scaturisce dallo stato di coscienza alterata. Questo ovviamente se si sceglie di scendere in trance e di avere fiducia nel non controllo.
Non dimentichiamo che il cervello è l'organo vitale più lontano dalla nostra radice (il pube, il coccige, l'area generatrice della kundalini). Silvia Vladimivsky, coreografa e regista, nonché direttrice artistica del "Teatro Fantastico de Buenos Aires" lo ha capito molto bene e i suoi seminari di teatrodanza lasciano un segno di profondo cambiamento nel rapporto tra corpo - danza e interpretazione coreografica. Il suo lavoro non ha un metodo, bensì una serie di procedimenti e applicazioni pratiche del rapporto tra corpo e anima. Un viaggio mirato ad esplorare sé stessi, le profondità del proprio essere e le proprie capacità nascoste, diminuendo lo stress accumulato e acquietando la mente attraverso la leggerezza di giochi teatrali e semplici tecniche motorie. Spesso eseguite in gruppo, sia al rallentatore che con gli occhi bendati. La Vladimivsky ha elaborato un modo tutto suo di far stabilire armonia in sé stessi attraverso il corpo, con l'ausilio del movimento, della musica di vals, tango e milonga, liberando l'energia dei chakra bassi e facendola risalire verso i chakra alti. Collegandoci alla terra, alle radici.
Ricordo aver imparato da lei a muovermi nello spazio ad occhi chiusi, fidandomi dell'altro, esprimendo la mia coreografia dell'anima e ascoltando profondamente ciò che il ballerino aveva da propormi. Finché un giorno, scendendo a un livello di coscienza quasi primordiale, nutrita dall'abbandono consapevole verso il partner che mi guidava, ho iniziato a sentire la comunione intima che riunisce chi balla tango. E ho iniziato ad essere più vera con me stessa, più conciliante con ciò che era altro da me. Più protesa all'essenza delle cose, e meno fuorviata dalle apparenze. Se si vive il tango come una forma di meditazione dinamica, uno stato di trance benefica, il centro si sposterà al cuore. Allora avverrà la catarsi. E su di essa, l'automiglioramento. Dietro a questo mondo caotico della milonga c'è dunque da fare una grande riflessione. Ma di questo torneremo a parlarne prossimamente.
Dunque agire con il corpo nel ballo è come raccontare un racconto il cui finale può tradursi in un climax prolungato. Uno stato estatico legato alla trance. Ma attenzione: se non si ha voglia di andare fino in fondo all'esperienza si rischia un' ejaculazio precox dai risvolti frustranti. Dunque be careful: partecipare al rito del tango standoci dentro solo a metà vuol dire perdere metà del suo significato. La creatività e il cambiamento avviene se diventiamo capaci di lasciarci andare ai sensi. Non in modo lascivo, ma in modo sano, onesto, comunitario. Questo vale per uomini e donne indistintamente.
Normalmente l'immaginario sensoriale ha bisogno di nutrirsi di carne, di pelle, di umori. E' così che l'eros, altra faccia di agape e philos (le tre declinazioni dell'Amore che i greci antichi giustamente scandivano) si manifesta. E manifesta con esso la sua capacità di fare catarsi, ovvero di trasformare, di cambiare qualcosa nell'essere umano.
Perché è proprio sotto, nell'abbandono della carne (ovvero dei sensi), che si lavora su di sé, connotando o mettendo in dubbio l'accezione della propria identità primaria. Ed è proprio la dissociazione dalla propria identità mentalmente controllata che permette il ridimensionamento dell'Ego, il volo dalle convenzioni, la fuga dagli status sclerotizzati, il godimento interiore e fors'anche la sopravvivenza nella società urbanizzata.
Potrebbe essere anche questa una delle possibili chiavi di lettura della "terapia" insita nella pratica del tango stessa: l'individuo posto di fronte ai molteplici ambienti sociali (famiglia, lavoro, amicizie) esorcizza l'angoscia e la solitudine rifugiandosi anche nel tango e plasmandosi alla seduzione del corpo. Il corpo nel tango diventa un corpo in trance, e quindi in trasformazione. Chi balla sa che si assottiglia il girovita nelle donne, si apre il petto nei ballerini, si diventa più armoniosi nella camminata.
Concluderei dicendo che il tango può alterare il livello di coscienza delle persone che lo ballano e portarle in uno stato di meditazione attiva grazie alla commistione dei generi e delle composizioni ritmiche delle danze tribali che sono alla base della musica stessa, come il candomblé, la murga, la conga, la rumba, la pachanga, il bailongo, il mondongo, il corimbo e la mandinga. Già è stato studiato e comprovato per altri balli popolari come la taranta o il samba da illustri antropologi ed etnopsichiatri come Georges Lapassade, Gilbert Rouget ed Ernesto De Martino. Lancio un appello a questi signori: è tempo di farlo anche per il tango.
Certamente ci auguriamo che in questo nuovo secolo la consapevolezza della ritualità di cui necessita lo spirito dell'Uomo si sviluppi di più e il corpo non si annulli, o si riduca ad un'ologramma. Il tango, con la sua trance interiore, con la sua verità, con la sua straordinaria ricchezza multi e socio-culturale, ci potrà aiutare a lavorare sul corpo, e chissà, magari anche sulla società. Per avere più tolleranza, più rispetto. E tornare alle nostre radici. Al cuore.

per TANGO MAGAZINE 2006

Monica Nucera Mantelli


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