io padre era un Minotauro



Verso la risoluzione del Nodo

"L'arte d'avanguardia è l'arte che per far presa sul mondo vi si cala assumendone dall'interno le condizioni di crisi, usando per descriverlo lo stesso linguaggio alienato in cui questo mondo si esprime: ma portandolo a condizioni di chiarezza, "ostentandolo" come forma di discorso... lo spoglia della sua condizione alienante e ci rende capaci di demistificarlo".
Umberto Eco, Opera Aperta, 1967


L'arte è una forma di comunicazione estetica, pertanto non ha filtri e non può essere "omogeneizzata" ovvero ridotta a pastella digeribile ai più.
Quel che si vede, quello che si mostra, è rivelazione. Sia per chi la crea che per chi ne fruisce. Il messaggio che può offrire un dipinto,ad esempio, si svela, ovvero può essere percepito in maniera differente da differenti interlocutori. Ciò che esso rappresenta - da astratto a figurativo - risulta bello per alcuni, mentre sarà ridondante per altri. Ciò che appare come anacronistico per alcuni, sarà sperimentale in altri.
La straordinarietà della produzione pittorica contemporanea è la sua sconcertante contro-regola: distribuita in modo socialmente democratico, essa parla a ognuno di noi a seconda dei suoi poteri e delle sue possibilità. Ovvero restituisce una o più facce del suo caleidoscopio semantico in maniera direttamente proporzionale al proprio bagaglio culturale. Offre uno stimolo intellettivo che può risultare a ventaglio variabile - da zero all'infinito - in una escalation emozionale che va da terrorizzante, al vagamente inquiet,o al confortantemente familiare, indipendentemente dal soggetto rappresentato.
Questo significa che anche in presenza di un prodotto esteticamente ineccepibile, un'opera artistica può anche non piacere, se non addirittura disturbare o spaventare. E' un fenomeno da non sottovalutare e che rende il categorizzare "cosa è Arte" uno dei processi più complicati al mondo.
L'artista contemporaneo riflette nella sua opera non un punto di vista sulla natura, ma una tavola di informazioni, segni, simboli atti a tenere viva quella consapevolezza che lo stato di sonno in cui siamo quotidianamente tentati a cadere tende a obliterare.
Lo spettatore del prodotto artistico di oggi rimane spaesato davanti a linguaggi espressivi tutt'altro che confortanti. Ma è anche spesso diffidente davanti a ciò che appare "bello" e leggibile sin dal primo sguardo. Dove sta la Verità, si chiede l'osservatore.
E' pur vero che la mano dell'artista obbedisce a un progetto disegnato nella sua mente e i pensieri che presiedono al piano della progettualità spesso convergono con le intuizioni legate al mondo quotidiano. Tuttavia, sovente, l'intuizione artistica, per quanto ispirata possa essere, trova la sua fonte primaria in uno stimolo che partendo dal bagaglio di ciò che ci è noto (il passato, la Storia antica) sviluppa la sua denuncia in modo puntuale ed attuale.
Riflettere sulla pittura contemporanea significa quindi anche riflettere sul linguaggio attraverso cui un artista comunica il suo nuovo modo di invertire l'ordine degli addendi. L'analogia, il confronto che passa attraverso i temi rappresentati è al centro di questo processo intuitivo che può aprire uno spazio dinamico di raccordo tra segni e miti appartenenti a mondi apparentemente distinti e lontani.
Si può quindi pensare, almeno di una certa fetta di neo-figurazione pittorica, di essere oggi davanti a una sorta di "mondo fluttuante", una dimensione di ubiquità, dove è possibile essere in più luoghi contemporaneamente senza muoversi da ciò che stiamo osservando. Ad esempio, un quadro surreal-figurativo offre in alcuni casi una interessante "tavola sinottica" di simboli, ove le più segrete intuizioni dell'artista possono essere oggettivate in lettura onirica attraverso una storia apparentemente semplice. Prodotti artistici di questo tipo aprono finestre e riflessioni su un tempo passato, in un asse immaginifico in costante dilatazione. L'artista che riesce a fare questo senza risultare sterilmente virtuoso o di maniera è un "semio-catalizzatore", ovvero un collettore di immagini e segni archetipici che affiorano su una tavola di "discussione". Colui che è in grado di fare questo in armonia, senza curarsi del giudizio altrui, del rumore assordante degli innumerevoli attacchi e delle violente provocazioni che possono giungergli da ogni parte è un vero ricercatore, che scava a fondo, oltre se stesso. E che per questo sfugge all'identificazione, e dunque alla categoria. Facendo di lui un vero Artista.
E' questo il caso di un creativo come Dovilio Brero. Convivono infatti in lui ben cinque elementi distintivi: la forza della sua sapiente tecnica ad olio: rigorosa, virtuosa, elegante. Rara. Il valore dei temi che sceglie di affrontare, osando oltre le icone del popolare e immediato. La giustizia nell'attingere con equilibrio dalla lezione dell' Umanesimo e del Rinascimento. La modestia nel ritenersi mai arrivato, pur toccando vette importanti nella sua produzione artistica. L'obbedienza piena, ma mai piegata, alla bellezza classica dal Manierismo al Novecento. Senza dimenticare la costante tensione verso una sana dose di ironia, nonché di autoironia. Anche quando tocca argomenti "seri" come il Mito. Da Atlandide, al Minotauro, ai Tarocchi.
I miti, sappiamo, costituiscono una portentosa fonte letteraria e artistica. Miti diversi tra loro, eppure comuni alla cultura dell'uomo, dal cuore dell'India al Nord Europa, dalla Magna Grecia all'antica Roma. Sono la storia leggendaria cui attingono poeti e artisti per comporre opere, tragedie, balletti, poesie. Miti che vengono continuamente variati e combinati tra loro dagli artisti stessi, che se ne servono nelle loro produzioni creative, cosicché da semplice imitazione di una fonte preesistente si innalzano a struttura organizzata di un'azione. Dal mito greco ai labirinti degli indiani hopi; dai mandala Buddisti ai graffiti di Cnosso il labirinto, ad esempio, come scrive Giovanni Faccenda è "il luogo dove alberga la verità sulla vita ".
Tante sono le situazioni leggibili nelle pieces mitiche rappresentate da questo artista-demiurgo. Il Minotauro, ad esempio, sperimentato nel suo ciclo pittorico omonimo, è una narrazione fabulistica delle qualità e delle gesta di esseri ideati come divini -ma sono solo mezzi umani- capaci di vivere in quell'insolita categoria tra animali, dei ed eroi, con un inquietante omaggio al femminile - Pasifae - che da straordinaria ed ammaliante seduttrice in rosso, rivela la sua segreta mano mandante della prigionia del figlio, con una bellezza altera e l'aria incurante del dolore che alberga in stanze non distanti da lei.
"Il labirinto nel quale il Minotauro si perde appartiene a tutte le civiltà a tutte le epoche: ai campi di grano che recano questo antico simbolo della spirale infinita. Questo gomitolo non dipanato, non risolto. Questo simbolico confronto tra Eros e Thanatos. Le figure come il Minotauro svolgono sempre, nella loro teatralità, una funzione etico-narrativa, in quanto l'autore è in possesso della dote - oggi rara - di essere un poeta della forma" (Dovilio in occasione di una conversazione nel suo studio a Monasterolo di Cafasse - settembre 2004) Come si legge nella struttura scenografica di gran parte dei suoi cicli pittorici, Dovilio cerca nella sua rivisitazione classica di riportare l'uomo alla sua radice. Ma è chiaro ed evidente che nella condizione generale dell'uomo si è perso l'orientamento e seppur cercando di mantenere un equilibrio, in lui è sempre in atto la caduta, ovvero minaccia-possibilità di entrare nel Dedalo, nell'incrocio di strade le cui destinazioni non portano mai ad un'uscita.
Sarà questo il caso del Minotauro? Ingannato nel pensare di essere nel Labirinto (meandro con uscita difficile, ma comunque possibile) si dibatte inutilmente nel Dedalo (crogiuolo di strade senza uscita)? E quale ruolo di perdizione svolge in tutto questo la donna? Pasifae è Dea sopra gli Dei, nella sua carnale ed immortale alterità onorata da ori e gioielli, talmente sfolgorante da far dimenticare a tutti che nelle altre tavole il figlio taurino vaga disperato e senza sosta alla ricerca di una morte che lo sciolga da tanto penare. Il Minotauro. Un essere vivente alla ricerca di un'uscita che non c'è.
In Dovilio l'opera d'arte è la solida, luminosa mambrana che unisce i due universi dell' Esistere e dell'Essere, del Male e del Bene. Per mezzo della percezione artistica la mente mette in discussione il primo (l'esistere nel male) per aprirsi al disegno superiore del secondo (l'essere nel bene) portando l'essere umano da uno stato di Dedalo ad un altro più speranzoso e vivificatore, quello del Labirinto. Nel lavoro di questo artista, l' arte è un tessuto connettivo che trasforma il nostro sentire dallo stato di dedalo allo stato di labirinto. Ovvero a una possibile risoluzione del nodo. Tra la tremenda condanna all'infinito cercare e lo spazio al possibile trovare.
Ma è necessario essere persi per potersi ritrovare... Anche nel pozzo più profondo e oscuro dove siamo caduti può quindi scaturire la domanda: "Chi Sono..?"...e la Ruota dell'Esistenza finalmente vibrare ad un livello superiore. Quanta sacralità in questo perdersi, dimostra l'opera di Dovilio.
Dovilio allarga le maglie di miti e simboli antichi e ci porta, attraverso il suo dipingere, ad intraprendere un viaggio dentro di noi, in quel gomitolo ingarbugliato che è il nostro essere che combatte con l'inconoscibile. E' un viaggio che conduce nei cunicoli più profondi di noi stessi. E quindi ci frega. Perchè ci chiama all'appello del Risveglio. Ovvero alla risoluzione del nodo. Ci frega, il suo meandro di Progetto Minotauro, perché, nella sua inflessibile coerenza mitopoietica tra bellezza e orrore, fa venir fuori l'enigma, la non soluzione, la visione frammentata che alberga dentro il nostro cuore. In un territorio dove la mente raramente riesce a mettere ordine, troppo occupata com'è a combattere un quotidiano fatto di universi cannibali, che mangiano - boccone dopo boccone - le nostre poche e confuse certezze.
Un piano di lettura apparentemente semplice, quello delle opere di Dovilio. Ne rimaniamo sedotti, affascinati, persino, a volte, disturbati da tanta opulenza talentuosa. Peccato non vedere la botola che sta a due centimetri da quelle proporzioni troppo perfette per essere vere, troppo disarmanti nella loro ricchezza armonica. Sembrano finte. Eppure sono vere, verissime, nelle loro storia, proprio nella loro "etimologia". Le modelle di strada a cui attinge, la quotidianità dei volti a lui noti, dei territori proposti nel ciclo dei Tarocchi, come nell'installazione della Pentecoste della Cappella di San Rocco a Monasterolo di Cafasse, ne è un chiaro segno.
Eppure. noi comuni mortali, presi come siamo dalla bellezza apparentemente innocua e rincuorante del suo lavoro non ci accorgiamo dello strapiombo che ci offre questo suo linguaggio didatticamente figurativo. Uno stratagemma che l'artista attua per non farci intraprendere a cuor leggero un cammino altrimenti troppo difficoltoso. Un ironico gioco di prestigio per farci sopravvive al messaggio in un modo più comprensibile. Così lasceremo aperta la porta, e lui, l'Artista Supremo, il Grande architetto, potrà venire a visitarci. E a quel punto saremo a noi a doverci chiedere dove e chi siamo veramente. Labirintici o Dedaliani ? Uomini o Minotauri?
Nei quadri di Dovilio - come nella produzione dei Tarocchi - la realtà in cui ci muoviamo è un viaggio a tappe (nodi) in continua evoluzione. Un accrocchiarsi di eventi, accavallati su un paesaggio mutevole e volubile, seppur di facile lettura figurativa, dove il metaforico filo di Arianna con il suo filamento irrisolto e l'unica realtà che ci dà una mano a risalire la china. Un compagno prezioso, di corda e chiodo, questo nodo che cerchiamo di sciogliere nel tentativo di leggere e interpretare le sue opere. Un filo confusamente arrotolato che ci segna verso la presa di coscienza di ciò che sta oltre le cose. Come se tutti noi, nell'atto di guardare i suoi lavori tornassimo ad essere un Sisifo che cerca il raggiungimento di una vetta allo scopo di liberarsi di un enorme sasso. Un sasso ingombrante di cui non capiamo bene il senso. Ma di cui sappiamo desiderarne intensamente l'annullamento e lo scioglimento dalle nostre catene.
Noi, lettori,fruitori di prodotti artistici, tentiamo inconsciamente questo scrollamento dal peso dell'incoscienza esistenziale proprio attraverso l'arte. Unica arma nuda contro l'errare alla ricerca di noi stessi, per riconoscerci, per lottare con la nostra linea d'ombra, il nostro cuore di tenebra, la bestia inconfessabile che vive in noi. Quel che ci fa vivere il nostro desiderio di eternità. Oppure il nostro taglio perverso.
Proponendoci la lettura di una figura come il Minotauro, che tutto questo incarna, Dovilio ci dona un bandolo della matassa. Un filo che al Minotauro stesso non fu mai offerto.E che solo Teseo, grazie ad Arianna, ricevette. I Labyrintos del Minotauro, raccontano il nostro essere imperfetti, in costante ricerca di una via di uscita dal crocevia nel quale ci ritroviamo.
Dopodichè starà a noi prendere il filo che ci viene offerto e scioglierlo, magari stendendo sui nostri incidenti di percorso una compassionevole sindone. "Daremo un senso ai nostri morti, disubbidendo alla legge del Padre", conclude. con un mezzo sorriso, Brero. Ma qui siamo già alla sua prossima puntata creativa.
Noi, sul crinale della montagna, rimaniamo in attesa.

"Ogni concetto, ogni emozione si presenta alla consapevolezza viva sotto qualche forma primaria. Appartiene all'arte di questa forma. Se suono, alla musica; se parole composte, alla letteratura; le immagini alla poesia; forma, al disegno; colore in posizione, alla pittura; forma o disegno in tre dimensioni, alla scultura; movimento, alla danza o al ritmo della musica o dei versi."
(Ezra Pound)


Torino, aprile 2006

Monica Nucera Mantelli


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