Riministoria© Antonio Montanari

Fame e rivolte nel 1797

Documenti inediti della Municipalità di Rimini

8. Incursioni a San Mauro e Santarcangelo

 

Circa centocinquanta malviventi "montanari", armati in vari drappelli, il 21 marzo si presentano ai proprietari del Comune di San Mauro e della sua campagna "per averne violentemente dei generi" alimentari: "incutono in tutti un gran timore colle jatanze, e colle minaccie, che spargono, massime contro quelli, che si mostrano più fedeli alla Repubblica". Quel che fa più paura, è la loro intenzione "di tagliare la fossa, che conduce l’acqua dalle parti superiori a Santarcangelo, ed a Rimini per uso dei rispettivi molini, lo che seguendo porterebbe la fame a quella Terra", alla città di Rimini, "ed alle rispettive campagne, giacché le farine, che si hanno sono sufficienti alle rispettive popolazioni" [83]. Secondo la cronaca di Nicola Giangi, questi malviventi provengono da "Sogliano, e Monti", e sono scesi a San Mauro perché proprio lì si trovava il grano requisito dal Commissario francese Giulio Fortis. Un episodio simile accade "quasi al tempo stesso" a Santarcangelo, da dove il cittadino Baldini (come leggiamo nella cit. relazione riminese a Lapisse), ha avvertito che "quel Paese si trova esposto al furore di detti forusciti in modo, che minacciano d’impadronirsene, e tanto è il timore, che vi hanno incusso, che i Municipalisti hanno abbandonato la loro residenza, e gli abitanti hanno chiuse le Case, e le Botteghe, e molti se ne sono fuggiti come ha fatto lui medesimo per aver inteso, che lo cercano particolarmente per esser egli stato uno di quelli, che scortò" i dragoni francesi "spediti a Sogliano: e ci ha confermato la protesta dei Malviventi di voler impedire il corso dell’acqua ai molini".

La relazione della Municipalità di Rimini a Lapisse non si limita ad esporre i fatti avvenuti, ma contiene pure una "riflessione" (tale è definita nel testo) che appare fondamentale ai fini del nostro discorso: "le Montagne da cui calano quei scelerati, sono scarsissime di viveri", a causa della proibizione "uscita dall’Amministrazione Centrale di lasciar sortir generi dalla Provincia". Tale proibizione, "potrebbe obbligarli per la fame a maggiori violenze: giacché una gran parte del Monte Feltro, in cui sonosi annidati per la maggior parte detti Forusciti, non possono tirare la loro sussistenza, che dalla Piazza di Rimini". La mancanza di viveri rimanda anche al problema, accennato in precedenza, delle epidemie bovine. Una notizia da legare a questo discorso economico sulle cause delle rivolte, è contenuta nella lettera inviata il 19 marzo [AP 503] dalla nostra Municipalità al generale Victor Perin presso il Quartiere militare di Foligno: si condivide il progetto francese che, "per portare l’abondanza dei Comestibili in tutte le Provincie", prevede di chiudere "l’escita ai generi ne’ porti per fuori stato, lasciandone poi libera la circolazione da luogo a luogo, e da Provincia in Provincia". Per porre fine alle scorrerie di "quei scelerati", bisognerebbe avere in mano il Forte di San Leo con dentro cento soldati da mandare dove si trovano i "contrabandieri", o spedire all’assalto "quando meno se lo aspettano", oppure infine a "tagliar loro la ritirata, quando dal piano ritornano alle loro case". La stessa mattina del 23 marzo, "una masnada di detti Briganti ha disarmata quella Guardia Civica, attaccando un Corpo" della truppa francese, di cui ha ucciso alcuni soldati, poi ha "involati i 54 bovini che da Ancona erano diretti a Mantova per conto della Repubblica" [ib.].

Sull’assalto a Santarcangelo, si hanno altri particolari nella missiva della municipalità riminese al Vice Comandante della Piazza Bondedier: verso la sera del 22 "è giunta colà una moltitudine di Contrabandieri considerata di passa mille teste, la quale si è impadronita di detta Terra, di tutte le Armi Civiche, e dei generi, e forse a quest’ora avrà dato il sacco a quelle case, e di più si è milantata di venir domattina ad invadere" Rimini [AP 503, 23.3.1797]. Ormai tutte le strade sono insicure. La nostra Municipalità invia a Lapisse "la nota dei Capi malviventi, che abbiamo esatta dal Comandante della Guardia Civica" [AP 503, 24.3.1797]; e chiede al locale Giusdicente Criminale Cittadino Tonti di attivarsi con "fedeli Esploratori" nella caccia ai "Montanari insorgenti": su di loro c’è il sospetto che "possano avere qualche segreta intelligenza con alcuni del nostro Popolo" [AP 503, 25.3.1797]. Agli "Esploratori" sarà accordata una "mercede a carico della Comunità, onde acquistare le più sicure notizie in affare di tanta importanza".

Il 24 marzo l’Amministrazione centrale ordina la "requisizione de’ buoi per approvisionar Mantova", previo un censimento del bestiame atto al lavoro, con un decreto che inizia: "Uomini deboli che avete sagrificati de’ tesori al lusso, ed all’avidità de vostri Despoti, sentite una volta il piacere di essere utili alla Patria, ed alla causa della Libertà" [SZ, ms. 1195, n. 44]. A Coriano il 25 marzo "dopo pranzo" si presenta "un Picchetto di 22 Contrabandieri avente per capo certo Simone Tonti della Taverna, che obbligò quegli Abitanti a deporre la Cocarda Francese, strappò dal solito luogo gli Editti del nuovo Governo, ed intendeva di volere le Armi di quella Guardia Civica, se non fossero state custodite nel Castello da Cittadini armati" [AP 503, 26.3.1797]. Un episodio analogo succede contemporaneamente a San Giovanni in Marignano, dove sono coinvolti i dragoni di Cattolica [ib.]. Sempre il 25 marzo a Monte Scudolo ("Terra unita a questa città [Rimini] nel rapporto della Contribuzione, ma non ad essa soggetta"), compaiono "due masnade di contrabbandieri in numero di 35 o 40, i quali presi i posti più vantaggiosi del Paese, si diressero al capo di quella Municipalità nel Quartiere della Guardia Civica, gli fecero perquisizione di tutte le carte, le lessero, s’impadronirono delle armi, e le asportarono, vollero a forza da lui la consegna di cento scudi raccolti per la contribuzione, e dal Governatore Allocatelli altri scudi 28, rilasciandone all’uno, ed all’altro la ricevuta sempre con minaccia della vita" [AP 503, 27.3.1797]. Obbligano poi detto Capo Municipalista "ad esporre egli stesso nel primiero luogo lo stemma del Papa". Il gesto beffardo dei "contrabbandieri" sembra compiuto per nascondersi dietro un comodo alibi politico. Questo particolare della scena finale è impareggiabile: il racconto fatto dalla Municipalità di Rimini a Lapisse culmina nel momento politico che chiude l’azione malavitosa, per significare che questi briganti sono al servizio del Pontefice se prima di andarsene con il loro bottino vogliono inneggiare al passato Governo. A loro volta quanti credono che quelle masse si muovano pronte a sacrificarsi in nome della Fede e della Sede di Pietro, possono avere ambigua conferma dal testo dei nostri "municipalisti", confortati oltre tutto dal fatto che i "contrabbandieri", gente perbene e non vili malfattori, usano la cortesia di rilasciare debita ricevuta per il denaro non rubato, ma sequestrato in nome della Causa.

A Monte Colombo gli stessi "contrabbandieri" cercano, senza trovarlo, il denaro della contribuzione: dai libri contabili possono appurare che esso non è stato ancora esatto [ib.]. Episodi analoghi accadono a Verucchio, Coriano, Sant’Andrea in Patrignano [AP 503, 27.3.1797], Gambettola, San Martino dei Molini [ib. 28.3.1797], Montefiore, San Patrignano, Besanigo, Pietracuta, Monte il Tauro e Scorticata [ib., 29, 30 e 31.3.1797]. È arrestato Pietro Tornani [84] da Sogliano, appartenente ad una famiglia sospetta, e soggetto che "non ha buon nome": indosso porta "una coltella, ed un numero di cartuccie con palle, e metraglia". "Siccome non aveva schioppo, così tantoppiù si rende sospetta la sua persona" [AP 503, 28.3.1797]. Alla Municipalità di Savignano si riferisce che Pietro Tornani sostiene "di aver portata questa mattina" ad essa una lettera di quella di Gambettola, "che gli è stata consegnata o da codesto Giusdicente, o dal Governatore Turchi, come ad uno della vostra Guardia Civica" [AP 503, 28.3.1797]: dunque, era un bandito, oppure come sosteneva lui stesso, uno che lottava a fianco dei francesi? Agli amministratori di Savignano spettava il compito di valutare gli "aneddoti surriferiti".

Il nome di Pietro Tornani rispunta in altri due documenti. L’11 giugno ’97 [AP 901] l’Amministrazione Centrale scrive alla Municipalità di Rimini: "Corre voce che questo capo dei rivoltosi, che mesi sono commisero tanti eccessi non meno in Savignano che in altri luoghi circonvicini, si ritrovi in Pesaro con animo di rimpatriare", il che, se avvenisse, "potrebbe procurare qualche nuovo gravissimo disordine". Nel ’99 egli si dichiara vittima di "saccheggio" nella propria bottega di tintore, e cita varie "Persone dalle quali pretende aver ricavato pregiudizio", senza però "esposittiva di Querela Relazionata" e senza portare testimoni. Tra gli accusati ci sono il conte riminese Gaetano Baldini, un "cisalpino", e Domenico Danzi, padrone della tintoria e della annessa casa in cui Tornani abita. Queste notizie si ricavano da una lettera che il Governatore di Santarcangelo Ercole Bartolini scrive ai Consoli di Rimini [AP 722, 20.6.1799] e che inizia con queste parole: "Gioachino Tornani mi ha presentati i Comandi delle Signorie Loro Illustrissime, di verificare cioè il sacheggio di cui si dole". La frase ha un tono che rimanda per somiglianza all’episodio di Gambettola. È un semplice tintore, il nostro uomo, ma si presenta come un personaggio capace di dare ordini a destra e a manca.

Nicola Giangi scrive che "li montanari" erano scesi anche a Savignano per rubare la contribuzione; e che "li contrabandieri" erano andati pure a San Martino Riparotta, "e da tutti li Arcipreti hanno preso grano, e altro": uno di loro, di sessant’anni, era stato catturato e fucilato. Alla Municipalità di San Giovanni in Marignano, timorosa "di poter subire danno dalle Truppe Francesi" nel caso di una loro avanzata in quel paese, Rimini risponde di aver invitato il Comandante della Piazza a distinguere "i rei dagli innocenti" [AP 503, 30.3.1797]. Raccomandazione superflua ma forse non ovvia con i militari, deve aver pensato la nostra Municipalità. Per i fatti di Montefiore [ib.], si sottolinea che gli autori possono esser "sicuramente" malviventi "del Tavoleto e Auditore", essendo quel Comune composto di "persone quiete, e ben intenzionate".

Un sarto di Rimini la sera del 29 marzo si presenta alle nostre autorità appena ritornato da Montefiore, allo scopo di riferire per conto di quella Municipalità che il giorno precedente i fuorusciti hanno giocato un brutto scherzo ad un loro compaesano, "un certo Vitali": "fattolo confessare, e comunicare, lo trasportarono in Piazza, ed a forza lo fecero mettere in ginocchio minacciandolo con l’archibugio alla faccia di volerlo realmente fucilare". Il Parroco ed i Cappuccini "con le più vive preghiere" riuscirono a farlo liberare: "Allora però detti Malviventi vollero dalla stessa Municipalità scudi 30 circa, che seco se li portarono assieme col Vitali suddetto, lasciando però nel Paese quattro de suoi a guardare la casa del Vitali per indi spogliarla" [AP 503, 29.3.1797]. Montefiore chiederà poi alla Municipalità di Rimini di processare le persone che "levarono" quei trentaré scudi: Rimini risponde che l’autorità competente per giurisdizione è quella di Pesaro, a cui si dovrà inviare "la distinta nota de’ nomi, e cognomi di quelli, che avete nella ricevuta, che vi fu fatta nell’atto, che foste forzati a consegnare il pagamento" della somma [AP 511, 1.5.1797].

Le Guardie Nazionali di Pietracuta "hanno arrestato quattro uomini, che transitavano con dieci bestie bovine, le quali erano marcate col segno della Repubblica Francese" [AP 503, 30.3.1797]. I quattro fermati sono stati avviati a San Leo: la Municipalità di Rimini chiede a quella di Verucchio di essere informata "il più presto possibile delle disposizioni, che hanno gli abitanti di San Leo per la Repubblica Francese, e per Noi, e se quei Capi che sieno rivoltati sieno nella disposizione di rientrare nell’ordine" [ib.]. La nostra Municipalità sembra quasi volersi tirar fuori da discussioni e responsabilità: le uniche disposizioni da eseguire sono quelle dei francesi. Oltretutto, comandano loro perché ci hanno occupati, e noi non possiamo far nulla.

 

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