Capitolo undicesimo  1939 - 1940

MODENESI IN CAMICIA NERA

Gli anni dal 1919 al 1943

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Capitolo Undicesimo     Anni 1939 – 1940

ANNO 1939

Nella Modena in camicia nera, alla fine degli anni trenta, si viveva ancora in un clima tranquillo, tipico delle città di Provincia del Nord-Italia e in una situazione socio-economica notevolmente migliorata, rispetto alla fine del decennio precedente. Prendendo in considerazione le otto Provincie dell’Emilia Romagna, nelle statistiche dell’epoca, troviamo la nostra città al primo posto nella classifica degli esercizi industriali in rapporto alla popolazione residente. Il settore più consistente era quello dell’industria agricola ed alimentare che, nelle 2.079 aziende del settore occupava 26.800 dipendenti. Tutti gli esercizi erano organizzati in 25 sindacati provinciali che facevano riferimento all’unione Fascista degli Industriali. Si trovavano, in Provincia di Modena, nell’industria salumiera ben 19 stabilimenti, tutti, per quell’epoca, ben attrezzati con le migliori tecnologie e dove erano presenti le celle frigorifere per la conservazione delle carni. Nel settore dell’industria vinicola e della produzione di vini e liquori vi erano, nel modenese, venti stabilimenti, e uno dei prodotti alcolici della produzione locale, il “sassolino”, che conquistò, non solo il mercato interno, ma anche quello internazionale.
Molto importante era anche la produzione della barbabietola da zucchero e l’importante “zuccherificio” di Mirandola era, a quel tempo, uno dei maggiori d’Europa e lì si arrivò a produrre anche alcool per carburanti. Per non trascurare poi le quattordici aziende che producevano acque gassate, quelle per la produzione del ghiaccio, che erano undici, e sei le aziende dell’industria dolciaria. La produzione delle macchine agricole nel modenese era fiorentissima, con 521 industrie e 1.800 dipendenti che producevano gli attrezzi destinati all’agricoltura, quali, motoaratori, trebbiatrici, sgranatori, ecc.
Sessanta erano gli stabilimenti nel settore dell’industria meccanica, metallurgica e siderurgica; vi erano fonderie e acciaierie che producevano, ghisa, trattori, aratri, seminatrici e trasformazioni di rottami di ferro. Importante anche il settore dell’industria chimica dove la maggior parte della produzione avveniva alla SIPE di Spilamberto con materiale bellico, tipo esplosivi e quant’altro, ma molte industrie operavano nel settore dei prodotti fertilizzanti, con anticrittogramici, insetticidi ecc.ecc.
Modena era, in quegli anni, l’unica provincia emiliana con la presenza dell’industria metallurgica e, ancora importante restava quella del truciolo, in particolare nel carpigiano e in molti altri Comuni della “bassa”, mentre industrie estrattive si trovavano nella zona appenninica dove si estraeva il gas metano, che veniva, in impianti a ciclo completo, immesso nelle bombole, che erano così commercializzate. Furono scoperti, alla fine degli anni trenta, sia nella bassa, a Ravarino, sia nel Frignano, altri pozzi di metano che non ebbero, però la possibilità di essere sfruttati.
Insomma, la Provincia di Modena, da territorio fondamentalmente strutturato sull’economia agricola, si stava trasformando in una grossa reatà dell’industria italiana.
Con questo non vogliamo affermare che la nostra provincia abbia raggiunto, a quei tempi, il miglioramento complessivo che iniziò solamente dopo gli anni sessanta; esistevano ancora, zone molte povere sul nostro territorio e non possiamo dimenticarci che, agricoltori, contadini e in molti casi anche rappresentanti della classe operaia, anche nelle fabbriche più all’avanguardia, subivano ancora, da parte di molti “padroni” l’arroganza di una mentalità ancora chiusa e retriva, nonostante l’opera costante e fattiva dei sindacati fascisti, sempre alla ricerca del miglioramento delle classi più deboli che, ugualmente, dovevano confrontarsi, anche in modo conflittuale, con l’Unione degli Industriali, che, non recepivano le esigenze dei lavoratori e troppo spesso avvenivano sperequazioni notevoli, sia nel trattamento, sia nelle remunerazioni, tra un settore e l’altro e a volte anche negli stessi settori.
I venti di guerra soffiano ancora più forte, Hitler era incontenibile, ma anche le nazioni “democratiche” si erano messe sul piede di guerra, si pensi alla costruzione della grandiosa opera bellica costruita dai francesi in quegli anni, la famosa “Linea Maginot”, una costruzione formidabile e dai costi ingentissimi ma che, alla prova dei fatti, non riuscì a fermare i tedeschi che, durante la guerra lampo in Francia, l’aggirarono con estrema facilità rendendola così, inutile ai suoi scopi, vi era inoltre, l’incessante sviluppo dell’esercito e della marina inglese. Hitler, sempre più anticipatore delle altre potenze, prende la decisione, sostenuto dai tedeschi di quei territori, di occupare la Boemia e, senza colpo ferire, il 15 Marzo 1939, le truppe tedesche entrano in Praga. Questa fu, forse, l’azione che fece scattare in Mussolini l’idea, già da qualche tempo vagheggiata, di controbilanciare quell’operazione con l’occupazione della piccola Albania. Si riteneva che, come la Boemia potesse dare il dominio dell’area danubiana ai tedeschi, così l’Albania potesse diventare il punto cardine della zona balcanica per gli italiani. Dopo vari incontri con plenipotenziari albanesi e con l’intervento a “gamba tesa” del nostro Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, il 17 Aprile, gli italiani sbarcano in Albania e, il giorno dopo, entrano in Tirana mentre Re Zog si rifugia in Grecia. La maggioranza della popolazione accettò, anche con manifestazioni d’entusiasmo, il cambio di regime, sperando, passando con l’Italia, di migliorare lo stato di indigenza, nel quale si trovavano da sempre, ed acclamò, il 12 Aprile, “Re d’Albania”, il monarca italiano, Vittorio Emanuele III°. In realtà, quell’occupazione, come disse bene Filippo Anfuso:

“non fu un aggressione ma una scampagnata disturbata da pochi colpi di fucile”

e, subito dopo, per fare apparire in Italia quell’operazione come l’unificazione di una nuova Provincia autonoma alla nostra Nazione, il Segretario Achille Starace trasportò in quelle terre tutte le istituzioni del Partito Fascista.
In quei giorni, in Italia, più esattamente nella Città del Vaticano, il 2 Marzo, era eletto Papa Eugenio Pacelli, che assunse il nome di Pio XII°, dopo che il 10 Febbraio, era morto papa PioXI°
Se i venti di guerra di cui si diceva stavano aumentando in Europa, cominciavano a diradarsi per poi cessare del tutto nella nazione che, per tre anni, aveva subito la più devastante delle guerre, quella tra fratelli.
In Spagna, dopo le sconfitte repubblicane sull’Ebro, già dal 14 Gennaio i nazionalisti occupano Tarragona e subito dopo, il giorno 26, entrano in Barcellona, dove i “rossi”, negli ultimi giorni di loro potere, avevano reso la situazione allucinante, con fucilazioni in massa degli oppositori, e con la ricerca spietata dei “traditori” che andavano ad uccidere con quella metodologia tipica del comunismo internazionale che troveremo anche in Italia, e durante il conflitto e nell’immediato dopoguerra. I nazionalisti entrarono in una città spettrale, disseminata ovunque di cadaveri poi, il giorno seguente, i sopravvissuti al terrore rosso si radunarono nella “Plaza de Cataluna” per assistere ad una messa solenne in onore dei nazionalisti massacrati.
La caduta di Barcellona inferse ai repubblicani un colpo durissimo; questi, abbandonati anche dalla Russia, che sino a quel momento li aveva riforniti di armi, non furono più in grado di resistere, e il 28 Marzo, dopo che Francia ed Inghilterra avevano riconosciuto il Governo franchista, cade anche Madrid e, due giorni dopo, ultima a cedere, Valencia. Il 1° Aprile, Franco entra trionfalmente in Madrid proclamando la fine della guerra che costerà, a quella Nazione, oltre mezzo milione di morti, tutti ricordati, in seguito, dal regime franchista nel grandioso mausoleo di “Los Caidos”, nelle vicinanze della Capitale, dove sono sepolti o citati, sia i repubblicani sia i nazionalisti, accomunati in un unico ricordo, cosa che non è ancora avvenuta in Italia dopo sessanta anni, dove ancora si tengono nettamente separati gli “eroi” caduti, della resistenza e quelli che invece combatterono e caddero nelle file della Repubblica Sociale Italiana, completamente dimenticati dal potere sorto alla fine della guerra, che imperversa ancora ai giorni nostri.
I “Legionari” italiani, comprese le tante camicie nere modenesi, ritornarono in Patria e sfilarono dinnanzi a Mussolini in Via Nazionale a Roma il 7 Giugno. La guerra di Spagna era veramente terminata, ma stava per iniziare il “secondo conflitto mondiale”.
I “Littoriali” del 1939 si svolsero a Trieste e il modenese Domenico Melli, dopo che, nel 1934, fu selezionato per la poesia, nel 1937 giunse settimo per la letteratura, nel 1938, sesto per la letteratura, e nono nelle politiche educative, raggiunse finalmente il titolo di “Littore”, con il primo posto nel concorso di letteratura, riconquistò il titolo l’anno successivo nel concorso per l’arte arrivando anche quarto alle politiche educative. Il littore Melli insegnò poi, per molti anni, al Liceo Classico Muratori; anche nei littoriali femminili si fecero onore le modenesi, Elena Schiavi conquistò il titolo in composizione narrativa e Giuseppina Sini arrivò nona nelle monografie, mentre decima si classificò Anna Maria Ortese.
Tra i premiati a Trieste troviamo, “more solito” tanti personaggi che avranno un ruolo importante nella “cultura antifascista” del dopoguerra, tra i tanti citiamo la scrittrice Milena Milani, il noto scrittore comunista Carlo Muscetta, littore nella sezione di politica educativa, così come nella sezione giornalismo fu premiato Gianni Granzotto; nelle sezioni cinema e radio furono premiati, Luciano Emmer, noto regista, Fernando Cerchio, Orazio Costa e Guglielmo Morandi, mentre per la sezione poesia diventò littore Alfredo Orecchio, in seguito passato al Partito Comunista.
I nostri personaggi, che si dedicarono, seppure in anni giovanili, ad incensare e glorificare la cultura e l’arte fascista, furono degli ammiratori e dei seguaci del Duce, dal quale erano rimasti completamente affascinati e che proprio in questo periodo strinse con Hitler il famoso “Patto d’Acciaio” che legava in modo stretto, l’Italia alla Germania, unione che cercava di neutralizzare la manovra d’accerchiamento politico economico portata dagli anglo-francesi verso i due paesi guidati dai due “dittatori”. Il patto fu firmato a Berlino, il 22 Maggio tra i Ministri degli Esteri Galeazzo Ciano e Von Ribbentrop, alla presenza del Furher. Alla Germania, la presenza dell’Italia amica sul lato sud dell’Europa le assicurava la copertura dell’area meditteranea, mentre per l’Italia, notevolmente inferiore negli armamenti e nella produzione bellica, si trattava di avere la collaborazione militare del più potente esercito europeo. Questo patto prevedeva l’immediata collaborazione degli eserciti nel caso una delle due parti fosse stata impegnata in complicazioni belliche. In particolare l’articolo due, dei sette punti del trattato, così diceva:

“Qualora gli interessi comuni delle parti contraenti dovessero essere messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, esse entreranno senza indugio, in consultazione sulle misure da adottare per la tutela di questi loro interessi”:

La Federazione Provinciale Fascista modenese, il 13 Maggio 1938, rinnova il suo direttorio che fu così composto: Azeglio Bulgarelli, Bruno Calzolari, Melchiorre Casalini, Giovanni Battista Focherini, Pier Giorgio Ighina, Domenico Melli, Andrea Seidenari, Ivo Sighinolfi e Azio Turchi.
Il 19 Giugno 1939, Mussolini ritorna a Modena in un pomeriggio estivo e, alle 16, la città si anima come per incanto, le strade si riempiono di gente e alle finestre sono esposte le bandiere per accogliere il Capo del Governo nel migliore dei modi. Il Duce arrivò, in auto scoperta, da Bologna e la sua macchina dovette notevolmente faticare per entrare in città lungo la Via Emilia e Via Farini per recarsi a Palazzo Ducale dove, dal balcone, in completa divisa bianca di comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, tenne un breve discorso ai modenesi osannanti in Piazza Roma, per poi lasciarsi accompagnare in una visita all’Accademia Militare.
Nell’estate 1939 fu inaugurato, sulla vetta del Monte Cimone, il rifugio dedicato a Gino Romualdi, mentre gli atleti modenesi continuavano a conquistare allori in diverse discipline sportive; la scuola di salto in alto modenese ha sempre avuto, ieri come oggi, una grandissima rilevanza nazionale e in quell’anno, il concittadino Franco Colombini, conquistò il titolo di Campione italiano. Raggiunse anche il massimo alloro di campionessa italiana di tuffi, l’atleta modenese, Maria Candi; risultato mai più raggiunto, in quel settore, da altri nostri concittadini.
L’Università modenese nel periodo d’intenso rapporto con la Germania, dovuto alla costituzione del Patto d’alleanza tra le due Nazioni, conferì nel 1939, la Laurea “Honoris causa” all’ex Commissario di Giustizia del Terzo Reich, Han Frank; ma a causa dell’inizio della guerra con la Polonia, il riconoscimento gli fu consegnato a Berlino da una commissione di rappresentanti il Governo Nazionale e del nostro Ateneo, il 28 Aprile 1940.
Il 23 Agosto, a Mosca, fu firmato il patto di non aggressione e di amicizia tra Urss e Germania dai Ministri degli Esteri, Molotov per la Russia e Von Ribbentrop per la nazione tedesca, alla presenza del Maresciallo Stalin. La sorpresa, anche in Italia, fu enorme poiché la possibilità che a breve la Germania arrivasse a volere accampare i suoi diitti su Danzica e riprendersi i territori dati alla Polonia dal trattato di Versailles, diventava una realtà. Difatti, se la pace del 1919 aveva lasciato l’amaro in bocca all’Italia, alla Russia e alla Germania, quest’ultima, essendo stata dichiarata responsabile dello scatenamento della prima guerra mondiale, fu messa “letteralmente” a terra attraverso la mutilazione di tante sue terre cedute, come la Saar, l’Alsazia e Lorena, alla Francia, e Danzica, la Prussia Orientale e la zona di Katovice cedute alla Polonia, oltre ad essere oberata dal pagamento di cifre incredibili per risarcimento e che portarono quella nazione a un vero e proprio collasso e ad un inflazione della moneta spaventosa, tanto che i generi alimentari erano pagati in “milioni di marchi”, anche per un solo chilogrammo di pane. Moltissimi furono i tedeschi a morire di fame e di stenti in quel periodo, i decessi per suicidio non si contavano più e la violenza era esplosa in maniera incontenibile. Così, attraverso questa drammatica situazione, nacque la ribellione nazista e Hitler, che prospettava ai suoi connazionali, soluzioni semplici ed elementari, ebbe buon gioco, e nel giro di due, tre anni dal momento della conquista del potere, riuscì, come aveva promesso, a sanare la situazione economica raddoppiando il reddito nazionale, sviluppando una serie di opere pubbliche eccezionali e sviluppando contemporaneamente quell’industria bellica che era stata ridotta alla paralisi dalle clausole del trattato di Versailles. Aveva anche promesso, e ci riuscì, a rendere “carta straccia” quelle regole vessatorie, per la sua nazione, così, alla fine di quel mese di Agosto 1939, mise in atto l’ultima delle sue intenzioni, più volte proclamate, riprendersi Danzica e i territori che erano stati strappati alla Germania, ripristinando le vecchie frontiere. La firma del trattato con la Russia favorì quell’azione e, il 1° Settembre, le truppe tedesche invasero la Polonia, dopo che Hitler aveva denunciato che i polacchi avevano rifiutato di arrivare ad un regolamento pacifico, per la vertenza in atto già da mesi, sulla situazione di quei territori. “Morire per Danzica?” si chiedeva la stampa di tutto il mondo preoccupata dagli sviluppi che stavano prendendo gli avvenimenti.
Tre giorni dopo, Inghilterra e Francia dichiarano guerra alla Germania, ma non erano ancora pronte per un intervento rapido, onde arrivare veramente in aiuto alla Polonia, mentre i tedeschi, attraverso la tattica del “Blitzkrieg”, la guerra lampo, risolsero a loro favore la questione polacca, nel giro di trenta giorni.
Ebbe inizio la devastante, per tutto il globo, secoda guerra mondiale. Va inoltre ricordato che immediatamente, la Russia approffitò della situazione creatasi e, il 17 Settembre, il vice ministro sovietico, Patiomkin, dichiarando che lo stato polacco aveva cessato di esistere, aveva ordinato all’Armata Rossa di invadere, da est, la Polonia cosicché, il 29 Settembre, quella nazione non esisteva più, conquistata e spartita tra russi e tedeschi. A nulla potè l’eroica resistenza polacca, chiusa nella morsa dei due più potenti eserciti europei.
Mussolini, al momento della firma del patto tra Russia e Germania rimase completamente sorpreso poiché, in quel periodo, non pensava minimamente di entrare in guerra, ben sapendo che l’Italia non era assolutamente pronta a un simile passo e per varie ragioni; eravamo appena usciti da due campagne militari, in Etiopia e in Spagna e con notevole dispendio di uomini e mezzi, oltre che all’aver sostenuto spese ingenti per l’economia del nostro paese che, nel contempo, aveva necessità di tante altre risorse; si era inoltre rimasti molto indietro nella corsa al riarmo portata avanti da tutte le altre nazioni, di conseguenza non vi erano assolutamente le possibilità, date le scarse risorse economiche e tantomeno il potenziale industriale, per colmare, in breve tempo, il distacco che ci separava dalle altre potenze.
Quando il Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano andò a riferirgli, alla Rocca delle Caminate, i particolari di quell’avvenimento, dichiarò:

“Dai tedeschi c’è sempre d’aspettarsi di tutto ma questa volta hanno battuto il record”.

Il trovarsi poi, alleato con i comunisti lo lasciò con l”amaro in bocca” e, al figlio Vittorio ebbe a dichiarare, su quel patto:

“Dal punto di vista militare non ne discuto i vantaggi. Ma ideologicamente non posso accettarlo: vent’anni di lotta non devono essere messi in soffitta.”

Il Capo tedesco gli scrisse dicendosi addolorato per aver preso quella decisione senza averla concordata con lui, precisandogli che l’Inghilterra era già pronta a firmare un patto con la Russia dalla quale fu preso in “contropiede”.
L’Italia così fu costretta a tenersi a debita distanza dallo scontro tedesco–polacco, dichiarando la “non belligeranza” e Mussolini, al Consiglio dei Ministri del 1° Settembre 1939, dichiarò che l’Italia non avrebbe preso nessuna iniziativa di operazioni militari e quelle che sino a quel momento erano state adottate avevano un carattere puramente precauzionale.
La nostra Nazione si dedicava ancora ad un settore, dal quale le altre nazioni si distaccavano per dedicarsi esclusivamente alla produzione di mezzi bellici, come quello dell’aeronautica sportiva, alla ricerca di primati che anche in quell’anno vennero stabiliti dai nostri piloti. Difatti, in quei mesi del 1939 i piloti, Manuer Lualdi e Franco Mazzotti, in un volo senza scalo da Roma a Addis Abeba, stabilirono il record per aerei da turismo alla media di Km. 390,971. Il pilota Giorgio Parodi migliorò il primato di categoria per velivoli leggeri sui 100 Km. L’equipaggio Tondi-Degasso-Vignoli, batté il primato internazionale di distanza e di durata in circuito chiuso, percorrendo 12.933,970 km, mentre il pilota Nicola Di Mauro, conquistò il primato in altezza, per idrovolanti, raggiungendo m. 13.542 d’altitudine.
In Ottobre avviene la sostituzione del Segretario Nazionale del PNF, il chiacchierato Achille Starace, che aveva mantenuto quella carica per molti, forse troppi, anni, con la figura del ravennate Ettore Muti, personaggio carismatico del Fascismo Nazionale, ma essendo questi uomo non troppo avvezzo alle “scartoffie” e agli intrighi di palazzo, dopo un breve periodo alla guida del Partito, lasciò lui stesso quella carica.
Entrambi questi personaggi conclusero la loro vita terrena in modo tragico; Muti fu assassinato nell’agosto del 1943 dagli “scherani” di Badoglio, dopo le drammatiche fasi del 25 Luglio, mentre Achille Starace fu fucilato a Milano dai partigiani rossi, lo stesso giorno in cui venne ucciso Benito Mussolini, il 28 Aprile 1945, anche se, dopo il suo defenestramento dalla carica si Segretario del Partito Fascista, non ebbe più ad interessarsi di politica rimanendo anche completamente fuori da qualsiasi coinvolgimento con il Governo della Repubblica Sociale Italiana; morì comunque in modo eroico, mantenendo fede alle sue idee, gridando in faccia ai suoi assassini un forte. “Evviva al Duce, Evviva il Fascismo!”
Subito dopo la conquista, assieme ai tedeschi, della Polonia, la Russia, attraverso strategie politiche arroganti e strumentali, s’impossessò gradualmente, dei paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania tentando la stessa azione con la Finlandia che non accettò le vessatorie proposte russe, nemmeno di fronte alla prospettiva d’invasione da parte sovietica, che avvenne subito dopo.
I Finlandesi si batterono fieramente contro l’invasore russo in una vera guerra di popolo che destò l’ammirazione di tutto il mondo. Nell’inverno 1939-1940, in Camelia vi furono furiosi combattimenti e, nella prima fase, la guerra russo-finnica, fu sicuramente a favore della piccola Finlandia, ma poi Stalin fece schierare, su quel fronte, 30 Divisioni con 360 mila uomini, facendo sì che, tra la fine di Febbraio e gli inizi del mese di Marzo 1940, la Finlandia fu costretta a chiedere l’armistizio.

ANNO 1940

Dopo l’avvio della “guerra lampo” in Polonia con la spartizione tra russi e tedeschi di quella nazione, gli unici fuochi di guerra di quell’inizio del 1940, che vide anche l’entrata nel conflitto della nostra Nazione, arrivavano dalla Finlandia che, come abbiamo visto, stava resistendo al colosso russo.
In Europa, sul fronte occidentale le grandi potenze temporeggiavano, con i francesi chiusi dentro la loro “linea Maginot” dove si sentivano ben protetti, con i tedeschi a fronteggiarli riparati dal “Vallo Sigfrido” e gli inglesi che avevano sbarcato sul continente oltre trecentomila uomini, si limitavano a sporadici scontri di pattuglie. Vi era la speranza, nel mondo, che quella “pausa” potesse far rientrare il conflitto in atto e, anche l’Italia con la posizione assunta dal Governo Fascista della “non belligeranza” che diede adito anche a moltissime critiche e prese di posizione contrarie, specialmente da parte di coloro che, sulla base del patto stipulato con la Germania, avrebbero preferito collaborare con essa da subito ritenendo che la “neutralità stravolgesse gli impegni presi.
Mussolini stesso, in una sua lettera scritta il 3 Gennaio al Fuherer, nel sottolineare che la guerra “a molti dell’occidente appare ormai senza senso” e respingendo le critiche provenienti dall’”entourage” di Hitler per il comportamento italiano, precisa che malgrado la non belligeranza, l’Italia aveva mandato sostanziosi aiuti alla Finlandia e inoltre precisava che la Germania ben difficilmente sarebbe riuscita “a mettere in ginocchio l’impero inglese” in quanto “gli Stati Uniti d’America non l’avrebbero permesso”. Questa affermazione, profetica se vogliamo, ma lucidissima nella sua analisi, oltre alla critica sull’allenanza russo-tedesca, lo mette in quel momento in aperto dissenso con la politica nazista. Questa lettera a quanto sostiene lo storico Arrigo Petacco, data la sua grande importanza , si trovava ancora nella borsa che il Duce portava con sé il 26 Aprile 1945 e che venne sequestrata dai partigiani dopo la sua cattura. In quella lettera lo statista italiano metteva sull’avviso il capo tedesco precisandogli inoltre:

“Debbo dirvi che un ulteriore passo del vostro rapporto con Mosca avrebbe ripercussioni catastrofiche in Italia, dove il sentimento antibolscevico è assoluto. La Russia è estranea all’Europa. Il compito della Germania è questo: difendere l’Europa dall’Asia. Sino a quattro mesi fa la Russia era il nemico mondiale numero uno: non può essere diventata l’amico numero uno. Il giorno in cui avremo demolito il bolscevismo, sarà la volta delle grandi democrazie, le quali non potranno sopravvivere alla loro crisi, demografica, politica e morale”.

Malgrado queste valutazioni, Mussolini si trova in completo disaccordo anche con il suo Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano che dichiara che “la guerra a fianco della Germania sarebbe stato un crimine e una idiozia” e questo dopo che lui stesso era stato uno degli artefici del patto con la nzione tedesca. Quando poi il Duce stesso non voleva passare dalla parte dei vili e dei traditori come ebbe a dichiarare al generale Visconti Prasca, gradualmente andava dimostrandosi sempre più possibilista per l’intervento a fianco dell’alleata Germania.
Non mancavano poi le “spinte” degli anglo francesi che criticavano gli italiani per la loro posizione neutralista e opportunista, giudicando l’Italia come la “prostituta europea”. Anche tra gli italiani, in particolare tra i collaboratori del Ministro degli Esteri e in molti ambienti militari e degli alti comandi della Marina si trovavano tanti personaggi anglofili e francofoni che spingevano, subdolamente, affinché l’Italia passase al fianco delle “democrazie occidentali”. Il 18 Marzo, al Brennero vi fu l’incontro tra Hitler e Mussolini: praticamente in questa circostanza, anche attraverso l’assicurazione del Capo tedesco di voler concludere il conflitto entro la fine dell’estate, si rinsaldò l’Asse italo-tedesco con la dichiarazione del Capo italiano di voler marciare con la Germania così come era stato stabilito con il Patto d’acciaio.
Nella primavera di questo 1940, in Polonia nella foresta di Katyn, si verifica uno dei più spietati eccidi di massa di quella terrificante guerra: ventiduemila ufficiali appartenenti alla borghesia e all’”intellighenzia” polacca, furono freddati con un colpo alla nuca e sepolti in fosse comuni per ordine di Stalin. Erano stati i tedeschi a scoprire quelle fosse ma, sebbene avessero comunicata la notizia a tutte le nazioni non vennero creduti dagli “alleati”, anzi, per lungo tempo nel dopoguerra, quel terribile massacro fu addebitato ai nazisti poi, dopo l’apertura degli archivi segreti sovietici, dopo il crollo del regime comunista nel 1991, si scoprì il velo di menzogna sulla verità dell’eccidio di Katyn e anche tutta la stampa e i governi occidentali dovettero ricredersi sulla effettiva responsabilità dei russi.
Anche a Modena, dove i conflitti interni al direttivo provinciale del Partito Fascista erano sempre presenti, in seguito alla destituzione del Segretario Nazionale Achille Starace sostituito da Ettore Muti, si presentivano imminenti cambiamenti. Si pensava alla restituzione della tessera a noti personaggi defenestrati dal Partito qualche tempo prima, tra i quali spiccavano Guido Corni e Vittorio Arangio Ruiz: difatti Ettore Muti inviò a Modena, per esaminare a fondo la situazione della nostra Provincia, l’Ispettore Rolando Vecchini e ricercare quali potessero essere i candidati possibili alla sostituzione del Federale in carica. Gli furono presentati vari nominativi ma il Vecchini constatando l’impossibilità di trovare il personaggio giusto e trovandosi nell’impossibilità di sbrogliare quell’intricata “matassa”, lasciò che fosse la Segreteria Nazionale a risolvere il caso. Il 13 Gennaio fu dato l’annuncio che Mussolini stesso aveva nominato, su proposta del Segretario Nazionale Muti, Segretario Provinciale delle Federazione Provinciale dei Fasci di Combattimento di Modena, Franz Pagliani, mentre il precedente Clodo Feltri, pur mantenendo la qualifica di Segretario federale veniva dirottato al Direttorio Nazionale. Ritengo opportuno dedicare alcune righe alla figura di quest’importante personaggio del fascimo modenese.
“Nel 1919, a Bologna, nel clima turbolento di sovversione latente che opprimeva l'Italia, vittoriosa ma non premiata per il suo sacrificio, il quindicenne studente ginnasiale Franz Pagliani, attratto dalle nuove idee nazionali, partecipa alla prima riunione pubblica del Fascio bolognese da poco fondato, in Via Farini 11, da Leandro Arpinati. Era nato a Concordia di Modena il 5 settembre 1904, e dal padre ufficiale dell'esercito aveva assorbito il sentimento di Patria e di dirittura civile. Ha inizio, in quei giorni della primavera 1919, il lungo cammino sulla strada della rivoluzione nazionale, che il giovane studente percorrerà per tutta la vita e che, senza fargli trascurare gli studi e i doveri civili, lo vedrà impegnato nelle attività organizzative del Partito Fascista, sempre fedele agli ideali di Patria e di giustizia sociale. Legato fin dai primi tempi al capo del fascismo bolognese Arpinati, Pagliani gli rimarrà vicino anche nella disgrazia, pur condividendo l'opinione di Mussolini che l'eresia non avrebbe garantito all'ex gerarca la salvezza fisica. (In effetti, alla fine del marzo '45, un gruppo di partigiani - noncuranti degli aiuti che aveva dato ad alcuni prigionieri inglesi in fuga - trucidò brutalmente il vecchio fondatore del Fascio di Bologna). Lo studente Pagliani non trascura i doveri civici e familiari: percorre brillantemente la carriera universitaria e scientifica, divenendo assistente del noto patologo Gherardo Forni; a soli ventotto anni, per meriti accademici, è nominato ordinario di Patologia Chirurgica all'Ateneo di Bologna, e ben presto direttore dello stesso Istituto, incarico che conserverà fino al 25 luglio 1943.
Nonostante gli impegni accademici, il professor Pagliani non resiste alla sua passione: da politico nato, continua ad operare nelle file del Partito; viene eletto deputato nelle ultime elezioni 'democratiche" del 1934 (XIX legislatura) e confermato consigliere nazionale nella prima Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in rappresentanza dell'Ordine dei Medici. Inoltre, ricopre la carica di Segretario Federale del P.N.F. di Modena cd infine di vice Segretario Nazionale dei Gruppi Universitari Fascisti e vice Segretario del Partito Nazionale Fascista.
Secondo lo stile di vita dell'epoca, con la coerenza del vero italiano, l'onorevole professor Pagliani non aspetta "la cartolina rossa" e quando suona la diana della guerra d'Africa accorre alle armi. Destinato in Somalia con le truppe del generale Graziani, incaricato della direzione di un ospedale da campo, svolge anche un'attività più prettamente combattentistica e, come ufficiale di cavalleria, partecipa all'occupazione di Neghelli, guadagnandosi, per il suo coraggio, una medaglia di bronzo al valor militare.
Rientrato dall'Etiopia, riprende l'attività accademica e gli impegni politici, ma quando gli avvenimenti lo richiedono, torna sul campo di battaglia in Russia con il C.S.I.R. (primo corpo di spedizione italiana in Russia). Tornato in Italia, riceve dal generale Carboni l'incarico di organizzare il servizio sanitario della Divisione Folgore, destinata all'occupazione di Malta.
Al 25 luglio '43, come quasi tutti i dirigenti fascisti, Franz Pagliani viene fermato e rilasciato non essendo ritenuto pericoloso. È però arrestato subito dopo e condannato a tre anni di carcere per tentata ricostituzione del partito fascista. Rimesso in libertà dai tedeschi dopo l'8 settembre, appena possibile organizza il Fascio Repubblicano di Bologna, e Pavolini lo nomina ispettore regionale del Partito per l'Emilia, con autorità su tutte le federazioni della regione. In questa veste affronta il grave problema derivato dall'uccisione del Commissario Federale di Ferrara, Igino Ghisellini, delitto che scatenò tutti i rancori accumulati nei quarantacinque giorni di Badoglio. Pagliani, con fermezza ed umanità, riesce ad imporre la disciplina e la moderazione.
L'azione dell'ispettore Pagliani ne accresce la stima e l'autorità in tutta la Repubblica Sociale. Il Capo dello Stato, dopo la relazione sui fatti di Ferrara, lo nomina componente del Collegio giudicante al processo di Verona contro i traditori del Gran Consiglio, nella certezza che la sua dirittura morale, unita alle sue doti umane, contribuirà a rendere più equanime il verdetto.
Il comportamento e l'attività costante dell'Uomo costituiscono una notevole componente dell’ordinata esistenza dello stato repubblicano in Emilia Romagna, nonché un esempio per il resto d'Italia. Organizzatore instancabile e preciso, dirige lo sfollamento dei profughi dall'Italia centro meridionale, i quali fanno capo al punto di smistamento di Bologna. Le operazioni avvengono con regolarità sorprendente, considerate le difficoltà dei trasporti, la scarsità di carburante ed i continui bombardamenti.
Alla costituzione delle Brigate Nere, nella nuova funzione di comandante della B.N. Mobile "Attilio Pappalardo", riesce ad ottenere il controllo dell'ordinato svolgimento della vita civile e degli approvvigionamenti alimentari. In collaborazione con le varie forze armate italiane e tedesche, contribuisce in maniera determinante a mantenere agevole la viabilità nella regione, divenuta retrofronte, fino all'ultima resistenza sulla linea di Pianoro. Per meglio conoscere la personalità del professor Pagliani, aggiungiamo che - come ricordano i suoi collaboratori di sala operatoria - continuava ad operare impassibile e tranquillo anche sotto i bombardamenti.
In tutta la sua carriera politica, nei vari incarichi di Partito, il gerarca Pagliani - caso unico - non ha mai riscosso alcun stipendio. All'otto settembre, pur appartenendo ad una famiglia di tradizioni monarchiche, ha ritenuto di compiere il suo dovere d'italiano schierandosi nei ranghi della RSI. Durante i venti mesi della Repubblica Sociale, fu tra gli uomini più importanti, uno di quelli che - senza arrivare alle cariche rappresentative di governo - seppero localmente essere le colonne portanti del nuovo Stato, con la loro personalità, fermezza e intransigenza, contemperate da buonsenso e da infinita umanità. Quando tutto era difficile, tutto sembrava crollare, la loro presenza bastava ad infondere forza e volontà di resistenza alle varie formazioni, fino ai limiti del possibile. Al termine del conflitto viene catturato dai partigiani e condannato a morte, con l'accusa di partecipazione ad un fatto di cui - oltre a non essere presente - non aveva alcuna responsabilità, e per attività politica ad alto livello. La condanna sarà commutata, in Corte d'Appello, ma Pagliani resterà in carcere fino al 1950. Carcere duro, sofferto, data anche l'età matura, ma che non riesce a fiaccare la sua forte tempra.
Riprenderà l'attività scientifica proprio nella casa penale di Perugia, dove viene incarcerato dopo la commutazione della condanna a morte. Il medico dell'istituto di pena - che ha potuto sperimentare la sua abilità di chirurgo, unita alla sua vasta capacità di analisi patologica - lo consulta nei casi difficili, invitandolo ad eseguire gli interventi più delicati (anche su personalità in vista del capoluogo umbro). Il professor Pagliani acquista in tal modo una larga fama, tanto da essere indotto, all'uscita di prigione, a riprendere la professione proprio a Perugia. Sono anni di intenso lavoro, di dedizione alla famiglia e agli studi, che gli meriteranno l'universale riconoscenza dei pazienti e la stima dei colleghi.
Appena libero, aderisce al Movimento Sociale Italiano e ne diventa uno dei massimi dirigenti, da tutti era considerato un intelligente "uomo delle radici", custode della continuità ma contemporaneamente aperto al rinnovamento, soddisfatto nel vedere un gran numero di giovani accorrere al richiamo della nuova organizzazione. Nel maggio dell'86, ha lasciato questo mondo in silenzio, con la dignità e la signorilità di sempre. Per non scomodare nessuno, ha voluto che la notizia del suo decesso fosse comunicata dopo i funerali.”
La nomina di Pagliani a Segretario Federale, avviene a Palazzo “Littorio” in Corso Vittorio Emanuele, il 21 Gennaio 1940 alla presenza del Vice Segretario Nazionale Michele Pascolato e nel mese di Febbraio fu insediato il nuovo Direttorio del PNF modenese che assieme a Franz Pagliani era composto da: Azio Turchi, Vittorio Grisi, Gerardo Guidotti, Gino Martinelli, Giuseppe Mascagni, Gian Franco Messori Roncaglia, Mario Prati, Gian Paolo Solmi, Bonfiglio Tesi, Ermanno Tusini e Carlo Vandelli.
Vi fu rinnovamento anche nel Direttorio dei Fasci femminili: Segretaria fu nominata, Licinia Montanaro Reggiani, componenti erano: Emma Goldoni, Lina Grandi, Bianca Vandelli Corbelli, Augusta Bellucci, Claudia Buzzi e Tilde Manicardi. Pochi mesi dopo vi fu anche l’avvicendamento, per molte sezioni del PNF, in svariati Comuni della Provincia.
Il Podestà modenese, Guido San Donnino, al termine del suo mandato, il 22 Marzo fu ricevuto da Mussolini a Roma in udienza privata, e qui ricevette gli elogi per il lungo lavoro svolto essendo rimasto alla guida della nostra città dal 29 Dicembre 1926 sino a quella data. Fu nominato Commissario prefettizio Giuseppe Giannuzzi.
All’inizio di questo fatidico 1940, Modena stava per diventare la capitale dell’automobilismo sportivo mondiale perchè, oltre alla Scuderia Ferrari che iniziava le competizioni con il marchio del “cavallino rampante”, arrivò in città, in Viale Ciro Menotti, acquistata da Adolfo Orsi la fabbrica di automobili, “Alfieri Maserati” di Bologna e il 27 Aprile, giunse a Modena il Segretario Nazionale Ettore Muti per visitare la fabbica e l’appena inaugurata “Casa della GIL”, in Corso Umberto I, l’attuale Viale Medaglie d’Oro.
Nel frattempo il conflitto che si era messo in “pausa” durante il periodo invernale, riprese con tutta la sua virulenza. Gli inglesi e i francesi che stavano per sbarcare in Norvegia, furono anticipati dai tedeschi che l’occuparono dopo che gli inglesi nel porto di Narvik inflissero un duro colpo alla marina tedesca affondando alcune loro navi. Attorno a quella città si scatenò una furiosa battaglia che in breve tempo si concluse a favore dei germanici. A Oslo, la capitale norvegese, s’installò un governo filo nazista guidato da Quisling e la Germania, prendendo possesso delle coste norvegesi, bloccò l’iniziativa inglese che voleva il predominio nel Mare del Nord.
La “Blitzkrieg” si scatenò sulle piccole nazioni al confine occidentale della Germania, il 15 Maggio e dopo cinque giorni dall’inizio delle ostilità l’Olanda si arrese, così come il Belgio che capitolò il 27 Maggio, in seguito all’operazione di accerchiamento della “Linea Maginot” che portò le truppe tedesche in Francia ad intrappolare, nella famosa “sacca” di Dunquerque, trecentomila inglesi e duecentocinquantamila francesi. Gli inglesi, attraverso una grandiosa operazione di salvataggio, tra l’altro non ostacolata dai tedeschi, riuscirono a riportare oltre la Manica, la quasi totalità dei connazionali e circa la metà dei francesi. Dunquerque fu poi occupata dai tedeschi il 4 Giugno.
Immediatamente, il giorno dopo, iniziò l’attacco alla Francia ormai demoralizzata, le “Panzerdivisionen” dilagarono lasciandosi alle spalle l’”inutile” linea maginot, puntando direttamente su Parigi e il Governo francese, il 9 Giugno abbandonò la capitale che fu conquistata il giorno 14.
In Italia già da mesi si aveva la netta sensazione che si sarebbe entrati, a breve, in guerra a fianco delle travolgenti truppe tedesche. Come si è detto la “non belligeranza” aveva messo la nostra nazione in una posizione ambigua, sia con l’alleato tedesco sia con gli anglo-francesi. Mussolini temeva, non a torto, che se l’Italia fosse rimasta inerte, e per questo aveva rinforzato le difese del Brennero, Hitler avrebbe potuto, come stava facendo nel resto dell’Europa, invadere facilmente l’Italia per coprirsi il lato sud, ma nello stesso tempo, malgrado il Governo Fascista non avesse confermato, nell’immediato, con l’azione, il Patto d’acciaio firmato a suo tempo, la Germania cercava di tenersi amica la nostra Nazione, sia perché non sarebbe stato opportuno per lei impegnare truppe sul suolo italiano, sia per la vicinanza ideologica che la legava all’amico Mussolini. Si è sempre parlato, dopo la sconfitta, della contrarietà del popolo italiano sull’entrata in guerra della nostra Nazione, ma ricordiamoci che, in quel 1940, il Fascismo era ancora ben saldo e la gente credeva fermamente nell’abilità dello statista Mussolini. Di certo la maggioranza dei giovani non era contraria, né ci si poteva dimenticare dell’origine combattentisca del movimento fascista, tan to meno dei gerarchi cresciuti nel mito dell’”uomo forte” e nemmeno la popolazione si era scordata delle “sanzioni”, altrettanto era ancora molto forte, da parte del popolo, credere nell’onore dell’Italia e anche gli irriducibili antifascisti erano, in certo qual modo , a favore in quanto la loro speranza era quella di una sconfitta italiana, con il conseguente crollo del regime. Contro l’entrata in guerra vi erano molti militari che conoscevano bene le condizioni limitate dell’esercito italiano, contrari erano anche molti dell’ambiente clericale e i massoni oltre a ad alcuni grossi gerarchi, come l’anglofobo Dino Grandi, o il tedescofobo Giuseppe Bottai, che temeva l’ingerenza tedesca oltre allo stesso Italo Balbo, Governatore della Libia molto realista e conoscitore profondo dei rapporti di forza con gli anglo-francesi.
E’ strano che, a quei giorni, dove nelle gerarchie del Partito si crevano crepe e dissapori, l’adesione delle masse al Fascismo andasse sempre più crescendo. Mai vi era stato, durante il ventennio, una corsa del popolo alle istituzioni fasciste come in quel periodo. Gli iscritti al PNF, tra il 28 Ottobre 1939 e il 28 Ottobre 1940 passarono, da 2.653.514 a 3.619.846 e così per tutte le organizzazioni del Partito, dalla GIL ai GUF, alle associazioni femminili e a tutte le altre che aumentarono, in quell’arco di tempo, dal 30 al 40%.
Continuarono, anche nel 1940, i Littoriali della Cultura e dell’Arte, che si svolsero a Bologna. Come nelle precedenti edizioni troviamo alcuni personaggi che, nel dopoguerra, ebbero un ruolo importante tra le fila degli antifascisti al potere; tra i commissari della commissione di agraria troviamo il “sassolese” Giuseppe Medici che diventò anche Ministro degli Esteri della DC, per i Guf di Padova era presente il futuro Ministro Luigi Gui; troviamo inoltre tra i littori il noto moderatore televisivo delle tribune elettorali degli anni sessanta e settanta, Jader Jacobelli e ancora tra i commissari, Orio Vergani, Ottone Rosai, Attilio Selva, Cesare Frugoni, e Mino Maccari.
Questa settima edizione fu anche l’ultima delle manifestazioni dei Littoriali dell’Arte e della Cultura, la guerra è alle porte e Mussolini, dopo la serie di clamorose vittorie del Terzo Reich, prese la sua decisione e il 10 Giugno 1940, con quella che fu chiamata dai suoi denigratori, “la pugnalata alla schiena”, si schierò a fianco dell’alleata Germania, dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Alle 18 di quel Lunedì pomeriggio le strade e le piazze di tutta Italia si riempirono di folle strabocchevoli. Folle che erano state preparate nei mesi precedenti da tutta una serie di motivazioni propagandistiche tendenti a convincerle che l’entrata in guerra dell’Italia era “giusta e sacrosanta”, per la conquista dei territori, una volta facenti parte della nostra civiltà, quali, Nizza, la Savoia, la Corsica, Malta e che dovevano tornare alla Madre Patria. Da parte della gente, pur con qualche perplessità, vi era la certezza della vittoria e della breve durata della guerra. Fu la “grande illusione” perché, sia la Francia ridotta ai minimi termini dalla sconfitta sia l’Inghilterra messa in ginocchio ma non doma, riuscirono, in particolare quest’ultima, che aveva ancora un certo predominio nel Meditteraneo, a riprendersi e a contenere la macchina inarrestabile della Germania, poi i grandi errori delle diplomazie e la sete di rivalsa da parte di entrambi gli schieramenti, fecero sì che i fronti si allargassero sempre più e con il coinvolgimento di tante altre nazioni il conflitto si estese e diventò, Guerra Mondiale. La guerra era iniziata per la sistemazione di alcuni confini europei, diventò guerra globale, come mai si era verificata in tutta la storia dell’uomo.
Gli italiani, a quel 10 Giugno, credevano ancora fermamente nelle parole di Mussolini che dal balcone di Palazzo Venezia a Roma diede l’annuncio a tutta la Nazione con queste parole:

“Combattenti di terra, di mare, dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria! L’ora delle decisioni irrevocabili! La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza del popolo italiano……….. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto umanamente era possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano………Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferramente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugnamo le armi per risolvere, dopo i problemi risolti delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime………… Un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso all’oceano…………..Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto; è la lotta tra due secoli e due idee…………In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose forze armate………L’Italia proletaria e fascista è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutt. Essa già trasvola ed accende cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia, all’Italia, all’Europa, al mondo. Popolo Italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore.!

Il discorso fu frequentemente interrotto da grandissime acclamazioni, applausi a non finire e continue chiamate di Duce! Duce! Duce!
La dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra fu consegnata dal Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano a Francois Poncet e sir Percy Loraine ambasciatori in Italia delle due Nazioni; è evidente però che gli avversari e i nemici dell’Italia non potevano, più di tanto, giudicare “una pugnalata alle spalle” il nostro intervento poichè ben sapevano che l’Italia era legata al patto d’amicizia con la Germania e che, prima o poi, questa sarebbe intervenuta a fianco dell’alleato. In fondo la guerra alla Nazione tedesca l’avevano intrapresa inglesi e francesi e l’Italia aveva tutti i diritti di scegliersi il momento opportuno per scendere in campo.
Mussolini prese quella decisione dopo aver avuto il consenso del Re e senza interpellare il Gran Consiglio del Fascismo ben sapendo, che all’interno di questo vi erano forti posizioni neutraliste, ma l’Inghilterra stessa, appena ebbe il sentore che l’Ialia si sarebbe mossa, e questa notizia l’acquisì in Aprile si mise nelle condizioni di sopprasedere alle operazioni che stava svolgendo in Norvegia affermando che “gli alleati non disponevano di risorse sufficienti per condurre nello stesso tempo una guerra nella Scandinavia e una nel Meditteraneo”, previlegiando, di conseguenza, il predominio nell’imporante Mare del sud piuttosto che cercare il predomino su quello del Nord.
Nessuna pugnalata dunque, ma semplicemente tattiche diversificate in funzione della reale consistenza della potenza bellica delle due Nazioni che avevano stabilito il “Patto d’Acciaio”.
Il 17 Giugno il Maresciallo Petain annunciò che la Francia chiedeva l’armistizio che fu firmato, presso Compiegne, sullo stesso vagone in cui nel 1918 era stata firmata la resa tedesca, e il 25 Giugno, dopo che gli italiani avevano superato le Alpi e conquistato Mentone si firmò, a Villa Incisa, nei pressi di Roma, l’armistizio con la nostra Nazione, che però non ottenne quei territori che la propaganda fascista aveva da tempo indicati come facenti parte della nostra sovranità.
A Modena, dove già da tempo erano iniziate le prove dell’oscuramento e attraverso l’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) quelle relative alla corsa ai rifugi in previsione di attacchi aerei, si seguivano in modo particolare le notizie dal fronte francese dei primi attacchi su Malta, oltre che a prendere amaramente nota dei primi caduti di concittadini, quali quella del capitano aviatore Nino Caselli, precipitato con il suo areo in fiamme il 15 Giugno; poi i fanti Ardilio Torelli, Luigi Odorici, Angelo Miani, il caporal maggiore Adelmo Gaddi, l’artigliere Marino Cuzzani, l’artigliere Pasquale Sassatelli e la camicia nera, Mario Borsari. Erano i primi nominativi di quello che sarebbe diventato un interminabile lunghissimo elenco da quei primi giorni sino a dopo la conclusione del conflitto.
Ancora a quei tempi l’attività sportiva in Italia e nel modenese si svolgeva in tutta regolarità, anche se molti atleti, richiamati o volontari, correvano alle armi, il Modena F.C. quell’anno, dopo una serie di prove deludenti fu retrocesso in Serie B, mentre il 28 Maggio a conclusione della tappa Firenze-Modena del Giro d’Italia, arrivò nella nostra città primo, con notevole distacco sugli altri, un giovane che in breve tempo diventò, il grande Fausto Coppi.
Lo scontro tra italiani e inglesi anche se ancora con schermaglie limitate avvenne e in Libia e in Africa Orientale, subito dopo la caduta della Francia; in Libia durante un bombardamento inglese su Tobruk, il Governatore italiano Italo Balbo, il grande trasvolatore atlantico ed espertissimo pilota, che stava rientrando da una perlustrazione nell’entroterra Cirenaico fu colpito dalla contraerea italiana, per un tragico errore, dato che questa continuava a sparare contro le formazioni inglesi ancora presenti sulla città. In seguito si alzarono sospetti, poiché era noto che Balbo si era sempre dimostrato contrario all’entrata in guerra dell’Italia, ma poi tutte le testimonianze e le indagini effettuate portarono alla sicura conclusione che concordava sull’errore del fuoco amico. Il suo ruolo fu occupato dal Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani.
Il 5 Luglio accadde un fatto, in seguito molto discusso, in campo “alleato”; la flotta francese che si era rifugiata dopo l’armistizio nella baia di Mers el Kebir in Algeria fu attaccata e semidistrutta, su ordine di Churchill, preoccupato per un eventuale passaggio ai tedeschi, dalla flotta inglese che a tradimento aprì il fuoco affondando tre corazzate e due cacciatorpediniere oltre a danneggiare gravemente un'altra corazzata e due incrociatori facendo complessivamente duemila morti. Questo attacco inglese agli alleati francesi in un momento estremamente delicato per la Francia mise in crisi, per lungo tempo i rapporti tra le due Nazioni.
Sempre nel Mar Mediterraneo, dove la flotta italiana era di gran lunga la più forte, anche nei confronti di quella inglese, il 9 Luglio la squadra inglese comandata dall’ammiraglio Cunninghan e quella italiana al comando dell’ammiraglio Angelo Iachino si scontrarono (per caso?)e la nostra corazzata Giulio Cesare riportò danni notevoli, ma subito dopo e ancor più grave fu lo scontro a Capo Spada a nord di Creta, dove due nostri incrociatori furono attaccati da un incrociatore inglese scortato da caccia che riuscì ad affondare il nostro “Bartolomeo Colleoni” causando anche gravi danni all’altro incrociatore “Giovanni dalle Bande Nere”. Altro episodio negativo sul mare, fu quello del 1° Settembre, quando il grosso della flotta, sempre comandata da Iachino e composta da 5 corazzate, 13 incrociatori e 39 cacciatorpediniere stava per entrare in contatto con la squadra inglese di Cunninghan che aveva solamente due corazzate, 5 incrociatori e 9 cacciatorpediniere che, con moltissime probabilità, se fosse avvenuto lo scontro, poteva esser completamente annientata, fu richiamata in porto dai comandi di “Supermarina”. Ma la pagina nera della marina italiana nell’anno 1940, fu quella del 12 Novembre, quando aerosiluranti inglesi attaccarono la base navale di Taranto, senza essere ostacolati dalla contraerea italiana, riuscendo a mettere fuori uso tre delle nostre sei corazzate; la “Littorio” e la “Cavour” risultarono semiaffondate e gravemente danneggiata fu la “Duilio”. Questa “debacle” della marina italiana, ve ne saranno altre nell’anno 1941, oltre a mettere in evidenza l’assoluta mancanza di collaborazione tra Marina ed Aviazione, a quei tempi assolutamente indispensabile, fece emergere le enormi responsabilità con la grave accusa di “connivenza col nemico” degli alti Comandi di Supermarina; in realtà gli inglesi erano sempre a conoscenza delle manovre italiane e con molto anticipo.
Numerosi memoriali e libri sull’argomento sono stati scritti, nel dopoguerra, su quella serie di episodi che vide praticamente annullata, o quasi, senza combattere o a combattere male, una delle più potenti flotte del mondo e su quelle navi, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, erano imbarcati moltissimi nostri concittadini.
Ritornando sulla terra ferma, dopo le proposte di Hitler all’Inghilterra e rifiutate da Churchill che ha promesso ai suoi connazionali “lacrime e sangue”, il capo tedesco si decide per l’attacco all’Inghilterra; l’8 Agosto, in previsione di uno sbarco sull’isola, l’aviazione tedesca riceve l’ordine di annientare quella inglese, assieme all’industria bellica di quel paese. Ha inizio così la “Battaglia d’Inghilterra” con una serie di attacchi agli aeroporti e alle industrie di guerra, ma il 14 Agosto, come raccontano gli storici, gli aerei tedeschi lasciarono cadere, per errore, un centinaio di bombe su Londra; Churchill reagì ordinando un bombardamento aereo su Berlino che mandò su tutte le furie Hitler dando così inizio alla serie dei micidiali bombardamenti sulle città inglesi, assolutamente non paragonabili a quella “tempesta di di fuoco” che si abbattè in seguito, sulle città tedesche, anche perché l’aviazione tedesca non possedeva bombardieri pesanti capaci di trasportare un notevole carico di bombe. I risultati di quell’operazione, in realtà, furono scadenti tanto che, a distanza di pochi mesi, rinunciò all’invasione della “Perfida Albione” e gli stessi inglesi dichiararono che Hitler “aveva perso l’autobus a Dunquerque”.
Lo stesso giorno, 8 Agosto le truppe italiane, guidate dal generale modenese Guglielmo Nasi, iniziano le operazioni in Africa Orientale che porteranno alla conquista della capitale della Somalia Britannica, Berbera.
Intanto a Modena, dove dopo l’entrata in guerra si cominciano a prendere provvedimenti restrittivi quali la chiusura anticipata alle ore 22 dei locali pubblici, la chiusura delle sale da ballo e l’introduzione dell’ora legale, mentre il razionamento, ancora per quell’anno, era limitato allo zucchero, al caffè e al sapone, poi la musica cambiò.
Nel mese di Agosto fu intensificata anche la propaganda contro gli inglesi, prendendo in considerazione, nelle numerose conferenze organizzate dall’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, tutti i temi, da sempre cavalcati, delle ingiustizie subite dall’Italia dalle nazioni cosiddette “Demoplutocratiche”, del “Mare Nostrum” e così via; conferenze e riunioni fatte a centinaia in tutti i Comuni del modenese e quasi tutte condotte da noti esponenti del fascismo locale tra i quali citiamo: Anselmo Gambigliani, Gino Mori, Ugo Bassi, Nino Saverio Basaglia, Rodolfo Monti, Enzo Ponzi e Gino Scapinelli.
Sul fronte africano, malgrado il Maresciallo Graziani non fosse del parere di procedere ulteriormente sul versante cirenaico, ricevette l’ordine di occupare Sidi el Barrani e dopo un avanzata di circa 150 Km., fu occupata la città, abbandonata dalle truppe inglesi.
In un brevissimo lasso di tempo l’Italia, entrata in campo con delle lacune gravissime negli armamenti e nella logistica oltre che da una inadeguatezza incredibile di certi alti comandi, subì due smacchi gravissimi. In Grecia, dove Mussolini credette di trovarvi una facile vittoria e invece quella campagna, male organizzata, si rivelò disastrosa sin dall’inizio e ne vedremo i risvolti attraverso quello che è stato il sacrificio delle camicie nere modenesi sul Monte Kosica. Altrettanto successe in Cirenaica, dove, ai primi di Dicembre ci fu un fortissimo contrattacco inglese, che fece riconquistare loro Sidi el Barrani ma, ancor più grave fu la disfatta dell’intera armata della Cirenaica, con la resa agli inglesi, che li fecero prigionieri, di oltre centomila uomini. Il Generale Badoglio, attaccato da molti gerarchi, si dimise da Capo di Stato Maggiore ritirandosi, come si dice negli ambienti militari, a vita privata, ma in realtà per lavorare “sott’acqua” alla preparazione del colpo di Stato del 25 Luglio 1943.
Anche il Segretario del PNF, Ettore Muti, si dimette dal suo ruolo ma per ragioni ben diverse, in pratica per riprendere il posto di combattimento, poiché, la sua indole lo richiamava all’azione e non all’inedia di una scrivania. Lo sostituì, nell’incarico, Adelchi Serena.
Nel frattempo, a Berlino il 27 Settembre, i Ministri dei tre Stati firmano il,”Patto Tripartito”, e cioè l’Asse Roma-Tokio-Berlino, così, anche il lontano Giappone si unisce strettamente alle due nazioni europee “antidemocratiche” e tra un anno 1l 7 Dicembre 1941, dichiarando guerra agli Stati Uniti, porterà il conflitto europeo ad un coinvolgimento mondiale.
Sui due fronti, dove operano in modo totalmente negativo gli italiani, dovranno essere gli alleati germanici a toglierci “le castagne dal fuoco”, sia sulle impervie montagne della Grecia, sia sulle infuocate sabbie libiche.
Si concluse quel 1940, che ci aveva visto entrare in guerra solamente sei mesi prima, in modo sconfortante, e il Mar Meditteraneo non si rivelò quel “Mare Nostrum” che tanta propaganda ci aveva raccontato.
La presenza degli italiani sui Monti d’Albania e Grecia è raccontata con l’articolo pubblicato, tre anni orsono, sulla rivista “Modena Storia” a firma dell’autore di questo testo.



Il Monte Kosica – Ara di gloria dei Legionari Modenesi

Sicuramente non sono molti i modenesi che conoscono l’origine della denominazione di uno dei più noti Viali della città: viale Monte Kosica. Nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi in tutta Italia e a Modena in particolare, avvenne l’epurazione di tutta la toponomastica stradale che faceva riferimento a personaggi e a luoghi del periodo fascista. Furono pure eliminate sculture, edifici immagini in una furia iconoclasta che a Modena ebbero il suo vertice nella totale demolizione di uno degli edifici più belli in puro stile novecento, il palazzo dell’ex GIL.
A fronte di questo comportamento, resta incomprensibile come sia rimasta integra la targa di “Viale Monte Kosica - Ara di gloria dei legionari modenesi” come ancora oggi troviamo scritto. In queste pagine vogliamo ricordare, in modo succinto il sacrificio di quelle centinaia di Camicie Nere modenesi che si coprirono di gloria sul confine greco-albanese.
Erano trascorsi pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia quando il 28 Ottobre 1940, mentre a Firenze Mussolini riceve Hitler e gli comunica improvvisamente quella che doveva essere una grande notizia, l’invasione italiana della Grecia; inizia così una delle più discusse campagne di guerra che rimarrà memorabile nella storia italiana per l’inefficienza, pressappochismo, impreparazione e miopia strategica dello Stato maggior italiano. L’illusione di una guerra lampo si esaurì in pochi giorni. Due Corpi d’Armata che dovevano entrare velocemente in Grecia dall’Albania in breve si impantanarono letteralmente. La famosa frase di Mussolini “spezzeremo le reni alla Grecia” si rivelò quantomeno inopportuna poiché immediatamente, dopo il nostro attacco, i greci riuscirono a bloccare l’iniziativa italiana e a contrattaccare e costringendo le nostre truppe a bloccarsi sul fronte greco albanese, in un durissimo inverno. Su questo terreno ostile e impervio i nostri soldati, malgrado le amarezze e lo scadente supporto di mezzi e di materiali, oltre alle risse tra gli alti Comandi, scrissero pagine d’eccezionale valore in quei tremendi mesi dell’inverno 1940-1941.
La composizione del Corpo dell’Esercito comprendeva due Corpi d’Armata il XXV e il XXVI forte di 12 Reggimenti di Fanteria , un Reggimento di Granatieri, uno di Bersaglieri, due Reggimenti Alpini, due Reggimenti di carri armati, cinque Battaglioni di Camicie Nere, tre battaglioni di Carabinieri, quaranta gruppi di artiglieria e cinque compagnie del Genio, per un totale di 105 mila uomini, 163 carri armati e 680 cannoni.
Tra i battaglioni di Camicie Nere era presente anche un Battaglione di Modena che faceva parte della 72° Legione Farini ed era composto da 18 Ufficiali, 32 sottufficiali e 460 CC.NN. Assieme al battaglione modenese era aggregato il CXI battaglione CC.NN. di Pesaro.
Il 1° Seniore Antonio Petti comandava il battaglione dei nostri concittadini che nel suo gagliardetto, ricamato e consegnato ai legionari dalle donne fasciste modenesi, portava la scritta “Viva la morte”.
Il giorno 7 Dicembre 1940, “i Falchi”, così era chiamato il Battaglione delle Camicie Nere, si imbarcano da Bari sulla motonave “Giuseppe Verdi” e il giorno successivo sbarcano nel porto di Durazzo in Albania. Andranno a schierarsi sul fronte Est albanese tra il Monte Kosica e il Lago Okrida giungendo, attraverso mulattiere piene di fango e dopo sforzi sovrumani, sulla linea del fronte nelle vicinanze di Dunica. In questa zona rimarranno per alcuni mesi, in una durissima guerra di posizione.
Il periodo prenatalizio e sino ai primi giorni di Gennaio è dedicato alle ricognizioni tattiche, alla sistemazione delle tende e degli accantonamenti alle varie quote in Val Dunica dove avverrà il “battesimo del fuoco” dei legionari modenesi. A metà Gennaio si aggiungono ai reparti già schierati altre camicie nere, in particolare i plotoni di salmerie con i fidati muli che si riveleranno i migliori mezzi di trasporto su quelle impervie montagne. Assieme a loro è presente il C.M. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista e scrittore. Dal suo diario abbiamo appreso le tante notizie dei fatti e degli uomini modenesi che hanno affrontato quel periodo di guerra eroica e drammatica.
Molti uomini si dovettero improvvisare mulattieri, uomini del plotone comando che erano partiti con diversi compiti si resero disponibili a svolgere il servizio pesante e gravoso di accudire i muli e con loro fare miracoli per compiere il trasporto dalla base alle linee. Vogliamo citare alcuni modenesi che si dedicarono a quelle operazioni: i due operai della Manifattura Tabacchi di Modena, Rinaldi Amos e Sighinolfi Ivo, il tramviere Frateschi Giuseppe di Modena, l’impiegato Mazzuccato Luigi, il meccanico Pistoni Agostino, l’edile Capellini Terzo, il metallurgico Forti Alberto tutti di Modena.
Mano a mano che i vari reparti della 72° Legione Farini vanno a posizionarsi sulle quote a loro destinate, hanno la possibilità di valutare e di giudicare la vita di quelle popolazioni e fare valutazioni come quelle del giornalista citato che visitando la cittadina di Kavaja scrive”

……Osservo qundi le condizioni miserabili in cui l’urbanistica di re Zog ha lasciato un centro così popolato. Bimbi dappertutto, bimbi stracciati, macilenti. Questo non è il “colore locale” che amiamo e che una letteratura cosmopolita descrive come caratteristiche di molte regioni balcaniche……. E se i turisti delle lussuose e potenti macchine fuori serie si lamenteranno per il perduto colore locale, che Iddio non ci metta in corpo la proletaria voglia di farli discendere dai morbidi e lussuosi cuscini, di sporcar loro la faccia con una maleodorante manata di fango………Prenderemo loro fotografie a testimonianza postuma, a documento ultimo di una stupidità umana e di una insensibilità morale che non è l’ultima causa dei perturbamenti sociali, culminati nelle rivolte civili e nelle guerre fra i popoli.”

Le pendici del Monte Kosica sono a strapiombo e difficilissime da superare, a quota 1108 è distaccato un plotone agli ordini del C.M Florindo Longagnani assieme al II° Battaglione dell’84° fanteria “Venezia” e alla 10° Compagnia mitraglieri della Divisione Arezzo. In questa zona, mentre porta un ordine al Comando del settore di Dunica, a quota 1033 è mortalmente colpita da schegge di mortaio la camicia nera, Montanari Ferruccio di Vignola. E’ il primo caduto modenese.
Le temperature sul Kosica sono sempre rigidissime e l’azione delle pattuglie n’è totalmente condizionata; i greci dominano la vallata dalle quote 1475 e 1498, del monte e di frequente attaccano le nostre postazioni, che si difendono e mantengono le loro posizioni a prezzo di notevoli sacrifici.
La difficoltà dei trasporti e degli approvvigionamenti è notevole. Per quasi due mesi le CC.NN. modenesi dovranno accontentarsi delle razioni dei viveri che consistevano in un pezzetto di formaggio, venti grammi di marmellata, un gavettino di caffè, una pagnotta e cinque sigarette, a quelle rigidissime temperature sempre sotto lo zero non era il massimo.
Uno dei più ardimentosi attacchi delle CC.NN alle quote alte del Kosica avviene il 5 Gennaio

“alla legionaria, con lo sprezzo del mortale pericolo ereditato dagli arditi della grande guerra , con un ardore che accende il sangue e lo sommuove come un fervido sole di vendemmia fa con l’uva ribollente nei tini, gli arditi fascisti attaccano il trincerone”

Il trincerone è raggiunto di slancio, ma i greci si difendono con rabbiosa decisione e, con l’aiuto delle nuove mitragliatrici e di freschi rinforzi riescono a ricacciare le CC.NN. alle loro posizioni di partenza¸ poi vi è il contrattacco dei greci che viene in parte rintuzzato. Ma la compagnia è gia priva di una trentina di elementi, tra feriti più o meno gravi e congelati. Quattro camicie nere sono date per disperse sono, i legionari, Giorgio Crabbia, Pietro Bellei, Francesco Gherardini e Marino Bonazzi. Ma dopo tre giorni, senza viveri e senza medicinali per curare uno di loro ferito e dopo essere rimasti nella cavità di una grossa roccia, riuscirono a ritornare tra i loro camerati.
In un ulteriore attacco alle postazioni greche rimane gravemente ferito, preso in pieno da una rosa di schegge di mortaio, il comandante della compagnia, Centurione Ermanno Sacerdoti-Grassi: il nemico è su postazioni privilegiate e cinque volte superiore di numero ai circa cento legionari modenesi che si proiettano avanti con impeto indomabile: una raffica di mitragliatrice colpisce in pieno la camicia nera Michele Bollettini e altri rimangono feriti sul terreno; i capi delle squadre e dei plotoni Tonino Zoboli, Gustavo Lami, Adolfo Muzzarelli e Armando Bosi portano i loro uomini sin sull’orlo della trincea nemica che attaccano con bombe a mano: le perdite avversarie sono moltissime ma anche molti modenesi sono a terra: la battaglia prosegue per tutto il giorno e alla notte i resti della compagnia si attestano sui costoni sino al momento che con il raggiungere dei rinforzi riusciranno ad attestarsi su di una linea difensiva più solida. Rimangono su quella montagna con il rosso del loro sangue i valorosi: Aldo Gelmuzzi, Guido Malpighi, Roberto Zanetti, Antonio Ballati e Armando Morandi.
I feriti sono molti e così gli atti eroici come quello del nonantolano Tonino Zoboli, o di Domenico Pini che, pur feriti, continuano a lanciare bombe sino all’esaurimento di queste.
In seguito, per questi fatti, furono concesse le medaglie al valore: Medaglia d’Argento a C.N. Bonazzi Maurizio di Ferdinando da Castelfranco Emilia; Medaglia di Bronzo ai C.P Benassi Mario da Modena, Bonacini Umberto da Modena, Pignatti Aroldo da Bomporto, alle CC.NN. Maccaferri Arturo da Castelfranco Emilia, Marani Abdon da Bomporto, Gherardini Francesco da Castelfranco E., Vaccari Gildo da Nonantola, Bellei Nino da Bomporto, Rebuttini Primo da Nonantola. Croci di Guerra al Vice caposquadra Belli Pietro da Spilamberto e Crabbia Giorgio da Castelfranco E.
Poi per il mese di Gennaio riprende la normale routine di vigilanza sulle linee e di qualche scaramuccia per rintuzzare sporadici attacchi greci.
Un operaio meccanico di Fanano, certo Monterastelli Edoardo, tenne un diario di quei drammatici giorni sul Kosica e così, con una vena poetica notevole, descrisse la vita sotto la tenda su quei costoni impervi e desolati:

“Il giorno stà per finire. Il cielo è sereno, ma l’aria è gelida: I teli all’interno luccicano di uno strato di ghiaccio che li fa sembrare d’argento. “ Oh telo di tenda, debole come una ragnatela, sembri a noi una fortezza inespugnabile. Tu ci ripari dal vento, dalla neve e ci dai l’impressione di difenderci anche dal piombo nemico. Abbiamo fiducia in te, fratello telo, che fermi sul nostro capo il vento di gelo e di morte che fuori infuria”.

Il mese di Febbraio è gelido come i precedenti, le camicie nere modenesi lo trascorrono sotto i bombardamenti dei nemici e a rintuzzare gli attacchi che abbastanza di frequente sono portati loro.
Molti battaglioni sono in prima linea da oltre tre mesi e in condizioni veramente difficili, il freddo, l’acqua, il gelo, la neve. Molti legionari si ammalano, congelamenti, febbri ed anche dissenteria, provocano vuoti nei ranghi per lunghi periodi ed alcuni purtroppo morirono, come le CC.NN. Giuseppe Reggiani, Erasmo Baraldi e Fulvio Veroni.
Le azioni delle pattuglie della 72° Legione Farini sono frequenti alle varie quote del Monte Kosica dove sono dislocate e precisamente a q. 1033, q. 1214, q. 1333 dove era situata la Madonnina del Kosica e a q. 1434. I piccoli villaggi dei dintorni sono tenuti sotto controllo per evitare che vi s’installino reparti dell’esercito greco, pertanto, in vari punti si creano posti avanzati per il controllo e la difesa degli sbocchi verso valle che non devono cadere in mano nemica. Di tanto in tanto si davano il cambio con i legionari sistemati nel paesino di Dunica a quota 900 metri. L’operare delle pattuglie, specialmente per quelle impegnate di notte, è un compito snervante e difficilissimo per la tensione di improvvise imboscate o di scontri diretti con il nemico.
Nelle giornate del 12 e 13 Febbraio avvennero numerosi attacchi dei greci alle postazioni dei modenesi e le nostre linee sono sconvolte da un furioso fuoco di artiglieria e mortai, in quegli attacchi e bombardamenti trovano la morte le CC.NN. del 72° Battaglione, Ivo Gasparini, Tonino Vecchi, Cesare Dondi e Zoello Gilli, e molti furono i feriti.: particolarmente colpite, quota 1033 e 1333. La reazione dell’artiglieria italiana non si fece aspettare e le postazioni greche furono tenute per alcune ore sotto un fuoco incessante. La battaglia era divampata, in un primo tempo i greci riuscirono a penetrare nelle linee italiane a quota 1333, ma da qui furono ricacciati indietro dal fuoco delle mitragliatrici delle camicie nere.
Poi le posizioni si consolidano e le trincee delle camicie nere sono ad una distanza, da quelle greche, di circa 150 metri mentre le postazioni avanzate delle vedette, sono a non più di 70 metri. La vita in quelle condizioni è difficile ma i legionari devono “tenere” il fronte, sorvegliare i movimenti dei vicini, sopportare i principi di congelamento, controllare costantemente le armi affinché l’olio non geli nei congegni, restare vigili sotto i rabbiosi bombardamenti, poi dopo i lunghi turni di guardia entrare nella tana seminterrata per dare un morso alla pagnotta, bere un sorso di caffè freddo, dormire vestiti con le scarpe ai piedi.
In una relazione al Comandante il Settore Occidentale di Dunica, il Console Petti comandante della 72° Legione Farini, faceva presente la situazione difficile, dopo tre mesi di permanenza al fronte durante un inverno particolarmente gelido, dei suoi reparti che, tra morti (13), feriti (51) e ammalati (84) si trovava ad essere particolarmente decimato e pertanto chiedeva un periodo di riposo.
Durante i primi giorni di Marzo avvengono numerosi scontri di pattuglie e scambi ripetuti delle artiglierie mentre i legionari attendono il cambio. Vogliamo rilevare un aspetto particolare della presenza dei modenesi in terra d’Albania che è quella della presenza di tante famiglie, quali ad esempio i tre fratelli Dario, Alberto e Remo Stefani nella stessa compagnia di CC.NN e il quarto fratello in un altro reparto in Albania: un ulteriore esempio è quello dei quattro fratelli Rivaroli, l’ing. Bruno con i legionari sul Kosica ed i fratelli, Oberdan, Antonino e PierDomenico in altri reparti, ma sempre in Albania
Pochi giorni prima di andare al meritato riposo, i legionari modenesi subiscono un improvviso attacco, e dopo un furioso fuoco di artiglieria da una postazione greca a q. 1461, partono rabbiose raffiche di mitragliatrice che prendono d’infilata, in fondo ad un breve sentiero scoperto, un gruppo di legionari che stavano per avvicinarsi ad una piccola fonte di scarsa acqua torbida. Una quindicina di questi, al settantesimo giorno di permanenza in linea sul fronte, rimane a terra.. Tre di loro restano uccisi: i CapiSquadra Guido Ramini e Arnaldo Pastorelli e la Camicia Nera Gino Vezzali.
Il 16 Marzo, è l’ultimo giorno in linea e i greci per quasi tutto il giorno tengono sotto il fuoco delle loro batterie i legionari modenesi e la Camicia Nera Vittorio Goldoni paga l’ultimo tributo al caposaldo sul Monte Kosica ; così aveva scritto in una lettera alla famiglia trovatagli in tasca

“ ..abbiamo già avuto il cambio, stanotte lasciamo la linea e quando questa vi arriverà saremo a riposo molto lontani dal pericolo.”

Arriva così il momento del sospirato riposo e i legionari modenesi vengono sostituiti dalle CC.NN di Parma e di Forlì, e vanno a Qukes nel vicino Lago di Okrida.
Ai primi giorni di Aprile, dopo un breve periodo di riposo e dopo che i reparti sono stati rinforzati dai complementi appena giunti dall’Italia a seguito delle perdite sul Kosica, la 72° Legione si rimette in marcia, sulla base di un ordine improvviso, per raggiungere nuovamente la prima linea. Si vanno a disporre sulla linea che va dal Kosica al Lago Okrida, la compagnia mitraglieri della 72°, comandata dal Centurione Ermanno Tusini, che da poco tempo è arrivato in Albania, si dispone nel settore tra il Kungullit e il Breshenikut e il battaglione “Viva la morte” raggiunge il Kalase: così i due reparti modenesi, che in quei giorni ricevettero la visita del Console Calzolari e di Roberto Farinacci, furono schierati l’uno fianco all’altro.
In quei giorni, dopo continui duelli di artiglieria su tutto il fronte i greci compiono un tentativo di sfondamento nel settore del Kungullit dove è schierato il reparto “mitraglieri”. La lotta è furiosa varie compagnie rimangono isolate e numerosi sono i corpo a corpo. Il 1° plotone, comandato dal C.M. Renzo Gemma, il 2° plotone al comando del C.M. Mauro Gatti, il 3° plotone comandato dal Cm: Branco Piacentini e il plotone comandato dal C.M. Aldo Giovannardi, vengono a trovarsi al centro dell’attacco nemico. Un formidabile bombardamento nemico, preparatorio all’assalto, sconvolge le nostre linee. Molte mitragliatrici furono messe fuori uso dal violentissimo fuoco dei greci e molti legionari tra morti e feriti gravi vennero messi fuori combattimento. Alcune compagnie furono completamente distrutte. Con un numero preponderante di uomini il nemico attacca furiosamente e alcuni gruppi di CC.NN. già completamente accerchiate riuscirono ad aprirsi un varco, usando pugnali e bombe a mano, attraverso le fanterie nemiche riuscendo a raggiungere una posizione leggermente arretrata tenuta dall’ultimo plotone “mitraglieri” ancora efficiente. Poi verso sera, con l’aiuto dell’intervento del CXI° battaglione di Pesaro fu sferrato il contrattacco che riuscì a rigettare indietro le fanterie nemiche che lasciarono sul terreno molti caduti. I Legionari modenesi in linea erano circa 150. Dopo i furiosi combattimenti si contarono 8 morti sessantre feriti e 16 dispersi. Dei cinque Ufficiali della Compagnia: 1 morto 3 feriti e 1 disperso.
Numerosissimi furono gli atti di valore, tanto che la compagnia ebbe una medaglia d’oro assegnata al giovanissimo “balilla” Arturo Galluppi, tre d’argento, sette di bronzo oltre a numerose croci di guerra al valore. Caddero in quella furiosa battaglia oltre alla giovane camicia nera Arturo Galluppi, le CC.NN: Irmo Righi, Donato Toni, Ettore Lusetti, Mario Lanzotti, Remo Vandelli, Giovanni Cadignani, Ettore Vezzani e il Capo Manipolo, Mauro Gatti.
Il reparto schierato sul Kalase era stato sistemato su di una specie di altipiano argilloso, sconvolto dalle bombe, con attorno boschi di castagni, tutti colpiti e frantumati dall’artiglieria. In quei giorni entra in guerra anche la Iugoslavia e i reparti modenesi vengono a trovarsi in una zona delicatissima, esattamente al confine con la Grecia e la stessa Iugoslavia. Come è avvenuto sul vicino Kongullit anche sul Kalase, dopo un fortissimo fuoco di artiglieria, si accende furioso il combattimento e tantissimi furono gli scontri ravvicinati con i greci: numerosi feriti e i seguenti caduti modenesi rimasero sul terreno: il Capo Squadra Vezzani Nello, e le CC. NN. Givera Mario, Zanni Mario e Riccardo Zanella.
Il 13 Aprile, giorno di Pasqua, dopo logoranti combattimenti, termina in sostanza la battaglia su quelle montagne impervie. E’ il contrattacco italiano, con la collaborazione dei reparti tedeschi; su tutto il fronte, l’inseguimento ai greci è frenetico, si riconquistano tutte le posizioni di confine e sono fatti moltissimi prigionieri. Sulle alture di Borova i legionari trovano un forte sistema difensivo e il giorno 19 Aprile al pomeriggio scatta l’attacco per debellare quella forte resistenza: oltre ad alcuni feriti, restano per sempre sul terreno alcuni modenesi: il Centurione Felice Garzano, il Capo Manipolo Umberto Bonacini e le CC. NN. Ottavio Righetti e Contardo Bolelli.

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La Piscina Dogali appena terminata
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Case popolari: la "Popolarissima" alla crocetta
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Architettura razionalista anni trenta - Casa Gavioli e casa Malagoli

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Le camicie nere modenesi sul Monte Kosica in Albania

Tusini Ermanno Caduto Vezzali Nello
Nino Saverio Basaglia Calzolari e Farinacci sul Kosica
Lami Gustavo di Pavullo La medaglia d'oro Arturo Galluppi
Il gagliardetto dei Legionari modenesi alla partenza Legionari modenesi sulle nevi del Monte Kosica
Caduto Bonacini Caduto Sarzano
Disegno della Camicia Nera modenese, Walter Morselli Disegno della Camicia Nera modenese, Walter Morselli
Gatti Mauro Sacerdoti Grassi
Le tende delle CC.NN. modenesi sul Kosica Le CC.NN. Schianchi e Pozzetti

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