Riministoria © Antonio Montanari Nozzoli
il Rimino, n. 72, anno III, ottobre 2001
Redazione: via Emilia 23 (Celle), 47921 Rimini RN Italy  - Tel. 0541.740173
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Sommario di questo numero
Tam-Tama
798. I nostri modelli
799. Camomilla
800. Mano sul petto
801. Autoscatto
STORIA
Faustina Zavagli, biografia
Storia di Cervia
Liber@mente
Indici del sito Riministoria
Gli Archivi di Riministoriadal "Ponte"
 

Al sommario di questo numero

Tam Tama 798. I nostri modelli

Git Ander, cane pastore tedesco che aveva partecipato alle operazioni di soccorso al Word Trade Center di Nuova York, è stato scambiato dalla polizia per un randagio, ed ucciso con 11 colpi mentre il suo padrone aveva fermato una persona sospetta.

E’ sempre più facile sbagliare che fare la cosa giusta. Come avevo ipotizzato due settimane fa, siamo precipitati in un clima da caccia alle streghe. Il parlamentare (e giornalista) Paolo Guzzanti definisce il pacifismo come «talebano, catto-fascio-comunista, acre, aggressivo, ignorante». Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 26.9) scrive che nei giorni di Genova «tante brave e miti persone» parlavano del G8 «più o meno negli stessi termini in cui ne parla Bin Ladèn». Lo stesso giorno da Berlino, Silvio Berlusconi ripete: c’è una «singolare coincidenza tra islamici e antiglobal». Ed aggiunge che la nostra civiltà è superiore alle altre per «principi e valori che hanno portato a un largo benessere».

Lo storico Franco Cardini, pur stando dalla stessa parte politica, esprime «una certa perplessità»: la colpa è «dei mediocri consiglieri» culturali del Cavaliere. Massimo D’Alema, a cui Berlusconi deve parecchio, più che a Bossi, parla di una «gaffe planetaria». La Lega Araba, invece, di inaccettabile razzismo. Tre settimane fa due grandi giornali degli Usa avevano scritto che «Berlusconi preoccupa l’Europa» in quanto premier, industriale e controllore di mass-media. Adesso preoccupa quasi tutta la stampa occidentale. Per Le Monde l’Italia sta rilanciando la pericolosa idea d’uno «scontro di civiltà».

Berlusconi torna sull’argomento in Senato. Scrive il Corriere della Sera (29.9) che egli «non ha chiesto scusa». Lo stesso sostiene anche La Stampa a pagina tre, mentre in prima lancia un granitico: «Berlusconi si scusa: frainteso sull’Islam». Berlusconi non smentisce nulla, si dispiace che «qualche parola» del suo discorso sia stata male interpretata dai suoi amici arabi e musulmani, accusa «qualche politicante ipocrita e anche qualche stolto» di aver inventato il caso, e ribadisce: ci sono (pochi) giovani che tendono «a ragionare con gli stessi schemi dei nemici dei nostri modelli». Ma tra questi «modelli» non c’era finora anche il diritto di dissentire dalle opinioni prevalenti?

Secondo Berlusconi, tocca a noi occidentali «continuare a conquistare popoli», culturalmente, traghettandoli sulle sponde della democrazia. Non venite però da clandestini.

Antonio Montanari [il Ponte n. 35, 7.10.2001, Tam-Tama 798]

Tam Tama 799. Camomilla

In Usa Disneyland ha chiuso. Da noi il divertimento prosegue. Alla Camera i deputati si trattano bene, a colpi di cornuto e talebano. Ubriacone ha urlato Fassino. A chi, si è chiesta Striscia. A Bossi, risponde con garbo Fassino.
Anche i giornali stranieri non scherzano. Per il Guardian, «Berlusconi riprende il vecchio progetto della P2». L'Economist: «cattiva sorte e guida goffa su una strada insidiosa». Il Cavaliere confida agli intimi: non solo la tv di Stato ed i grandi quotidiani nazionali ce l'hanno con noi, ma pure Il Foglio di Giuliano Ferrara è vittima della manovre dei comunisti. Sulla legge delle rogatorie, Il Foglio ha scritto: «C'è un interesse a proteggere il presidente del Consiglio dietro la grinta con cui la maggioranza si è battuta per far passare quel testo». Proprietaria del Foglio risulta la consorte di Berlusconi. Nasce il sospetto che il morbo sovietico abbia contagiato la villa di Arcore. Il Foglio ha scritto anche contro i Bush: per un gasdotto in Afghanistan sarebbero in affari con i Bin Ladèn. Parenti.
Berlusconi al Senato ha detto «E se devo essere impiccato a una sola parola… allora dico: impiccatemi pure». Un lettore trascrive sulla Stampa una frase pronunciata da Benito Mussolini alla Camera, 3 gennaio 1925, dopo il delitto Matteotti: «Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda…».
Per Don Baget Bozzo «il Papa non ha una parola per dire che quel terrorismo è un atto religioso anticristiano». Dopo 24 ore fa retromarcia, ed ammette: ho sbagliato, sono costernato. Intanto Palazzo Chigi precisa che Baget Bozzo non è un «consigliere» di Berlusconi. Involontaria dichiarazione che il capo sa sbagliare da solo e non ha bisogno dei suggerimenti altrui?
Enzo Biagi dissente dalle scelte della Rai di inviare delle giornaliste in zona di guerra: non ci sono maschietti da esportazione?
Tony Blair alla Camera dei Comuni ha allertato la Nazione: per la guerra «i nostri obiettivi immediati sono chiari». Il ministro italiano della Difesa, Tony Martino, ha tranquillizzato il Bel Paese: la Nato ci chiede misure militari «limitate, di basso profilo». Non si fidano? Per un secolo abbiamo dimostrato un concetto vago di alleanza, ed incerto di coerenza. Appariamo come quella diva raccontata da Luciana Littizzetto: «bevve il collirio offertole da una truccatrice perché aveva sentito che era alla camomilla e lei aveva gli occhi stanchi».

Antonio Montanari [il Ponte n. 36, 14.10.2001, Tam-Tama 799]

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Tam Tama 800. Mano sul petto

Git Ander, cane pastore tedesco che aveva partecipato alle operazioni di soccorso al Word Trade Center di Nuova York, è stato scambiato dalla polizia per un randagio, ed ucciso con 11 colpi mentre il suo padrone aveva fermato una persona sospetta.

E’ sempre più facile sbagliare che fare la cosa giusta. Come avevo ipotizzato due settimane fa, siamo precipitati in un clima da caccia alle streghe. Il parlamentare (e giornalista) Paolo Guzzanti definisce il pacifismo come «talebano, catto-fascio-comunista, acre, aggressivo, ignorante». Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 26.9) scrive che nei giorni di Genova «tante brave e miti persone» parlavano del G8 «più o meno negli stessi termini in cui ne parla Bin Ladèn». Lo stesso giorno da Berlino, Silvio Berlusconi ripete: c’è una «singolare coincidenza tra islamici e antiglobal». Ed aggiunge che la nostra civiltà è superiore alle altre per «principi e valori che hanno portato a un largo benessere».

Lo storico Franco Cardini, pur stando dalla stessa parte politica, esprime «una certa perplessità»: la colpa è «dei mediocri consiglieri» culturali del Cavaliere. Massimo D’Alema, a cui Berlusconi deve parecchio, più che a Bossi, parla di una «gaffe planetaria». La Lega Araba, invece, di inaccettabile razzismo. Tre settimane fa due grandi giornali degli Usa avevano scritto che «Berlusconi preoccupa l’Europa» in quanto premier, industriale e controllore di mass-media. Adesso preoccupa quasi tutta la stampa occidentale. Per Le Monde l’Italia sta rilanciando la pericolosa idea d’uno «scontro di civiltà».

Berlusconi torna sull’argomento in Senato. Scrive il Corriere della Sera (29.9) che egli «non ha chiesto scusa». Lo stesso sostiene anche La Stampa a pagina tre, mentre in prima lancia un granitico: «Berlusconi si scusa: frainteso sull’Islam». Berlusconi non smentisce nulla, si dispiace che «qualche parola» del suo discorso sia stata male interpretata dai suoi amici arabi e musulmani, accusa «qualche politicante ipocrita e anche qualche stolto» di aver inventato il caso, e ribadisce: ci sono (pochi) giovani che tendono «a ragionare con gli stessi schemi dei nemici dei nostri modelli». Ma tra questi «modelli» non c’era finora anche il diritto di dissentire dalle opinioni prevalenti?

Secondo Berlusconi, tocca a noi occidentali «continuare a conquistare popoli», culturalmente, traghettandoli sulle sponde della democrazia. Non venite però da clandestini.

Antonio Montanari [il Ponte n. 37, 21.10.2001, Tam-Tama 800]

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Tam Tama 801. Autoscatto

Il Censimento ci ha fotografati. Chissà come siamo "venuti". Per ogni immagine di gruppo, succedono sempre le stesse cose. Qualcuno fa le corna al vicino: con d'Alema, Amato non ha resistito alla tentazione.
D'Alema aveva dichiarato che al pre-vertice di Gand tra Chirac, Blair e Schroeder, l'Italia non era stata ammessa perché il nostro governo «non gode di una particolare stima a livello internazionale». Per Amato anche una coalizione di centro-sinistra «in questa situazione, sarebbe stata in difficoltà».
A Berlusconi, nonostante il conforto di Amato, il fatto di Gand è rimasto sul gozzo. Seguendo l'insegnamento di d'Alema, se l'è presa subito con i giornalisti: «Nessuna dichiarazione, non mi fido più, per i prossimi quattro anni non mi avrete». Poi, al solito, si è corretto: «Mi riferivo alle cose rubate cammin facendo, non alle dichiarazioni ufficiali». Per fortuna, a Berlusconi ha riportato il sorriso la Cassazione assolvendolo per la vicenda delle bustarelle ad ufficiali della Guardia di finanza. E gli ha dato la forza di scrivere una lunga lettera al Corriere della Sera, reo di aver anticipato la notizia del suo coinvolgimento nel 1994, con anche la voglia di scherzare: «Oggi tutto si può dire tranne che io sia postumo a me stesso». (Ecco la forza del pensiero debole.)
Tutto si può dire. Altan ha disegnato una vignetta: «Instancabile attività del cav. Silvio Banana per tenere alto il nomignolo del Paese nel mondo». Il New York Times ipotizza una cotta di Berlusconi per Bush a consolazione dell'ostilità manifestatagli da alcuni governi europei. Secondo Curzio Maltese è meritoria l'opera del ministro Renato Ruggiero che «da mesi cerca di impedire che la politica estera italiana si trasformi nel Carnevale di Rio».
Ruggiero ha fatto fretta agli Usa per la campagna afghana («le operazioni devono raggiungere il loro obiettivo»), ed ha garantito un «grande ruolo» dell'Italia nella ricostruzione di quel Paese (ormai fantasma). Francesco Cossiga lo ha graffiato: il «coniglio Rocky» vuole una Fiat afghana, «dopo che altri Paesi avranno fatto il lavoro sporco».
Tutto si può dire. Per Carlo Rossella finirà nei libri di Storia questa frase di Bush: «Silvio Berlusconi è un mio amico e buon amico dell'America». Forse è bene non dimenticare queste parole della scrittrice indiana Arundhati Roy: nel 1979 gli Usa, con la Cia in Afghanistan contro i russi, hanno finanziato una guerra contro loro stessi.

Antonio Montanari [il Ponte n. 38, 28.10.2001, Tam-Tama 801]

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Faustina Zavagli
Una biografia della fondatrice
delle Francescane di Rimini

Le chiamano all'antica le suore di sant’Onofrio, ma il loro vero nome è oggi quello di Francescane Missionarie di Cristo.

Sant’Onofrio è la chiesa dove il 16 aprile 1885 Faustina Zavagli emette i voti religiosi temporanei assumendo il nome di suor Maria Teresa di Gesù Crocifisso, ed avviando l’omonima Congregazione delle suore terziarie francescane. L’anno successivo madre Zavagli ottiene il permesso ecclesiastico per accogliere le educande, e fonda il Collegio sant’Onofrio.


A madre Zavagli (1835-1910) è dedicato il volume curato dal padre cappuccino Lorenzo da Fara, con prefazione del nostro vescovo Mariano il quale scrive: «Plaudo di vero cuore a questa pubblicazione, mentre si sta per chiudere, in Diocesi, il ‘processo storico’ sulle virtù della Serva di Dio Madre Teresa di Gesù Crocifisso, al secolo contessa Faustina Zavagli».

Padre Lorenzo introduce la biografia di madre Zavagli con argute osservazioni su Rimini, città «sempre tesa tra dolcezza sofferente del crocifisso del Tempio Malatestiani, la sensualità del Cagnacci, la nobiltà della Pietà di Giovanni Bellini, l’austera sobrietà dell’Arco di Augusto e la misteriosa eleganza del Tempio Malatestiano»: «la cultura riminese si riduce a sintesi di un mondo difficile da decifrare: caparbio come il mondo contadino e luminoso come quello marittimo».

Madre Zavagli «riassume e incarna questo complesso mondo culturale e religioso, con una forza e un nitore sconvolgenti (…), affascinata dalla contemplazione e sempre rapita da un bisogno di servizio, educata nella nobiltà terrena e sedotta dalla povertà francescana».

Figlia del riminese conte Ettore Zavagli, il cui palazzo esiste tuttora in via Carlo Farini, e della bolognese contessa Enrichetta Cappi, Faustina nasce penultima di quattro maschi e di altrettante femmine.

Avviata a Fano come educanda a tredici anni al monastero delle Rocchettine (canonichesse agostiniane lateranensi), vi resta sino ai diciotto, quando anziché tornare in famiglia chiede si essere ammessa come novizia: «Suo Maria Teresa si lasciò prender la mano dal suo fervore penitenziale. (…) Volle vivere la sua vita penitente con qualche supplemento eccessivo e, purtroppo, senza il consenso di nessuno. La salute ne soffrì».

Muore sua mamma, il padre ha problemi economici, l’ultimo nato, Gomberto, «sembra si fosse staccato da papà» con «atteggiamenti piuttosto polemici e irrispettosi». Il padre ha scrupoli anche sulle cause della scelta monastica di Faustina. La figlia però lo rassicura, scrivendogli: «Mi ha sempre amato; e non solo a me, ma a tutti senza nessuna parzialità».

Ammessa alla professione nel 1854 dopo un supplemento di cinque mesi ai dodici regolari di noviziato (forse per qualche sua mancanza), rinunzia alla dote paterna.

La Zavagli si dimostra favorevole all’indirizzo austero e comunitario dei beni, impresso dalla abbadessa Billi. Per questo motivo è avversata dalla madre vicaria: «si accorse che qualcuna frugava nel cassetto personale dove custodiva la corrispondenza».

Scrive padre Lorenzo: «Inevitabilmente si stava creando intorno a suor Maria Teresa un’atmosfera irrespirabile, decisamente pesante». Morta nel ‘56 l’abbadessa Billi, e succedutale proprio la vicaria che non l’aveva in simpatia, madre Zavagli vede peggiorare le proprie condizioni fisiche.

Nel ‘58 muore suo padre. Nel ‘61, finito il potere temporale della Chiesa nelle Marche, è soppresso il suo ordine: la Zavagli torna a casa il 5 maggio, con «la salute in crisi e senza soccorsi finanziari», su decisione del vescovo di Fano ed in seguito ad un certificato medico che la definisce «di temperamento collerico nervoso» e che ipotizza: «continuando essa a vivere in clausura», potrebbe «quanto prima cadere in assoluta demenza».

Il decreto di esclaustrazione ha validità di un anno. Madre Zavagli si sistema con una domestica (Angelica Bertola, uscita dall’orfanotrofio dei Servi), in una casa affittata in via Garibaldi, prima di trasferirsi nel palazzo di famiglia. Ha 26 anni, ed appare «di una bellezza meravigliosa». Un capitano austriaco, amico del fratello Gomberto, la corteggia. Anche se la condotta di madre Zavagli è sempre limpida e rigorosa, attorno a lei nascono pettegolezzi che sono riferiti puntualmente pure al vescovo di Fano.

Partito da Rimini il capitano e lasciata la casa del fratello, la Zavagli ritorna in quella di via Garibaldi, votandosi all’assistenza dei poveri. La sua prima ospite è una bimba di tre o quattro ani, Elvira Ferri.

Madre Teresa si avvicina al Terz’Ordine francescano, influenzata dall’esperienza di Angela Molari, “la santa di Rimini”. Nel 1877 ottiene da Roma di vivere ‘nel secolo’, e tre anni dopo chiede di entrare tra le clarisse cappuccine di Bagnacavallo e le clarisse di Ferrara: in entrambi casi, per sopraggiunta malattia, deve rinunciare.

Nel 1882 il vescovo di Rimini, Francesco Battaglini, la tranquillizza ed incoraggia: «Guàrdati attorno e servi». Allo scopo, le concede un locale presso la chiesa di sant’Onofrio, dove con la sua domestica Angelica Bertola, ospita bambine povere e bisognose.

Comincia così la sua nuova pagina di vita spirituale e caritativa. Nell’84 inizia il noviziato da terziaria francescana consacrata (e non più secolare). L’anno successivo emette la professione temporanea che ho già ricordato all’inizio di questa nota. La segue nel suo cammino Angelica Bertola che diviene suor Maria dell’Addolorata.

Sotto i nostri occhi è l’eredità dell’esempio di madre Teresa Zavagli, che l’interessante opera di padre Lorenzo da Fara documenta, illustrando anche l’attività di chi a lei si è ispirata nel tempo successivo sino ai nostri giorni.

Antonio Montanari

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Storia di Cervia

Nel terzo volume della «Storia di Cervia» dedicato all'età moderna, Antonio Montanari ha curato un capitolo sul secolo XVIII, in cui si parla anche di cose nostre: infatti nel 1799 il vescovo della "città del sale" è inviato dagli Austriaci a Rimini, per riportare alla normalità la nostra popolazione, sottomessa ad una specie di dittatura popolare dei marinai.
Il volume, come i precedenti, è stato pubblicato dall'editore Bruno Ghigi. Esso è diviso in due tomi.

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Liber@mente

«In Italia abbiamo un significativo ceto a reddito elevato a vocazione qualunquista, che finanzia squadre di calcio ma non le Università e la ricerca».
Paolo Savona

«E' necessario incominciare a pensare secondo le linee di una nuova geografia economica, basata sulle civiltà [...] in quanto le culture determinano motivazioni di fondo molto diverse e le etnie detengono il controllo di risorse economiche diseguali e molto diverse l’una dall'altra».
Mario Deaglio

«L'innocenza della nostra generazione è persa per sempre».
Julian Zelizer, professore di Storia all'Università di Albany, USA.

«A Karachi si incontrano persone straordinarie, di mente aperta e di cultura raffinata. Però la distanza tra ricchi e poveri è veramente troppo profonda».
Vittorio Coco, imprenditore italiano a Nuova York

«Per divenire uno storico, le idee, i documenti, le fonti non bastano. Bisogna essere un grande scrittore, e solo allora la rappresentazione delle passioni umane non risulta arida e fredda».
Giovanni Macchia

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"… e nessuno tenti di muovere obbiezioni a questo discorso perché io lo rivolgo a chi vuole e rispetta la verità,
non ai falsari."
Indro Montanelli, Corriere della sera, 15 febbraio 2001


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