Riministoria
© Antonio MontanariAurelio Bertòla politico, presunto rivoluzionario.
Documenti inediti (1796-98)di Antonio Montanari
[da "Studi Romagnoli" XLVIII (1997), Cesena 2000, pp. 549-585]
1. Un filosofo della Storia
Nato a Rimini nel 1753, Aurelio De Giorgi Bertòla è costretto dalle scarse fortune della famiglia a diventare monaco olivetano a quindici anni. Nel 74 debutta sulla scena letteraria con la Notte in memoria di Clemente XIV, a cui faranno seguito nel 76 Versi e Prose, un libretto erotico che gli dà fama duratura. Dal 76 all83 insegna Storia e Geografia allAccademia navale di Napoli. Nell84 ottiene la Cattedra di Storia Universale a Pavia. Nel 95 rinnova il successo dellattività poetica, con il Viaggio sul Reno, un diario dai toni romantici che affascina le nuove generazioni europee. Tra 96 e 98, anno della morte, linvasione napoleonica lo mette duramente alla prova. Bertòla aveva creduto in un riformismo di stampo illuministico, considerato capace di garantire allEuropa un tranquillo progresso sociale ed economico.
Le sue idee politiche sono esposte nella Filosofia della Storia (1787), unopera dalla complessa architettura e dallo stile contorto (1), la quale raccoglie il frutto dellinsegnamento svolto a Napoli ed a Pavia. Bertòla è consapevole che nella vita degli uomini e della Natura nulla è eterno ed incorruttibile. Tuttavia ritiene che i governi del suo tempo avrebbero potuto «lor forza e prosperità mantenere per un giro di secoli», grazie ad unattività legislativa «che fa tutto derivar da un principio, che tutto dirige ad un fine». Si sarebbero così evitati sconvolgimenti che lEuropa non temeva più, perché le «rivoluzioni ordinarie» erano «più rare assai, gagliarde assai meno»" (2). La stessa visione ottimistica è presente in due manoscritti, anteriori alla Filosofia della Storia, cioè la Breve Introduzione dello studio della Storia, redatta a Napoli nell81, ed il Ragionamento intitolato Disposizioni necessarie allo studio della Storia onde si fanno per essa eccellenti cittadini, composto a Pavia nell86 (3).
Nella Breve Introduzione [p. 1], considera la Storia, come "maestra de più grandi uomini", e come "il più eccellente principio che possa darsi alla educazione" politica e morale dei popoli. La politica è "la sublime arte del governo" e "la maniera di condursi lodevolmente nella società, ciascuno secondo la propria condizione; sì riguardo al sovrano, come riguardo ai cittadini". Con la morale, "si intende la riforma del nostro cuore, lacquisto dellamore per la virtù, e dellodio pe i vizj". Leducazione è tutto, commenta in una postilla: "Noi veggiamo inoltre nel quadro generale delle rivoluzioni del genere umano la prova evidente di questa verità, che tutte le Nazioni che hanno osservato le leggi dellordine, prosperano in una maniera particolare, e che periscono tosto che non ascoltando la voce della ragione universale, si abbandonano al disordine e allignoranza".
Nel Ragionamento [p. 28], dopo aver distinto una politica limpida e benefica che garantisce la "floridezza delle nazioni" da quella dei protagonisti "freddi egoisti, raggiratori" che non simpegnano "pel bene degli uomini", Bertòla assicura che lEuropa non avrebbe più subito "catastrofi strepitose", mancando "le smoderate conquiste" che rovinano il mondo (4). La tempesta napoleonica lo obbligò forse a rimeditare questi temi, nel segreto del suo animo, per verificarne la validità in rapporto ai fatti accaduti. Non sappiamo se egli pensasse di poter adattare alla figura di Napoleone le parole usate a proposito di Tiberio: "Tacito, nellatto che ci fa detestare lanima di Tiberio, offre de talenti di questo principe unidea così grande, egualmente che de raggiri, onde egli conduce la sua cupa e nera politica, che una specie di rispetto viene insensibilmente mescendosi nellorror che ci viene ispirato" [Ragionamento, p. 8].
Il richiamo al mondo antico è tipico delle pagine storiche bertoliane, forse per la convinzione, espressa nel Ragionamento sulla scia ancora di Tacito, che il tempo "cangia successivamente il nome degli attori che compariscono sulla scena del mondo; ma i caratteri restano gli stessi". In un altro passo, seguendo Guicciardini, Bertòla critica però Machiavelli per la "soverchia facilità nellapplicare gli esempj particolari" tolti dal mondo romano. Ma subito, a proposito delle differenze "de caratteri fra gli antichi e moderni", ripropone i modelli che "formarono i più granduomini di Atene, di Sparta, di Roma!". [Ragionamento, pp. 26-30] In questi lavori, Bertòla è prigioniero di una sfera intessuta tutta di eruditi rimandi alla classicità, che gli impediscono di considerare la parte di Storia moderna che va dalla rivolta dei Paesi Bassi (1566-1581) sino alla Dichiarazione dindipendenza (1776), passando attraverso le vicende inglesi con Cronwell (1642-45) e la "gloriosa e pacifica rivoluzione" (1688).
Non abbiamo incontrato documenti che dimostrino un Bertòla che, come Ugo Foscolo, credesse in Napoleone "liberatore". Dubitiamo che se ne possano rintracciare. Troppe sono le differenze tra il nostro poeta e lautore dellOrtis, a cominciare dalletà e dalla complessione fisica (non ancora ventenne, il riminese era scappato dal monastero per arruolarsi in Ungheria, ma subito si era ammalato, per cui era mestamente rientrato in patria, tra i confratelli). Certo è che, apparso Bonaparte sulla scena italiana, Bertòla si trovò invischiato in tali complesse trame che, da "filosofo della Storia", gli fu impossibile meditare a tavolino una strategia di opinioni e di comportamenti, probabilmente constatando che è inutile fare previsioni attraverso la lettura dei libri o con laiuto della filosofia; e che sopravvivere è unarte da apprendere dalla vita pratica (uomini dotti o ignoranti, non fa differenza), davanti ad una sorte ignota la quale ci rende tutti eguali, non proprio nel senso che avevano inteso gli Illuministi.
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2.
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