'Opera sull'Opera



Apparato critico di presentazione su Luciano Gallino per la mostra "Le Chitarre Morte" 2006

I veri artisti, da sempre, portano avanti la loro lotta contro il complotto della realtà oggettiva, obbligandoci a proiettare la nostra individualità dentro il loro spazio estetico, per recuperare in questo modo la nostra sensibilità.
Si tratta di sentire il mondo reale tramite i nostri sensi e non solo tramite la nostra mente cartesiana. Si tratta di fare gare di salto tra la nostra logica-ordine, e la nostra emozione-intuizione.
Con le sue inquadrature sulle opere di Dovilio Brero, con l'azzeramento della coerenza di fedeltà reportistica ma semmai per questo ancor più fedele al progetto, con l'uso particolare del frammento, Luciano Gallino ottiene ne LE CHITARRE MORTE il risultato di separare la fotografia dalla rappresentazione, ovvero dalle opere in sé elaborate da Dovilio. Una sfida non facile, fare un'opera su un'opera.
Gli elementi informativi, contestuali fanno parte del suo bagaglio di viaggio. Le opere di Dovilio fotografate da Luciano Gallino si presentano come oggetti estetici fantasmagorici, percettivi. Pur mantenendo fede agli ingredienti presenti nell'opera stessa.
Come in un specchio deformante le cose di sdoppiano, diventano un gioco di strutture, di proporzioni, di colori denuncianti (il rosso tra tutti), di geometrie apparenti. In questo mondo creato dall'azione fotografica di Gallino i circuiti razionali implodono e veniamo introdotti dall'artista nei diversi gradi di ambiguità della realtà, a dimostrazione che lo sguardo fotografico non è mai neutrale.
La fotografia spesso è vittima di un enorme malinteso che la considera un semplice doppio oggettivo della realtà, non tenendo conto della sia essenziale condizione di essere uno sguardo individuale, di essere un modo di guardare la realtà nel suo complesso.
Le fotografie di Luciano Gallino di questo nuovo ciclo legato a LE CHITARRE MORTE non sono DOPPI delle opere sindoni di Dovilio. Sono fanta-immagini di volti noti, ridotte a revisioni, allegorie, stravolgimenti. Simboli pieni o frammentati che offrono una realtà provocatoria e producono nello spettatore uno spiazzamento. Spesso risultano addirittura simili a caricature. Ma bisogna saperle guardare con attenzione.
Ci si trova, tutto ad un tratto, all'interno del nocciolo centrale della percezione di Gallino. E infatti, più qualcosa è reale nella sua totalità, più noi lo percepiamo come surreale. L'effetto di realismo che la fotografia sembra offrirci dipende da strategie dello sguardo del fotografo che spesso coincide col massimo di astrattezza.
Cosa vediamo? Ombre, riflessi, frammenti dei miti che sono stati costruiti intorno a grandi morti: da John Lennon, a Gandhi, a Gesù Cristo, a Martin Luther King e Ipazia*. Le donne, le catene della pace….risvolti di un pensiero sulla memoria e il tormento per ognuna di queste uccisioni. Cogitazioni sull'iniquità di gesti simili perpetrati dall'uomo. Arrovellamenti che ognuno di noi deve ricostruire lentamente in sé, combattendo l'insensibilità e cercando di dare una lettura dell'insieme. Ma quale senso? Attribuire significati alla morte, agli assassinii non ci porterebbe molto lontano, dato che le nostre proiezioni sarebbero sempre soggettive. L'occhio dovrebbe invece cercare di entrare in contatto con la sostanziale immaterialità del vero. Il nostro sguardo dovrebbe tendere verso una conoscenza assoluta, che non lasci spazio né al pensiero né al senso. Provare, come forse riescono gli artisti, a dirigere l'artiglio della domanda verso noi stessi.

Rivoli, ottobre 2006

Monica Nucera Mantelli


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