lass Witnesses



New frontiers between art and design in glass

Titolo Italiano: Il mestiere di vivere l' arte in vetro nel XX secolo

Nell'area lagunare di Venezia, in quella piccola isola che è Murano, la tradizione e i segreti della fucina si tramandano di padre in figlio con nomi di risonanza mondiale come Barovier, Venini, Toso, Ferro, Moretti, Forni, Seguso e molti altri ancora. Famiglie di maestri vetrai che oltre a rappresentare prima il pionierismo e poi il cuore pulsante dell'eccellenza muranese, hanno in alcuni casi fondato degli "studios", aree e laboratori di fucina che hanno dato origine a vere e proprie scuole di produzione di originali e multipli d'autore.
Oggi queste famiglie, sono diventati marchi di levatura mondiale e testimoniano lo squisito elitarismo di un mestiere che, nato popolare, è diventato esclusivo e sempre più addetto ai pochi eletti, sviluppando nell'arco di alcune centinaia di anni una attento mercato di collezionisti ed estimatori soprattutto nel milieu dell'arte contemporanea.
Il vetro soffiato d'artista nasce originariamente come pensiero e realizzazione di un artigiano soffiatore, che parimenti al creativo puro, diventa - per intuizione, gusto e sensibilità - Artista. Il caso italiano più eclatante è, evidentemente, quello del maestro Lino Tagliapietra, che, dai suoi esordi in bottega alla tenera età di undici anni, continua alla veneranda di settantatré la sua rodata ricerca tecnica tra forma e colore negli Usa e a Murano, annoverando collezionisti di altissimo livello in tutto il mondo. Sulla sua scia, artisti di pari levatura sono oggi protagonisti de "XX Century Venetian Glass" mostra collettiva presso l'Eretz Israel Museum di Tel Aviv con opere provenienti da alcune tra le più prestigiose collezioni di fucina muranese e tutti questi artisti si esprimono in modo unico e originale attraverso la maestria della forgiatura in vetro, soffiando direttamente la canna oppure affiancando i maestri vetrai nella realizzazione del loro progetto artistico.
Siano essi maestri soffiatori, artisti del figurativo che vogliono giungere alla tridimensionalità attraverso il vetro, oppure designer, questi creativi si sono innamorati di una forma d'arte nata oltre cinquemila anni fa e ciò che li accomuna tutti è la fascinazione che la fibra silice (sabbia) temprata ad altissime temperature, dal suo originario luogo di provenienza (il mare) torni ad essere mare coagulato, ovvero materia trasparente incarnata in una forma predeterminata.
L'incantesimo che li seduce sta nell'essere testimoni di un miracolo su come qualcosa che nasce come instabile e vibrate al suo stato primordiale, diventi - attraverso i segreti passaggi alchemici scoperti dal maestro soffiatore - un'opera di straordinaria contemporaneità poiché congelata e affermata nella sua identità finale in una forma unica e irripetibile.
Fin dai tempi antichi l'uomo ha avuto il bisogno di esprimersi attraverso segni e forme: l'arte appunto, disciplina che è stata coltivata nei secoli e che si è evoluta in molteplici modalità espressive, ha coltivato e nutrito attraverso codici di volta in volta differenti, la storia dei sentimenti dell'uomo.
Dalle incisioni rupestri, alla Gioconda, sino ai visi scomposti di Picasso - artista che sperimentò sia con la porcellana che col vetro il suo desiderio di tridimensionalità -l'arte si è inserita nel contesto delle scoperte importanti dell'uomo: dai pigmenti e metalli che ad alta cottura si trasmutano in colori, sino alla scoperta che dalla sabbia si potesse ottenere il vetro. Si pensi come nel mondo romano, il vetro non è stato soltanto materiale per la produzione di straordinari oggetti artistici, ma ha consentito di approfondire le conoscenze scientifiche e tecnologiche. Un esempio tra tutti è stata la recente straordinaria esposizione in Italia di oltre 400 reperti di opere e manufatti in vetrofusione e soffiatura provenienti prevalentemente dai depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e dall'Antiquarium della Soprintendenza Archeologica di Pompei.
Ed è proprio nell'arte in vetro, un tempo considerata artigianato o arte applicata - dunque minore, oggi invece degna costola dell'espressione scultorea contemporanea, sono nate opere come "Armonia geometrica" e "Unione Ideale" di Livio Seguso, e più avanti, in un percorso evolutivo tra concetto-idea e progetto,le più squisitamente mitologico-leggendarie di Lucio Bubacco e Silvano Rubino, quest'ultimo sovente impegnato sul tema plastico della "danza". Bubacco, in particolare, ha raccolto l'eredità settecentesca di quella tecnica paziente e minuziosa che si chiama "a lume", una particolare lavorazione del vetro che utilizza delle bacchette di vetro prodotte a Murano con un cannello a 1500 gradi. Bubacco ama le architetture gotico-bizantine della sua città natale, Venezia, e unisce nel suo lavoro il ricordo di queste con la passione per l'epopea greca. La risultanza è una produzione citazionistica di elementi tratti dal mondo pagano - vedasi i "Baccanals in the Trees" e "The Birth of the eternal flame" e "Sogno di una cena" dove il messaggio dell'artista e particolarmente adatto al mezzo vetro, in quanto l'utilizzo di questa tecnica afferma la sua personale preferenza verso la visione di un futuro migliore attraverso una intelligente rivisitazione del passato. Un altro esempio sono appunto le opere zooforme di Tony Zuccheri - "Galletto", "Anitra" "Gabbiano" e "Pappagallo", quasi tratte da un borgesiano bestiario immaginifico. In definitiva l'appeal del vetro per questi artisti e' alquanto tradizionale, ovvero si misura attraverso la consistenza solida della forma, capace di testimoniare, come diceva Italo Calvino, il mestiere di vivere e il riscatto della verticalità temporale del presente.
E' giusto precisare che in questa esposizione museale, in molti casi l'intervento sull'opera "colta" è duplice: sono molti infatti i casi in cui l'opera nasce da un'idea madre (solitamente supportata da una serie di schizzi e disegni preparatori) che viene poi materialmente eseguita da competenti maestri vetrai sovente anche di grande caratura artistica, che forniscono all'artista soluzioni formali o variazioni di percorso. Si pensi alla famiglia Signoretto, di cui Pino è indiscussa punta di diamante nella produzione artistica, sia per originalità dei soggetti che per perizia tecnica.
Nella fucina della Berengo Fine Arts, ad esempio, oltre a maestri soffiatori come il fratello Silvano (fratello di Pino Signoretto) o Danilo Zanella, sono invitati artisti di formazione pittorica o scultorea già ben presenti sul mercato dell'arte contemporanea colta. Nomi storici come Riccardo Licata - con i suoi inconfondibili e coloratissimi geroglifici emersi da un ipotetico fondale marino, a memento dell'importanza della memoria della storia del linguaggio umano, segnano la loro ricerca intellettuale in vetro lavorando con il maestro vetraio per dar forma a vere e proprie sculture. Per Licata in questa mostra si chiamano "Torneo" e "Trio". Sempre per rimanere in compagnia di artisti storici, ecco il piemontese Pino Castagna - con i suoi imponenti e raffinati "Canneti", che si unisce a artisti contemporanei come il bergamasco Luigi Benzoni o il belga Koen Vanmechelen - per concepire l'opera, affiancando con rispetto e condivisione di progetto, i tecnici del mestiere, ovvero i soffiatori del vetro.
Una produzione impavida, quella di Vanmechelen anche per l'esaltazione geniale del messaggio essenziale e "cutting edge", di queste uova-disvelamento che camminano grazie ad appositi inserti di metallo. Le uova di Koen sono ispirate alla metafora del mistero dell'evoluzione umana attraverso gli incroci e sono una delle prime tappe del suo del "Cosmopolitan Chicken Project". Ci sono poi opere più intime, riservate e spirituali, con i "Beatus Vir" e le "Modulazioni", di Benzoni: volti che ritraggono l eterno sacro che soggiace nell' apparente dormienza dell animo umano. Oppure ancora divertenti, piene di provocazioni ironiche come "Detergens" e "Bicchieri in pillole" della veneziana Maria Grazia Rosin. Oggetti solidi e tangibili, al massimo del loro potenziale concettuale, ma decisamente arricchiti dall' esperienza in binomio produttivo con il maestro soffiatore.
Sostano anche, nella mostra proposta a Tel A Viv quest'anno, opere di designer mondiali, che usualmente firmano linee di interior design di prestigio e imponenti progetti di architettura come appunto la sofisticata Laura De Santillana o il carismatico architetto David Palterer.
Laura de Santillana, che dopo aver studiato il meglio del graphic design d'avanguardia a New York e ritornata a Venezia, suo paese natale, e ha cominciato a progettare opere in vetro, sospese tra mito e futuro, mantenendo un approccio spiritual-concettuale al lavoro. Laura presenta qui un lavoro silenziosamente intellettuale dal titolo "Anima". Palterer è piu' dissacrante. Porta in mostra sia i vasi "Zande" che "Lulua", che "Karakiri" e "Koz", opere di gusto e colore che non sono puri oggetti di design. Per entrambi, come per lo stesso Carcerano con "Creativity", questi lavori non nascono per nutrire i fabbisogni dei grandi numeri - come normalmente avviene per la produzione del design nel settore industriale - ma rispondono piuttosto a criteri di proporzione, armonia e forma tipici dell' opera d'arte e che, se trasformati in larga scala possono aspirare ad essere considerati oggetti di produzione industriale, ma in realtà rimango icone dell'estetica, e forse in alcuni casi, del pensiero, del moto più intimo del designer.
E' pur vero che il designer è fondamentalmente diverso dall'artista. Lavora in un gruppo organizzato secondo il problema da risolvere. Non lavora per un élite, ma per il largo consumo. Non esegue a mano il suo lavoro. Ma quando costui, che normalmente si muove in ambito industriale, si avvicina alla singolarità produttiva del vetro soffiato, seppur mantenendo una logica progettazione "ingegnerizzata", finisce con l'entrare - per proprietà stessa del materiale mutevole e indomabile - nel merito di un discorso-stile molto diverso. La forma finale degli oggetti non è solo il risultato logico di una progettazione che si propone di risolvere nel modo ottimale tutte le componenti di un problema progettuale, bensì diventa la voce intima che normalmente non si può esprimere quando si rivolge alla prototipazione e produzione seriale. Ed è proprio qui che il vetro soffiato sa far da degno ponte tra arte tradizionale e design innovativo: ricordandoci le origini da cui tutto proviene. Come in un rewind, esso ci riporta indietro, ci rimanda alle origini, ci ricongiunge alla terra, al solido, al concreto, ai quattro elementi: acqua - aria- terra - fuoco.
Da tutti e quattro questi elementi esso ha bisogno di essere forgiato: dalla terra da cui proviene nelle sua fibra silice, dall'aria con cui deve essere soffiato per essere lavorato, dal fuoco con cui deve essere cotto, dall' acqua con cui deve essere temprato più volte durante la sua creazione per diventare solido e fermo. Ma è solo l'Artista che vi infonde il quinto elemento, l'esprit (l'intuizione che va Oltre) con cui il lavoro artigiano diventa opera d'arte.
Pensiamo dunque alla produzione del giapponese Yoichi Ohira, che negli anni Settanta si nutre dell'esperienza nella Fucina degli Angeli diretta da Egidio Costantini e realizza opere con forti rimandi agli elementi della natura: montagne, torrenti, colate di lava. Ohira unisce le complesse tecniche di soffiatura del vetro con intrusioni di murrine, avventurina, granulare and pigmenti vari per realizzare il suo "Notturno", "Colata di lava" e "Torrenti azzurri" . Un altro Costantini, questa volta di nome Vittorio ma comunque sempre discendente della grande famiglia di maestri vetrai, e' presente in mostra con le opere "Vita nelle acque dolci" e "Creature dalla laguna". C'e' poi un giovane designer pisano, Antonio Cagianelli, con il suo "Vetro a Bolle", dove rifà il verso del vetro agli elementi che ad esso più si avvicinano - l'acqua e l'aria, con essenziale, nitida contemporaneità. Oppure ancora un veneziano di estrazione pittorica come Cristiano Bianchin, allievo di Emilio Vedova, che realizza elegantissime opere zoomorfe, antiche e quanto mai inquietantemente attuali come i "Fusi", elogiati dallo stesso Enzo Biffi Gentili, da sempre cultore del bello tradizionale, oppure fuori registro, come gli Utensili scorticati (Tools - scraped). Riportando queste considerazioni all'ambito che ci interessa, se ne deduce che l'estetica, intesa nella prospettiva del designer consapevole del suo ruolo di artista, eppur affascinato dall'esclusività del vetro soffiato, non appare contrapposta agli obiettivi dell'usabilità. La funzionalità di un oggetto è un elemento utile ma non più fondamentale per un' interazione positiva.
Perché dunque un ritorno dell'arte al figurativo, al tangibile, al formale, in un momento della storia dove l'espressione culturale si muove verso l'intangibile, l'etereo, l'impalpabile? Forse perché torna a farsi sentire l'esigenza di ricostruire una qualche "nuova" identità al prodotto creativo che per consuetudine continuiamo a definire opera d'arte. Forse proprio perché oramai quest'ultima oramai sconfina nel design, oppure perché il design (applicato) sta entrando a far parte di essa.
Si pensi alla produzione concettuale di Federica Marangoni, dove è evidente un substrato di pensiero che deriva dal mondo del design industriale, ma altrettanto singolare la sua proposta che poggia nuovamente sul mito, questa volta del minotauro, la creatura mezza uomo e mezza toro che appunto grazie al Filo di Arianna riesce a uscire dal labirinto. Un rimando all'angosciante costrizione moderna che l uomo contemporaneo subisce e di cui trova via di uscita solo attraverso lo sguardo alla storia passata?
Va da sé, quindi, che l'arte muta, e ritorna su se stessa, come la moda dei consumi e dei desideri. A riguardo si è fatta strada nel fare dei designer, artisti e architetti, una conoscenza-consapevolezza del proprio ruolo e lavoro intesa come revisione continua delle proprie osservazioni e come verifica progressiva dell'evoluzione formale e umana, che si basano su un dato di esperienza emotiva oltre che di risposta alle richieste di crescente prestazione e funzionalità del mercato.
In un momento di crisi estetica della creatività, il vetro soffiato, con il suo impatto emotivo, la sua necessità di luce per essere apprezzato e la sua riconduzione ad una forma comprensibile, rappresenta una vera e propria risorsa di rigenerazione artistica, culturale e sociale. Ma occorre prenderne coscienza e averne conoscenza. Altrimenti si rischia di far passare del buon artigianato per Arte, e viceversa.
Un esempio interessante riguarda la produzione artistica che sconfina nell'arte applicata. E' il mirabile lavoro in vetrofusione di Silvio Vigliaturo, che in questa esposizione presenta il popolarissimo "Giullare", frutto di una ultradecennale ricerca nei temi a lui più cari. Il giullare è colui che racconta anche le verità scomode e può farlo anche parlando direttamente al re, poiché è un personaggio al di sopra dei ruoli sociali e delle regole. Come Arlecchino. Ma per ottenere quei colori Silvio ha lavorato molti anni, sperimentando molte tecniche.
Dunque l'arte è Arte se continua investire nella ricerca. Ricerca di pensiero, innanzi tutto. Ma anche di lavoro di fucina, esattamente come un alchimista. La differenza sta solo nel campo e negli obiettivi più o meno strategici di chi decide di crederci ed investire le proprie energie e capitali. Si tratti di colossi come Venini o Moretti o di imprenditori più piccoli, gli artisti stessi.
La ricerca di base è dunque la parola chiave nella qualità della creatività estetica. Nello scibile della creazione artistica, è l'approccio di ricerca da parte del mecenate artistico che fa progredire la qualità del lavoro, poiché pensa il possibile di ora e cerca il probabile di domani. A questo unisce la ricerca applicata, quella che pensa il probabile e lo rende fattibile.
E fin qui rimane un imprenditore della cultura artigiana che si incarna nell'Arte grazie alle sue scelte oculate nella scelta degli artisti. Ma il giorno in cui si volesse muovere in una produzione di design - come nel caso delle lampade dell'architetto e designer Piero Luigi Carcerano "Creativity" e "Castore e Polluce", occorrerebbe fare una ricerca industriale per pensare il fattibile e renderlo cultura quotidiana, ovvero alla portata di tutti. Cosa che oggi queste opere presenti in mostra non sono, poiché rappresentano un bene esclusivo e unico nel suo genere. Questa è sostanzialmente la differenza tra un'opera d'arte e un oggetto di design.

Miami, gennaio 2006, Progetto per Miami Art Fair

Monica Nucera Mantelli


Scarica il file PDF

Glass Witnesses at Tel Aviv (file PDF)