er una Torino futuribile



UTOPIA O REALTA?

Riflessioni tra architettura, arte e design

"La conoscenza applicata è il patrimonio di tecniche e di saperi tramite i quali un soggetto individuale o collettivo può modificare il mondo che lo circonda, se stesso o gli altri soggetti umani" scrive Massimo Buscema, semiologo e scienziato di fama internazionale attento ai bisogni esistenziali e urbani dell'uomo.
Ma qual'è la città del futuro? Qual è la Torino di domani? Nella città ideale di "Utopia" sognata da Tommaso Moro più di quattro secoli fa, certamente non c'é miseria nè disuguaglianza: il lavoro é obbligatorio per tutti e ognuno lavora per la comunità. La comunione dei beni libera ciascuno dal bisogno e dalla paura, assicura a tutti la vera ricchezza. Le magistrature a Utopia sono elettive e ciascuno, dopo le sei ore di lavoro quotidiano, é libero di coltivare il proprio spirito. Ad Utopia vige la più totale libertà di culto religioso, perchè forse Dio stesso ama la varietà e la molteplicità dei culti . "A Utopia non potrà mai accadere, come invece accade nelle altre città, che uomini ricchi, privi di cultura e di moralità, comandino su persone colte e virtuose, nè che vi si accendano e si esasperino le lotte e gli egoismi."
Sfruttando la nostra conoscenza dovremmo allora riuscire a trasformare il brutto in piacevole... D'altra parte è praticamente impossibile "fabbricare" la cosiddetta Torino ideale. Si va verso nuovi luoghi di vita, luoghi dove stratificazione archeologica, patrimonio storico- architettonico, alterazione urbana e socialità si fondono. I beni culturali e i monumenti intrattengono un rapporto strano con il tempo e con l'uso. Anche nella nostra città. In qualche modo hanno un rapporto inverso rispetto a quello intrattenuto dai beni materiali di consumo: se questi ultimi vengono interamente consumati dall'uso e resi sorpassati dal tempo, un monumento invece con il tempo acquisisce valore e con l'uso si salva dalla rovina.
E Torino, tra monumenti, chiese e palazzi storici offre un quantum straordinario. Ci sono i centri commerciali, le discoteche, i luoghi di incontro dei giovani, così come gli aeroporti le stazioni (pensiamo alla riqualificazione di Porta Susa e ridestinazione di Porta Nuova). Alla stazione si arriva, si parte, ci si incontra, si vive, si lavora, si dorme, ci si rifugia. Questi sono anche i luoghi della serendipity urbana più scontati, ma, al contempo, i luoghi dell'attesa, e non solo del viaggio. Le stazioni sono, al di là delle congiunture e degli usi, anche strumenti di politiche urbane, occasioni di concorsi e di progetti di architettura, diversamente sperimentali.
E allora, perché non trasformare tutti i luoghi che sono nati con altre destinazioni in una iniezione di cultura, di architettura e di qualità? "L'ottica deve essere quella di una manipolazione geneticamente positiva." dice a riguardo, l'architetto Massimiliano Fuksass. "Il vero oggetto del contendere è l'abitante, il cittadino. Il cittadino deve riacquistare il senso di appartenenza alla città e la passione civile, in una parola quella che i Francesi chiamano "citoyenité". Il cittadino ha il dovere di sentirsi parte di un processo urbano". Ed è così che il capoluogo piemontese sta avviando la sua grande trasformazione,non solo urbana, ma, chi scrive lo crede, anche sociale. Perché è sui torinesi, e la loro capacità di credere nella città che darà ad essa un futuro.
Oggi Torino è un territorio dove design, arte e architettura della città si incontrano. Ci sono molti cantieri aperti che danno un nuovo aspetto alla città e alla fruibilità della polis. In molti casi c'è l'applicazione di un piano strategico di riqualificazione urbana, ma, dall'attenzione verso la costruzione di alcuni centri - quello culturale, i media, archeological e virtual parks - la scommessa, è quella di un riscatto della forma urbis attraverso la qualità del singolo manufatto. Non riuscendo più ad incidere in una realtà complicatissima, l'uomo ha incominciato a detourner, ovvero a riqualificare, a trasformare in godibilmente futuribile, ovvero, più vivibile, la città.
Le aspettative di quelli che lavorano dietro le quinte delle aziende, della comunicazione, della creatività sembrano essere improntate all'ottimismo. Questa è la condizione attuale di chi opera, come amministratore, architetto, urbanista o progettista, anche perchè sono in atto interventi di trasformazione complessi, che mettono il cittadino in uno stato di frenato di mobilità, con l'augurio di migliorare il proprio benessere e il welfare di tutti.
Gli interventi non servono solo a realizzare le sedi olimpiche per i giochi invernali 2006, ma sono legati anche alla loro ridestinazione successiva, ovvero all'ampliamento di sedi universitarie, alle aree abitative, alla creazione di nuovi poli culturali, di sedi per il terziario e il produttivo avanzato, attività commerciali, servizi, e a nuovi insediamenti residenziali integrati ad un nuovo sistema di spazi pubblici qualificanti dal punto di vista ambientale.
Abbiamo chiesto pareri autorevoli, a torinesi che fanno il futuro della città: Paolo Verri, il Direttore di Torino Internazionale - ente che vara il piano strategico della città - e il Professor Carlo Olmo, City Consultant e Preside della Prima Facoltà di Architettura di Torino.
Professor Olmo, qual'è la sua visione sull'evoluzione della città?
"Devo dire che lentamente, come in un racconto di suspence, le architetture delle Olimpiadi stanno prendendo forma... In una città che è attraversata da ben più importanti trasformazioni, fanno quasi fatica ad emergere, collocate come sono in contesti che sono e resteranno cantieri. Così è per l'Oval o per il villaggio in Spina 3. Questa condizione del realizzarsi di un progetto architettonico in un contesto urbano che conosce trasformazioni ancor più radicali, fa del caso torinese un esempio quasi unico, anche rispetto ai sempre citati riferimenti. Per giudicare non la singola opera, ma l'operazione nel suo complesso, il tempo d'attesa non si concluderà nel febbraio 2006... Un dato insieme critico e positivo. Critico perché ogni cittadino e visitatore vorrebbe vedere compita un'operazione che tanto colpisce e interessa. positivo, perché significa che la città sta vivendo non su quella scadenza, che anzi ha preso slancio da quella scadenza per prospettare cambiamenti che riguardano dalla mobilità, alla residenza, dall'industria ai servizi. Forse per giudicare le Olimpiadi, per una volta bisognerà collocare dentro un processo di mutazione urbana più grande e di durata ben maggiore. E questa mi pare la sfida più importante per la città."
Paolo Verri ci regala una visione ancor più onirica, e molto suggestiva della Torino dopo-olimpiade:
"E' il 27 febbraio 2006. Vi scrivo dal mio computer portatile dopo aver dormito circa diciotto ore. Ho ancora negli occhi la cerimonia di chiusura di ieri sera: il sindaco di Vancouver sventola la bandiera canadese, gli atleti di ogni nazione si mescolano si abbracciano si salutano come fosse appena finita una gita scolastica o un estate durata troppo a lungo. Ma ora che succede in città? Riaprono le scuole, i volontari tornano alla monotona teoria colazione pranzo cena, la neve finta viene spalata via con sufficienza. Eppure non e' tutto come in un film. I ristoranti restano aperti, gli alberghi hanno appena il tempo di rifarsi il trucco, e la sbornia deve passare molto in fretta. Il dopo olimpiadi e' un mix feroce e predeterminato di incombenze: i villaggi olimpici devono in fretta essere pronti a ospitare gli studenti universitari per cui sono stati costruiti la metropolitana connettere Porta Susa al Lingotto il Palaisozaki accogliere l'inaugurazione dell'anno mondiale del libro. A Mirafiori mentre si producono le nuove Punto si smembrano vecchie officine per fare posto a imprese innovative che prenderanno in carico il tema dell'energia e della sostenibilità abbinata a nuove e vecchie forme di mobilità. La città appena invasa dal sistema di segnaletica di Decaux rifletterà su un sistema di segni adatto all'anno mondiale del design che nel 2007 seguirà al libro e arriverà fino al congresso mondiale degli architetti previsto nel luglio del 2008. L'ennesima trionfale edizione del Salone del Gusto avrà finalmente un nuovo sfavillante padiglione, quello usato dalle Olimpiadi per l'alta velocità e definito Oval, come sede per nuovi espositori. Sempre nelle vicinanze del Lingotto dove alla fine dell'Ottocento nacque la Carpano aprirà la cittadello del gusto rendendo permanenti le acquoline in bocca di cittadini e turisti. Professori del Politecnico e dell' Università cambieranno abitudini fissando i corsi nelle nuove aule del raddoppio e lungo la Dora in area Italgas. Scaltri commercianti avranno aperto nelle vicinanze consapevoli che le città contemporanee sono luogo di consumo prima che di produzione e che la svolta fordista del Novecento ci ha lasciato splendidi edifici per servizi e cultura. Ma non solo gli spazi si sottoporranno a nuovo definitivo destino di riutilizzo. Continueranno corsi per dare sempre più gambe alla città dell'accoglienza e forse la crisi del petrolio ci costringerà a fare ancora meno vacanze e ad usare la città. La solidarietà dovrà dare forte prova di comprensione per integrare piu' e meglio comunità immigrate ancora una volta essenziali al nostro sviluppo, e la mixofilia, il desiderio di mischiarci agli altri che i giorni delle Olimpiadi ci hanno lasciato dentro non dovranno trasformarsi in mixofobia in paura dell'altro e del diverso. Se guardo le icone sul mio computer mentre ascolto il nuovo album (continuo a chiamarlo cosi'...) dei Linea 77 leggo Progetto Idrogeno 2011 e scopro di avere poco tempo, poco tempo per riposare, per aspettare che altri facciano il mio lavoro per avere orgoglio e timore insieme di un futuro che di sicuro ha solo il nome della mia città."
Una città futuribile. E augurabile.

Ottobre 2005 - per Torino Magazine

Monica Nucera Mantelli


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