Riministoria 

Antonio Montanari

Tra erudizione e nuova scienza

I Lincei riminesi di Giovanni Bianchi (1745)

 

4. Per una cultura «aristocratica»

 

L’atteggiamento di Bianchi, che abbiamo fin qui esaminato, richiama un passo del celebre Discours preliminaire dell’Encyclopédie di d’Alembert: «Non c’è dotto che non ponga volentieri al centro di tutte le scienze quella della quale egli stesso si occupa, press’a poco come i primi uomini si ponevano al centro del mondo, convinti che l’universo fosse fatto per loro» [69]. Su questa linea si situa la prima legge lincea che, attribuendo all’Accademia planchiana la qualifica di «aristocratica», corrisponde al «carattere esclusivista» del rifondatore ed alla «tendenza, del resto già evidente nella scelta dei “suoi” Lincei e nelle vicende del sodalizio, a contenere nella sua cerchia illustre, ma assai ristretta» [70] ogni collaborazione. L’intrinseca suggestione della figura del dotto ha stretta correlazione, in Planco, con questa sua psicologia «esclusivista». In tale contesto, il termine «aristocratico» finisce per essere tout court sinonimo di «dogmatico», riducendo l’orizzonte scientifico a quello personale del rifondatore.

Un’inedita ed incompleta carta planchiana, intitolata Discorso sopra il problema dell’Accademia [71], pone il quesito «Se un giovane desideroso della virtù in mancanza di maestro debba, o non debba intraprendere da se qualche letterario esercizio». Bianchi espone soltanto la «parte negativa» della risposta, lasciandoci con la sospensione di un «ma» che potrebbe indicare, oltre al desiderio di trovare argomentazioni per il lato positivo, pure le difficoltà incontrate nel giustificarle. E ciò porterebbe ad un forte contrasto rispetto all’esaltazione che Planco fa, nell’autobiografia latina, della propria esperienza giovanile di autodidatta, ribellatosi all’insegnamento retorico ed antiquato impartito nel collegio dei Loioliti frequentato a Rimini [72]. La necessità di un «maestro» proclamata da Bianchi in questi fogli, ci rimanda alla lunga esperienza di docente da lui svolta nella sua scuola privata riminese, iniziata nel 1720 e ripresa dopo il soggiorno senese: egli vi teneva corsi di Filosofia, Medicina [73], Geometria e Lingua greca. Una scuola che Giovanni Paolo Giovenardi definisce «pubblica Università» [74]. Ad essa si affiancava «un Museo non meno di cose naturali, che di Medaglie, d’Idoli, d’Iscrizioni, e d’altre cose antiche copioso» [75].

Nel 1751, anno in cui è proposto ma non nominato [76] «Lettore pubblico di Logica», Planco conta più di venticinque scolari fra cui ci sono «alcuni cospicui di ordine religioso, ed altri forestieri delle circonvicine città, che sono venuti a studiare sotto di lui» [77]. Anche a Siena Bianchi aveva realizzato un’iniziativa simile [78], seguito addirittura da un allievo riminese, il già ricordato Francesco Maria Pasini.

 

[69] Il Discorso di D’Alembert si può leggere in Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri (1751-1772), cit., ed anche in D’Alembert-Diderot, La filosofia dell’Encyclopédie, Bari 1966.

[70] Cfr. Masetti Zannini, Carta e stampa, cit., p. 127. Viene da chiedersi quanto la vicenda della condanna all’Indice abbia pesato sull’ampliamento dell’Accademia riminese, aldilà di questi aspetti legati alla psicologia ed al comportamento di Bianchi.

[71] Cfr. il fasc. 65, FGMB.

[72] Cfr. il cit. Modelli letterari, p. 278. Bianchi, «preso da gravissimo increscimento di dover fare cogli altri perdita di tempo così inutile, e nauseosa con animo veramente virile, e coraggioso, abbandonò quelle Scuole, risoluto di voler essere egli stesso Maestro assai migliore di se medesimo»: G. P. Giovenardi, Orazion funerale in lode di Monsig. Giovanni Bianchi, Simone Occhi, Venezia 1777, p. XI. (P. Amati, a proposito di questa Orazione, scrive nel III vol. della cit. Bibliografia generale, p. 393, che in essa si vedono «alcune verità odiose».) Il titolo di monsignore spettava a Bianchi quale archiatro pontificio.

[73] Da una lettera a Bianchi di Stefano Galli (di cui diremo infra), si ricava che una serie di notizie sulla Medicina era materia comune per tutti gli allievi della scuola planchiana: «di medicina non ne mostro per niente, e ne ho solo qualche idea per quello che ho sentito dire da lei, quando avevo l’onore ed il vantaggio d’esserLe scolaro», Roma 6 aprile 1754 (FGLB, ad vocem). Questa lettera denuncia senza mezzi termini la crisi della pratica medica: «sono qui i medici tali, che io prego Dio di non averne bisogno. Quelli che hanno maggiore credito fanno cure alle volte che sembrano strane fino a me [...]». Padre Paciaudi aveva espresso parere analogo, quattro anni prima: «a Roma più de’ medici che del male si ha da temere»: cfr. Collina, op. cit., p. 99.

[74] Cfr. Giovenardi, op. cit., p. XXVII. Lo stesso G. P. Giovenardi si adopera, alla morte di Planco, per la riapertura della sua scuola privata, assieme al di lui nipote, il dottor Girolamo Bianchi e a don Filippo Zambelli: cfr. la lettera di G. P. Giovenardi a Girolamo Bianchi del 14 dicembre 1775 (Planco era morto il 3 dicembre dello stesso anno), con allegati il testo ms. di un volantino e la relativa edizione a stampa nella cit. cartella Giovenardi, don G., FGMMR. Il volantino, diretto «a’ Studiosi Giovani Riminesi, ed amanti della soda letteratura», annunciava l’apertura di una «pubblica Scuola di Medicina, e lingua Greca» dotata dell’«ereditata sceltissima, e copiosissima Libreria in ogni genere di Scibile», e con «il comodo di potere fare le sezioni Anatomiche in quest’Ospedale» di cui Girolamo Bianchi era medico. (Il vescovo di Rimini Andrea Minucci, 1778-1779, pubblica un Progetto di letteraria Accademia che si erige in Vescovado, di cui in BGR cfr. l’esemplare con segn. 11.MISC.RIM.CLIX.60. L’Accademia essa doveva risvegliare «il genio, il gusto, e l’amore delle scienze».)

[75] Cfr. Nov., VIII, 41, 13 ottobre 1747, col. 652: è la recensione di un trattato sui fulmini di S. Maffei, nella quale è citato Bianchi che «ad una perfetta cognizione delle cose della Natura accoppia una vasta intelligenza di lingue erudite, e una piena notizia di tutte le cose di antichità».

[76] Da SG, ad vocem, si ricava che la nomina avviene su raccomandazione del cardinal Legato Mario Bolognetti. Ma dal fasc. 117, Comentario della vita dell’Ab. Giovanni Antonio Battarra (che sembra essere uno scritto autobiografico), in SC-MS. 227, Miscellanea Ariminensis Garampiana, Apografi, BGR, apprendiamo che tale nomina non fu fatta perché Bianchi non possedeva i requisiti richiesti dalle disposizioni testamentarie che finanziavano quella Cattedra, cioè «non era prete». I candidati erano due, Bianchi e Stefano Galli: entrambi furono fatti ritirare, anche se Galli aveva titolo a concorrere. Poi la scelta cadde su G. A. Battarra. Altre notizie al riguardo si ricavano dalle lettere di G. Garampi, FGLB, ad vocem. Garampi si adoprò, sua sponte, affinché Bianchi rinunciasse a favore di Galli, alla cui «povera famiglia» tornava utile «questo piccolo sussidio» della Cattedra (lettera del 6 marzo 1751). Circa l’assegnazione della Cattedra medesima, in AP 874, Atti del Consiglio Generale, 1746-1760, ASRi, c. 98v, si trovano i memoriali presentati dallo stesso Battarra e da un altro concorrente, don Filippo Baldini. Battarra dichiara di avere tutti i requisiti richiesti per «avere studiata la Logica, con tutta la Filosofia, ed altre Scienze intorno dieci anni sotto del celebre Sig. Dott. Giovanni Bianchi, e di più avendo insegnata pubblicamente la Logica, e tutta la Filosofia nella Terra di Savignano per quattro anni continovi». Pure don Baldini cita Bianchi quale suo attuale docente di Lingua greca. (Al tempo, leggiamo nel cit. Comentario, la città di Rimini era «divisa in due Fazioni per certe ridicole ettichette insorte fra la Nobiltà, le quali per quanto fossero piccole tuttavia divisero ed innasprirono gli animi de’ Cittadini; gli uni s’appellavano Tabbarrini, e i contrari dicevansi Tabbarroni».)

[77] Cfr. nei citt. Recapiti, p. IV. I nomi di questi venticique allievi si ricavano da un elenco manoscritto compilato da Bianchi in altro documento del cit. fasc. 310, FGMB: sedici frequentano le lezioni di Logica, tre di Greco e sei di Medicina. Ecco i loro nomi (da noi ordinati in ordine alfabetico): 1. Aldini Gioseffanton (Cesena, Logica); 2. Almeri Michele (Rimini, Logica); 3. Baldini, dottore in teologia (abate, Rimini, Greco); 4. Bartolucci Antonio («cirusico del Pubblico», Rimini, Medicina); 5. Bedinelli Francesco Paolo (Pesaro, Medicina); 6. Brunelli Cesare (Rimini, Logica); 7. Brunelli dottor Giambattista (Rimini, Medicina); 8. Fabbri Luigi (abate, Rimini, Greco); 9. Ferri (abate, Montescudo, Logica); 10. Franciolini Curio (Iesi, Logica); 11. Gaspari (abate, Montescudo, Logica); 12. Genghini Giuseppe (Rimini, Logica); 13. Gervasi, padre («maestro di studi agostiniano di Napoli», Greco); 14. Gori (abate, Santarcangelo, Logica); 15. Graziosi ([Ubaldo], abate, Montescudo, Logica); 16. Maltagliati Gaetano (Rimini, Medicina); 17. Melli Paolo (abate, Rimini, Medicina); 18. Menghi (abate, Santarcangelo, Logica); 19. Morelli (abate, Rimini, Logica); 20. Preti (abate, S. Giovanni in Marignano, Logica); 21. Tassini Andrea (abate, Pesaro, Logica); 22. Tononi (abate, Coriano, Logica); 23. Vasconi Girolamo (abate, Coriano, Medicina); 24. Zangari Giovanni (Rimini, Logica); 25. Zavagli Antonio (Rimini, Logica). Circa la loro provenienza geografica, tredici sono di Rimini, uno di Iesi, due di Santarcangelo di Romagna, tre di Montescudo, due di Coriano, uno di San Giovanni in Marignano, due di Pesaro ed uno di Cesena. (Questo documento reca in IV ed ultima facciata: «1751. Prehensationes Inutiles Pro Cathedra Logicae», di cui si è detto alla nota 76.) In altro testo (databile al 1734, fasc. 310, FGMB), Bianchi scrive soltanto di avere allora venticinque allievi, «tra quali molti sono forastieri che si trattengono in Rimino per udirlo». Nei Recapiti (del 1751), alle pp. VI-VII leggiamo: «Qui si dà un catalogo degli scolari, che più si sono distinti, e che sono usciti dalla scuola fatta dal Bianchi in Rimino, tralasciandosi di mentovare quegli scolari, ch’ebbe in Siena, e che si distinguono». Da tale «catalogo» riportiamo solamente i singoli nominativi, mettendoli in ordine alfabetico e numerandoli. Tralascio ogni altra notizia in esso inserita da Planco, e segnalo con (*) i dieci medici presenti nell’elenco: 1. Baldini Giuseppe (*); 2. Barbari Innocenzo; 3. Barbette Gregorio (*); 4. Bartoli Giuseppe; 5. Battaglini Andrea; 6. Battarra Giannantonio; 7. Bentivegni Girolamo; 8. Bentivoglio Davìa Laura; 9. Bonelli Innocenzo; 10. Bonioli Antonio; 11. Brunelli Giambattista (*), già cit. in fasc. 310; 12. Bufferli Pier Crisologo (*); 13. Buonamici Niccola; 14. Cella Giovan Maria; 15. Cenni Lucantonio; 16. Colonna Daniello (*); 17. Draghi Paolo Andrea (*); 18. Fabbri Francesco; 19. Fabbri Giovanni; 20. Fosselli Mauro; 21. Galli Celestino; 22. Galli Stefano; 23. Garampi Giuseppe; 24. Ghigi Pietro; 25. Giovenardi Gianpaolo; 26. Giovenardi Mattia; 27. Godenti Pietro; 28. Graziosi Ubaldo, già cit. in fasc. 310; 29. Lapi Pier Paolo; 30. Legni Francesco (*); 31. Marcaccini Francesco; 32. Massa Niccolò; 33. Mastini Severino; 34. Mussoni Pietro; 35. Pasini Francesco Maria; 36. Pecci Carlo; 37. Piceni Giuliano; 38. Pizzi Gian Carlo (*); 39. Righini Cassiano (*); 40. Santini Lorenzo Anton (*); 41. Serpieri Giulio Cesare; 42. Torri Cesare; 43. Vitali Giuseppe; 44. Zampanelli Marino. Bianchi omette i nomi di Lorenzo Ganganelli, su cui cfr. alla nota 188, e di Antonio Maria Brunori, ricordato invece da Giovenardi, op. cit., p. XXX, come «soggetto di merito, ed elegante Poeta» che «fu per molti anni valente Maestro di Belle Lettere in questo Seminario». In epoca successiva, furono allievi di Planco anche il cit. G. C. Amaduzzi (1740-92), Francesco Bonsi (1722-1803) e Gaetano Marini (1742-1815). L’unica donna presente nel «catalogo» è la già ricordata bolognese Laura Bentivoglio Davìa, «di profonda dottrina, e di grande erudizione», come scrive G. P. Giovenardi, op. cit., p. XXXII. Secondo il cit. Brizzi, anche Giuseppe Davìa fu allievo di Planco. (Il 15 novembre 1755, «Giuseppe Senator Davia» ringrazia Bianchi «per l’eruditissimo discorso sopra l’Arte Comica», grazie al quale ha «avuto nuovo motivo di commendare il suo bel talento»: cfr. FGLB, ad vocem).

[78] Leggiamo nell’autobiografia latina, p. 399, che «et privatim Philosophicas, et eruditas [exercitationes instituit]».

 

 

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