Riministoria 

Antonio Montanari

Tra erudizione e nuova scienza

I Lincei riminesi di Giovanni Bianchi (1745)

 

5. Gli Accademici lincei

 

Il nucleo originario dei Lincei comprende dieci componenti, come ricaviamo da un articolo apparso sul periodico di Giovanni Lami [79]. Oltre a Planco, «Restitutor perpetuus», ci sono: Stefano Galli, «Scriba perpetuus»; Francesco Maria Pasini, «Censor»; Giovanni Paolo Giovenardi, anch’egli «Censor»; Mattia Giovenardi, Giovanni Antonio Battarra, il conte Giuseppe Garampi, Gregorio Barbette, Lorenzo Antonio Santini e Giovanni Maria Cella.

Nello stesso articolo delle Novelle letterarie, sono contenute brevi notizie biografiche dei componenti il nucleo originario. Di Planco, si scrive che è patrizio riminese, dottore di Filosofia e Medicina, e medico primario della città di Rimini. Di Stefano Galli, che è «probibliothecarius publicus» [80]. Di Francesco Maria Pasini, che è dottore di Legge e canonico della Cattedrale riminese. Di Giovanni Paolo Giovenardi, che è dottore di Filosofia, materia della quale è stato nominato pubblico professore a Santarcangelo [81]. Di Mattia Giovenardi, che è professore di Lettere umane al Seminario di Bertinoro [82]. Per Giovanni Antonio Battarra, si precisa la qualifica di «Publicus Philosophiae Exprofessor» a Savignano [83]. Per il conte Giuseppe Garampi, destinato a diventare un protagonista della cultura e della politica del suo tempo ricoprendo prestigiosi incarichi, nulla si aggiunge alla notizia che egli era «Patricius Ariminensis». Forse Bianchi intravedeva in lui la capacità di conquistare una fama destinata ad oscurare quella del maestro, e quasi colpito da una specie di precoce gelosia od invidia (absit iniuria verbis), non elencava altre qualità o qualifiche dell’allievo, nell’articolo trasmesso a Lami [84]. Nato nel 1725, Garampi a sedici anni era stato già «vicecustode» della Biblioteca Gambalunghiana [85], prima di girare l’Italia per conoscere biblioteche e letterati [86], in un tirocinio intellettuale che si aggiungeva alle esperienze fatte alla ‘corte’ pedagogica di Planco.

Sono qualificati medici Gregorio Barbette e Lorenzo Antonio Santini [87]: entrambi esercitano la professione a Rimini, il primo come chirurgo primario [88], il secondo quale «Medico dei Poveri». Per Giovanni Maria Cella si scrive soltanto che era riminese. Da altro scritto planchiano apprendiamo trattarsi di un matematico [89]. A questo nucleo originario di dieci componenti, in seguito si aggiungono altri undici accademici, che elenchiamo per ora in ordine alfabetico: Lucantonio Cenni, Lodovico Coltellini, Giovanni Lami, Daniele Colonna, Giacomo Fornari, Giuliano Genghini, Francesco Fabbri, Luigi Masi, Francesco Roncalli Parolino, Gaspare Adeodato Zamponi e Giuseppe Zinanni. Sul totale dei ventuno accademici che presento qui, se ne conoscevano finora soltanto venti: quello cui non era mai stato finora fatto il nome, è il ravennate Giuseppe Zinanni (o Ginanni), autore di un volume intitolato Delle uova e dei nidi degli uccelli [90]. Circa le date di nomina degli undici accademici aggiunti al primo elenco, se ne possono precisare soltanto nove. Nel 1750 sono ammessi Lucantonio Cenni [91], Lodovico Coltellini, Giovanni Lami e Daniele Colonna. L’anno successivo, Giacomo Fornari, Giuliano Genghini, Francesco Fabbri, Gaspare Deodato Zamponi. Nel 1765, Luigi Masi [92]. Non sappiamo nulla circa Francesco Roncalli Parolino, per cui esiste la minuta del diploma [ms. 1183, BGR]. Per Giuseppe Zinanni, l’unica testimonianza rintracciata è nella sua lettera a Bianchi del 22 marzo 1746 (FGLB, ad vocem), dove parla dell’offerta ricevuta da Planco di aggregazione «a così universo Congresso».

Sono ex allievi di Bianchi, Lucantonio Cenni, il medico friulano Daniele Colonna, i sacerdoti Francesco Fabbri [93] e Giacomo Fornari [94], ed il giurista Giuliano Genghini, un poeta dal «carattere faceto e irriverente» [95]. Daniele Colonna è definito da Bianchi come «Adiutor Noster in re anatomica» [96]. Il medico cortonese Lodovico Coltellini è un dotto e polemico corrispondente di Planco [97]. Giovanni Lami [98] è figura celebre nella storia della cultura italiana: fu bibliotecario, teologo e professore di Storia ecclesiastica oltre che fondatore e direttore (dal 1740 sino alla morte, avvenuta nel 1770), delle mentovate Novelle letterarie fiorentine. La motivazione con cui fu accolto Lami, lo cita come benemerito per aver pubblicato le Leggi dei Lincei riminesi e due scritti planchiani sulla vexata quaestio del Rubicone [99]. Complessivamente, otto sono i medici: Bianchi, Barbette, Colonna, Coltellini, Masi, Roncalli, Santini, Zamponi; tre gli scienziati: Battarra [100], Cella, Zinanni [101]; due i giuristi: Genghini e Pasini, quest’ultimo avviatosi poi a carriera ecclesiastica; due i sacerdoti, Fabbri e Fornari; e sei i letterati o filosofi: Cenni, Galli, Garampi, i due Giovenardi e Lami.

 

 

[79] Cfr. le Nov., VI, 53, 31 dicembre 1745, coll. 842-846. In Gabrieli, op. cit., p. 1650, ci sono alcuni errori relativamente all’elenco del nucleo originario dei Lincei riminesi: manca Mattia Giovenardi; si parla di Stefano «Gallo» anziché Galli, di G. P. «Giovernardo» anziché Giovenardi; manca la data di nascita di Battarra (1714); è errata la data di morte di Garampi (1742, anziché recte 1792); si cita il medico «Barbetto» anziché Barbette. Tale elenco si dice ripreso da D. Carutti, Breve storia dell’Accademia dei Lincei, Roma 1883 (pp. 99-103, 190 ss., 225-227), che non abbiamo però potuto controllare. Dei rinnovati Lincei riminesi, Gabrieli parla anche a p. 1632, sostenendo che essi vissero «meno d’un decennio, soccombendo un’altra volta all’immaturità dei tempi ed alla mancanza di potenti protettori». Nel 1752 Bianchi invia a Lami una «nuova lista de’Lincei» da inserire nel tomo del 1745 in ristampa: ma Lami rifiuta «perché ne nascerebbono degli assurdi, e degli anacronismi, essendovi registrati de’ Lincei posteriori di tempo alla vecchia nota già pubblicata», e perché Lami è d’accordo co’ Superiori, per non incontrare difficoltà, che le Novelle passate si ristampassero tali quali erano, senza mutazione alcuna»: cfr. lettera di Lami, 21 aprile 1752 (FGLB, ad vocem).

[80] Sulla figura di Stefano Galli, cfr. A. Montanari, Il contino Garampi ed il chierico Galli alla «Libreria Gambalunga». Documenti inediti , «Romagna, arte e storia», n. 49/1997, pp. 57-74. Bianchi definisce Galli «uomo erudito specialmente nelle lingue de’ dotti, Greca e Latina»: cfr. Nov., X, 29, 18 luglio 1749, col. 461.

[81] Su G. P. Giovenardi, cfr. la biografia contenuta nel fasc. 117, FGMB. Egli fu parroco nella «ricca Pieve de’ SS. Vito e Modesto» a San Vito: cfr. G. Urbani, Raccolta di Scrittori e Prelati Riminesi, SC-MS. 195, BGR, p. 764. Le Nov., IV, 46, 15 novembre 1743, coll. 731-733, presentando di un’iscrizione trovata a San Vito e spedita in copia da Bianchi al periodico fiorentino, scrivono che G. P. Giovenardi era «uomo erudito, ed eloquente, e nelle Lettere Latine, e Greche molto versato»: qui si osserva pure che la parrocchia di San Vito sorge «sulle sponde del famoso Rubicone», detto allora Luso (od Uso). Le Nov., VII, 50, 16 dicembre 1746, col. 790, ribadiscono che il Luso era «il vero Rubicone degli Antichi», mentre i Cesenati identificavano lo stesso Luso nell’Aprusa (Ausa) di Plinio. (Plinio, Naturalis historia, III, xv, scrive: «Ariminum colonia cum amnibus Arimino et Aprusa, fluvius Rubico, quondam finis Italiae». Riprendo il testo dall’ed. pisana del 1977, libri I-V, p. 325. In moltissimi autori il passo è erroneamente cit. come III, xx.)

[82] Sulla figura di Mattia Giovenardi, cfr. A. Montanari., Due maestri riminesi al Seminario di Bertinoro. Lettere inedite (1745-51) a Gio­vanni Bianchi (Iano Planco), «Studi Romagnoli» XLVII (1996, ma 1999), pp. 195-208. Mattia Giovenardi non risulta aver tenuto alcuna dissertazione ai Lincei, mentre dalle sue lettere a Bianchi, ricaviamo notizie di vari progetti: «Io le mando qui rinchiusa la dissertazione, la quale non può arrivare all’eccellenza di quella del Sig. Canonico Pasini, ne meno di quella del Sig. Abbate Galli e quel che è peggio, avrà più borra, che quella del Coprofago sì per cagione del mio debole talento, e poco sapere; oltre sì ancora perché è stata composta in tempi freddissimi, e tra l’orribile sibilo degli Aquiloni che regnano su questo monte» (Bertinoro, 11 dicembre 1745, FGLB, ad vocem): di Galli, è la dissertazione n. 1; non risulta dai documenti alcuna dissertazione di Pasini. (Il «Coprofago» è Battarra, autore delle dissertazioni n. 6 e n. 20: forse era detto così perché, vestendo di nero, richiamava l’immagine, per i suoi nemici, dello scarabeo stercorario, come autorevolmente mi è stato spiegato.) Bianchi chiede a Giovenardi di «impinguare e ripulire nelle vacanze di queste feste» il testo inviatogli (lettera di Giovenardi, 18 dicembre 1745). Il 10 maggio 1746 Giovenardi scrive a Planco: «Io avrei intenzion di fare un’altra dissertazione, quando a lei piaccia, sopra i nicchj de pesci impietriti, che si ritrovano nelle viscere de monti». Il successivo 24 novembre Giovenardi invia da Bertinoro «una dissertazione intorno l’origine de monti, ed un frammento di pesce impietrito da me ritrovato sul monte de capuccini di questa città». Nel 1748 progetta una dissertazione «o sopra la gravità de corpi, o sopra la loro inerzia» (10 febbraio); poi la stende «intorno l’inerzia» (2 marzo e 12 marzo).

[83] Egli diventa «Pro Scriba» quando Galli si trasferisce a Roma: cfr. il diploma accademico di G. Lami (1750), allegato al ms. 1183, BGR. Sul diploma adottato da Bianchi, cfr. Gabrieli, op. cit., p. 1644. Sulla medaglia coniata per Bianchi, cfr. p. 1647. (De Carolis, nella cit. Produzione pubblicistica…, p. 36, riferisce invece di due versioni della stessa medaglia.) Essa mi pare ricalcare, per la disposizione dell’immagine di Planco, quella di G. B. Della Porta, riprodotta da Gabrieli nella tav. XXI.

[84] Nelle Nov., VIII, 4, 27 gennaio 1747, col. 59, a proposito di un’iscrizione che Garampi gli aveva inviato in copia, Bianchi lo definisce «cavaliere erudito nostro Paesano, che ora si ritrova in Roma».

[85] Cfr. il cit. Turchini, G. Bianchi, l’ambiente antiquario, passim. Sulla figura di Garampi, cfr. L. Tonini, Biografia del Card. Giuseppe Garampi, a cura di E. Pruccoli, Rimini 1987; ed oltre i citt. Il contino Garampi ed il chierico Galli alla «Libreria Gambalunga», e Lumi di Romagna, pp. 27-33, v. anche P. Delbianco, Il fondo Eredi Garampi, in La Biblioteca Civica Gambalunga. L’edificio, la storia, le raccolte, a cura di P. Meldini, Rimini 2000, p. 50, ed U. Dell’Orto, La Nunziatura a Vienna di G. G. 1776-1785, Città del Vaticano 1995.

[86] «Egli per dare più spedita opera agli studj» si recò «a Firenze ove gli venne fatta ben presto la conoscenza del Lami, grande Filologo del suo tempo, il quale, trovato lui giovanetto di grandi speranze, lo ebbe subitamente nella sua amicizia, e messolo più addentro nello studio delle lettere, e nella cognizione delle antichità, già fin dall’allora predisse a quanta fama un dì sarebbe salito. Poco appresso passato a Modena, non diversamente fu accolto dal gran Muratori, col quale troviamo già esser stato anche prima in qualche letterario carteggio [...]»: cfr. L. Tonini, Biografia del Card. Giuseppe Garampi, cit., p. 21.

[87] Nel fasc. 121, FGMB, si trova un certificato del 1734 che attesta la frequenza per sei anni della scuola di Planco, ed i meriti del giovane Santini (originario di Savignano), il quale fu superiore a tutti gli altri alunni.

[88] Nel 1761 Barbette diviene «Primo medico» di Macerata: cfr. lettera del 2.7.1761 di G. Bertozzi a Planco (FGLB, ad vocem).

[89] Cfr. nei citt. Recapiti, p. VII. In questo scritto (1751), ci sono ulteriori precisazioni per gli accademici dei Lincei: Barbette, ad esempio, era allora Primario di Orvieto; Stefano Galli, mansionario della Cattedrale di Rimini; Gian Paolo Giovenardi, arciprete di San Vito; Mattia Giovenardi, professore pubblico di Filosofia in Santarcangelo; Giuseppe Garampi, pro-archivista di San Pietro a Roma. Garampi, ricevuti e letti i Recapiti, il 24 marzo 1751 (FGLB, ad vocem) osserva a Bianchi che, sotto il nome di «Archivista di San Pietro», s’intende «quì propriamente l’Archivista della Chiesa ò Capitolo. Ma l’Archivio del quale io sono Prefetto chiamasi il Secreto Apostolico Vaticano, a differenza pure di altri Archivi Apostolici che sono quì in Palazzo». Lo stesso Garampi il 16 marzo 1743 (ibid.) aveva scritto a Bianchi su Barbette: «Io non faccio caso che Barbette abbia in mano molta nobiltà che medica».

[90] Il titolo completo recita: Delle uova e dei nidi degli uccelli. Aggiunte in fine delle Osservazioni, con una dissertazione sopra varie specie di cavallette,Venezia 1737. Sulla figura di Zinanni ed i suoi rapporti con Bianchi, cfr. infra la nota 109.

[91] Su Cenni, cfr. il cit. Due maestri riminesi…. Nei citt. Recapiti, p. VII, si ricorda che Cenni nel 1751 era «maestro di rettorica nel seminario di Bertinoro». Prima di diventare accademico, è stato «tiro per aliquot annos» (ms. 1183, cit., c. 13r). Il tirocinio doveva durare almeno due anni secondo la legge VIII dei Lincei. Nel 1764 Cenni fonda a San Marino, dove faceva il maestro di scuola, l’Accademia dei Titani, assumendo il nome di Climeneo Cretense. Il motto accademico dei Titani era «Decus et Libertas».

[92] La notizia della presenza del medico Luigi Masi tra i Lincei riminesi, si deve a Masetti Zannini (cfr. le citt. Vicende accademiche, p. 72). Ad una lettera del 21 aprile 1771 (FGLB, ad vocem), lo stesso Masi allega un Compendio de’ Requisiti propri, da cui apprendiamo che si era laureato a Macerata nel 1756, e si era poi specializzato a Bologna, conseguendo il 30 agosto dello stesso anno «la Matricola» a Roma. Fu studioso di Anatomia, ed esercitò a Roncofreddo, Longiano e Forlimpopoli. Nel Compendio, ricorda pure la sua associazione ai lincei planchiani.

[93] Nei citt. Recapiti, p. VI, è qualificato «segretario di monsig. Governatore di Narni».

[94] Anche di lui sappiamo che fu «tiro» (c. 14v, ms. 1183, BGR, cit).

[95] Cfr. E. Pruccoli, L’Alberoni e San Marino nei carteggi di I. Planco, in Annuario XXIII della Scuola Secondaria Superiore della Repubblica di San Marino, San Marino 1997, p. 284. La frequenza di Giuliano Genghini alla scuola di Bianchi è attestata da C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica, cit., II, p. 347.

[96] Questo si legge alle pp. 7 e 9 del De monstris, opera di cui diremo.

[97] Cfr. nelle citt. Vicende accademiche, passim. Lami, in una lettera a Bianchi (FGLB, ad vocem, 14 luglio 1753), scrive su Coltellini: «è un birro, ed una spia, che non posso patire: ma son costretto a dissimulare alquanto, perché mi ha fatto anche de’ favori». Nel 1757 Coltellini fa ascrivere Bianchi all’Accademia cortonese di Botanica e Storia Naturale, della quale era segretario. Nell’occasione, le Nov., XIX, 4, 27 gennaio 1758, coll. 52-57, pubblicano una breve ma esauriente biografia di Planco, dove si dice pure che egli faceva «in Rimino coltivare a sue spese due Giardini Botanici di piante rare».

[98] La notizia della nomina di Lami ad accademico linceo, è data dalle Nov., XI, 51, 18 dicembre 1750, col. 801: «Varie Accademie sono concorse nel presente anno ad onorare il mio caro amico Signor Dottor Giovanni Lami, Pubblico Professore Fiorentino, e Bibliotecario della Riccardiana, poiché nel mese di Maggio passato fu ascritto all’Accademia de’ Lincei di Rimino, restituita già dal celebre Signor Dottore Giovanni Bianchi [...]». Il 7 dicembre 1745 Lami aveva scritto a Bianchi (FGLB, ad vocem): «Mi rallegro da dovero del ristabilimento che V. S. Ill.ma ha fatto in casa sua dell’Accademia de’ Lincei, e vedrò se è possibile di pubblicare nelle Novelle in quest’anno le sue leggi, come Ella desidera».

[99] Cfr. ms. 1183, BGR, cit., c. 14r.

[100] Abbiamo inserito Battarra tra gli scienziati e non tra i filosofi, per motivi che risulteranno poi evidenti.

[101] Bianchi lo ricorda nell’autobiografia latina (p. 390) come «peritissimus».

 

 

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