Riministoria © Antonio Montanari

Antonio Montanari

«Contro il volere del padre»
Diamante Garampi, il suo matrimonio,
ed altre vicende riguardanti la condizione femminile
nel secolo XVIII
«Studi Romagnoli 2001»
Sintesi



Non sono eroine o protagoniste eccellenti, le donne le cui vicende ho analizzato in questo mio lavoro.
Alcune sono state illuminate in vita da un bagliore di notorietà. Una qualche memoria ne è stata così concessa ai posteri.
Altre sono invece figure completamente sconosciute od ignorate. Il loro ricordo è affidato a documenti mai esaminati oppure non approfonditi.
Il filo rosso che unisce le loro storie, l'ho individuato nel ruolo subordinato che tutte queste donne del XVIII secolo, sono state costrette a vivere, obbedendo ad un volere superiore.
Alcune ne sono rimaste vittime. Altre vi si sono platealmente ribellate, non per amara e gratuita vendetta, ma per affermare la propria dignità.
In ogni momento della loro esistenza, cè sempre un «padre», che non è soltanto quello biologico, un capo al quale sono attribuiti il diritto e lobbligo di imporre regole e divieti, con lautorizzazione a punire disobbedienze e rivolte.
In quel tempo si riteneva che la debolezza, e quindi anche la conseguente sottomissione femminile, fossero effetti di una causa fisiologica, e pertanto naturale.
Labate Ferdinando Galiani, nel suo Dialogo delle donne, sostenne al contrario che debolezza e sottomissione derivano dalleducazione impartita e dal «sistema dei nostri costumi».
Il «sistema dei costumi» settecenteschi emerge chiaramente dalle singole vicende che ho preso in considerazione.


1. Diamante Garampi

A diciotto anni, il 25 aprile 1764, a Rimini, la nobile Diamante Garampi sposa Nicola Martinelli, non ancora ventiduenne, mandando a monte il progetto matrimoniale del proprio padre che le aveva scelto come futuro consorte un loro parente, il marchese Pietro Belmonti.
Diamante decise di ribellarsi con un clamoroso colpo di testa il 16 ottobre 1763, mentre erano in corso le trattative fra le due famiglie Garampi e Belmonti, e quando il promesso sposo Pietro Belmonti faceva da cavalier servente alla moglie del conte Galeazzo Cima.
Diamante, come scrive il cronista Ernesto Capobelli, «per isfuggir anche la soggezione del padre», su consiglio del conte Nicola Martinelli, «sappigliò alla risoluzione di nascondersi in convento».
Appunto nel pomeriggio del 16 ottobre 1763, in compagnia del padre, Diamante si reca «a far una visita a più Monache nel Monastero di S. Eufemia».
Alla sera, al momento del congedo, Diamante «si slanciò dimprovviso» dentro il monastero «rispondendo con arditezza al padre, che per allora non gradiva, né voleva ritornare alla propria abitazione, bensì era rissoluta di trattenersi in quel luogo, stante la licenza ottenuta da Roma».
Diamante Garampi rimase nel monastero di SantEufemia, sino all8 gennaio 1764, quando fece ritorno alla casa paterna. Qui restò soltanto fino al 13 dello stesso mese, quando si isolò in un altro monastero, quello di San Matteo, allo scopo di prepararsi alle nozze con Nicola Martinelli.
«Dama di grande spirito, e di particolare avvenenza», «la più bella Donna mai veduta», la definiscono altri cronisti.
In una pubblicazione a stampa su una causa civile relativa alla sua famiglia, si legge che Diamante «vivendo a capriccio volle anche a capriccio e contro il volere del Padre unirsi in matrimonio».


2. Catterina Vizzani

Nel 1744 il medico riminese Giovanni Bianchi (Iano Planco), docente di Anatomia umana, allUniversità di Siena, pubblica la Breve storia della vita di Catterina Vizzani Romana che per ottanni vestì abito da uomo in qualità di Servidore la quale dopo varj Casi essendo in fine stata uccisa fu trovata Pulcella nella sezzione del suo Cadavero.
Lopera di Bianchi non è, come ordinariamente la si considera, un trattatello di Anatomia.
Sugli «strani veramente ed incredibili […] appetiti umani» di Catterina, Bianchi imbastisce una specie di novella decameroniana, seguendo un genere da lui già frequentato in gioventù.
Dallopera di Boccaccio, Bianchi prende in prestito molti elementi.
Anzitutto, lidea della potenza dAmore che non si ferma davanti a nessun ostacolo, compresa la morte: nellintroduzione alla quarta giornata del Decameron, si fa consistere lAmore in una «forza della natura».
Boccaccio invita a considerare il «piacere» come componente irrinunciabile dellesistenza. Catterina Vizzani, in nome di Amore, scrive Bianchi, «grandi disastri ha sofferti, e in fine la morte medesima crudelmente ha incontrata».
Boccaccio, inoltre, parla di «appetiti» irresistibili che non possono esser soffocati ponendo sul capo di una giovane la benda bianca, ed indosso una nera cocolla.
La forza dAmore porta Catterina a travestirsi da uomo, indossando «un bel Piuolo di Cuojo ripieno di cenci»: questo particolare è censurato a Venezia, dal Revisore per lInquisizione, per cui loperetta di Bianchi esce alla macchia a Firenze, con però la falsa indicazione del vero tipografo veneziano Simone Occhi.
Caterina Vizzani, ferita a morte da un sicario inviatole dallo zio prete della ragazza con cui era fuggita, confida in punto di morte ad una monaca la sua condizione di vergine, che lautopsia conferma.
Dopo il decesso, il suo corpo è esposto in Chiesa: il popolo, scrive Bianchi, «da tutta la Città accorreva per vederla, massimamente ancora perché alcuni dordine religioso pretendevano che per aver serbata con tanta costanza castità con gli uomini fosse Santa». E inevitabile pensare al ser Ciappelletto del Boccaccio, venerato come «santo uomo».
Il trasvestimento di Catterina, può richiamare una scena delle giornata seconda, novella terza del Decameron: «Alessandro, posta la mano sopra il petto dellabate, trovò due poppelline tonde e sode e dilicate …».
Bianchi racconta la vicenda di Catterina con una visione morbosa, sia nei primi approcci anatomici (con le sue osservazioni sull«imene bellissimo» della poveretta), sia in quella «soverchia curiosità» dei «giovani dello Spedale» che «furtivamente» le aprono il ventre «col pretesto (…) che potesse esser gravida».
Limitazione letteraria fa dimenticare a Bianchi il senso del tragico, insito nella vicenda della giovane Vizzani.
Lo scritto ha però un suo segreto significato eversore, rispetto alla morale corrente, che forse fa guardare con sospetto allattività di Bianchi.
Qualche anno dopo, nel 1749, Bianchi pubblica un trattato che nega le armonie del sistema aristotelico-tomista, parlando dei mostri esistenti in natura .
Sia la storia della Vizzani sia il trattato sui mostri, attirano su Bianchi le ostilità del clero riminese, che culminano in un episodio del 1752, legato ad una dissertazione accademica dei suoi rinnovati Lincei, dedicata allArte comica.


3. Antonia Cavallucci

E lultimo venerdì di Carnovale. Prima di leggere il suo discorso sullArte comica, Bianchi fa esibire una giovane e bella cantante romana, Antonia Cavallucci.
Il concerto della Cavallucci provoca scandalo in città. Bianchi allontana la ragazza, spedendola a Bologna e Ravenna con lettere di raccomandazione che, praticamente, a nulla servono.
Contro la Cavallucci il vescovo di Rimini, Alessandro Guiccioli, inoltra a Roma «illustrissime e reverendissime insolenze», come riferisce a Bianchi un suo corrispondente, Giuseppe Giovanardi Bufferli.
Attraverso la Cavallucci si vuole colpire il suo protettore. Bianchi è stato sempre insofferente verso lortodossia filosofico-scientifica della Chiesa, ed è in stretta concorrenza rispetto al monopolio pedagogico e culturale dei religiosi, sia con il proprio Liceo privato sia con i rinnovati Lincei.
Le manovre ecclesiastiche riminesi producono leffetto desiderato. Contro il discorso dellArte comica si celebra presso il SantUffizio un processo, affrettato ed irrituale, che porta alla condanna del testo.
Laccusa è formalmente di aver esaltato la Chiesa anglicana, più tollerante di quella romana, nella considerazione degli attori. In sostanza, non piace la difesa dei classici che Bianchi ha tentato.
Antonia Cavallucci nelle lettere a Bianchi racconta la sua vita disperata. Ha dovuto sposare, per imposizione della madre, un uomo violento ed avaro, da cui vorrebbe separarsi con la pronuncia di un tribunale ecclesiastico: e proprio a Bianchi lei chiede una memoria da recitare in quella sede.
A Bologna ed a Ravenna, deve contrastare gli assalti galanti di chi avrebbe dovuto aiutarla. Invoca così laiuto economico di Bianchi. Lo chiama «mio padre» ed anche «nonno», mentre sul medico ricade il sarcasmo degli amici che lo accusano di essersi innamorato di una ragazza allegra.
Il teatino padre Paolo Paciaudi chiama Antonia «infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata», daccordo con il padre Concina, grande avversario di Bianchi, che definisce «putidulæ meretriculæ», leziose puttanelle, quante come lei sono artiste teatrali.
Antonia cerca un ruolo di cantatrice: soltanto «per non fare la puttana mi è convenuto fare la comica», confida a Bianchi da Ravenna, respingendo le accuse che volevano la sua casa frequentata da troppi «abatini e zerbinotti».
Antonia si difende incolpando un nemico di Bianchi. Usano insomma lei, per colpire lui.
Talora i rapporti epistolari tra lattrice ed il medico sono burrascosi. Quando Bianchi, accusato da Antonia di essere la causa delle sue sfortune presenti, assume un tono distaccato, lei lo accusa: «Mostrate tutte finzioni».
Ma Bianchi ha altri pensieri per la testa, appunto il processo allIndice. Non ha tempo per ciò che forse considera non un dramma umano, ma le stravaganze di una donna. Di una ragazza. Di unattrice, per giunta.


4. Teresa, anzi Bellino

Restiamo nellambito del teatro con una pagina delle Memorie di Giacomo Casanova.
Teresa, dodici anni, è figlia di un povero impiegato che ospitava a pigione un celebre castrato, Salimberi. Costui «manteneva a Rimini, presso un maestro di musica» un coetaneo di Teresa di nome Bellino che il padre aveva fatto evirare per miseria, «in modo che con la voce potesse mantenere i fratelli».
Teresa, rimasta orfana del padre, è accompagnata da Salimberi a Rimini nella stessa pensione in cui egli «faceva educare» Bellino.
Al loro arrivo in città, essi apprendono però che «Bellino era morto il giorno prima».
Salimberi decide così di condurre Teresa a Bologna sotto il nome di Bellino, e di sostenerla economicamente «a pensione presso la madre del defunto la quale, essendo povera, avrebbe avuto interesse a mantenere il segreto».
«Lunica tua cura», le impone Salimberi, «dovrà essere quella di fare in modo che nessuno si accorga che sei donna (…), prima di lasciarti, ti darò un piccolo arnese e tinsegnerò ad applicartelo in maniera che […] ti si possa facilmente scambiare per un uomo».
Teresa racconta a Casanova: «Ho fatto solo due teatri, e ogni volta mi sono dovuta sottomettere a esami vergognosi e umilianti; infatti, tutti dicono che ho un aspetto troppo femminile, e sono disposti a scritturarmi solo dopo aver avuto la prova infamante. Finora per fortuna, ho avuto a che fare solo con vecchi preti, che in buona fede si sono contentati di un esame superficiale in base al quale hanno fatto il loro rapporto al vescovo; ma potrebbe capitarmi di essere visitata da dei giovani, e allora lesame sarebbe molto più approfondito».
Tra i carteggi di Giovanni Bianchi, ho trovato le lettere di un medico di Cervia, Francescantonio Forani, che si dispera perché il figlio di nove anni è stato convinto da un Maestro di cappella cesenate a farsi evirare.
Forani cerca un «Norsino» che compia loperazione, perché il bambino da solo «si voleva fare la funzione quantunque conoscesse il pericolo dincorrere alla morte».
Due anni dopo, quel fanciullo vorrebbe entrare nella Cappella dei Francescani di Assisi, ma non cè posto almeno per un biennio, per cui Forani tenta di instradarlo a Ravenna.
Non sappiamo nulla sulloperazione: ma il piano di avviarlo in Cappella può farci ritenere che essa sia lietamente avvenuta.
A proposito dei castrati, Parini nellode La Musica parla di un «esecrabile e fiero misfatto» che cambiava «gli uomini in mostri», prostrando la loro dignità, in nome non dellerrore ma del vizio, con uninfamia che agguagliava «ai barbari» i genitori responsabili.
Ed ai genitori, dovremmo aggiungere altri personaggi, come nel nostro caso il Maestro di Cappella cesenate, che si sostituisce al padre.


5. Serafina Mularoni

Miseria è parola che ricorre nella pagina di Casanova, sia per il defunto Bellino sia per Teresa.
Miseria è anche la condizione di una giovane verucchiese, Serafina Mularoni che una zia ed il poeta riminese Aurelio De Giorgi Bertòla vorrebbero avviare alla carriera del canto, inserendola a Venezia in uno di quei collegi che allora erano detti «conservatorj».
Qui si cercava di dare alle ragazze orfane od illegittime una formazione artistico-musicale, per avviarle ad una carriera dignitosa che le riscattasse dalla condizione dorigine.
Ma limpegno economico troppo gravoso spinge Bertòla a collocare, per breve tempo, Serafina Mularoni in un monastero di Pesaro.
Scrive Bertòla proprio ad un pesarese, Biagio Giuccioli: «E poiché la giovane ha in gran parte cambiato stato, e vive in uno stato di persona superiore dassai a quello della sua nascita, vogliate aver la bontà di far decorare la detta fede [della cresima] del titolo di Signora».
Sono parole in cui si avverte lorgoglio di chi, tentando di collocare negli studi una fanciulla «povera», si sente lartefice di quella promozione sociale che, sotto un altro aspetto, dovette essere un tema autobiograficamente significativo per Bertòla: egli era stata avviato in tenera età al sacrificio di una monacazione forzata proprio per la miseria della sua famiglia.
Alla fine, Bertòla è però costretto a convincere Serafina Mularoni a rinunciare allidea di prendere labito (forse con somma gioia della giovane): il poeta infatti naviga in pessime acque finanziarie, e non ha potuto trovare nessun aiuto nella famiglia di lei, povera gente con il padre che era un «falegname monco e malconcio tutto».
E così Serafina Mularoni diviene la governante dello stesso Bertòla, durante i lunghi mesi della sua malattia, prima di trovar marito e di cambiare (almeno si spera) completamente vita.


6. «Le donne furenti correano per la città»,
Cervia 17 agosto 1796

Le donne di Cervia sono protagoniste di una rivolta contro «li Padronali delle Saline», il 17 agosto 1796, come racconta il canonico Pietro Senni, nella sua Cronaca cittadina giornaliera. Esse corrono «furenti» per la città, «animando li uomini».
In loro troviamo un altro spicchio del mondo femminile del Settecento, anche se appartengono ad una realtà economica piccola (ma del tutto particolare per la sua storia e struttura), come quella di Cervia: ad un secolo dalla rifondazione della città, attuata per cercare migliori condizioni climatiche, il loro tumulto rappresenta la conclusione simbolica di un processo storico.
E la rivolta agli ordini che lautorità superiore impone, è lacquisizione della consapevolezza dei propri diritti, con la volontà di vederli rispettati.
E un piccolo gesto che suscita la derisione dei potenti. Senni ricorda: «Tanti si fecero discorsi della seguita insurrezione, che moveva ognuno a riso considerandone gli individui».
La loro è però anche una specie di sfida che, dal basso, i tempi nuovi lanciano ai detentori del potere abituati a guardare ai popolani con latteggiamento paternalistico di chi concede qualche beneficio, ma ignora del tutto ogni discorso basato sul concetto di giustizia, proprio mentre per le strade dEuropa lammaestramento rivoluzionario sespande facilmente con i nomi di libertà, eguaglianza e fraternità, coagulando forze eterogenee, e suscitando reazioni altrettanto diversificate.
La rivolta del 17 agosto 1796, se da un canto è la conseguenza di una situazione dinferiorità giuridica dei salinari; dallaltro rivela nellambito femminile il tentativo di superare un altro tipo dinferiorità, quella che caratterizza le stesse donne rispetto al mondo maschile.
Unaltra scena corale, a Napoli, con protagonista una donna, sembra chiudere simbolicamente il secolo: il cadavere di Eleonora Fonseca Pimentel pende, vilipeso, da una forca. Le sue ultime parole ammoniscono ancora oggi: «E forse un giorno gioverà ricordare tutto questo».

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