Introduzione
All’inizio dell’anno 2009, a distanza di sessantacinque dalla caduta del
Fascismo, epigoni del comunismo nostrano, ideologia crollata ben più
miseramente del “totalitarismo nero”, aggirandosi tra le bancarelle del
mercatino nel giorno del patrono, si sono accorti, scandalizzati e
turbati, che alcune di queste tenevano in bella mostra alcuni cimeli del
“deprecato” periodo fascista. Immediatamente è convocata una conferenza
stampa dove due dei rappresentanti del comunismo modenese ancora
“choccati” dalla “repellente visione” e dalla presenza d’orpelli del
tramontato regime, dichiaravano, letteralmente, alla stampa locale che
riportava, il giorno dopo, la notizia a caratteri cubitali:
“Quei banchi con in bella mostra quadri ed oggetti inneggianti il Duce
erano una presenza incresciosa. E’ inammissibile che nella nostra città,
medaglia d’oro della resistenza, sia consentita una cosa del genere. Per
di più a pochi passi dalle bancarelle, c’è il Sacrario della Ghirlandina.”
Anche il Segretario del Partito di Rifondazione Comunista ha parlato di
“Vergogna per Modena”.
Certo è che il senso del ridicolo, da parte dei vecchi arnesi del
comunismo nostrano, è difficilmente controllabile. Sono ormai decine di
anni che a Modena, in tutti i Comuni della Provincia e in tutta Italia e
tutte le Domeniche o nelle varie feste patronali, nei mercatini o nei
mercatoni dell’antiquariato, o dei “ferri vecchi” sono commerciati,
busti, quadri, libri, bandiere, copricapo, divise e quant’altro, facenti
riferimento a quel periodo storico.
I denigratori del Fascismo e del suo Duce dovrebbero, al contrario,
felicitarsi ed essere soddisfatti nel costatare che le ”reliquie” del
loro odiato nemico sono diventati semplici oggetti d’antiquariato, a
riprova che quel periodo fa parte del passato. Viceversa, non trovando
pariteticamente, (se non rarissimi), oggetti del comunismo russo, come
colbacchi, stelle rosse o effigi di Stalin (di quello italiano proprio
non esiste nulla, a dimostrazione della sua pochezza), provano rabbia
nel vedere una costante richiesta dei simboli del fascismo e non dei
loro, tanto che torna a rispuntare la furia iconoclasta, come quella che
imperversò nell’immediato dopoguerra. Furia, non solo iconoclasta che
arrivò a distruggere, nella nostra città, lo splendido edificio della
Casa della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) in Viale Medaglie d’Oro
e che potete trovare sulla copertina di questo libro, ma contro le
persone ostili a quella perversa ideologia, e che furono massacrate, con
uno spietato sistema di “eliminazione di massa” che, come un rullo
compressore, è passato sopra a tante popolazioni del mondo che hanno
avuto la sfortuna di sperimentare quel sistema di governo, attraverso
persecuzioni e uccisioni che hanno lastricato, di milioni di cadaveri,
le strade di quei territori dove si è conosciuto il comunismo che
prometteva loro, il “paradiso sovietico”.
E’ proprio girando per i mercatini, come quelli citati, che l’autore di
queste note ha trovato alcuni libri di storici locali antifascisti che,
nel ricostruire parzialmente e con un livore incredibile, i vent’anni di
fascismo a Modena, hanno gettato addosso a tanti personaggi e a tanti
cittadini onesti, che hanno vissuto o che hanno gestito la cosa pubblica
a quei tempi, fango, letame e cattiverie incredibili e a piene mani, pur
di accontentare i nuovi padroni. “Vae Victis”. Ricordiamoci però che
coloro che dominano, incontrastati, il nostro territorio con protervia
ed arroganza da oltre sessanta anni non sono stati altro che i
servitorelli, i portatori d’acqua e i leccapiedi, dei veri vincitori del
secondo conflitto mondiale, che sono stati gli anglo-americani. Mi sono
chiesto, di conseguenza, del perché per oltre sessant’anni, non è stato
possibile, sul nostro territorio fare uscire una pubblicazione
anticonformista, a contrastare, l’enorme quantità di stampati,
esclusivamente di parte catto-comunista, tendente a ricostruire, in una
visione più obiettiva e corretta, quel periodo storico, visto solamente
attraverso un manicheismo veramente deprecabile. Si trattava
semplicemente di cercare di rimettere nella giusta ottica, tutti quegli
uomini di Modena e della sua Provincia che aderirono a quella
“devastante ideologia”, in pratica la quasi totalità della popolazione,
per dare alle giovani generazioni la possibilità di documentarsi, anche
conoscendo il punto di vista degli sconfitti.
E’ molto difficile riuscire a contrastare, in Modena e Provincia, lo
strapotere catto-comunista che ha tutto a sua disposizione e che
condiziona da sempre, i mass-media a suo uso e consumo. Le rare voci del
dissenso, malgrado che il potere nazionale sia da anni in mano al
centro-destra e a tanti uomini provenienti dalle file del Movimento
Sociale Italiano, da sempre riconosciuto l’erede del fascismo, questi
non riescono, o non vogliono, per comodità o vigliaccheria, a farsi
sentire; di conseguenza la storia locale viene strumentalizzata da
quell’Istituto Storico della Resistenza, che percepisce cifre
ragguardevoli dallo Stato, ma che non ha mai dato voce al dissenso.
Nella ricostruzione del periodo storico del ventennio modenese che
abbiamo cercato di esaminare, seppure non avendo mezzi di nessun tipo a
disposizione, né affiancamenti o sostegno di partiti politici e di
associazioni, tanto meno appoggi di influenti uomini politici, né
particolari mezzi economici personali, (lo scrivente vive con una
modestissima pensione dello Stato) avendo anche dovuto sopportare le
spese per l’acquisto di testi o per consultazioni di riviste, giornali e
quant’altro utile ad una ricerca, forse approssimativa ma, quanto meno,
onesta ed obbiettiva, mi sono posto il problema di come cercare di dare
una connotazione ideologica a quel movimento che, a partire dagli anni
venti, sino ad arrivare ai primi anni quaranta, ha avuto, sul nostro
territorio, una partecipazione entusiastica e massiccia, di tutte le
classi sociali.
Abbiamo trovato, all’interno del Fascismo modenese, tutte quelle
conflittualità, continuate anche negli anni del dopoguerra, nel partito
che si rifaceva, almeno concettualmente, a quella ideologia e che
troviamo quotidianamente, anche oggi, in piena democrazia, laddove gli
uomini lottano per la conquista di modeste poltrone e con i metodi più
abbietti; ma almeno, durante il ventennio, la gerarchia era in mano ai
giovani e si trovava, conseguentemente, maggiore alternanza negli uomini
al potere, anche nell’amministrazione della città, rispetto al grigiore
politico del lunghissimo strapotere comunista, che insiste su Modena
ancora negli anni 2010.
Nelle pagine che seguono abbiamo cercato di rivedere la Modena degli
anni millenovecentoventi e trenta, in particolare attraverso lo studio
degli avvenimenti locali e nazionali con la consultazione dei quotidiani
dell’epoca e di testi di autori che hanno studiato la storia di quegli
anni, cercando di mondarla di tutti gli aspetti agiografici o
denigratori che abbiamo, via via, trovato. Non è nostro compito
riscrivere la storia, ma cercare di ricordare il Fascismo, e i fascisti
modenesi o gli antifascisti, e non solamente quelli della guerra o della
lotta fratricida, ed esclusivamente loro, che ci vengono ricordati, con
ossessione quotidiana da oltre sessant’anni, ma desideriamo ricordare
quel fascismo sociale che ha modernizzato la nostra città e una Nazione,
allora arretrata, riscattandola in tempi brevissimi, agli occhi di tutto
il mondo. Non si può misconoscere quanto di positivo fu fatto in quegli
anni per la paura che Mussolini possa risuscitare o presentarsi sotto
mentite spoglie, il Fascismo, che possa piacere o nò, ha concluso la sua
vita terrena nel 1945.
Quello che a noi interessa è cercare di far capire, a tutti coloro che
non hanno vissuto quel periodo, che non può essere né completamente
demonizzato né, tanto meno, totalmente esaltato; per decenni nelle
scuole italiane durante le lezioni di storia, o nei testi di quella
materia, venivano del tutto cancellati gli anni del ventennio fascista,
o ne venivano presentati solamente i risvolti negativi, quegli errori
che indubbiamente Mussolini fece, come la promulgazione delle vergognose
leggi razziali, l’anacronistica campagna coloniale o la frettolosa
entrata in guerra ( ma poteva forse l’Italia restarne fuori?) anche se
tutto il Paese partecipava in modo entusiastico a tutte le
manifestazioni che appoggiavano quelle iniziative. Indubbiamente il
Fascismo si affermò, in uno scontro conflittuale con le altre fazioni,
socialisti, comunisti e clericali, anche con i manganelli e con l’olio
di ricino; ma quale rivoluzione s’è mai affermata nella storia senza un
minimo di violenza? Ricordiamoci della rivoluzione francese che fu
un’immensa carneficina, o della rivoluzione bolscevica con un contorno
d’orrori e di massacri di massa incredibili. La dittatura fascista, in
anni dove altre dittature si affermarono o s’impadronirono del potere
con i campi di concentramento, le fosse comuni e le deportazioni di
massa, non arrivò a fucilare i suoi oppositori, come invece fecero
Stalin e Hitler, al limite, Mussolini, quei pochi li mandava al confino,
all’isola di Ponza o a Ventotene. Certo che anche a Modena imperavano
gerarchi e gerarchetti che non si fecero particolarmente amare dalla
popolazione, come d’altra parte succede anche oggi, con i caporioni
comunisti o delle nuove formazioni che mascherano il vecchio partito
della falce e martello. Non trascuriamo poi il discorso di quei gerarchi
che istruirono e catechizzarono, per non dire che plagiarono, una
generazione di giovanissimi attraverso una trasmissione di valori, quali
onore e fedeltà, ai quali questi arrivarono a sacrificare la loro
giovane esistenza anche con la morte, mentre i loro maestri, ai primi
sintomi di difficoltà di un Italia entrata in guerra malpreparata, ma
attraverso il loro entusiastico apporto, andarono poi a nascondersi
nelle sagrestie, o a voltar gabbana financo nei partiti più a sinistra,
per rispuntare con i diplomi di antifascismo rilasciati dal vincitore
anglo americano, nell’immediato dopoguerra. Quei giovani che invece
mantennero fede al giuramento, contrariamente ai loro insegnanti, furono
barbaramente massacrati e ancor oggi, criminalizzati.
La storiografia importante di quegli anni e anche dell’ultimo periodo
della guerra civile, è stata fatta, fondamentalmente, da autori e da
storici quali, Attilio Tamaro, Renzo De Felice, Piero Pisenti, Giorgio
Pisanò e pochi altri, ma in tutti questi anni, a Modena in particolare,
leggere o studiare la stampa di coloro che avevano perso la guerra, era
pericoloso o, come diceva Piero Buscaroli, inutile, perché erano i vinti
e il suo prestigio era riconosciuto solamente dalle vittime e dai loro
congiunti.
Questo volume, dedicato alla storia del fascismo modenese dal 1919, in
altre parole dai suoi inizi, sino al 25 Luglio 1943, vuole esser la
conclusione della trilogia dedicata all’ideologia fascista in Provincia
di Modena, assieme ai due precedenti volumi, “Vista dai Vinti: la guerra
civile nel modenese 1943-1945” e quello dedicato a “Modena vista da
destra”, che tratta il postfascismo locale e la destra in generale, dal
Movimento Sociale Italiano al PdL, vale a dire dal dopoguerra sino ad
oggi.
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