il Rimino

Antonio Montanari.
Filosofi del Settecento romagnolo

Iano Planco, tra nuova medicina e «buona filosofia»
[1993, conferenza Uciim]

I. Un maestro per una città
Nella vita culturale della Rimini settecentesca, la figura che emerge come protagonista, è quella di Giovanni Bianchi che si ribattezzò latinamente Iano Planco. Nato il 3 gennaio 1693, egli diventa famoso in tutt'Italia per i suoi studi scientifici, per le sue polemiche, e per le sue raccolte naturalistiche e storiche.
Ha rapporti con intellettuali di ogni regione. Lo conoscono anche oltr'Alpe. Il card. Lorenzo Ganganelli, suo ex allievo e futuro papa (col nome di Clemente XIV, 1769-1774), gli scriveva il 15 settembre '63: "…non passa un forestiero per Rimini, il quale non chieda di vedere il dottor Bianchi, e non abbia segnato il vostro nome tra i suoi ricordi". (1)
Lo stesso concetto esprime L. A. Muratori: "Mi rallegro… al vedere che non passa letterato per Rimini, che non faccia capo a lei, e non riconosca il merito ch'ella si è già acquistato, e che può maggiormente accrescere, se vorrà; giacché Dio le ha dato talento per tutto". (2)
Planco s'interessa ad ogni ramo del sapere. Eclettico ed enciclopedico, esercita la professione di medico, ma alla medicina non limita le sue ricerche. Ripristina a Rimini nel '45 l'Accademia dei Lincei, chiusa nel 1630 alla morte del fondatore Federico Cesi. Apre una sua scuola privata, alla quale crescono giovani che si faranno un nome: Battarra, Bonsi, Garampi, Amaduzzi.
L'attività di Planco è anche (come scrive A. Turchini), la "cartina di tornasole per verificare, nel quadro culturale di una città di provincia come Rimini, atteggiamenti e modi di collocarsi di fronte alla problematica scientifica in generale, e di fronte alla ricerca scientifica in particolare di circoli e gruppi intellettuali, di istituzioni culturali, civili e religiose, in una fitta trama di intrecci e scambi culturali col resto d'Italia". (3)
Carlo Tonini ha scritto una frase rimasta celebre: Planco ha "erudita tutta la città egli solo". (4) Fare la storia della formazione intellettuale di Planco, è quindi anche un modo per conoscere il tessuto culturale di Rimini per una buona fetta del '700.
Turchini ha dato una corretta sistemazione di Planco nel contesto del suo tempo: Bianchi "partecipa al secolo dei "lumi", per alcuni versi come un sopravvissuto che si è formato in un periodo precedente…". Di ciò risente la formazione impartita nella sua scuola. Inoltre, precisa Turchini, "mentre Bianchi intrattiene rapporti epistolari e scambia le sue esperienze col resto d'Italia e d'Europa, non stimola i suoi allievi (legati da amore-odio al maestro) ad andare oltre la provincia".
Solitamente si attribuisce a Planco e alla sua scuola una mentalità moderna, scientifico-sperimentale, fondata sulla ragione. Ma questa definizione (pur corrispondendo in linea di massima alla realtà), ha dei forti limiti, che cercheremo di dimostrare attraverso questa ricerca.

II. Le Scuole religiose
All'inizio del '700, a Rimini i principali centri di cultura sono l'antico convento domenicano di San Cataldo, la scuola dei Gesuiti, e l'Accademia ecclesiastica istituita da Giovanni Antonio Davìa, vescovo della città dal 1698 al 1726, nominato cardinale da Clemente XI nel 1712.
Il card. Davìa, nato a Bologna nel 1660, ha studiato da giovane "l'ottima Filosofia" e le Matematiche, ed è stato allievo di Marcello Malpighi, uno dei maestri della nuova scienza sperimentale, nei campi dell'anatomia comparata e dell'embriologia. (5)
A Rimini, il card. Davìa "per erudire l'animo suo e de' suoi sudditi una sceltissima Libreria d'ottimi Libri d'ogni genere da tutti i paesi più colti d'Europa con immense spese si procacciò, non meno che Strumenti Matematici, e Medaglie e altri preziosi avvanzi dell'antichità…". (6)
Questa pagina di Planco sul card. Davìa sembra avere anche una valenza autobiografica: il modus operandi del vescovo riminese, è per Planco un esempio a cui ispirarsi nella propria attività culturale e di docente. Inoltre, questa pagina sembra pure proiettare la propria ombra sulla storia che di sé stesso Bianchi scrive, nella seconda di due autobiografie apparse entrambe in forma anonima: "In fine il Bianchi à il requisito di aver impiegati tutti i denari, che gli sono provenuti dalla sua professione di medico, non in comprar cose stabili, e poderi, come i più fanno, ma nel fare stampare sue opere, nel tenere un grande carteggio colla più parte de' letterati d'Italia, e di fuori, e in viaggi eruditi, e nella compra di ottimi libri, e di medaglie, e di altre cose appartenenti all'antichità, e alla storia naturale, onde la sua raccolta vien considerata per una delle ragguardevoli d'Italia, non passando mai personaggio, o altro erudito per Rimino, che non sia vago di vederla, e che non la ritrovi superiore al suo credere". (7)
A far parte dell'Accademia, il card. Davìa ha chiamato gli insegnanti del Seminario, tutti "Uomini dottissimi", provenienti da fuori città. Tra loro c'è Antonio Leprotti, suo medico personale e docente di Filosofia, che resta a Rimini per quindici anni.
Il card. Davìa rinunzia liberamente "il Vescovado" nel 1726, per intraprendere una carriera tutta romana che lo porta ad essere nominato Prefetto della Congregazione dell'Indice, e ad essere considerato un papabile, nel 1730 quando è eletto Clemente
Dopo la morte del card. Davìa (avvenuta a Roma l'11 gennaio 1740), a Rimini si celebra nella chiesa del Suffragio una solenne messa funebre. "D'intorno il suo Ritratto posto sul Catafalco", quattro scritte ricordano le sue qualità morali e i suoi pregi intellettuali. Tra i quali si annovera quello di aver introdotto da noi "puriorem philosophiam", cioè quell'"ottima filosofia" che il card. Davìa aveva studiato a Bologna, e che a Rimini egli fece insegnare dal Leprotti. (8)
In un'altra commemorazione funebre, quella scritta dall'abate Giampaolo Giovenardi in ricordo di Iano Planco, troviamo spiegato che Leprotti (maestro dello stesso Planco), aveva insegnato a Rimini una "Filosofia [non però Aristotelica]". (9)
Sia presso i Domenicani sia presso i Gesuiti, lo studio della Filosofia era improntato invece ai canoni dell'aristotelismo.
Lo stesso Giovenardi ci descrive il clima delle "Peripatetiche Scuole" agli inizi del secolo. In quelle scuole, non altro si ritrovava "che dottrine assai volgari, termini barbari, e minutezze ridicolose, ed atte piuttosto ad accrescere, che a dissipare la caligine dell'ignoranza, ed a confondere, che ad illuminare le menti, e a nausearle piuttosto che ad invogliarle ad amar la Sapienza". In quelle scuole, s'insegnavano dottrine non solo volgari, ma anche "inutili". Dalle quali rifugge Planco, per avviarsi allo studio della "buona Filosofia" e degli autori che apparivano (dice Giovenardi), quali "principali Liberatori, e distruttori del grave giogo dell'Arabica, e della galenica barbarie". (10)
Siamo nel 1711. Planco ha diciotto anni. Sette anni prima, ha abbandonato le "Lojolitiche scuole" per non perder tempo nel seguire il normale corso degli studi nella lingua latina, che per lui (enfant prodige), era troppo lento. Si è così messo a studiar greco, "senz'altra guida che quella di se stesso". (11)

III. Goldoni e la Filosofia
Questa fuga di Planco dalla scuola dei Gesuiti, richiama alla memoria un episodio analogo che ha per protagonista, al domenicano collegio di San Cataldo, il giovane Carlo Goldoni nel 1721.
Goldoni trova insopportabile la Logica aristotelica e le lezioni del prof. Candini, e dà il suo "addio per sempre alla stucchevole, scolastica Filosofia". (12)
Goldoni si giustifica col padre: "…per me era tempo perduto… (…) Ah! la filosofia scolastica… Ah! papà… fatemi imparare la filosofia dell'uomo, la buona morale, la fisica sperimentale". (13)
Goldoni sostituirà alla Filosofia il Teatro. Planco, invece, dopo quattro anni di Filosofia, su consiglio di Leprotti, intraprende quegli studi di Medicina a cui Giulio Goldoni avrebbe voluto instradare il figlio, avviandolo in maniera propedeutica verso la Filosofia ed il padre Candini. (14)

IV. A lezione da padre Calabro
Giovenardi, quando stende il suo elogio funebre di Planco, ha sotto gli occhi l'autobiografia anonima che Planco stesso ha scritto in latino nel 1742. (15) In essa si legge che Planco, attraverso un fratello, frate nell'Ordine dei Minimi, conosce a Rimini padre Giovanni Bernardo Calabro, dottore in Fisica dello stesso Ordine, che nel suo insegnamento rifiuta quelle "vulgares Peripateticorum doctrinas, quas non minus semper Plancus oderat, quam Grammaticarum, & Rhetorum minutias". (16)
Per due mesi, Planco va ad ascoltare le lezioni di Calabro. Poi, quando il padre generale dei Minimi ingiunge al frate docente di Fisica di "in Peripateticorum castra transire", Planco fa ancora parte per sé solo, e si getta sui libri della nuova cultura. Sono i testi di Gassendi, Cartesio, di Geometria e di "cose neutoniane". (17)
Per quattro anni Planco (come scrive Giovenardi che ricalca fedelmente l'autobiografia di Bianchi), fa "l'attenta lettura" di quei testi, e studia la Geometria, che Giovenardi definisce la "chiave che apre l'adito a' più intimi penetrali de' chiari fonti della sapienza". (18)
A questi "chiari fonti", Giovenardi contrappone "le torbide e limaciose Arabiche, e Galeniche cisterne". Giovenardi compone queste pagine nel '76, ad un anno dalla morte di Iano Planco. Il suo sguardo retrospettivo ricostruisce uno scontro tra vecchia e nuova cultura, che ha coinvolto tutta l'Europa, con echi e scosse anche nella nostra città.
Tra gli autori citati da Bianchi, e riportati da Giovenardi, c'è Piero Gassendi (1592-1655), da cui (come dice E. Cassirer), prende le mosse la nuova filosofia dell'esperienza, prima ancora che da Bacone. (19) Il pensiero di Gassendi può essere riassunto da questa sua enunciazione: "Su nessuna cosa si può pronunciare giudizio alcuno, senza la testimonianza dei sensi". L'uomo è capace di conoscere soltanto quello che è capace di costruire. L'uomo conosce unicamente gli oggetti. A Dio è riservata ogni conoscenza metafisica.
Il nome di Gassendi appare pure nell'Autobiografia di Vico, il quale ricorda che Gassendi era diventato famoso presso i giovani, già sul finire del '600: "…si era cominciata a coltivare la filosofia d'Epicuro sopra Pier Gassendi". (20)
Il gesuita Giovan Battista De Benedictis, in un'opera uscita a Napoli nel 1687 (Philosophia peripatetica, tomo II), aveva attaccato Gassendi e Cartesio, definendoli entrambi figli di uno stesso deprecatissimo padre, Epicuro. (21) Epicuro sostenne che la sensazione è la base di ogni conoscenza; e negò che gli dèi o un Dio si occupassero delle faccende umane.

V. La scelta della Medicina
Il nome di Epicuro è presente nell'autobiografia di Planco, relativamente alla censura che colpisce l'insegnamento di padre Calabro: l'ordine del padre generale dei Minimi di passare "in Peripateticorum castra", comprendeva pure il comando di allontanarsi dai giardini d'Epicuro ("ab Epicuri hortulis"). (22)
Con qualche lustro di ritardo, anche a Rimini, come a Napoli, s'alzano bagliori di novità che spaventano.
I quattro anni filosofici di Planco, vedono altresì un approfondimento della lingua greca, dove Bianchi ha per compagni di studi "Calabrum transfugam illum Philosophum" ed il padovano Felice Palesio, docente di Latino e Arte oratoria. In breve tempo, Planco supera i colleghi, e rimane solo. (23)
In quegli anni, Planco si fa amico il filosofo e medico Leprotti, e diventa segretario dell'Accademia del card. Davìa, dove il giovane riminese quando non parla in latino e greco, si esibisce nell'imitare la favella toscana.
Come abbiamo visto, è Leprotti che poi convince Planco a studiare medicina. Altri amici volevano spingerlo verso il Diritto o la vita ecclesiastica. Ma Planco non apprezza gli "imbrogli e le arti dei legulei", e teme i vincoli del sacerdozio. (24)
Sulla eventualità di una sua carriera ecclesiastica, Planco dice soltanto tre parole: "Sacerdotii vincula metuebat". Il Giovenardi, invece, fa un discorso più ampio, forse con qualche venatura autobiografica: "Venerava il sacerdozio, conoscea la pur troppa facilità di ottenerlo, e l'utilità, che senza gran fatica, e studio potea apportarli; ma orror gli faceano que' grandi legami, che seco porta, e che pur troppo da gran parte non si conoscono, o non si curano". (25)

VI. Pascaliano in silenzio?
Accanto al nome di Gassendi, abbiamo incontrato pure quello di Cartesio. Nella polemica culturale e religiosa di quegli anni, il cartesianesimo viene indicato come "il padre spirituale del giansenismo". (26)
La "buona Filosofia" alla quale si rivolge Planco, e di cui parla Giovenardi, è l'opposto di quanto s'insegnava nelle "Peripatetiche scuole", tra le quali troviamo quelle dei Gesuiti. Antiaristotelismo finisce così per significare tout-court antigesuitismo.
Dietro la polemica su Aristotele, si celano in tal modo le discussioni sulla cultura dei Gesuiti. Di questa polemica, Pascal ha fornito il "verbale" più illustre nelle Provinciali.
Introducendo alle Provinciali, Giulio Preti spiega che l'aristotelismo per i Gesuiti è il tramite con cui essi si sforzano di unificare cultura religiosa e mondana: il risultato, è il rifiuto di tutto quanto è nuovo. I Giansenisti invece nella Filosofia e nelle Scienze aderiscono alla cultura moderna. (27)
A Pascal, noi dobbiamo anche la distinzione tra l'"esprit de géométrie", applicabile alla scienza, e l'"esprit de finesse", da cui dipende la saggezza dell'uomo nella vita.
Pascal, con questa distinzione, si differenzia rispetto a Cartesio, in quanto ritiene che lo strumento matematico (espressione dello spirito di geometria), non esaurisca tutto il discorso filosofico. Il procedimento geometrico giunge ad elementi che non possono più dimostrarsi, e che s'impongono allo spirito con una chiarezza intuitiva ed evidente, alla quale si rivolge l'"esprit de finesse". Non agisce più, allora, l'intelletto, ma il sentimento. Accanto alla ragione, c'è il cuore.
Quando s'incontra il discorso sulla Geometria, come troviamo nel Giovenardi, verrebbe spontaneo attendersi anche la citazione del nome di Pascal, accanto a quella di Cartesio. Ma ciò non accade. Perché? Facciamo un'ipotesi molto semplice. Mentre è lecito attaccare liberamente i Gesuiti (il cui Ordine è stato soppresso il 21 luglio 1773: e Giovenardi scrive tre anni dopo), sui Giansenisti pesa la condanna di Clemente XI (1713, "bolla" Unigenitus), per cui è proibito nominarli.
Se Pascal fosse stato rifiutato con convinzione, Planco lo avrebbe convenientemente condannato a chiare lettere: ma né lui né Giovenardi si scagliano contro Pascal, quindi se non lo citano, è forse soltanto per paura di destar scandalo. D'altro canto, sappiamo della simpatia nutrita da Planco verso i "giansenisti italiani". (27 bis)
(Tale paura era del tutto giustificata. Circa le censure esistenti a quel tempo, riportiamo le parole di Amaduzzi ad un suo corrispondente, il Pompei, in una missiva del 4 febbraio 1786: ha appena tenuto la sua "dissertazione dell'indole della verità e delle opinioni", e dice di volerla stampare "senza assoggettarla alle mutilazioni di Frati superstiziosi, e fanatici" [Biblioteca Filopatridi, Savignano, Manoscritti Amaduzzi 28] Amaduzzi citerà ben due volte Pascal nel II Discorso, La Filosofia alleata della Religione, 1778, definendolo "quel uomo raro, quel gran pensatore, e quel Geometra profondo" [p. 44]. Un altro nome proibito, è quello di Locke, messo all'indice da Clemente XII nel 1734, per la sua religione razionale. Locke è il teorico della "tabula rasa", secondo l'antica massima "nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu". Anche Locke sarà ampiamente citato da Amaduzzi, che ne riprende la dottrina della conoscenza nel suo III Discorso, Dell'indole della verità e delle opinioni (1786).
Una prova di questa posizione, ci è fornita dallo stesso Giovenardi che, dopo aver descritto la successiva carriera intellettuale di Planco (studi e laurea del 1719 in Medicina, a Bologna, ritorno a Rimini e istituzione di una scuola gratuita nella sua "Filosofica eruditissima casa", ove s'insegnavano le "Scienze tutte" [28]), precisa che lo stesso Planco fu "nimico sempre del Probabilismo".
Il Probabilismo, in Teologia, era una teoria dei Gesuiti, contro la quale si scaglia Pascal nella quinta delle sue Provinciali. Pascal ritiene la "dottrina delle opinioni probabili… la fonte e la base" degli abusi teologici dei Giansenisti. (29)
Sul Probabilismo, c'è questa pagina di Francesco De Sanctis, che con la consueta lucidità descrive la portata del fenomeno: "I gesuiti vennero di moda… Il loro successo fu grande, perché, in luogo di alzare gli uomini alla scienza, abbassarono la scienza agli uomini, lasciando le plebi nell'ignoranza, e le altri classi in quella mezza istruzione che è peggiore dell'ignoranza. Parimenti, non potendo alzare gli uomini alla purità del Vangelo, abbassarono il Vangelo alla fiacchezza degli uomini, e costruirono una morale a uso del secolo, piena di scappatoie, di casi, di distinzioni: un compromesso tra la coscienza e il vizio… E nacque la dottrina del "probabilismo", secondo la quale un "doctor gravis" rende probabile un'opinione, e l'opinione probabile basta alla giustificazione di qualsiasi azione, né può un confessore ricusarsi di assolvere chi abbia operato secondo un'opinione probabile…".
"Questa morale rilassata", prosegue De Sanctis, "era favorita da un'altra teoria", quella della "directio intentionis", secondo cui un'azione cattiva è lecita, quando è lecito il fine di essa.
Commenta De Sanctis:"È la massima che il fine giustifica i mezzi…". Infine, conclude De Sanctis, viene la dottrina della "reservatio et restrictio mentalis", secondo cui "il giuramento non ti lega, se tu usi parole a doppio senso rimanendo a te l'interpretazione". (30)
Citare quindi l'avversione di Planco al Probabilismo, può significare che nel medico riminese esisteva una precisa simpatia per le posizioni dei Giansenisti.
Dice Giovenardi che Planco insegnò Teologia morale nella sua scuola privata. (31) Ma Giovenardi non precisa il contenuto o le novità di tale insegnamento. Se cioè esso comportava anche atteggiamenti pascaliani.
L'abate Amaduzzi, che di Filosofia se ne intendeva profondamente come dimostrano tre suoi Discorsi pronunciati in Arcadia, e che soprattutto conosceva bene le tematiche gianseniste, riconosce a Planco il merito di aver insegnato "l'etica filosofica con quella precisione, ed impegno che si suole osservare in quelli che parlano coll'interna persuasione". Basta ciò a dimostrare l'esistenza di affinità intellettive tra un Amaduzzi cosiddetto giansenista, ed il suo maestro Planco? Amaduzzi, nel descrivere l'attività del Bianchi, fa poi un'osservazione pungente: "Mancò di un certo criterio, per il che fu soggetto talvolta a qualche paralogismo", cioè a sillogismi falsi con apparenza di verità. Segue la constatazione che se la Filosofia è "la medicina delle malatìe dell'anima", "chi non ne profitta è sempre un Filosofo imperfetto". (32)

VII. Tra Medicina e Filosofia
Al titolo di filosofo, invece, Planco tiene in modo particolare. D'altro canto, fino a tutto il '600, la Medicina ha fatto parte della scienze filosofiche. Solo da poco, è diventata una scienza naturale e sperimentale. (33)
In questo continuo scambio di Medicina e Filosofia presente in Planco, c'è il perpetuarsi di una situazione antiquata, secondo superati schemi culturali e didattici.
Nella sua seconda autobiografia [1751], meno distesa di quella in latino del '42, ed intitolata Recapiti (34), Planco ricorda di aver conseguito il 7 luglio 1719 "la laurea in medicina, e in filosofia"; di aver insegnato nella sua scuola domestica "principalmente" la Filosofia; di aver cominciato nel 1734 "insieme co' suoi scolari, ch'egli à avuti sempre in buon numero, a fare osservazioni filosofiche [cioè sperimentali, corsivo nel testo] sopra il flusso, e riflusso del mare"; di aver scritto il De conchis minus notis, un "libro… tutto ripieno di nuove scoperte, e di dottrine filosofiche pellegrine"; di aver avuto in Siena "privatamente in casa… altri scolari in Filosofia", tra cui il futuro vescovo di Todi, Francesco Pasini (il maestro del Bertòla, di cui era anche parente); e di aver "in casa sua [a Rimini]… messa in piedi l'antica accademia filosofica, ed erudita de' Lincei".
In quest'Accademia, si insegnarono tante discipline, ma non la Filosofia come classe a sé, a cui potessero appartenere gli studiosi iscritti. (35)
Nell'autobiografia latina, Planco ricorda di aver sostenuto "disputationem publicam de universa Philosophia", di aver insegnato "Scientias varias", e di aver trattato "de rebus Philosophicis, Anatomicis, Botanicis". (36)

VIII. La Filosofia empirica
In definitiva, per Planco la Filosofia è il collante delle Scienze, il legame di ogni ricerca, il fattore che unifica e garantisce nell'indagine sulla realtà. Non è una disciplina a sé stante, con le sue regole, con il suo sistema di conoscenza.
In ciò, Planco è più scienziato che filosofo: la Filosofia per lui non è un metodo di lavoro, ma lo strumento con il quale giustificare la propria "verità" acquisita. In ciò, egli appare più come un vecchio umanista che un nuovo filosofo dell'età dei lumi.
Egli stesso, nei Recapiti, elencando alcune sue "operette" relative al terremoto, alle aurore boreali, e ad osservazioni di Anatomia e Veterinaria, dice che esse "sono tutte corredate di pellegrine osservazioni, e di dottrine filosofiche". (37)
Ancora nei Recapiti, Planco dice di sé che, ristabilitosi nel 1744 a Rimini, "tornò ai soliti esercizj delle sue scuole insegnando a chi la Filosofia, a chi la Medicina, a chi la Geometria, e a chi la lingua Greca". (38)
La parola Filosofia (sia qui come sostantivo, sia dove appare nella forma d'aggettivo), è sempre scritta in corsivo, a differenza delle altre materie. Quale recondito significato intellettuale, può avere questa peculiarità dello stile?
Forse la spiegazione sta proprio in quel considerare la Filosofia come qualcosa che lega ogni aspetto ed atto della conoscenza. Di ciò abbiamo conferma se riportiamo le opinioni ed i ricordi di Planco appena citati, ai suoi interessi culturali e professionali.
Come medico, Bianchi si forma proprio nel momento in cui la scuola medico-filosofica che si ispirava a Claudio Galeno (129-200 c.), si sta affievolendo, e sta tramontando la dottrina dei quattro umori (bile nera, bile gialla, flegma e sangue). È Giovenardi che ricorda la "Galenica barbarie", forse riferendo un parere ascoltato alla scuola di Planco. Galeno era stato un'autorità sino al 1543, quando le sue teorie anatomiche furono smentite da Andrea Vesalius con il De humani corporis fabrica.
Planco sottolinea che a Bologna, a differenza dei comuni studiosi dell'arte medica, non aveva ascoltato soltanto "medici teorici e pratici", bensì aveva anche frequentato degli eruditi, come l'anatomico Antonio MariaValsalva e il filosofo empirico Beccari. (39)
Quella definizione di "filosofo empirico" significa parecchio, soprattutto se riferita al clima scientifico in cui l'osservazione del dato reale (tipica di ogni nuovo studio in quei tempi), subentra al pregiudizio degli aristotelici e all'enunciazione teorica di principi poi non verificati nell'esperienza.
Insomma, è il trionfo della scienza sperimentale, il trionfo di Galileo, anche se in Planco sembra mancare la consapevolezza della necessità di un'enunciazione metodologica precisa e salda, al riguardo.

IX. In nome di Galileo?
Il nome di Galileo appare nell'elenco degli autori che Planco e i suoi dotti colleghi ed amici leggono e discutono. In quell'elenco, troviamo poi ricordati Platone, Demostene, Cicerone. È un miscuglio di Filosofia, Etica e Fisica, di cui si ha riprova nel Giovenardi che, scrivendo l'Orazione funebre per il proprio maestro, ne assorbe anche gli umori, citando ripetutamente il Cicerone del De Officiis, accanto ad Orazio e all'Ecclesiaste.
Sull'applicazione del metodo sperimentale da parte di Planco, è fondamentale quest'annotazione fatta da Bertola: il nostro Bianchi fu "osservatore giudizioso della Natura, ma poco amico di quella massima legge: Niun esperimento dee farsi una sol volta". (40)
Sempre a proposito dell'applicazione del metodo sperimentale, c'è una testimonianza diretta di Planco, in una lettera a Muratori: "Io vorrei che i giovani, fino che sono in una certa età, non si divagassero tanto nella lettura di molti libri, ma vorrei che, avendo coltivato lo studio delle lingue erudite, cioè della greca, della latina e anche della nostra vulgare, stassero intenti a studiare unicamente per alcuni anni il bel libro della natura, i cui caratteri sono gli angoli, i triangoli, i quadrati, i circoli, le ellissi, i coni, i cubi, i cilindri e l'altre figure tutte, sì piane che solide. Con questo abecedario e con gli esperimenti e con le osservazioni prese dalla notomia, dalla buona chimica, dalla astronomia e da tutte l'altre arti utili al genere umano, si pongono certi fondamenti per le scienze tutte, senza de' quali è vano ogni nostro sapere…". (41)
Ma questo più che Planco, è proprio il Galileo del Saggiatore, là dove si legge che l'universo è il "grandissimo libro… scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parole; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto".
La differenza tra lo stile di Galileo così lucidamente sintetico ("e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche"), e quello enumerativo di Planco ("i… caratteri sono gli angoli, i triangoli, i quadrati, i circoli, le ellissi, i coni, i cubi, i cilindri e l'altre figure tutte, sì piane che solide"), non è soltanto letteraria.
Dietro quella differenza, c'è una diversità di mente e di metodo. Sotto un certo aspetto Planco appare ancora retoricamente barocco, all'opposto della chiarezza concettuale della nuova scienza galileiana.
Sotto un altro aspetto, però, Planco vuole distaccarsi dalla mentalità barocca, anzi aristotelica, del dogmatismo del sapere cartaceo, proprio là dove si dimostra contrario alle troppe letture. Però, nel '700, il libro non è più sinomino dell'autorità culturale di uno scrittore, bensì un veicolo di comunicazione intellettuale. Per cui, quel dogmatismo che si vorrebbe combattere scacciandolo dalla porta, rientra subito dalla finestra, se si ha paura dei libri proprio in quanto veicoli di quella comunicazione intellettuale che dovrebbe essere innovativa rispetto al principio di autorità.
Planco non 'ricopia' Galileo soltanto in questa lettera a Muratori, bensì anche quando rimprovera i colleghi di Siena, di insegnare un'"anatomia cartacea". Galileo infatti aveva parlato di una "astronomia cartacea".
Si può definire Planco un galileiano? Se la filosofia di Galileo "obbedisce alla sola autorità della ragione e contiene un solo canone per lo scienziato: il rispetto della coerenza del ragionamento e dei dati empirici" (42), Planco non è un seguace perfetto di Galileo, perché a quel "solo canone", Planco sostituisce una regola più complessa.
Questa regola ci viene spiegata da Planco all'inizio delle Leggi dei rinnovati Lincei riminesi, dove (dopo una citazione di Platone), si dice che per diventare filosofo, "…niente è migliore e più utile che diligentemente indagare su quanto, per un dato argomento, hanno espresso i dottissimi filosofi e gli uomini eruditissimi: tuttavia, ai loro pareri, e l'investigazione della stessa natura, e le proprie osservazioni, e il confronto su tutte le cose, e l'uso di discutere singolarmente su quella parte che sia più vera, aggiungano anche il giudizio". (43)
Dunque: prima vengono i pareri dei "dottissimi filosofi", poi "l'investigazione della stessa natura". È la negazione del metodo della "sensata esperienza".
Lo stesso Planco applica la teoria enunciata nelle Leggi dei Lincei, quando discute dell'inoculazione a scopo preventivo del vaiolo, e si pronuncia contro, richiamandosi ad Ippocrate, alterando i dati statistici comunemente conosciuti allora, e definendo infine un atto empio e barbaro la stessa inoculazione, atto che non poteva essere accettato da un medico prudente e da un uomo pio. Più che la scienza nuova, Planco segue i teologi che "a Parigi, e non solo a Parigi… condannarono" appunto come "empia l'inoculazione". (44) A proposito di inoculazione a scopo preventivo del vaiolo, Amaduzzi (nel cit. II Discorso) la considera uno dei provvedimenti che indicano l'atteggiamento illuminato dei principi per migliorare la società. Il tema è ripreso anche nel III Discorso, p. 23, a proposito delle verità fisiche e dei "medici salutari ritrovamenti".

X. Influssi franco-modenesi
Nell'autobiografia latina, Planco dice che "Philosophicis suis exercitationibus pacato animo operam dedit". È soltanto una precisazione psicologica, o non anche di metodo? Quel "pacato animo" sta forse per un "senza pregiudizi"?
Null'altro precisa Planco circa il suo insegnamento. Nella stessa autobiografia latina, quando ritrae se stesso sotto l'aspetto non culturale ma del comportamento, nient'altro aggiunge. (45)
La fonte documentaria più ricca resta Giovenardi, il quale ricorda che Planco era solito ripetere ai discepoli una sentenza di Mabilone: rende di più la lettura del ciceroniano De Officiis, che quella dei sommisti medievali, cioè delle compilazioni o sintesi di stampo dogmatico-aristotelico. (46)
Il nome di Mabilone dovette risuonare nelle aule planchiane. Jean Mabillon è un personaggio importante e conosciuto, dalle nostre parti. Nel 1686 è stato a Parma, ospite di Benedetto Bacchini.
Bacchini fu bibliotecario dell'Estense di Modena dal '97 al '99, e predecessore nonché maestro di L. A. Muratori (bibliotecario dal 1700 al 1750). Planco incontrò Bacchini di persona. (46 bis).
Mabillon, assieme a Bernard De Montfaucon, è il principale esponente della nuova filologia storiografica europea.
Bacchini è un buon conoscitore di Gassendi e Pascal. Muratori (1672-1750) all'inizio del '700, svolge un'azione propulsiva verso una nuova cultura, come appare dai suoi scritti. Nel 1703, conclude i Primi disegni della repubblica letteraria d'Italia con l'esortazione ai filosofi contemporanei a "ritrovare nuove macchine e mezzi per giungere più da vicino a conoscere la fabbrica, le virtù, l'origine, gli artifizi occulti, la lega o inimicizia ed altre infinite qualità di tanti e sì vari corpi formanti il mondo terreno e celeste, muoventisi o privi di moto. Sono quegli studi che noi vorremmo principalmente coltivati da' nostri Filosofi, e che possono aiutati dal raziocinio porgere gran soccorso alla storia della natura". (47)
Muratori nella sua Lettera esortativa di Lamindo Pritanio ai capi, maestri, lettori ed altri ministri degli ordini religiosi d'Italia, contrappone i "lumi nuovi per illuminare se stesso e gli altri" e le "luminose scienze" dei nuovi tempi, all'"ignoranza de' secoli barbari". (48)
Muratori, come si è già visto, è stato uno dei principali corrispondenti di Planco.

XI. Il vero sapere è quello "dogmatico"
A riprova dei suoi metodi filosofici, Planco nell'autobiografia latina ricorda che nel '34 cominciò a fare osservazioni sul mare, concluse nel giro di cinque anni. (49). Nei Recapiti (50), come abbiamo già visto al paragrafo VII, Planco spiega che quelle osservazioni erano "filosofiche". Da esse, doveva scaturire nel '39 il già citato De conchis. (51)
La questione delle osservazioni marittime appassiona Planco: nel 1765, scrive contro la Memoria richiesta al padre gesuita Ruggiero Bòscovich dai Deputati del Porto, circa la sistemazione del canale riminese. (52)
Bòscovich indica cinque modi per fare un porto, senza però sceglierne uno per quello di Rimini.
Bianchi giudica il lavoro di Bòscovich scritto "in istile accademico, e non dogmatico, cioè in istile, come ora si dice, problematico". (53)
Questa osservazione di Planco contro Bòscovich, al di là del puro valore polemico che non meraviglia più di tanto nel Bianchi, ha anche un significato metodologico, sfuggito del tutto a Luigi Tonini che della questione del porto trattò in una sua operetta. (54)
Tonini scrive che la Memoria redatta da Bòscovich "era assai problematica". Tonini sposa toto corde le teorie di Planco sul prolungamento dei moli, e trascura la valenza filosofica di quell'affermazione. (55)
Allo stile "accademico" di Bòscovich, Planco contrappone il proprio, che definisce magistrale. E alla problematicità di un filosofo accademico come Bòscovich, Planco preferisce la sicurezza di chi propone "una sola dottrina certa, come fanno i Filosofi dogmatici". (56)
Il sapere dogmatico per Planco è il massimo della scienza, è il vero filosofare. Scrive Masetti Zannini: "…scelta una strada, il Bianchi molto difficilmente si persuadeva a doverla cambiare e difendeva la propria posizione con ogni mezzo immischiandosi in vivaci se non addirittura feroci polemiche nelle quali non ebbe certo da guadagnare". (57)
Che cosa significa quell'aggettivo "accademico", attribuito a Bòscovich ed al suo stile?
Le accademie settecentesche sono occasione di incontro e confronto. I Lincei riminesi di Planco si rivelano invece una scuola chiusa, legata al maestro che la dirige, e le dà la propria personale impronta, con orgoglioso esclusivismo. (La I legge accademica scritta da Planco, dice: "Accademia Aristocratica esto").
Per Planco la Filosofia deve essere dogmatica, dunque. Ma com'è possibile conciliare questa Filosofia dogmatica con quel metodo sperimentale che costituisce la novità della Scienza da Galileo in poi? Ecco il grande contrasto, per nulla apportatore di contributi dialettici, che caratterizza la personalità di Iano Planco.
Dei limiti culturali e filosofici di Planco, ci è testimonianza il paragone tra il corpo umano ed i fenomeni marittimi, a cui Bianchi fa ricorso per giustificare il proprio intervento sulla questione del porto canale. A chi gli suggeriva di fare soltanto il medico, Planco rispondeva: "…il corpo umano è una macchina Idraulica, com'è il Globo Terracqueo, e le vene e le arterie del corpo umano insieme col cuore sono come i Fiumi, e il Mare, su de' quali si fondano i Porti…". (58)
A parte quella parola "macchina", non soltanto settecentesca (L'uomo-macchina di Lamettrie è del 1748), ma anche cartesiana (58 bis), per il resto sembrerebbe di leggere una pagina medievale o umanistica, se non fosse per l'arguzia dal sapore barocco presente nella similitudine tra corpo e globo. È molto lontana la logica di quel Galileo tanto invocato.
Una comprova del conservatorismo filosofico di Bianchi, ci è fornita dai titoli dei "compiti" assegnati da Planco ai suoi studenti tra 1757 e 1759. Li ricaviamo dai manoscritti Amaduzzi, conservati alla Biblioteca dei Filopatridi di Savignano.
Un titolo propone: "Systema, quod Ptolemaicus dicitur, nulla ratione defendi possit". Dall'opera di Copernico De revolutionibus orbium coelestium del 1543, sono passati già due secoli.
Un altro attribuisce alla "logica artificialis" semplicemente il compito di avviare alle altre scienze, senza che essa abbia una propria dignità di dottrina autonoma. A Planco sfugge che "la logica deve essere consapevolezza critica d'un pensiero in atto" (59), e che in quanto tale non ha soltanto un valore propedeutico, ma è fondamentale nello studio filosofico e nella ricerca scientifica.
L'idea che Planco ha della logica, è la stessa che appare in Carlo Goldoni: essa "apre le strade a tutte le scienze fisiche e speculative". (60) Ma Goldoni non era filosofo di professione!


Note
(1) Cfr. Lettere, bolle e discorsi di fra Lorenzo Ganganelli (Clemente XIV), Le Monnier, Firenze 1849, p. 280. Il volume esaminato appartiene alla Biblioteca parrocchiale di San Lorenzo in Strada di Riccione.
(2) Cfr. Carteggio inedito di G. Morgagni con G.B., a cura di Guglielmo Bilancioni, Steb, Bari 1914, p. 30. Il documento di Muratori era apparso precedentemente in Le lettere di L. A. Muratori al dottor Giovanni Bianchi cavate dagli autografi nella Gambalunghiana di Rimini e pubblicate con appendici di documenti storici per Giulio Cesare Battaglini, Albertini, Rimini 1879, p. 46.
(3) Cfr. A. Turchini, Tra provincia ed Europa. Scienza e cultura a Rimini nel XVIII secolo, in E. Guidoboni - G. Ferrari, Il terremoto di Rimini e della costa romagnola: 25 dicembre 1786, SGA, Bologna 1986, p. 147.
(4) Cfr. C. Tonini, La Coltura letteraria e scientifica in Rimini, Danesi, Rimini 1884, vol. II, p. 207.
(5) Cfr. Relazione delle solenni esequie… al card. Da Via, 1740, di Anonimo, p. III. Ma secondo le Novelle Letterarie di Firenze (28 luglio 1758, coll. 477-478), lo scritto è opera di Iano Planco.
(6) Ibidem, p. V.
(7) Si tratta dei cosiddetti Recapiti del dottore Giovanni Bianchi di Rimino [Gavelli, Pesaro 1751]. Cfr. alla p. V. Sulla paternità dell'opera, cfr. le citt. Novelle Letterarie alla nota 5, col. 480. L'altra autobiografia è quella che citiamo nella nota 16.
(8) Cfr. Relazione cit., p. VII.
(9) Cfr. G. Giovenardi, Orazion Funerale in lode di mons. Giovanni Bianchi…, Occhi, Venezia, 1777, p. XVII. Giovenardi (1708-89), fu allievo della scuola riminese di Planco. Sulla sua figura, cfr. P. Meldini, Il medico di parrocchia, G. G. e il dibattito su scienza e sacerdozio nel Settecento (in AA. VV., "San Vito e Santa Giustina, contributi per la storia locale", a cura di C. Curradi, Maggioli, Rimini 1988, pp. 173-187).
(10) Ibidem, p. XV.
(11) Ibidem, p. XIV.
(12) Cfr. prefazione di Goldoni al tomo IV delle sue commedie, ed. Pasquali, citata da A. Lazzari, C. G. in Romagna, I.V.A.G., Venezia 1908, p. 15.
(13) Cfr. C. Goldoni, Memorie, I parte, cap. VI, Bur, Milano 1961, p. 35.
(14) "I domenicani di Rimini erano in gran nome per la logica, che apre la strada a tutte le scienze fisiche e speculative…". Ibidem, cap. IV, p. 26.
(15) Scrive A. Fabi: "…le smaccate lodi del biografato e gli attacchi all'ambiente accademico senese indicavano chiaramente come opera dello stesso B." quell'autobiografia, della quale poi Planco riconobbe la paternità. (Cfr. A. Fabi, G. Bianchi., in "Dizionario biografico degli italiani", I. E. I.).
(16) "Vulgares Peripateticorum doctrinas, quas non minus semper Plancus oderat, quam Grammaticarum, & Rhetorum minutias". Cfr. in G. Lami, Memorabilia…, cit., p. 354. Il testo planchiano occupa le pp. 353-407. Il fratello di Planco, è frate Girolamo, ordinato sacerdote a Pesaro il 18 dicembre 1717 (cfr. sua lettera in pari data ad Iano Planco, Fondo Gambetti, Gambalunghiana).
(17) Ibidem, p. 355.
(18) Cfr. G. Giovenardi, Orazion Funerale, cit., p. XVI.
(19) Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, Saggiatore, Milano 1968, II, p. 44.
(20) Cfr. G. Vico, Autobiografia, Paoline, Milano 1958, pp. 48-49. La vicenda biografica di Vico è esemplare per comprendere il clima del tempo. Scrive F. De Sanctis: "Il movimento europeo gli giunse attraverso la sua biblioteca… Gli venne addosso la fisica di Gassendi, poi la fisica di Boyle, e poi la fisica di Cartesio… E per capire Gassendi si pose a studiare Lucrezio…". Cfr. Storia della letteratura italiana, II, Feltrinelli, Milano 1956, p. 357.
(21) Cfr. E. Garin, Storia della filosofia italiana, Einaudi, Torino 1966, p. 874.
(22) Cfr. in Lami, cit., pp. 354-355, e in G. Giovenardi, cit., p. XV.
(23) Cfr. in Lami, cit., p. 355: "quorum Plancus sociorum studia longe antevertit omnia, solusque brevi relictus est".
(24) Cfr. in Lami, cit., p. 356.
(25) Cfr. G. Giovenardi, cit., p. XIX.
(26) Cfr. E. Garin, Storia della filosofia italiana, cit., p. 875.
(27) Cfr. G. Preti, pp. IX-X delle Provinciali di B. Pascal, Einaudi, Torino 1983.
(27 bis). Cfr. la lettera di Planco ad Amaduzzi su Padre Giorgi, riportata in A. Montanari, Lumi di Romagna, Il Settecento a Rimini e dintorni, Il Ponte, Rimini 1992, p.101.
(28) Cfr. G. Giovenardi, Orazion Funerale, cit., p. XXVIII.
(29) Cfr. B. Pascal, Provinciali, cit., p. 43.
(30) Cfr. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, II, cit., pp. 341-342.
(31) Cfr. G. Giovenardi, Orazion Funerale, cit., p. XXVIII.
(32) Cfr. [G. Amaduzzi], Elogio di Monsig. Giovanni Bianchi di Rimino, in "Antologia Romana", 1776, pp. 226-229, 235-239.
(33) Cfr. G. Cardi, Iano Planco, medico riminese e la sua scuola, Tip. Sociale Faentina, Faenza 1909, p. 4.
(34) È l'opera cit. qui alla nota 7.
(35) Cfr. G. Masetti Zannini, Vicende accademiche del Settecento nelle carte inedite di I. P., in "Accademie e Biblioteche d'Italia", XLII, 1-2, Roma 1974, p. 55.
(36) Cfr. in Lami, cit., pp. 390, 392, 395.
(37) Cfr. Recapiti, cit., pp. III-IV.
(38) Ibidem, p. IV.
(39) Cfr. in Lami, cit., p. 357.
(40) Dal necrologio apparso nella Gazzetta universale di Firenze il 19 dicembre 1775 (Planco è morto il giorno 3 dello stesso mese), pp. 807-808. Cfr. A Fabi, Aurelio Bertola e le polemiche su Giovanni Bianchi, Lega, Faenza 1972, p. 7.
(41) Cfr. A. Turchini, G. Bianchi (Iano Planco) e l'ambiente antiquario riminese e le prime esperienze del card. Garampi (1740-179), estratto [1975] dal volume "A. Muratori storiografo", Modena 1972. La citazione è tolta da p. 418.
(42) Cfr. F. Brunetti, G. Galilei, "Storia della Letteratura Italiana, V, Il Seicento", Garzanti, Milano 1967, p. 177.
(43) Cfr. il manoscritto 1183 presso la Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, intitolato Lynceorum Restitutorum Codex. Il passo testuale da noi qui sopra tradotto è il seguente: "…ad eam autem rem nulla potior utiliorque reperitur exercitatio quam diligenter inquirere quid de re quaque doctissimi philosophi atque eruditissimi viri senserint: quorum tamen placitis et naturæ ipsius investigatio, et propriæ meditationes accedant, et sententiam collatio de rebus omnibus, et singulatim disserendi usus in eam partem quæ verior sit". Cfr. anche in A. Turchini, G. Bianchi e l'ambiente antiquario, cit., p. 414. Del manoscritto, parla G. Masetti Zannini in Vicende accademiche, cit., p. 79, nota 47.
(44) Cfr. L. Manzi, G. Bianchi e la polemica sull'innesto del vaiolo, Istituto Farmacologico Serono, Roma [1966].
(45) Cfr. in Lami, cit., p. 375.
(46) La citazione testuale è questa: "Fructus longe maior ex Ciceronis de Officiis lectione hauritur, quam nonnullorum Summistarum". Cfr. G. Giovenardi, Orazion Funerale, cit., p.XXVIII.
(46 bis) Planco nella sua autobiografia latina (in Lami, cit., p. 359), lascia intendere di aver frequentato Bacchini a Padova nella metà dell'inverno 1720-21. Scrive infatti (p. 358) che, dopo aver tenuto il 19 ottobre 1720 un'orazione a Bologna, per l'inaugurazione dell'anno accademico, resta in quella città per due o tre mesi, recandosi a Padova a metà dello stesso inverno, cioè all'inizio del 1721. Lo stesso si trova nel manoscritto n. 450 (catalogato da Gambetti con il titolo Vita sui ipsius, in Gambalunghiana, p. 5). Al posto di quel 1720, si deve invece leggere 1719. Inoltre, che l'orazione planchiana all'Archiginnasio sia del 19 ottobre 1719 e non 1720, lo attestano due schede su Bianchi del Catalogo Gambetti in Gambalunghiana, entrambe riferite all'invito a stampa relativo, che reca tale data ("XIIII Kal. Nov. 1719". L'incontro con Bacchini è, quindi, dei primi mesi del 1720, come si legge nei Requisiti del Dott. Bianchi di Rimino fino all'anno 1740, aggiunti anonimi all'autobiografia planchiana del ms. 405, p. 57: "L'inverno dell'anno 1720 si passò a Padova", e nei Recapiti, cit., p. II: "Sul principio dell'anno 1720 andò a Padova…"; e come si trova in una lettera del fratello di Planco, frate Girolamo, datata Pesaro 20 luglio 1720: "…essendo voi stato a Padova" (Fondo Gambetti, Gambalunghiana). Secondo il Giornale dei Letterati del 1723, pp. 346-348, il soggiorno padovano di Bacchini va dal 12 ottobre 1719 al 9 settembre 1720. Bacchini andò poi a Ferrara, e nel '21 si trasferì a Bologna, dove morì il 1° settembre dello stesso anno. Nel Giornale dei Letterati del 1721-22, alle pp. 295-319, si legge un'autobiografia di Bacchini. In quello del 1723 (p. 352), si scrive che egli "fu versato nella filosofia sì de' peripatetici che de' più recenti maestri, e a questa congiunse gli studi mattematici, senza i quali può dirsi priva d'occhi e di mani la scienza delle cose naturali". Bacchini trattò anche d'anatomia. Forse anche in lui si può trovare un modello (culturale e letterario) per Planco.
(47) Cfr. F. Diaz, Politici e ideologi, "Storia della Letteratura Italiana, VI, Il Settecento", Garzanti, Milano 1968, p. 108.
(48) Ibidem, pp. 109-110.
(49) Cfr. Cfr. in Lami, cit., p. 376: "cum discipulis suis, observationes maritimas inchoare coepit, quas quinquennii spatio perfecit".
(50) Cfr. Recapiti, cit., p. III.
(51) Il titolo completo dell'opera è Jani Planci de conchis minus notis liber cui accessit specimen æstus reciproci maris superi ad littus portumque Arimini, Venezia 1739. Con essa, Planco si fa conoscere dal mondo scientifico italiano: il volume è "di fondamentale importanza nella storia dei microforaminiferi" e "venne ripetutamente citato nei trattati di Linneo" e di altri studiosi. Ma "anche per gli altri suoi studi sugli animali marini… il Planco raggiunse un livello scientifico di tutto rispetto". Cfr. A. Turchini, Tra provincia ed Europa, cit., p. 148. Nell'autobiografia latina (cfr. in Lami, cit., pp. 382-383), Planco racconta che la "domus maritima speculatoria" costruita sul litorale per compiere rilievi scientifici, era ottagonale: ad ogni lato cossispondeva uno dei "venti italici", mentre un pinnacolo posto sul tetto indicava la direzione dell'aria. C'è molta messinscena barocca in quella struttura ottagonale, bastando l'indicazione dei punti cardinali per la identificazione dei venti.
(52) Cfr. A. Montanari, Lumi di Romagna, Il Settecento a Rimini e dintorni, cit., p. 66.
(53) Cfr. Lettera del signor Marco Chillenio ad un suo amico La quale serve d'Appendice al parere dato dal signor Dottor Bianchi Sopra del Porto di Rimino, Ricci, Pesaro 1765, p. 6. Chillenio è l'anagramma del cerusico Carlo Michelini, che aveva pagato la stampa di un altro lavoro di Planco. Il Parere è quello stampato nello stesso anno da Bianchi. Prima apparve la Memoria sopra il Porto di Rimino compilata dal signor Serafino Calindri con note del sig. Marco Chillenio, Rimino 1764, Ricci, Pesaro 1765,seguiranno poi il Parere sopra il Porto di Rimino del dottor Giovanni Bianchi, Ricci, Pesaro 1765(febbraio), ed infine la Lettera Chillenio (marzo '65).
(54) Cfr. L.Tonini, Il Porto di Rimini, brevi memorie storiche, Bologna 1864.
(55) Ibidem, p. 14. L'espressione "una memoria problematica" è pure in Bertola, nella biografia di Planco, contenuta nella Lettera… all'estensore della Gazzetta Universale: cfr. A Fabi, Aurelio Bertola e le polemiche su Giovanni Bianchi, cit., p. 10. Ma per Bertola essa suona positivamente, mentre in Tonini è del tutto negativa.
(56) Cfr. Lettera Chillenio, cit., p. 6.
(50) Cfr. G. Masetti Zannini, Vicende accademiche, cit., p. 54.
(58) Cfr. Lettera Chillenio, cit., p. 10.
(58 bis) Cfr. il Discorso sul metodo, parte V, cap. XVIII: "…questo corpo come una macchina". In questo collegamento, Planco appare cartesiano.
(59) Cfr. E. Garin, L'umanesimo italiano, Laterza, Bari 1964, p. 172.
(60) È la citazione riportata qui alla nota 14.

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Revisione grafica: 06.08.2012, 15:11
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