Introduzione

MODENESI IN CAMICIA NERA

Gli anni dal 1919 al 1943

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Introduzione


All’inizio dell’anno 2009, a distanza di sessantacinque dalla caduta del Fascismo, epigoni del comunismo nostrano, ideologia crollata ben più miseramente del “totalitarismo nero”, aggirandosi tra le bancarelle del mercatino nel giorno del patrono, si sono accorti, scandalizzati e turbati, che alcune di queste tenevano in bella mostra alcuni cimeli del “deprecato” periodo fascista. Immediatamente è convocata una conferenza stampa dove due dei rappresentanti del comunismo modenese ancora “choccati” dalla “repellente visione” e dalla presenza d’orpelli del tramontato regime, dichiaravano, letteralmente, alla stampa locale che riportava, il giorno dopo, la notizia a caratteri cubitali:
“Quei banchi con in bella mostra quadri ed oggetti inneggianti il Duce erano una presenza incresciosa. E’ inammissibile che nella nostra città, medaglia d’oro della resistenza, sia consentita una cosa del genere. Per di più a pochi passi dalle bancarelle, c’è il Sacrario della Ghirlandina.”
Anche il Segretario del Partito di Rifondazione Comunista ha parlato di “Vergogna per Modena”.
Certo è che il senso del ridicolo, da parte dei vecchi arnesi del comunismo nostrano, è difficilmente controllabile. Sono ormai decine di anni che a Modena, in tutti i Comuni della Provincia e in tutta Italia e tutte le Domeniche o nelle varie feste patronali, nei mercatini o nei mercatoni dell’antiquariato, o dei “ferri vecchi” sono commerciati, busti, quadri, libri, bandiere, copricapo, divise e quant’altro, facenti riferimento a quel periodo storico.
I denigratori del Fascismo e del suo Duce dovrebbero, al contrario, felicitarsi ed essere soddisfatti nel costatare che le ”reliquie” del loro odiato nemico sono diventati semplici oggetti d’antiquariato, a riprova che quel periodo fa parte del passato. Viceversa, non trovando pariteticamente, (se non rarissimi), oggetti del comunismo russo, come colbacchi, stelle rosse o effigi di Stalin (di quello italiano proprio non esiste nulla, a dimostrazione della sua pochezza), provano rabbia nel vedere una costante richiesta dei simboli del fascismo e non dei loro, tanto che torna a rispuntare la furia iconoclasta, come quella che imperversò nell’immediato dopoguerra. Furia, non solo iconoclasta che arrivò a distruggere, nella nostra città, lo splendido edificio della Casa della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) in Viale Medaglie d’Oro e che potete trovare sulla copertina di questo libro, ma contro le persone ostili a quella perversa ideologia, e che furono massacrate, con uno spietato sistema di “eliminazione di massa” che, come un rullo compressore, è passato sopra a tante popolazioni del mondo che hanno avuto la sfortuna di sperimentare quel sistema di governo, attraverso persecuzioni e uccisioni che hanno lastricato, di milioni di cadaveri, le strade di quei territori dove si è conosciuto il comunismo che prometteva loro, il “paradiso sovietico”.
E’ proprio girando per i mercatini, come quelli citati, che l’autore di queste note ha trovato alcuni libri di storici locali antifascisti che, nel ricostruire parzialmente e con un livore incredibile, i vent’anni di fascismo a Modena, hanno gettato addosso a tanti personaggi e a tanti cittadini onesti, che hanno vissuto o che hanno gestito la cosa pubblica a quei tempi, fango, letame e cattiverie incredibili e a piene mani, pur di accontentare i nuovi padroni. “Vae Victis”. Ricordiamoci però che coloro che dominano, incontrastati, il nostro territorio con protervia ed arroganza da oltre sessanta anni non sono stati altro che i servitorelli, i portatori d’acqua e i leccapiedi, dei veri vincitori del secondo conflitto mondiale, che sono stati gli anglo-americani. Mi sono chiesto, di conseguenza, del perché per oltre sessant’anni, non è stato possibile, sul nostro territorio fare uscire una pubblicazione anticonformista, a contrastare, l’enorme quantità di stampati, esclusivamente di parte catto-comunista, tendente a ricostruire, in una visione più obiettiva e corretta, quel periodo storico, visto solamente attraverso un manicheismo veramente deprecabile. Si trattava semplicemente di cercare di rimettere nella giusta ottica, tutti quegli uomini di Modena e della sua Provincia che aderirono a quella “devastante ideologia”, in pratica la quasi totalità della popolazione, per dare alle giovani generazioni la possibilità di documentarsi, anche conoscendo il punto di vista degli sconfitti.
E’ molto difficile riuscire a contrastare, in Modena e Provincia, lo strapotere catto-comunista che ha tutto a sua disposizione e che condiziona da sempre, i mass-media a suo uso e consumo. Le rare voci del dissenso, malgrado che il potere nazionale sia da anni in mano al centro-destra e a tanti uomini provenienti dalle file del Movimento Sociale Italiano, da sempre riconosciuto l’erede del fascismo, questi non riescono, o non vogliono, per comodità o vigliaccheria, a farsi sentire; di conseguenza la storia locale viene strumentalizzata da quell’Istituto Storico della Resistenza, che percepisce cifre ragguardevoli dallo Stato, ma che non ha mai dato voce al dissenso.
Nella ricostruzione del periodo storico del ventennio modenese che abbiamo cercato di esaminare, seppure non avendo mezzi di nessun tipo a disposizione, né affiancamenti o sostegno di partiti politici e di associazioni, tanto meno appoggi di influenti uomini politici, né particolari mezzi economici personali, (lo scrivente vive con una modestissima pensione dello Stato) avendo anche dovuto sopportare le spese per l’acquisto di testi o per consultazioni di riviste, giornali e quant’altro utile ad una ricerca, forse approssimativa ma, quanto meno, onesta ed obbiettiva, mi sono posto il problema di come cercare di dare una connotazione ideologica a quel movimento che, a partire dagli anni venti, sino ad arrivare ai primi anni quaranta, ha avuto, sul nostro territorio, una partecipazione entusiastica e massiccia, di tutte le classi sociali.
Abbiamo trovato, all’interno del Fascismo modenese, tutte quelle conflittualità, continuate anche negli anni del dopoguerra, nel partito che si rifaceva, almeno concettualmente, a quella ideologia e che troviamo quotidianamente, anche oggi, in piena democrazia, laddove gli uomini lottano per la conquista di modeste poltrone e con i metodi più abbietti; ma almeno, durante il ventennio, la gerarchia era in mano ai giovani e si trovava, conseguentemente, maggiore alternanza negli uomini al potere, anche nell’amministrazione della città, rispetto al grigiore politico del lunghissimo strapotere comunista, che insiste su Modena ancora negli anni 2010.
Nelle pagine che seguono abbiamo cercato di rivedere la Modena degli anni millenovecentoventi e trenta, in particolare attraverso lo studio degli avvenimenti locali e nazionali con la consultazione dei quotidiani dell’epoca e di testi di autori che hanno studiato la storia di quegli anni, cercando di mondarla di tutti gli aspetti agiografici o denigratori che abbiamo, via via, trovato. Non è nostro compito riscrivere la storia, ma cercare di ricordare il Fascismo, e i fascisti modenesi o gli antifascisti, e non solamente quelli della guerra o della lotta fratricida, ed esclusivamente loro, che ci vengono ricordati, con ossessione quotidiana da oltre sessant’anni, ma desideriamo ricordare quel fascismo sociale che ha modernizzato la nostra città e una Nazione, allora arretrata, riscattandola in tempi brevissimi, agli occhi di tutto il mondo. Non si può misconoscere quanto di positivo fu fatto in quegli anni per la paura che Mussolini possa risuscitare o presentarsi sotto mentite spoglie, il Fascismo, che possa piacere o nò, ha concluso la sua vita terrena nel 1945.
Quello che a noi interessa è cercare di far capire, a tutti coloro che non hanno vissuto quel periodo, che non può essere né completamente demonizzato né, tanto meno, totalmente esaltato; per decenni nelle scuole italiane durante le lezioni di storia, o nei testi di quella materia, venivano del tutto cancellati gli anni del ventennio fascista, o ne venivano presentati solamente i risvolti negativi, quegli errori che indubbiamente Mussolini fece, come la promulgazione delle vergognose leggi razziali, l’anacronistica campagna coloniale o la frettolosa entrata in guerra ( ma poteva forse l’Italia restarne fuori?) anche se tutto il Paese partecipava in modo entusiastico a tutte le manifestazioni che appoggiavano quelle iniziative. Indubbiamente il Fascismo si affermò, in uno scontro conflittuale con le altre fazioni, socialisti, comunisti e clericali, anche con i manganelli e con l’olio di ricino; ma quale rivoluzione s’è mai affermata nella storia senza un minimo di violenza? Ricordiamoci della rivoluzione francese che fu un’immensa carneficina, o della rivoluzione bolscevica con un contorno d’orrori e di massacri di massa incredibili. La dittatura fascista, in anni dove altre dittature si affermarono o s’impadronirono del potere con i campi di concentramento, le fosse comuni e le deportazioni di massa, non arrivò a fucilare i suoi oppositori, come invece fecero Stalin e Hitler, al limite, Mussolini, quei pochi li mandava al confino, all’isola di Ponza o a Ventotene. Certo che anche a Modena imperavano gerarchi e gerarchetti che non si fecero particolarmente amare dalla popolazione, come d’altra parte succede anche oggi, con i caporioni comunisti o delle nuove formazioni che mascherano il vecchio partito della falce e martello. Non trascuriamo poi il discorso di quei gerarchi che istruirono e catechizzarono, per non dire che plagiarono, una generazione di giovanissimi attraverso una trasmissione di valori, quali onore e fedeltà, ai quali questi arrivarono a sacrificare la loro giovane esistenza anche con la morte, mentre i loro maestri, ai primi sintomi di difficoltà di un Italia entrata in guerra malpreparata, ma attraverso il loro entusiastico apporto, andarono poi a nascondersi nelle sagrestie, o a voltar gabbana financo nei partiti più a sinistra, per rispuntare con i diplomi di antifascismo rilasciati dal vincitore anglo americano, nell’immediato dopoguerra. Quei giovani che invece mantennero fede al giuramento, contrariamente ai loro insegnanti, furono barbaramente massacrati e ancor oggi, criminalizzati.
La storiografia importante di quegli anni e anche dell’ultimo periodo della guerra civile, è stata fatta, fondamentalmente, da autori e da storici quali, Attilio Tamaro, Renzo De Felice, Piero Pisenti, Giorgio Pisanò e pochi altri, ma in tutti questi anni, a Modena in particolare, leggere o studiare la stampa di coloro che avevano perso la guerra, era pericoloso o, come diceva Piero Buscaroli, inutile, perché erano i vinti e il suo prestigio era riconosciuto solamente dalle vittime e dai loro congiunti.
Questo volume, dedicato alla storia del fascismo modenese dal 1919, in altre parole dai suoi inizi, sino al 25 Luglio 1943, vuole esser la conclusione della trilogia dedicata all’ideologia fascista in Provincia di Modena, assieme ai due precedenti volumi, “Vista dai Vinti: la guerra civile nel modenese 1943-1945” e quello dedicato a “Modena vista da destra”, che tratta il postfascismo locale e la destra in generale, dal Movimento Sociale Italiano al PdL, vale a dire dal dopoguerra sino ad oggi.

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