Capitolo terzo 1923 - 1924

MODENESI IN CAMICIA NERA

Gli anni dal 1919 al 1943

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Capitolo Terzo    ANNI 1923 - 1924


1923 - I primi anni dell'Era Fascista a Modena

Mussolini è diventato, dunque, Capo del Governo che comprendeva, oltre ai fascisti, popolari, demosociali, liberali e nazionalisti e, solamente all’ultimo momento, aveva rinunciato a includere nel ministero, organizzatori sindacali socialisti, secondo un suo antico proposito coltivato dallo stesso, anche in seguito.
In questo primo periodo dovette affrontare il compito immane di restaurare l’autorità dello Stato, le Finanze dissestate, l’ordine pubblico e il prestigio dell’Italia compromesso all’estero. Per gli squadristi, il repentino arresto dell’attivismo politico disorientò gli uomini che erano prettamente votati all’azione, coloro che avevano certe ambizioni, coloro che aspiravano a vantaggi personali, ma anche gli idealisti che credevano si dovesse approfondire maggiormente, in sede istituzionale, lo spirito della “Rivoluzione”.
Di conseguenza Mussolini, che non aveva ancora compiuto quaranta anni, si vide costretto, durante la sua prima esperienza di Governo, ad intervenire per smobilitare gli animi degli squadristi e dirimere le dissidenze e i contrasti, attraverso l’esperienza del suo prestigio personale.
Ancor prima che terminasse il 1922, vi fu una prima novità all’interno del Movimento Fascista che aveva appena concluso la Marcia su Roma ottenendo la conquista del Governo Nazionale, questa novità avvenne in una riunione tenutasi il 15 Dicembre dove il Direttorio del Partito si trasformò in “Gran Consiglio del Fascismo”.
Quest’esecutivo era nettamente distinto dal Governo, avendo carattere prettamente consultivo, ma ebbe poi un ruolo fondamentale, nel 1943, per la caduta del Fascismo stesso che avrebbe dovuto preservare ad ogni costo. In quell’occasione, del 15 Dicembre, si era anche posto il problema delle squadre fasciste che, conclusa la Marcia su Roma, non riteneva conclusa la rivoluzione fascista per la quale si era battuti e ancora si stavano battendo. Bisognava pertanto cercare di imbrigliarle in una forza costruttiva. Fu proposto un progetto di legge che scioglieva il corpo della Guardia Regia sostituendola con la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), anche perché, in quel periodo, subito dopo la conquista del potere da parte di Mussolini, vi fu un accorrere in massa nelle file fasciste da parte anche di vecchi arnesi della politica, di gente che si era arricchita con la speculazione durante il periodo bellico, tanto che si dovette mettere un freno alle facili iscrizioni e, in molte città d’Italia, si costituirono gruppi di fascisti in un “movimento romantico sentimentale” che aveva il proposito di sbarazzarsi di tutti gli arrivisti e di tutti i “pescecani”. Era una vera e propria fiumana di gente che, normalmente, brulica dopo ogni rivoluzione attorno ai vincitori, in pratica quando:

“Alla gerarchia dei forti, succede la gerarchia dei furbi”.

Dopo un certo tempo, anche per dissensi interni a quelle formazioni di fascisti moralizzatori, Mussolini dovette prendere il provvedimento di sconfessarli e di emarginarli. Vi fu un breve periodo di crisi interna, qua e là avvennero anche scontri tra fascisti e inoltre qualche personaggio cercava di approfittare della situazione, per i suoi fini personali. Anche per questa ragione nasce la MVSN, per cercare di rimediare a questo stato di conflitto che nuoceva alla crescita del PNF.
Ovviamente gli avversari negarono la validità e la costituzionalità dell’atto e pare che anche il Re dubitasse di questo doppione di corpo armato, dato che fece passare alcuni giorni prima di firmare il decreto. Ancora tra i fascisti si crearono parecchi dissensi poiché tanti non ritenevano giusto creare una Milizia che poteva diventare cosa diversa dal partito e conflittuale con questo, oltretutto si chiamavano a dirigerla, ufficiali dell’esercito.
A Modena, in questo periodo iniziale dell’Era Fascista, sono chiamati ai comandi della MVSN quali Ufficiali della stessa, Arturo Silingardi, Bruno Calzolari, Borghi, Fausto Vandelli e Gino Mori.
Il 21 Febbraio, nella sede del Fascio modenese di Via Nazario Sauro, si svolsero le elezioni per la nomina del nuovo direttorio sezionale a seguito dei contrasti avvenuti alla fine del 1922. Furono eletti. Italo Maffei, Fausto Vandelli, Arturo Pellegrini, Italo Bicchieri, Camillo Tettoni, Gian Domenico Cuoghi, Gian Paolo Solmi e Giovann Corni; Segretario del Fascio cittadino fu eletto, Gino Silingardi.
In seguito, il 29 Marzo, si svolse il terzo Congresso Provinciale che fu alquanto turbolento, con scambi di accuse tra il federale Vittorio Arangio Ruiz e quello precedente, Carlo Zanni; dopo ulteriori polemiche fu riconfermato nella carica Arangio Ruiz che ebbe come collaboratori gli altri membri della Direzione Provinciale: Matteo Di Noia, Marino Mancini,, Enrico Mussini, Carlo Randelli, Italo Puviani e Italo Maffei.
La situazione nella nostra Provincia va man mano tranquillizzandosi; ci saranno ancora, durante il 1923, alcuni episodi di violenza, delle aggressioni, da parte dei fascisti nei confronti dei popolari, accaddero a Sassuolo dove furono aggrediti e malmenati, il prof. Mario Serafini e Domenico Bettini, a Pavullo subiva un’agressione il Sindaco Covili, mentre a Montese era colpito Don Giuseppe Peri; a Mortizzuolo di Mirandola, l’episodio più grave con l’uccisione del comunista Giovanni Bassoli.
In altre località avvennero alcuni gravi episodi, e tra i fatti più incresciosi e noti citiamo, l’assassinio dell’arciprete di Argenta in Romagna, Don Giovanni Minzoni e l’aggressione a Montecatini dell’On. Giovanni Amendola. Numerosi furono anche gli scontri tra fascisti e fascisti. Erano gli ultimi sussulti di un periodo, che durava da anni, di lotte fratricide.
Ancora non si erano ben delineate le linee guida per la conduzione, civile e corretta dello Stato. In molti luoghi i fascisti che arrivarono ai posti di comando erano figli del popolo e moltissimi provenivano dai ceti più bassi della classe media e in parte dalla classe operaia, pertanto non preparati alle funzioni difficili delle leve di potere. Non è vero, come ci ha sempre raccontato la pubblicistica antifascista, che solamente gli agrari, gli industriali e i professionisti dell’inganno, presero in mano il potere delle strutture pubbliche dello stato italiano. In realtà il Fascismo fu un movimento veramente giovanile, dai capi ai gregari tantissimi erano i giovani di origine popolare, se vogliamo, passionali, con una certa durezza e ostinati nel raggiungimento dei loro obiettivi. Vi erano, ovviamente gli ambiziosi, ma tanti anche in buona fede che, solo per il fatto di far parte del movimento fascista o per aver partecipato alla marcia su Roma desideravano essere premiati e si ritenevano in grado di prendere parte alle funzioni dell’amministrazione statale. La maggioranza, però, non chiese nulla, al massimo si sentivano contenti di aver servito la Patria.
In fondo il Fascismo fu figlio legittimo degli squadristi, anche se poi il Governo dovette patteggiare, sia con la casa Savoia, sia con il Vaticano in un eccesso, forse, di pragmatismo sino a raggiungere, in certi casi, il compromesso.
A distanza di tempo possiamo anche dire, pur non essendone completamente convinti, che tale comportamento dei fascisti fosse, in certo qual modo, giusto e corretto per quei tempi. D’altra parte stà proprio in questa sintesi di comporre forze talmente diverse con la volontà di irreggimentarle senza schiacciarle, la grandezza dell’azione di Benito Mussolini. E’ stata una sfida la sua, di venire a capo di situazioni difficili e delicate senza cedere in dignità, senza cadere in cedimenti eccessivi verso i poteri occulti, impostando contemporaneamente un vero e proprio stile di vita, nuovo per gli italiani, ma necessario ad una Nazione che doveva uscire da una crisi di gigantesche proporzioni. E’ altresì incontrovertibile, e ne fanno fede grandissimi storici e studiosi del ventesimo secolo, che tutto l’operato del regime fascista fu in gran parte rivolto al miglioramento di vita degli italiani. L’Italia, in quei tempi, era considerata una delle ultime Nazioni del mondo occidentale e non solo, per sua povertà endemica, ed era tenuta in scarsissima considerazione anche sul piano politico e militare.
Nel Marzo del 1923 avvenne la fusione tra il Partito Fascista e i Nazionalisti. Per molto tempo le dottrine del nazionalismo avevano tenuto in notevole considerazione le azioni del movimento fascista ma, come disse Grandi i due partiti si differenziavano perché:

“uno era tutto dottrina statica, l’altro tutto azione appassionata, ma questo non sminuiva il valore della stessa matrice ideologica”.

E’ stato anche detto che si trattava di “Rivoluzione fascista del nazionalismo” e per questo vi furono anche molti contrasti, che vennero in breve tempo appianati, dato che l’entrata dei nazionalisti nel fascismo, dopo che era stata istituita una commissione paritetica, portò uomini del valore di un Federzoni, di Alfredo Rocco e di Francesco Coppola, in un momento che un po’ ovunque trionfava il “principio nazionale”, ad un completamento e ad una fusione di due movimenti che si completavano l’uno con l’altro.
Modena applaudì, il 16 Aprile 1923, il Capo del Fascismo in transito dalla nostra città; alla stazione ferroviaria, una folla straripante, venuta a conoscenza del suo passaggio, si accalcò con sventolio di tricolori, assieme al Sindaco avv. Fausto Bianchi, al Prefetto, Carlo Errante e al Comandante dell’Accademia Militare. Un bambino, che indossava la camicia nera, fu issato sino al finestrino dove si affacciava Mussolini, per consegnarli un mazzo di fiori che il capo del fascismo dimostrò di gradire enormemente; dopo una sosta di alcuni minuti, dopo aver salutato, ovviamente romanamente, il treno ripartì in un tripudio di saluti calorosissimi da parte della folla modenese.
Il 25 Aprile 1923, è varato il Gran Consiglio del Fascismo, e il PNF, con proprio comunicato ufficiale diede questa composizione: 23 membri oltre al Presidente Benito Mussolini. Gli uomini che composero il Gran Consiglio furono: Italo Balbo, Luigi Federzoni, Michele Bianchi, Alberto De Stefani, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi, Aldo Oviglio, Giacomo Acerbo, Attilio Teruzzi, Achille Starace, Mazzucco, Bolzon, Francesco Giunta, Giuseppe Bastianini, Giovanni Marinelli, Costanzo Ciano, Aldo Finzi, Edmondo Rossoni, Sansanelli, Cesare Rossi, Massimo Rocca, Edoardo Torre e Postiglione.
A Modena, in quel periodo, iniziarono le grandi opere che, in pochi anni, avrebbero trasformato radicalmente il volto della città. In ricordo della Grande Guerra, che a Modena aveva portato tanti lutti, il 24 Maggio di quel 1923, dopo cinque anni dalla conclusione e dopo otto anni dall’entrata in guerra dell’Italia è inaugurato, dal Principe di Udine, la prima parte del Parco delle Rimembranze nell’area che era sorta dopo la demolizione delle antiche mura, tra il baluardo di San Pietro e Porta San Francesco. Furono piantati 660 alberi che, nel progetto definitivo, sarebbero diventati 1231, in ricordo dei soldati modenesi caduti nella grande Guerra.
Contemporaneamente era stato bandito un concorso per il Monumento ai Caduti che, dopo tante polemiche per la sua sistemazione, attraverso un referendum tra sessanta artisti modenesi che lo votarono quasi all’unanimità, fu scelta la rotonda di San Pietro, dove ancor oggi si trova, in quella posizione più alta dei viali, per dominare e da una parte e dall’altra, tutti gli alberi del Parco.
Nello stesso periodo fu varato il piano regolatore della città che, tra l’altro, aveva in progetto lo sventramento di alcuni quartieri, quali le zone degradate del centro storico di Via Tre Re e San Michele.
L’ambiente studentesco modenese fu, sin dall’inizio, vicino al sorgente movimento fascista e, sia tra gli studenti universitari, sia tra gli studenti medi dei licei e degli Istituti Superiori, vi era ampia convergenza con le prime organizzazioni; difatti, già nel 1920 si costituì a Modena l’”Associazione Studentesca Universitaria” guidata dallo studente in giurisprudenza, Enzo Ponzi, fondatore e primo Segretario del Fascio locale. L’Associazione promosse l’iniziativa per la collocazione all’ingresso dell’Università, di una targa commemorativa il sacrificio dello studente in Legge, Manlio Pistoni, fondatore anch’esso del fascio modenese, che rimase ucciso il 23 Luglio 1920, in Albania, durante l’assalto ad una trincea, nei pressi di Valona. Il 23 Giugno 1923, alla presenza dell’onorevole Roberto Farinacci, fu scoperta la lapide che ricordava il caduto, e il GUF modenese fu titolato alla memoria di Manlio Pistoni.
Il Fascismo, in questo primo periodo di presa del potere, inizia a mettere in atto una serie di riforme per cercare di risolvere in breve tempo la delicata situazione socio economica del Paese. La riforma finanziaria, ad esempio, fu elaborata dall’allora Ministro delle Finanze, Alberto De Stefani che, in seguito alla morte del Ministro Tangorra, prese in mano anche il Ministero del Tesoro, e riusci, in tempi non lunghissimi, a portare il bilancio dello Stato, in pareggio.
Questa manovra valse al Governo fascista anche le lodi di tanti antifascisti e quelle di molte autorità internazionali. Il Fascismo aveva fatto delle promesse al popolo italiano per portare l’ordine, il lavoro e il risanamento dell’economia; questa prima operazione sulla risoluzione del bilancio dello Stato, seppure in mezzo ad enormi difficoltà, ebbe un risultato grandemente positivo nell’opinione pubblica e inoltre, un senatore antifascista, tale Jannaccone, ebbe a dichiarare che:

“Tale sforzo titanico potè svolgersi solo per merito del carattere del Ministro De Stefani e della sua decisa volontà, perché le opposizioni degli interessi furono intense, le domande di danaro per ragioni oneste e disoneste, innumerevoli, i nemici numerosi”.

Fu inoltre abolita, con decreto legge del 19 Aprile 1923 n. 833, la festa del 1° Maggio, che fu sostituita, come Festa del lavoro, con la giornata del 21 Aprile, “Natale di Roma”.
La deprecata, dagli antifascisti, legge Acerbo, fu approvata dal Governo nel mese di Luglio del 1923; Mussolini aveva deciso che, per mettere un freno alle continue difficoltà che scaturivano nel Parlamento ad ogni elezione, sarebbe stato necessario il sistema maggioritario con premio di due terzi dei seggi a chi otteneva la maggioranza relativa e per questo il Capo del Governo stimava oltremodo utile, per dare stabilità e continuità alla guida della Nazione, riformare la legge elettorale. La legge fu largamente discussa alla Camera e fu approvata il 16 Luglio, con l’astensione del Partito Popolare; ottenne 235 voti favorevoli e 139 contrari. Fu chiamata legge liberticida e antidemocratica, ma non bisogna dimenticare, come ricorda il Tamaro, che:

“non c’erano più di 45 deputati fascisti (compresi gli ex nazionalisti) e che perciò il potere dittatoriale, insito nella riforma elettorale, fu messo nelle mani di Mussolini dagli altri partiti che posero il suggello a quella riforma”.

E’ anche vero, annota sempre lo storico, che

“se non gliel’avessero concessa, se la sarebbe presa comunque, o per paura o per altre ragioni, gliela presentarono in un piatto d’oro”.

Il Fascismo al Governo prefigura già, in quel periodo, quello che sarà il suo prossimo futuro. Descrive bene il problema, su “Critica Fascista” la rivista di Giuseppe Bottai, lo scrittore giornalista Roberto Forges Davanzati che, sul n.1 del 15 Giugno 1923, nell’articolo “Fascismo-Governo”, così si esprime:

“….Deve essere inteso che il fascismo non è al Governo come qualsiasi altro partito, più o meno numeroso e forte che sia giunto per rotazione, che vi rimanga per esperimento o per successive e varie combinazioni con liberali, popolari o socialdemocratici. Niente di tutto questo. Il Fascismo oggi è il Governo. In questo senso il Fascismo-Governo si contrappone al Governo dei Partiti e di gruppi al governo combinazione imperante fino a ieri, non come partito di Governo ma come qualcosa di più, come forza, autorità etica di governo, il quale ritrovi in questo risanamento essenziale le concezioni fino a ieri logorate e deformate, della funzione stessa del governare…omissis….Il Fascismo non deve essere un Governo ma il Governo per legge sua e per legge di restaurata costituzione. Il Fascismo deve ora farsi una coscienza salda e trovarsi un espressione sicura di questa coscienza, per difendere l’essenza del suo ruolo spirituale che deve rivoluzionare la funzione legale per eccellenza: quella di Governo. Perché il Fascismo deve essere, come ho detto, ancora più che un partito di governo, il Governo Nazionale, fondato per l’avvenire.”

Con questi presupposti, e con tali entusiastiche interpretazioni, da parte di tanti uomini della cultura italiana, che si cominciano a gettare le basi per il Partito unico.
Nel frattempo, sempre in quel primo anno di Era Fascista, mentre Mussolini andava raccogliendo sempre più il consenso delle masse popolari, il Governo, che opera con un ritmo febbrile, vara la: “Legge Gentile”, quella riforma della scuola, definita da Mussolini “squisitamente fascista”.
Punti salienti della riforma furono:
1) innalzamento dell'obbligo scolastico sino al quattordicesimo anno di età. Dopo i primi cinque anni di scuola elementare, uguali per tutti, l'alunno deve scegliere tra liceo scientifico, ginnasio e scuola complementare per l'avviamento al lavoro. Solo la scuola media consente l'accesso ai licei e a sua volta solo il liceo classico, permette l'iscrizione a tutte le facoltà universitarie;
2) disciplina dei vari tipi di istituzioni scolastiche, statali, private e parificate;
3) insegnamento obbligatorio della religione cattolica considerata "fondamento e coronamento" dell'istruzione primaria;
4) creazione dell'istituto magistrale per la formazione dei futuri insegnanti elementari;
5) istituzione di scuole speciali per gli alunni portatori di handicap;
6) graduale messa al bando dagli istituti scolastici di ogni ordine e grado delle lingue delle comunità nazionali appena annesse all'Italia (tedesco, sloveno e croato).
Il maggiore spazio dato nella scuola gentiliana alle materie umanistiche-filosofiche a scapito di quelle scientifiche, non fu tuttavia esente da critiche anche al tempo della sua approvazione, sia da parte di oppositori del regime, sia da parte di studiosi: contrari furono per esempio diversi membri dell'Accademia dei Lincei, che ritenevano un errore allontanare gli allievi, sopratutto i più giovani, dal rigore e dalla precisione insita nelle materie scientifice, per fargli seguire invece una visione più astratta e non ben definita legata alle varie correnti del pensiero filosofico.
L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra quattro opportunità:
il ginnasio, quinquennale, che dava l'accesso al liceo (quello che sarebbe stato in seguito denominato liceo classico), al liceo scientifico o al liceo femminile;
l'istituto tecnico, articolato in un corso inferiore, triennale, seguito da corso superiore, quadriennale; il corso inferiore dava accesso anche al liceo scientifico;
l'istituto magistrale, articolato in un corso inferiore, quadriennale, e in un corso superiore, triennale, destinato alla preparazione dei maestri di scuola elementare; il corso inferiore dava accesso anche al liceo femminile;
la scuola complementare di avviamento professionale, triennale, al termine della quale non era possibile iscriversi ad alcun'altra scuola.
Nonostante siano passati oltre sessanta anni dalla caduta del Fascismo, la scuola d’oggi non si è ancora completamente liberata dall’ombra, grande e indigesta, di quella riforma. Vilipesa ed osteggiata per tanti anni ancora dopo la fine della seconda guerra mondiale, e con tutte le modifiche che ha subito negli anni, dopo che è stata ricercata la distruzione dell’orma gentiliana nella scuola, quest’ultima, al contrario, si è vista demolire il senso e la struttura della stessa. Malgrado tutto, resta ancora un punto di riferimento non trascurabile e, al di là delle critiche, molto spesso, serie e fondate che si possono rivolgere alla riforma gentiliana, è opportuno costatare la sua ampiezza e la sua ricchezza. La riforma di Giovanni Gentile rimane, certamente, tra le pietre miliari della legislazione scolastica e dello Stato.
Alla fine di quel primo anno dell’Era Fascista, a Modena, l’8 Dicembre, è posta la prima pietra del Tempio Monumentale dei Caduti, voluto dall’Arcivescovo Monsignor Natale Bruni. La cerimonia si svolse, in quel freddo giorno dicembrino, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, e delle maggiori autorità della città di Modena e di una gran folla. Il monarca visitò anche la sede della Società di Ginnastica e Scherma del Panaro, in occasione del cinquantenario di fondazione. Il sovrano consegnò alla Società la nuova bandiera che la “Lega del Bene”, aveva voluto donare al Sodalizio che per molti anni aveva ospitato, nella sua sede, quella benefica Istituzione.
Il 9 Dicembre, dopo la Cerimonia per la posa della prima pietra del Tempio Monumentale ai Caduti, si riunisce l’assemblea del Fascio modenese che elesse il Federale, nella persona del Dott. Guido Corni, figlio del noto industriale Fermo Corni che fu il pioniere dell’industria modenese e fondatore dell’Istituto Tecnico industriale che porta il suo nome e che, ancor oggi rimane una delle migliori scuole italiane nella formazione di tecnici specializzati in vari settori dell’industria. Resse la Federazione fascista locale sino al 15 Giugno 1927, sostituito dal Dott. Temistocle Testa. Il Dott. Guido Corni, che aveva indubbie doti imprenditoriali e notevoli capacità organizzative, fu nominato, in seguito, Governatore della Somalia Italiana, carica che detenne dal Giugno 1928 al Luglio 1931.
Entrarono nella nuova direzione del Fascio Provinciale modenes: Salesio Schiavi, Fausto Bianchi, Antonio Rizzi, Gustavo Veronesi, Italo Puviani, Dante Fontanini, Enrico Mussini, Giorgio Lugli e Umberto Costanzini.
Nei Comuni di Finale Emilia e di Pavullo nel Frignano vi fu un avvicendamento dei Sindaci: a Finale fu nominato commissario prefettizio, il 22 Novembre, Poggi Guido che rimase in carica sino al 4 Settembre 1927, mentre a Pavullo, Ghibellini Vincenzo entrò il carica il 20 Settembre 1923 dove rimase, anche come Podestà, sino al 23 Maggio 1933.
1924
L’Anno 1924 iniziò con i migliori auspici per il Governo di Benito Mussolini; era trascorso poco più di un anno dalla sua presa di potere e il regime fascista aveva, certamente, operato al meglio per un profondo rinnovamento, sia della politica interna, sia di quell’internazionale.
In quei primi tempi si poteva costatare che il fascismo, al di là della volontà dei suoi capi, aveva portato un gran contributo al processo di unificazione nazionale.
Modena riprese la sua vita ordinata e laboriosa, si facevano sentire in quel periodo, le prime radio e si iniziavano a proiettare i primi film sonori. La sera del 29 Gennaio, al Tatro Storchi, durante la rappresentazione dell’operetta “Scugnizza”, vi fu un intervallo imprevisto, fu comunicata, al pubblico presente, che applaudì a lungo e calorosamente, la notizia dell’annessione di Fiume all’Italia. Questo fu uno dei successi in politica estera del fascismo che, con il Patto con la Jugoslavia, sanò certe vecchie ferite.
Intanto si andava preparando la campagna elettorale per le elezioni politiche, che si svolsero il 6 Aprile; ovviamente la Legge maggioritaria favorì il listone fascista, ma non è possibile sostenere che furono elezioni antidemocratiche, poiché si presentarono moltissimi partiti e furono eletti rappresentanti di tutte le formazioni politiche.

Partiti                 Candidati                       Eletti                         Voti
Fascista (Listone)             378                               374                      4.653.488
Fascista dissidente                8                                  1                          18.062
Socialista Unitario             113                                24                         422.957
Socialista Massimalista      129                                22                         360.694
Comunista                       157                                19                         268.191
Repubblicano                     82                                 7                         133.714
Popolare                          138                                39                         645.789
Liberale                             98                                15                         233.521
Opposizione costituz.          96                               14                          157.932
Democratico Sociale           54                               10                          111.035
Contadini                           37                                4                            73.569
Sardo                                  7                                2                            24.059
Slavi e Tedeschi                   9                                4                            62.491

Si presentarono 23 liste e il listone nazionale fascista, che comprendeva 378 nominativi, di cui 374 furono eletti, creò problemi e perplessità all’interno dello stesso partito e Mussolini, quando gli fu presentato l’elenco, ebbe una vera e propria ribellione, avendo costatato che, solamente 200 erano i fascisti, mentre gli altri aggregati erano, liberali, demosociali, popolari, democratici indipendenti di sinistra, sindacalisti e repubblicani. In quel modo, poiché la nuova camera avrebbe avuto 535 deputati, vi era il pericolo che i fascisti potessero entrare in minoranza, con un ulteriore pericolo poiché, i “fiancheggiatori” di Mussolini una volta eletti, avrebbero potuto, in seguito, abbandonarlo.
Certamente in quei giorni in Italia ci furono ancora violenze, ma esse avvennero da entrambe le parti, ed è stato ampiamente documentato: l’affluenza alle urne fu ugualmente molto elevata per quei tempi poiché votarono 7.614.451 cittadini, su 11.939.452 aventi diritto, perciò il 63,6%, cifra di dieci volte superiore alle elezioni del 1921.
Per quanto riguarda il clima pesante che si era verificato in quel periodo elettorale e in merito anche a tutte le accuse portate avanti dagli avversari è sufficiente segnalare quanto scrisse in proposito, Rocca in “Idee sul fascismo”:

“Supponiamo pure che tutte le accuse, tutti gli episodi fascisti di violenza riportati siano veri, e non siano avvenuti episodi antifascisti; ed ammettiamo ancora che siano stati e, secondo ritiene francamente il sottoscritto. E’ però difficile pensare ch’essi siano riusciti a spostare qualche centinaio di migliaia di voti. Il risultato generale quindi non cambia: chè se invece si affermasse che le violenze furono di tal misura e così sistematiche da cambiarlo allora riesce inesplicabile come mai due milioni e mezzo di elettori abbiano potuto votare contro il “terribile” Governo fascista. Insomma, quei due milioni e mezzo di voti oppositori sono troppi o troppo pochi: troppi per svalutare le elezioni, e troppo pochi per negare la realtà d’una maggioranza liberamente formatasi, malgrado le violenze fasciste, e non fasciste, attorno al Governo nazionale. La ragionevolezza di questa tesi è così ovvia che un giornale d’opposizione, sebbene d’opposizione meno preconcetta e più intelligente, nonché un giornale socialista – La Stampa di Torino e il “Lavoro” di Genova- hanno riconosciuto francamente la vittoria elettorale fascista: onde, in fondo alla pretesa di disconoscerla, non rimane che uno sforzo settario e antinazionale di diffamare il governo e il regime d’Italia, il qualunque governo e il qualunque regime vivente in Italia, di fronte allo straniero.”

A Modena, dove non vi furono particolari violenze, come invece accaddero in altre parti d’Italia, vi furono questi risultati, che mettiamo a confronto con i risultati dell’Emilia e dell’Italia, in percentuale:

Partiti                             Modena                       Emilia                        Italia

Fascisti                              63,0                           71,6                           67,9
Socialisti Unitari                 12,7                             6,8                             6,1
Popolari                            11,6                             8,1                             9,5
Comunisti                           5,5                             3,6                             3,8
Massimalisti                        5,3                             5,4                             5,3
Lista Orologio                     1,1                             0,9                               -
Repubblicani                       0,8                             3,6                               -
Altri                                     -                                -                               7,4
TOTALI VOTI VALIDI 75.668                      638.988                  6.853.672  

Al Parlamento entrarono 27 Deputati per il “Listone” della nostra regione tra i quali tre modenesi: Tommaso Benassi, Fausto Bianchi e Marco Arturo Vicini. Furono eletti anche altri due modenesi, per i Partito Socialista Unitario, Gregorio Agnini e per il Partito Comunista, Enrico Ferrari.
E’ interessante, anche alla luce della situazione attuale, vedere confrontate le percentuali dei voti ottenuti, nei vari Comuni del modenese, da fascisti e comunisti:

COMUNI              %Voti P.C.I      %Voti P.N.F      COMUNI   %Voti P.C.I   %Voti P.N.F
Lama Mocogno        27,5                       48,0            Fanano           3,8                 66,3
Marano                   17,2                        60,8            Sassuolo         3,4                 71,9
Spilamberto             13,5                        43,2            Zocca             3,4                 53,3
Cavezzo                  13,1                        55,4            Formigine       3,3                 46,8
San Prospero           12,7                        52,1            Maranello       3,2                 53,5
Soliera                    10,8                         72,8           Camposanto    3,0                 85,2
Guiglia                     9,5                         47,4           Concordia        2,7                 82,3
Pavullo                    9,0                         51,1            Fiumalbo        2,5                 61,7
Carpi                       8,3                         73,8            San Cesario    2,2                 73,2
Medolla                   8,0                          63,5           Montefiorino   1,8                 44,3
Savignano                6,4                         74,5            Monfestino (Serra) 1,7         68,9
Bastiglia                  6,3                          70,2           Montese          1,7                69,.4
Nonantola               5,9                          48,0           Prignano          1,7                52,4
Modena                  5,5                          46,9           Montecreto      1,6                50,1  
Novi                      5,2                           77,4           Pievepelago     1,6                55,6
Vignola                  5,1                           70,1           Polinago          1,5                28,9
Mirandola              5,1                           72,8           Riolunato         1,3                67,5
Bomporto              4,9                           73,9           Finale Emilia    1,3                85,1
Castelnuovo          4,6                            60,5           Frassinoro       0,6                63,2
Castelvetro           4,3                            53,6           San Felice        0,4                91,4
Fiorano                4,3                            53,7          San Possidonio  0,4               96,9
Ravarino             4,0                            66,6            Sestola             0,0               82,4
Campogalliano     4,0                            67,8

Alcuni giorni dopo la giornata elettorale, Mussolini, che ritornava a Roma da Milano, passò da Modena: la notizia si sparse in città in un baleno e migliaia di modenesi si riversarono in Largo Garibaldi per festeggiarlo. Arrivò a bordo di un Alfa Romeo che guidava personalmente e tenne, da bordo dell’auto, un brevissimo discorso che fu calorosamente salutato dai fascisti accorsi.
Il 24 Maggio, dopo il successo clamoroso, delle elezioni del 6 Aprile, alla Camera fu inaugurata la XXVII Legislatura. Con una maggioranza assicurata, Mussolini si propose di favorire la collaborazione di tute le forze politiche non pregiudizialmente ostili al Governo, inoltre in un suo discorso ai romani, dal balcone di Palazzo Chigi, ebbe a dire:

“Periscano tutte le fazioni, anche la nostra, ma sia grande la Patria Italiana”.

Si era anche avvicinato alle minoranze, ed auspicava una vera e propria distensione, malgrado la stampa avversaria soffiasse decisamente sul fuoco, parlando apertamente di “prossima guerra civile”. Mussolini così si rivolse agli avversari alla Camera in quei giorni:

“Non respingo nessuno, perché l’opera di ricostruzione della patria è ancora difficile, è ancora lunga, e tutte le competenze, tutti i valori tutte le buone volontà devono essere utilizzate. Abbiamo il diritto e il dovere di disperdere le ceneri dei nostri e anche dei vostri rancori.”

A Modena, il 25 Maggio, si svolsero di nuovo le elezioni per il direttivo del fascio sezionale cittadino che stava attraversando un periodo alquanto turbolento; a Segretario fu rinominato il rientrante Carlo Zanni e come componenti risultarono eletti, Carlo Vandelli, Ernesto Giordano, Guido Rossini, Luigi Luppi, Edgardo Rota e Roberto Miselli.
Nell’avvicendamento dei Sindaci, in Provincia di Modena, a Mirandola fu eletto, Trapletti Umberto, che rimase in quella carica, anche come Podestà, sino al 19 Settembre 1929.
Ugualmente vi fu, in quella seduta della Camera del 30 Maggio, la netta sensazione che la situazione parlamentare peggiorasse rapidamente. Vi furono tumulti e interruzioni continue, la minoranza chiedeva le dimissioni del Governo accusandolo di soprusi elettorali e di violenze. Mussolini, sentendo quel clima ostile, in una riunione della maggioranza del 27 Maggio, aveva dichiarato, senza mezzi termini:

“Questo è senza dubbio l’ultimo esperimento parlamentare che fa l’Italia. Se esso dovesse fallire, il parlamento dovrebbe essere chiuso e sostituito da altre istituzioni”.

La situazione era di conseguenza, molto tesa e dichiarazioni di fuoco uscivano dall’una e dall’altra parte.
Il 7 Giugno il Capo del Governo tenne un discorso alla Camera che disorientò un po’ tutti, poiché diede motivo di pensare se non sarebbe stato opportuno mutare sistema e trovare possibili punti d’incontro con gli avversari. Da mesi le opposizioni erano ferme nei loro soliti atteggiamenti d’accusa. In Europa si era verificato che, nelle elezioni degli ultimi tempi, la maggioranza dei paesi si era orientata a sinistra e solamente l’Italia si era spostata a destra. Il Deputato Labriola si domandò, perché quelli avrebbero dovuto aver ragione, e gli italiani, torto?:

“Questo è veramente un pessimo costume dell’Italia di credere che gli altri abbiano sempre ragione e noi torto. Che gli altri debbano sempre essere i rimorchiatori e noi i rimorchiati, che tutte le novità, tutta la luce, tutta la forza, tutta la vita debbano avere origine negli altri paesi, e non mai, per avventura, nel nostro.”

Le accuse reciproche avvelenarono gli animi e, molto probabilmente, certe forze che pescavano nel torbido si mossero per incattivire maggiormente la situazione. Arriviamo così al 10 Giugno quando, fu annunciata la scomparsa dell’on. Giacomo Matteotti.
Una squadra di fascisti, composta da, Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola e Amleto Poveruomo, con un’auto prestata loro dal direttore del “Corriere Italiano”, Filippo Filippelli e guidata da certo Augusto Malacria, rapì a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, il deputato socialista il quale, probabilmente avendo reagito energicamente al sequestro che stava subendo, rimase ucciso nella colluttazione. Il cadavere fu nascosto e l’annuncio della sua scomparsa creò profonda emozione in tutto il paese, e più gravi ancora furono le conseguenze politiche. I Deputati antifascisti, in seguito, disertarono la Camera e si ritirano in quello che fu chiamato: l’Aventino, cercando di far cadere il Governo. Il fatto ebbe conseguenze traumatiche nell’opinione pubblica, ma solamente nell’immediato, e disorientò anche molti fascisti alcuni dei quali restituirono la tessera del Partito. Era evidente che, il maggiormente danneggiato, dall’inconsulta iniziativa del gruppo che aveva catturato e ucciso il Matteotti, fosse Benito Mussolini, il quale reagì immediatamente, facendo arrestare i responsabili, oltre che a sostituire dai loro incarichi certi collaboratori implicati nel fatto; quell’azione si ripercosse sul Capo del Governo con un impatto “clamoroso”.
A Modena, quando arrivò la notizia della scomparsa del deputato Matteotti, vi fu qualche blanda manifestazione e in alcune fabbriche il lavoro fu sospeso per dieci minuti, ma non vi fu sciopero generale o manifestazioni più clamorose come ci si sarebbe potuto aspettare, le masse rimasero fondamentalmente ai loro posti. In zona Crocetta, alla periferia della città furono esplosi alcuni colpi di pistola, non si sa da chi, poi tutto tornò nella normalità. Le opposizioni, attraverso un loro comitato, si limitarono a votare un ordine del giorno di protesta per l’episodio, ma non vi furono altre manifestazioni, in realtà il fronte antifascista, già in quel periodo, era ben poca cosa.
E’ interessante rilevare, oggi, attraverso studi e ricerche più approfondite, come si sia arrivati ad un’interpretazione diversa, da quelle solitamente lette. Un saggio abbastanza recente dello storico Arrigo Petacco, rivela che Mussolini avrebbe avuto con sé, a Dongo, documenti che lo scagionavano dal delitto Matteotti, ma che sparirono in quella circostanza.. La pratica del delitto fu affidata a Nicola Bombacci, l’ex deputato comunista e coofondatore dello stesso PCI.
Nicola Bombacci era un romagnolo, come il suo amico Mussolini, maestro elementare pure lui, fece una brillantissima carriera nelle file socialiste, sino a diventare Deputato nel 1919. Questo personaggio aveva passato parecchi anni a Modena, durante la grande guerra, da dove ebbe un vero e proprio trampolino di lancio diventando, oltre che segretario della Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico, “Il Domani”, leader indiscusso delle nostre zone.
Il suo percorso politico fu quantomeno incredibile: dopo essere stato un capo indiscusso, prima socialista, poi comunista, ed aver avuto ruoli importantissimi anche a livello di rapporti con il Partito Comunista sovietico, al ritorno dai suoi viaggi in Russia, in particolare dopo aver partecipato ai funerali di Lenin, ed avendo visto i comportamenti della polizia russa e rendendosi sempre più conto che lo stalinismo stava avviandosi su binari molto pericolosi, cominciò a staccarsi gradualmente, tanto da essere estromesso dal partito comunista italiano e bollato come “supertraditore”.
Negli anni successivi venne a trovarsi in gravi difficoltà economiche, e lo stesso Mussolini, che gli era rimasto amico, così come alcuni gerarchi, quali Leandro Arpinati e Dino Grandi, lo aiutarono per le cure al figlio gravemente ammalato.
Dopo la caduta del Fascismo entrò in Repubblica Sociale, a fianco del suo vecchio amico, dove divenne una specie di consigliere. Gli si attribuisce anche il progetto della “socializzazione”, e nella stesura di questa, sembra si fosse ispirato alle teorie dell’anarchico russo Nestor Ivanovyc Machno. Rimase a fianco di Mussolini sino all’ultimo, fu fucilato dai partigiani rossi a Dongo assieme agli altri gerarchi fascisti, cadde gridando “Viva Mussolini, Viva il Socialismo”. Lo storico Petacco gli ha appunto dedicato il libro, edito da Mondadori: “Il comunista in camicia nera”.
A Modena, la vita cittadina continuava con il suo solito tran tran, il giorno 17 Giugno al rione San Faustino, alla presenza delle autorità, fu inaugurata una lapide commemorativa che ricordava il sacrificio dei cinquantasei caduti di quella contrada durante la grande guerra. Il ritmo di vita della nostra città si andava sempre più accelerando e le opere urbanistiche, attraverso l’operato incessante dell’assessore ai lavori pubblici, ing. Cesare Giorgi, contribuivano a dare un volto più moderno alla città della Ghirlandina. La Via Emilia fu pavimentata con lastroni di granito che furono poi tolti dall’amministrazione che domina, dal dopoguerra, per far posto alla pavimentazione che ci troviamo ancora oggi, in cubetti di porfido. Vi sono ancora modenesi che rimpiangono la Via Emilia di quei tempi, e per l’eleganza e per il funzionamento di quel tipo di pavimentazione.
Furono demoliti gli ultimi resti delle antiche mura, Porta Garibaldi, e la zona del Parco cittadino assunsero quella veste che ancor oggi ci ritroviamo, effettivamente la nostra città andava espandendosi a vista d’occhio.
Iniziavano contemporaneamente quelle conquiste sociali, a favore della popolazione, che tanto lustro diedero anche all’estero al fascismo; proprio in quel 1924, il 1° Agosto, venne inaugurata la colonia elioterapica fluviale a San Damaso dove, su di una vastissima spiaggia sul greto del fiume Panaro, quando ancora quelle acque erano limpidissime, venivano portati, dalla città, centinaia e centinaia di ragazzini modenesi che iniziarono cosi ad usufruire dei benefici del sole, dell’acqua e del sano esercizio fisico con l’ausilio di maestri ed istruttori che portarono con gran passione aiuto a quei giovani modenesi che, sino allora non erano mai stati presi in considerazione dalle autorità costituite ed erano veramente lasciati allo sbando. Alla luce dei nostri tempi sembrano cose incredibili, quando oggi, o in un modo o in un altro, la quasi totalità della popolazione giovanile ha la possibilità di andare o al mare o in montagna a passare le vacanze, allora era, veramente, un miraggio. Quello che fece il fascismo per la gioventù, è stata un’operazione di tale grandezza, che ci fu invidiata e copiata da tutti gli stati del mondo.
L’8 Settembre, nella sede di Palazzo Solmi, in Via Emilia , si svolse il quinto congresso della Federazione Provinciale modenese che vide rieletto Segretario Provinciale Guido Corni, mentre vi fu un certo avvicendamento tra i membri del Consiglio che venne così composto: Augusto Ascari, Lelio Burzacchini, Clodo Feltri, Umberto Costanzini, Dante Fontanini, Luigi Montagnani, Emilio Pucci e Carlo Randelli.
Il 12 Settembre 1924, a Roma, dopo il clima d’odio scatenato dall’uccisione del deputato Matteotti, avvenne un altro omicidio che, normalmente, nelle storie dell’antifascismo che ripercorrono quel periodo, non è mai citato. Non dimeno si trattava di un deputato come l’altro. Su di un tram, un sovversivo, che disse di aver voluto vendicare il deputato socialista, uccise a sangue freddo, il deputato fascista, Armando Casalini. L’omicidio produsse enorme impressione, anche perché il Casalini, uomo onestissimo, povero e quasi cieco, fu colpito vigliaccamente sul mezzo di trasporto pubblico, mentre era accompagnato dalla figlia. I fascisti furono particolarmente colpiti dalla ferocia di quel gesto e avrebbero voluto immediatamente la rappresaglia, ma Mussolini, attraverso le organizzazioni del Partito e Federzoni, attraverso i prefetti, riuscirono ad imporre la più “ferrea disciplina” affichè i fascisti, come si diceva allora, tenessero veramente le “mani in tasca.” Non vi furono, di conseguenza, altre vendette.
Il Gerarca fascista Farinacci, in un suo scritto, paragonando i due deputati uccisi, in uno sfogo sincero e amaro, ebbe a dire:

“La differenza è profonda, Casalini patriota fervente, Matteotti ispiratore d’odio e violenza tra le masse: Casalini morto nella più squallida miseria lasciando la moglie e cinque figli in tristissime condizioni, Matteotti morto milionario:”

Ai funerali di Casalini ci fu un tentativo, da parte dei fascisti più accesi, di violare l’ordine di stare tranquilli e gli stessi Mussolini e Federzoni, che partecipavano a quel triste evento, dovettero intervenire energicamente per far sì che non si provocassero reazioni inconsulte e pericolose. Nonostante questo, mentre la situazione diventava sempre più difficile, molti fascisti si ribellavano al Governo poiché dava l’impressione di non intervenire con sufficiente energia a fronte di fatti così clamorosi, anche perché, uomini come lo stesso Farinacci e Costanzo Ciano si scagliavano pesantentemente contro gli oppositori “Aventiniani” accusandoli della responsabilità del clima d’odio che si stava instaurando e di quell’omicidio.
Qualche incidente avvenne anche nella nostra città con qualche scontro con i “sovversivi”, mentre pochi giorni dopo vi fu un attentato ai danni del vicesegretario dei sindacati fascisti di Novi, Bruno Goldoni.
Il Paese, fondamentalmente, rimase calmo e si accorse che il Governo, in quella circostanza, forniva una prova di forza non indifferente e anche le classi popolari fasciste, che in modo diverso e più sanguigno, avrebbero voluto ricorrere ai metodi della ritorsione e dell’”occhio per occhio, dente per dente”, si resero conto che aumentando il disordine si sarebbe andati incontro ai presupposti di una guerra tra fratelli, in un momento in cui il fascismo cercava di superare tutti gli ostacoli per ridare al popolo italiano, fiducia e tranquillità nell’avvenire.
Resta il fatto che, nei decenni successivi, dei due episodi, se ne ricorda sempre uno soltanto, ovviamente quello che fa più comodo alla propaganda di sinistra.
Regnava ancora, alla fine dell’anno 1924, un certo malessere tra le fila fasciste, mentre l’“Aventino” stava mostrando la corda. La situazione era piuttosto pesante, in realtà, alla Camera, la maggioranza non poteva subire, ulteriormente, il ricatto della minoranza, postasi al di fuori di questa.
Mussolini si era posto, da molto tempo, il problema di come impostare la guida del potere in Italia; aveva ideato, lo espose in tante circostanze, di presiedere un Governo che rappresentasse la concordia nazionale ma, in quei frangenti, con la posizione intransigente degli avversari, si vide costretto a spingersi sempre più verso un'altra ambizione, quella di governare senza troppi ostacoli.
Gli “aventiniani”, chiusi nella loro inerzia, divisi da tante contrapposizioni scontate, tra le varie anime dei partiti incapaci all’azione, tra socialisti, comunisti, liberali e popolari che erano addirittura sconfessati dal Vaticano per la loro sterile e inefficace azione parlamentare, diedero la possibilità, a Mussolini, di passare al contrattacco. Già il 19 Dicembre, all’improvviso, presentò al Parlamento un progetto per la riforma della legge elettorale, quella legge Acerbo tanto criticata, ritornando quindi dal proporzionale, all’uninominale.
La “bomba elettorale” spiazzò un po’ tutti, anche gli stessi fascisti, ma certamente, fu un’abilissima manovra che tendeva a “disintegrare” la posizione degli avversari confinati sull’”aventino”.
Un'altra azione vittoriosa del governo di quei giorni e che portò acqua al mulino dello stesso, fu l’annuncio, dato dal Ministro delle Finanze, De Stefani, che il bilancio del 1924-25, si sarebbe chiuso in pareggio. Per quei tempi fu un successo clamoroso per l’economia italiana.
Intanto, intellettuali, uomini di scienza e di cultura si stavano avvicinando sempre più al fascismo, dando la possibilità a Mussolini di ricordare al Paese che il suo movimento non era soltanto azione, ma anche pensiero: aderivano man mano uomini del calibro di un Giovanni Gentile e di un Guglielmo Marconi, oltre a filosofi, scienziati, musicisti e tra i tanti possiamo citare: Pirandello, Panzini, Mortara, Ardengo Soffici, Gioacchino Volpe, Giacomo Puccini, Ma scagni, Severi, Scialoia, Ugo Spirito, Paribeni, Sironi, Ottone Rosai, Piacentini, Ponti, Carrà, Dazzi, Brasini, Muzio, Ungaretti, Ometti, Forzano, Bontempelli, Govoni, Barbini, Beltramelli, De Chirico, Maccari, Longanesi, Suckert (Curzio Malaparte) che allora erano solidali con il regime, anzi ne erano la sua avanguardia, e anche Gabrile D’Annunzio aveva espresso la sua solidarietà al fascismo.
Si andava così preparando quell’operazione che fece prendere a Mussolini una netta e drastica posizione alla Camera contro gli aventiniani, che accusò di sovversivismo e li sfidò ad accusarlo formalmente, prevedendo che la situazione di stallo nella quale si trovava il Paese, si sarebbe chiarita e che in realtà, come difatti accadde, quel momento segnò il passaggio, da una fase di Governo di transizione, alla seconda fase, che fu di regime totalitario.


 

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