REGOLAMENTAZIONE

Prima che la pubblicità si evolvesse in un'industria mondiale ben organizzata, molte leggi e restrizioni imposte dai governi locali e nazionali venivano aggirate dalle pratiche scaltre e immorali di alcuni pubblicitari. In alcuni stati su determinati tipi di pubblicità sono state imposte ulteriori norme che possono variare di paese in paese: in alcune nazioni i media stessi sono sottoposti a regolamentazione, talvolta in relazione ai prodotti pubblicizzati (come nel caso di alcol e sigarette); in altre l'industria pubblicitaria è approdata a una forma di autodisciplina. Questi codici etici autoimposti mirano principalmente a limitare slogan e immagini di cattivo gusto, dichiarazioni erronee e ingannevoli, rappresentazioni denigratorie e sleali dei prodotti dei concorrenti.

In Italia, l'autodisciplina pubblicitaria è definita da un complesso di norme convenzionali create dagli organi di stampa e radiotelevisivi e dalle imprese di pubblicità. Sulla violazione di tali norme decide un "giurì d'autodisciplina". Su casi di pubblicità ingannevole può inoltre intervenire l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Garantire standard elevati costanti nella pubblicità è il compito delle associazioni di categoria. Spesso i media stabiliscono propri codici etici: alcuni giornali rifiutano di promuovere tabacco e alcol; molti verificano l'attendibilità degli inserzionisti prima di accettarne gli annunci. Alcuni editori hanno rigide regole adottate per evitare affermazioni false o esagerate e preservare il buon livello estetico delle loro pubblicazioni. In alcuni quotidiani italiani è stata introdotta, sull'esempio anglosassone, la figura del "garante del lettore".

Radio e televisioni hanno in genere un dipartimento apposito che visiona tutti i testi, relativi ai comunicati commerciali e non, eliminando o contestando il materiale che risulta discutibile; è questo un tipo di controllo che non ha più carattere censorio.