Capitolo quarto 1925 1926

MODENESI IN CAMICIA NERA

Gli anni dal 1919 al 1943

home page

Capitolo quarto  1925 – 1926

1925 – Da Governo di transizione a Regime

Il 1925 vede l’inizio della trasformazione giuridica dello Stato. Continuva, intanto, la sfida dell’aventino e questa aveva sucitato le passioni rivoluzionarie dei socialisti e dei comunisti ma che quelle degli stessi fascisti. Il 3 Gennaio, Mussolini iniziò, dopo alcuni mesi d’incertezze, tentennamenti e attesismi, la sua controffensiva. Il discorso di quel giorno alla Camera assunse emblematicamente il momento della rottura con il recente passato e si può ben dire, che diede l’avvio alla dittatura fascista, venne poi, o incensato o diffamato.
A fronte di tutte le accuse che gli erano state rivolte, anche da parte di alcuni suoi sostenitori, con quel discorso che parve, rivoluzionario, in quanto si indicava un totale mutamento di rotta della politica sino a quel momento perseguita, Mussolini porta veramente un “affondo” ai suoi avversari. Prometteva si l’uso della forza verso di questi in quanto bisognava realmente risolvere una situazione rivoluzionaria, quella dei sovversivi che negli ultimi mesi, in tutta Italia avevano provocato innumerevoli incidenti, con scontri, incendi, devastazioni, agguati, pestaggi violentissimi che avevano portato a morte undici fascisti, e centinaia di feriti.
Scagliò accuse agli aventiniani, socialisti, liberali, comunisti, popolari per aver, attraverso la loro presa di posizione anticostituzionale e illegittima, provocato e istigato lo stato di cose. Si assunse anche tutte le responsabilità di ciò che era stato il fascismo sino a quel momento, ma nello stesso tempo affermò che era necessario riportare in Italia, un clima di serenità di tranquillità, di pace, di compostezza civile.
Modena si era già avviata sulla strada della completa fascistizzazione, si celebravano, come succede oggi e da oltre sessanta anni con le celebrazioni resistenziali, le feste che ricordavano le date cruciali del Fascismo, il 23 Marzo era quella che festeggiava la fondazione del Fascio di Combattimento nel 1919, il 21 Aprile, Natale di Roma era diventata la festa del lavoro in sostituzione del 1° Maggio, il 24 Maggio era la data che celebrava l’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale, il 28 Ottobre era la volta di celebrare la Marcia su Roma e il 4 Novembre la Festa della Vittoria, insomma tutte quelle celebrazioni classiche, ovviamente infarcite di retorica , come succede oggi, né più né meno, che ci troviamo le feste del 25 Aprile, del 1° Maggio o del 2 Giugno, Festa della Repubblica. D’altra parte i potenti devono pur dare al popolo, sotto qualsiasi bandiera, qualche motivo per interrompere, di tanto in tanto, la settimana lavorativa.
Il 12 Marzo, a Modena si svolse il Congresso Provinciale dopo che, ai primi di Gennaio si era svolto quello sezionale, nel quale il Segretario Carlo Zanni tenne la relazione e il componente Alberto Vellani chiese l’espulsione di coloro che erano iscritti alle “sette segrete”. Il Fascio modenese diede ampio appoggio alla posizione presa da Roberto Farinacci, anche dopo l’omicidio Canalini, dimostrando così la posizione del fascismo locale più intransigente, in quel particolare momento.
A Bologna, il 29 Marzo di quell’anno, si tenne il “Primo Convegno fascista di cultura”, con la presenza di molti personaggi di spicco della cultura italiana. Mussolini sentiva che era necessario dare al fascismo un’unità ideologica e una dottrina, anche per ribattere agli avversari che criticavano il suo movimento politico di esserne privo. Il fascismo era nato e cresciuto fondamentalmente come fede ed azione per rintuzzare le violenze degli avversari, ma in seguito vi aderirono la maggioranza degli intellettuali e degli uomini di scienza e di cultura. A Bologna fu stabilita la fondazione di un “Istituto Fascista di Cultura” e fu stilato un manifesto, diretto alle persone di cultura delle altre nazioni e dove erano esposte le ragioni storiche ed ideali del fascismo.
Si affermava che il fascismo:

“Alle sue origini movimento politico e morale, sentiva e propugnava la politica come palestra di abnegazione e di sacrificio dell’individuo ad un idea, in cui l’individuo potesse trovare le sue ragioni di vita, la sua libertà e ogni suo diritto: idea che era Patria, come ideale che si veniva realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione determinata e individuata di civiltà, ma tradizione che nella coscienza del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si faceva personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e missione”.

Moltissimi furono gli intellettuali che firmarono il manifesto del filosofo Giovanni Gentile, tra i quali citiamo: Balbino Giuliano, Pericle Ducati, Francesco Ercole, Nicola Pende, Alberto Asquini, Arrigo Solmi, Emilio Bodrero, Salvatore Riccobono, Camillo Pellizzi, Gioacchino Volpe, Gino Arias, Lionello Venturi, Ugo Spirito, Cesarini Sforza, Giorgio Del Vecchio, Ernesto Codignola, Antonio Beltramelli, Giuseppe Ungaretti, Guido da Verona, Bruno Barilli, Ardengo Soffici, Ugo Ojetti, Lorenzo Giusso, Ildebrando Pizzetti, Fausto Maria Martini, Alfredo Panzini, Margherita Sarfatti, Francesco Coppola, Curzio Suckert, Dario Niccodemi, Luigi Pirandello, Corrado Ricci, Guelfo Civinini, Salvatore di Giacomo, Luigi Barbini. Per i modenesi citiamo la presenza in questa lista, del finalese, Arrigo Solmi che fu anche, in seguito, Ministro della Pubblica Istruzione e di Grazia e Giustizia.
Al manifesto Gentile rispose, dopo qualche tempo, il suo acerrimo rivale, il filosofo, Benedetto Croce che, assieme ai suoi collaboratori non si sentivano di abbandonare la loro fede liberale, con un altro manifesto, ma la battaglia del Croce fu sterile e poco incisiva non riuscendo minimamente a scalfire l’operato mussoliniano. Molti furono gli uomini di pensiero che si schierarono con il gran pensatore firmando il suo manifesto. Bisogna però rilevare che, mentre il manifesto Gentile contiene, salvo rare eccezioni, nomi che rimasero sempre fedeli al Fascismo, la lista dei Crociani è piena di nomi di persone che, poco tempo dopo, abbandonarono l’antifascismo, si piegarono al regime voltando gabbana, ebbero cariche ed onori e si fecero anche propagandisti di questo. Elenchiamo alcuni tra i firmatari del manifesto Croce:
Giovanni Ansaldo, Giovanni Amendola, Sem Benelli, Guido De Ruggiero, Luigi Einaudi, Guglielmo Ferrero, Sibilla Aleramo, Santino Caramella, Luigi Salvatorelli, Tullio Rossi Doria, Matilde Serao, Gino Luzzati, Corrado Alvaro, Attilio Momigliano, Epicarpo Corbino, Panfilo Gentile, Eugenio Montale, Gaetano Salvemini, Adriano Tilgher, Mario Vinciguerra.
Al Congresso bolognese parteciparono parecchi intellettuali e docenti dell’ateneo modenese, tra i quali il rettore Pio Colombini e i docenti: Mario Donati, Arrigo Solmi, Arturo Dosaggio oltre ad altri due noti personaggi di origine modenese quali, Guido da Verona e Lionello Venturi che firmarono anche il manifesto Gentile.
A Modena non furono molti coloro che si opposero fermamente e coerentemente, con determinazione ed energia, ma bisogna riconoscere che questi pochi ebbero veramente il coraggio e la forza di ribellarsi e a loro bisogna portare rispetto. Alcuni di questi furono colpiti dal “Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato” seguitando a restare, socialisti, comunisti, repubblicani, anarchici, popolari; alcuni finirono nelle patrie galere, altri inviati al confino e pochi presero l’esilio volontario, tra questi citiamo due tra i più rappresentativi personaggi dell’antifascismo modenese: il popolare Luigi Francesco Ferrari e il socialista Pio Donati.
Dopo il discorso del 3 Gennaio, i vari, Giolitti, Orlando e Calandra, che avevano all’inizio appoggiato il Governo, passarono all’opposizione e vi fu anche l’uscita dallo stesso, dei Ministri liberali. Una parte della destra di allora abbandonò il fascismo, quella destra che riteneva, in fondo, che questo fosse una sua filiazione, per lo meno ideale e che tutelarlo non sarebbe stato male, pensavano che il fascismo fosse una destra ammodernata, più giovane e più agile ma presero lucciole per lanterne, poiché il fascismo che nasceva socialista e con presenze popolari e sindacali di tutto rispetto, era e sarebbe restato, semplicemente il fascismo.
Esistevano in realtà, a quel tempo, ma anche successivamente, varie tendenze all’interno del Partito di Mussolini, che furono enunciate come le cinque anime del fascismo su “Critica Fascista” del 15 Febbraio 1925, e cioè:
1) Estrema Sinistra: con Suckert e i repubblicani nazionali che esprimevano il sindacalismo integrale;
1) Centro-sinistra: con i vari Rossoni, Grandi, Panunzio, Olivetti ecc. e a quel tempo, in seno al fascismo, il gruppo più numeroso;
1) Estrema Destra: il gruppo de “L’impero”
1) Centro Destro: al quale appartengono gli ex nazionalisti e gli integralisti facenti capo a Bottai;
1) Revisionismo: dove si ritrova solamente il gruppo fiorentino di “Rivoluzione Fascista”, che ostentava una rigida intransigenza.
Mussolini, con il suo carisma e con la sua autorità, attraverso un’evoluzione programmata del suo pensiero, condusse le varie anime all’unità e seppe tener coeso il Partito Nazionale Fascista, in quei primi, difficoltosi, anni di Governo.
Il 22 Marzo 1925 a Modena, così come in tutta Italia si celebrò il sesto anniversario della fondazione dei fasci e Mussolini, da poco guarito da una malattia, un’ulcera gastroduodenale che lo tenne inoperoso per circa due mesi, si scatenò, in un discorso dal balcone di Palazzo Chigi a Roma, contro i suoi avversari che ancora, dall’aventino, gli sferravano aspri attacchi. Ebbe a dire:

“…Il contrasto storico è insanabile. La lotta deve essere condotta sistematicamente fino alla definitiva vittoria. Fascisti di tutta Italia! La celebrazione odierna non è dunque convenzionale e vana cerimonia, sebbene la rassegna di un esercito ansioso di nuove battaglie. Issate ai balconi dei vostri tremila municipi, alle sedi dei vostri novemila fasci, i gagliardetti e le fiamme del Littorio, chiamate a raccolta nelle piazze delle vostre città, tutto il popolo fascista…..omissis….. Voglio invece dirvi io, che siamo a primavera e ora viene il bello. Il bello per me e per voi è la ripresa totale, integrale dell’azione fascista, sempre e dovunque, contro chiunque.”

Difatti, nell’immediato, seguirono varie misure tendenti a disciplinare e normalizzare la società italiana. Furono chiamate leggi liberticide quelle tendenti a limitare, attraverso controlli, l’uso degli organi di stampa che avrebbero portato, in seguito, alla soppressione dei giornali d’opposizione e allla trasformazione della maggior parte di questi. La legge suscitò molte perplessità in tanti ambienti fascisti, ma fu approvata d’urgenza e poi rigidamente applicata. Altre misure prese furono: la chiusura di tutti i circoli e ritrovi sospetti dal punto di vista politico, lo scioglimento delle organizzazioni che, sotto vari pretesti, raccoglievano elementi turbolenti e sovversivi, fermare gli elementi sospetti, intensificare le perquisizioni per il rastrellamento di armi e la chiusura degli esercizi pubblici nei quali si riunivano elementi sovversivi. Norme di polizia dure, anzi durissime, ma che, com’ebbe a dire Mussolini, non intendevano violare nessuna legge, ma interpretare quelle esistenti per cercare di farle rendere al massimo. Fu presentato, sempre in quel periodo, un progetto di Legge contro le società segrete. Vi era, in quella normativa, la volontà di portare le formazioni associative, la massoneria ne era una delle maggiori, ad una partecipazione aperta e non segreta, della vita associativa che non si voleva perseguire tantomeno si volevano portare restrizioni al diritto di associazione, ma tutto si doveva svolgere alla luce del sole; era inammissibile che funzionari dello Stato partecipassero alle logge massoniche.
Al momento dello scioglimento della massoneria, il fascismo dichiarò la netta chiusura ad ogni forma di potere occulto, politico o finanziario oltre che a certi poteri forti, antinazionali e antistatali. Un avversario del valore di Antonio Gramsci, ebbe a dichiarare alla Camera, il 16 Maggio, che il disegno di legge contro la massoneria:

“E’ il primo atto reale del fascismo per affermare quella, che il Partito Fascista chiama la sua rivoluzione”.

Il Gramsci paventava però che quella fosse un’operazione che faceva il fascismo per cercare di assorbirla, poiché il deputato comunista, valutava la massoneria, come:

“L’unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo.”

Questo non avvenne e, per quanto la massoneria continuasse a strisciare in modo sotterraneo, non riuscì più a rialzare la testa, se non alla caduta del Fascismo.
A Modena intanto si andavano sempre più rafforzando le posizioni del PNF malgrado vi fossero ancora all’interno di questo, contrasti di una certa consistenza che portarono anche a scontri, come ad esempio successe a Mirandola dove, dopo ennesime liti e scontri anche violenti, furono espulsi dal partito nove fascisti intemperanti.
Gli iscritti, in quel periodo, erano a Modena oltre seimila e i sindacati fascisti organizzavano decine di migliaia di aderenti nei vari settori del mondo del lavoro. La stampa locale contribuiva, ovviamente, a sostenere le posizioni del partito. Allora vi era, nella nostra citta, la diffusione quotidiana di molti giornali, come possiamo vedere nelle tabelle allegate, erano oltre ventiseimila i quotidiani distribuiti ogni giorno. 17.000 le copie dei periodici distribuiti settimanalmente.

Quotidiani                   N. Copie                             Settimanali                   N. Copie

Corriere della Sera         8.050                                Becco Giallo                  4.000
Resto del Carlino           8.050                                Voce Popolare               1.300
Il Popolo d’Italia           1.550                                Il Serenissimo                 1.000
Avanti                          1.175                                Il 420                               450
Il Popolo                        800                                 Il Travaso                         300
La Giustizia                    450                                 Il Guerin Meschino            125
La Stampa                     200                                  L’Assalto                         100
Il Secolo                        200                                  Risorgimento                      75
Il Mondo                       115                                  A.B.C.                               70
L’Avvenire d’Italia         115                                  L’Asino                              50
Altri – 13                       518                                  Il Taglione                          50
 

TOTALE                   21.223                                 TOTALE                       7.720

Stampa locale

Gazzetta dell’Emilia quotidiano 6.300
Il Popolo (cattolico) Settimanale 2.450
Il Frignano (cattolico) Settimanale 2.050
Il Falco (fascista) Settimanale 1.800
L’operaio cattolico Settimanale 1.800
La Squilla (fascista) Settimanale 1.300

TOTALE 15.700

Il 31 Maggio di quell’anno vi furono le dimissioni della giunta Bianchi, dovuta a crisi amministrativa; fu sostituita da una giunta d’affari, con pro-Sindaco, Antonio Rizzi, che la resse sino al 12 Maggio 1926.
In questo periodo, nonostante la giunta delle opposizioni, a Roma, avesse dichiarato di continuare la resistenza ideale, le varie riunioni dei gruppi politici che la componevano, diedero la dimostrazione di quanto fossero divisi e, in realtà, incapaci d’ogni azione. Anche i rapporti con la Monarchia non erano dei migliori, malgrado fossero stati ricevuti dal Re i maggiori rappresentanti quali, Amendola, De Gasperi e Calabrò, non ebbero, i loro tentativi, particolare successo. Gli aventiniani stavano agonizzando e a breve termineranno la loro contradditoria battaglia contro il Governo Mussolini. I socialisti contribuirono a dividere le forze dell’aventino, vi fu una defezione dei massimalisti che, per restare vicini ai comunisti, dichiararono condizionata la loro secessione, mettendo delle riserve per il ritorno alla Camera nelle occasioni che a loro fossero tornate opportune. In questo modo il fronte delle opposizioni, si spezzò
Con la costituzione, il 1° Maggio 1925, dell’Opera Nazionale Dopolavoro (O.N.D.), il governo diede l’avvio ad una delle grandi istituzioni del Fascismo poiché si attribuì allo Stato la soluzione dei problemi riguardanti, l’istruzione, l’attività fisica e l’assistenza sociale dei lavoratori. Quest’operazione ebbe grandissima importanza in tutto il ventennio fascista e continuò a svolgere attività, nel tempo, ovviamente con sigle diverse, anche ben dopo la caduta del regime.
Fu dato, in quei primi tempi di Governo fascista, notevole impulso alla ricostruzione e all’ammordenamento dell’Aereonautica Italiana, alla quale Mussolini teneva particolarmente, e che, negli anni a seguire, contribuì a portare tanti successi alla nostra nazione in campo internazionale. Il 21 Aprile, l’idrovolante “Gennariello”, partì da Roma, al comando di De Pinedo per compiere una delle prime crociere e volare sino in Australia e Giappone, con ritorno a Roma.
Gli ultimi sussulti della violenza che aveva lacerato l’Italia negli ultimi anni, avvennero in Calabria a San Giovanni in Fiore (Cosenza) dove vi fu uno scontro di contadini con la forza pubblica, a Bologna dove i fascisti, in risposta a misure prese dal Prefetto, lo volevano cacciare, vi furono violenti tafferugli in città che furono sedati dopo che venne inviato nella città felsinea il vicesegretario del Partito Augusto Turati, mentre più gravi furono gli sconri in Toscana dove, dopo l’uccisione di un esponente fascista vi furono ritorsioni che portarono all’uccisione di due noti antifascisti fiorentini. In un primo tempo fu inviato, in quelle zone, Italo Balbo per un’inchiesta, mentre lo scrittore toscano Curzio Suckert Malaparte, scrisse:

”E’ questo il momento di dimostrare che la direzione del partito non è una dipendenza del Viminale, ma un vero e proprio comitato rivoluzionario, che vuol finalmente realizzare contro chiunque, la volontà del fascismo”.

Considerato che l’operato di Italo Balbo non portava a risultati, Mussolini minacciò di inviare una Divisione dell’esercito. Fece dimettere il Prefetto e il Questore, e fece riempire le carceri fiorentine di squadristi “veri o falsi”; inoltre, fece votare dal Gan Consiglio un ordine del giorno che prescriveva, immediatamente, lo scioglimento delle squadre pena l’espulsione dal Partito per chi le volesse riorganizzare. Ribadì inoltre, fortemente, questi concetti durante una visita in Piemonte, a fine Settembre, dichiarando, tra l’altro, ad Ivrea:

“Vi sono ancora focolai di infezione, che potrebbero avvelenare la vita del nostro Paese, focolai massonici, plutocratici, comunisti, massimalisti, democratici, giornalistici. Il Governo li conosce: li ha individuati e potrebbe darsi che senta il bisogno di procedere all’amputazione. Certamente, il Governo sta all’avanguardia e, se è possibile dirlo, avanti al carro. Si serve dell’opera procedurale dei Soloni, ma è già innanzi. Noi andiamo verso un periodo autunnale molto interessante.”

Il 4 Novembre 1925, si verifica il primo tentativo, di una lunga serie, avvenuti nell’anno successivo, di asssassinare Benito Mussolini; questo fu ordito dall’ex deputato socialista Tito Zaniboni. A Roma, da un balcone dell’Albergo Dragoni, si sarebbe dovuto sparare sul Capo del Governo mentre questi, dal prospiciente Palazzo Chigi, si sarebbe affacciato per salutare la folla ivi riunita in occasione della celebrazione della Vittoria. La polizia, informata, anche per una questione di donne, avendo lo Zaniboni come amante un’attricetta che era amica di un informatore della stessa, scoprì in tempo la trama dell’attentato. Fu accertato, anche per confessione dello stesso Zaniboni, che egli aveva avuto aiuti dalla Francia e dalla Massoneria, oltre che ad aver ricevuto denaro dalla Cecoslovacchia, dai socialisti di quel Paese. Mussolini stesso, diede ordini severissimi, affinché non accadessero rappresaglie. Quell’azione, che se fosse stata portata a compimento, avrebbe gettato l’Italia nel caos, ebbe un effetto pesantissimo sull’antifascismo. Il clima in italia, in quel periodo contario a certe libertà, si fece più pesante. Furono sospese le pubblicazioni di giornali come l’”Avanti”, l’”Unità, la “Voce Repubblicana” e furono chiuse le logge massoniche, oltre a molte Camere del Lavoro.
A Modena, la notizia arrivò il giorno dopo, e i giornali diedero ampio risalto all’avvenimento, la “Gazzetta di Modena” uscì con questo titolo:

“La scoperta di un complotto contro la persona dell’on. Mussolini. Si sarebbe dovuto effettuare durante una delle cerimonie del 4 Novembre. Arrestato l’on.Zaniboni ex deputato socialista.”

Vi fu una grossa manifestazione di protesta e, migliaia di fascisti modenesi si riunirono in Largo Garibaldi per portare la loro solidarietà al Capo del Governo. Manifesti tappezzarono i muri della città mentre le strade furono imbandierate per manifestare lo scampato pericolo del Capo del Fascismo.
Il 22 Novembre 1925, a conclusione del settimo Congresso Provinciale del Partito, fu rieletto, all’unanimità, Guido Corni che si circondò di validi collaboratori così distribuiti su tutto il territorio della Provincia di Modena: Cavezzo (Augusto Ascari), Concordia (Lelio Burzacchini), Mirandola (Azeglio Bulgarelli) Sassuolo, (Adelmo Cervi) Serramazzoni (Onorio Castelli), Carpi ( Emilio Pucci e Clodo Feltri), Frassinoro (Dante Fontanini), Pavullo (Vincenzo Ghibellini), Vignola ( Bruno Minguzzi), Varana ( Luigi Franchini), Frignano (Luigi Pivetti), Zocca (Arnaldo Serra), San Felice sul Panaro (Ignazio Setti), Medolla (Anselmo Tosatti), Sestola (Fernando Zona) mentre a Modena collaboravano con il Federale: Carlo Alberto Perroux, Luigi Cottafavi, Cesare Manicardi, Antonio Rizzi e Erio Tannini.
Il 1° Dicembre 1925, con legge dello Stato, fu costituita “L’Opera per la protezione e l’assistenza della maternità ed infanzia” (O.N.M.I.). Fu questa un’operazione che, essendo andata veramente incontro al popolo, servì assieme alle altre, a legare sempre più le masse al regime fascista. A Modena la sede principale dell’OMNI, si trovava sull’attuale Viale Iacopo Barozzi, prima dell’immissione su Via Giardini, si trattava di un classico edificio dello stile razionalista del ventennio, ancor oggi esistente.


ANNO 1926

Fu chiamato l’anno degli attentati a Mussolini in quanto, dopo quello fallito, dello Zaniboni, ebbe a subirne altri tre, ma fondamentalmente fu l’anno della trasformazione dello Stato Italiano e ci si avviò rapidamente alla dittatura del fascismo.
Mussolini era riuscito a superare la fase di disordine e, purtroppo, di decadenza dello Stato, aveva creato in pochi mesi di permanenza al Governo, leggi apprezzate dal popolo che furono tenute in gran considerazione anche all’estero, aveva risolto incredibili crisi politiche e posto le premesse per uno svolgimento pragmatico di quella che per lui era una vera rivoluzione. Chiedeva sì, ma in realtà gli è stata data, fede assoluta e particolare fedeltà, era intransigente, sia con gli avversari sia con gli stessi fascisti.
Non volle allora la dittatura per la dittatura e ancora i suoi comportamenti non erano quelli che gradualmente lo trasformarono nel Duce del Fascismo, in effetti, fu costretto dagli eventi a portarsi su quella strada.
Va, inoltre, rilevato che, sia in questo periodo sia in quello successivo, ogni suprema direttiva e qualunque riforma messe in atto dal fascismo, derivarono sempre dal Gran Consiglio, dal Governo e dal Parlamento, e non dal PNF, anche se, in realtà, erano sempre uomini fascisti che componevano quegli organi nazionali.
Vi erano, pur sempre, diverbi anche al massimo vertice: Farinacci contro Federzoni, tanto per fare un esempio, e altre beghe, fecero sì che a Marzo di quell’anno venne destituito dalla carica di Segretario del Partito l’irrequito ras di Cremona, Roberto Farinacci per dar posto al bresciano Augusto Turati che aveva dimostrato una grande sensibilità politica, specialmente in campo sociale. In quell’Assemblea del Gran Consiglio, Mussolini defini il PNF, come

“Un aristocrazia discriminata di volontari pronti a confessare la loro fede anche con il sacrificio”.

Nella nostra città i seguaci di Farinacci, decisamente radicali nel sostenere la visione di un fascismo intransigente, dovettero segnare il passo anche quando, durante le celebrazioni del quarto anniversario dell’uccisione di Mario Ruini, il 21 Gennaio 1926 presso la Sala di San Vicenzo in Corso Canalgrande, il Segretario politico Antonio Rizzi, che era in quel momento, anche Pro Sindaco della città, dichiarò che oltre ad essere fieri oppositori degli “aventiniani” e degli antifascisti in genere, bisognava esserlo anche con i “cattivi fascisti”. Malgrado i contrasti ancora presenti nel Fascio locale, si diede avvio alla costituzione di una Società cooperativa, denominata, “Casa del Fascio Mario Ruini” onde dare una giusta collocazione ai vari organismi del Fascio cittadino e che venne trovata nell’ex mulino San Pietro, di proprietà comunale, tra Via Saragozza e il Parco delle Rimembranze. Fu indetta anche una sottoscrizione, attraverso l’emissione di azioni, tra i modenesi e la casa fu inaugurata dal Segretario Nazionale del Partito, Augusto Turati il 6 Febbraio 1927, praticamente dopo nemmeno un anno dalla sua programmazione e rimanendo sede del Fascio Provincialesino all’inizio del 1930, quando la sede si trasferì in Corso Vittorio Emanuele II°, nel Palazzo Coccapani-D’Aragona, da allora sempre chiamato: “Palazzo Littorio”.
A Modena si stava lavorando alacremente per mettere in atto le nuove strutture create dal Governo Fascista quali, ad esempio, l’Opera Nazionale Dopolavoro, che era presieduta a livello nazionale dal Duca d’Aosta; nella nostra città tra le prime iniziative intraprese da quest’ente vi fu quella della trasformazione della “Società di Ginnastica e Scherma del Panaro”. Presidente era l’ing. Antonio Rizzi che in quel periodo aveva anche la carica di pro-sindaco; in verità poi l’operazione fallì, in parte, poiché, dopo poco più di un anno, la Società Panaro ritornò a prendere la sua vecchia denominazione e non quella di “Dopolavoro Panaro”, come invece fu chiamata, per quel periodo, ma rimase, pur sempre affiliata all’OND.
Il giorno 7 Marzo, a sanzionare quella prima fusione, arrivò in città il Ministro degli Interni Federzoni; presenziò, nella sede della Società Panaro, in Via Fonteraso, all’inaugurazione del “Dopolavoro Panaro”, con la presenza delle maggiori autorità cittadine, fu scoperto anche un monumento in bronzo, a ricordo dei soci della società caduti in guerra, opera del Prof. Roncaglia e dono del dott. Guido Corni.
L’Opera Nazionale Balilla (ONB), è stata un'altra delle grandi realizzazioni del regime fascista a favore della gioventù: organizzazione che venne presa in gran considerazione e copiata in molti stati in tutto il mondo.
Fu creata con legge del 3 Aprile 1926 e per undici anni, sino alla sostituzione con la Gioventù Italiana del Littorio (GIL), con un altra legge dell’Ottobre 1937, operò in favore delle nuove generazioni; ebbe come suo fondatore, organizzatore, animatore e Presidente l’on. Renato Ricci, raccolse nelle sue strutture, tutta la gioventù italiana che finalmente aveva il modo di riscattarsi da quell’analfabetismo del corpo, non meno deleterio di quello intellettuale, nel quale era stata tenuta, da sempre.
In breve tempo assorbì anche l’Ente Nazionale per l’Educazione Fisica, assumendosi così anche l’onere dell’insegnamento dell’attività motoria scolastica e, contemporaneamente, fu dato il via alle Accademie di Educazione Fisica della Farnesina a Roma, per i maschi e a Orvieto per le femmine oltre che alla costruzione dello splendido Foro Mussolini, ora chiamato Foro Italico, impianti e edifici da sempre invidiatici da tutto il mondo per la loro eleganza e funzionalità
A Modena come nel resto d’Italia, i giovani e i giovanissimi erano inquadrati nelle varie categorie e cioe i “Figli della Lupa” i bimbi delle prime classi della scuola elementare, i “Balilla” dai nove ai tredici anni, i bambini delle ultime classi elementari e delle medie, poi il grado di “Balilla Moschettiere” per i più grandicelli e infine gli “Avanguardisti” per i ragazzi delle ultime classi delle scuole superiori. Ovviamente, in tutte le manifestazioni ufficiali e non, erano sempre presenti le rappresentanze di queste organizzazioni e i non più giovani si ricorderanno, chi con piacere, chi con disapprovazione, delle esercitazioni e delle attività che, “volenti o nolenti” i giovani andavano a svolgere nelle palestre o nei campi sportivi durante i pomeriggi del cosiddetto, “Sabato Fascista”.
Erano si coercitive, ma in modo molto blando, inoltre non si possono demonizzare alla luce dei giorni nostri, poiché la società di allora non è, nemmeno lontanamente, paragonabile a quella di oggi, dove regna l’individualismo, l’arrivismo sfrenato, la visione esclusiva del danaro e delle manovre per accappararselo; allora i giovani ricevevano un’educazione ed una visione del mondo completamente diversa, erano entusiasti e vincenti, guardavano al domani, al domani prossimo che avrebbe dovuto veder risorgere la Patria, abbattere le barriere sociali e, come traguardo, un programma sociale e morale, nel nome della dignità e della giustizia, in poche parole, onestà, educazione, rispetto dei valori naturali, tutti valori che oggi è molto difficile trovare.
In fondo, tutto l’operato del Fascismo fu rivolto alla ricerca della giustizia sociale e sicuramente possiamo dire, che l’unico periodo di concreto socialismo in Italia è stato offerto da quel regime, è stato l’unico momento storico in cui potevi girare per il mondo a testa alta e orgogliosi d’essere italiani.
Vi è stato un netto distacco, in realtà, nella sua permanenza al potere, tra la generazione che aveva creato alla rivoluzione fascista e quella che avrebbe poi combattuto per l’onore al Nord e sulla linea gotica alla fine della seconda guerra mondiale. Indubbiamente, in quel frattempo, e per gli anni che andiamo prendendo in considerazione, si sono trovate, in seno al fascismo, anche le mele marce, i gerarchi arrivisti, gli adulatori d’accatto, gli uomini che si definivano e si atteggiavano a guerrieri per il solo spirito di retorica, tutta gente che al momento di affrontare dignitosamente la dura realtà dei fatti, si sbriciolò, dando un pessimo esempio, degno di quello che ha realizzato Casa Savoia. Di certo non possiamo disprezzare il “Ventennio” e il fascismo “Regime” in modo semplicistico poiché, come andiamo via via analizzando, quegli anni portarono un grosso contributo al progresso dell’Italia attraverso tante conquiste e tanti valori.
Il 7 Aprile 1926, l’anno degli attentati, a Roma mentre Mussolini stava uscendo dal Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di medici, fu avvicianato da una vecchia irlandese, tale Violet Gibson, che gli sparò una rivoltellata: miracolosamente il colpo lo ferì leggermente al naso, era diretto alla tempia, in quanto, in quel preciso istante girò il capo di scatto per salutare un gruppo di amici, evitando così un colpo che poteva esser mortale. La Gibson, dopo essere stata arrestata, si rivelò, si disse, una semidemente e, dopo aver scontato una breve pena, fu mandata a casa sua.
A Modena, venuti a conoscenza dell’episodio, i fascisti si radunarono in Largo Garibaldi per sfilare sino al Teatro Comunale dove il Senatore Marco Arturo Vicini, tenne un discorso di solidarietà al Capo del Governo dicendo, tra l’altro:

” Rinnoviamo il giuramento di fedeltà, l’invito alla disciplina, al sacrificio per la vita e per la morte, sempre per Benito Mussolini, sempre per l’Italia”.

Intanto a Roma, Mussolini che era rimasto calmissimo, coprì con un cerotto la ferita e non interruppe il suo lavoro, dopo aver impedito il linciaggio della donna, recandosi a palazzo Vidoni per la riunione del direttorio del partito, il quale prendeva una nuova composizione: alla guida di Augusto Turati come Segretario Generale e di: Leandro Arpinati, Alessandro Melchiorri, Renato Ricci, Achille Starace in qualità di vice-segretari: componevano inoltre il Direttorio, Gerardo Borelli, Lare Marghinotti, Alberto Blanc e Giovanni Marinelli, quest’ultimo inviso a Turati che lo considerava un personaggio, quantomeno, “discutibile”.
Il giorno seguente l’attentato, il Capo del Governo s’imbarcò sulla nave “Cavour” per recarsi in Libia dove, a Tripoli, dopo aver incontrato i maggiorenti della Tripolitania, tenne un discorso parlando in sella ad un cavallo, alla popolazione di quella città.
Si andavano maturando, nel frattempo, le varie leggi preparate nel 1925, come la legge sui prefetti che aumentava di molto le loro competenze, la legge sulla pubblica sicurezza, il regolamento della legge sulla stampa e, dopo lungo iter, tra Camera e Senato, fu pubblicata la legge sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, chiamata legge del 3 Aprile 1926. Questa riforma mise fine al lungo disinteresse dello Stato in materia di conflitti tra le classi e le categorie, dovendosi considerare l’attuazione della giustizia sociale come un problema che si doveva risolvere nel suo ambito. Questa legge contribuì, indubbiamente, a dare allo Stato fascista e all’azione che andava intraprendendo, un concreto contributo sociale.
Il 12 Maggio, in consiglio comunale a Modena, la giunta guidata da Antonio Rizzi lasciava la guida della città per dare spazio alla nuova figura del Podestà, istituzione dotata di maggiori poteri, al posto della figura del Sindaco, ruolo che fu occupato poi dall’avv. Guido Sandonnino.
Proseguivano alacremente, sia in città sia in Provincia, le nuove opere del regime attraverso la costruzione e la costituzione dei vari gruppi rionali con le relative “Case del Fascio”. Queste strutture furono dedicate ai “Martiri Fascisti” come il gruppo rionale “Mario Ruini”, il gruppo rionale “26 Settembre 1921” che ultimamente, dopo essere stato nel dopoguerra, per tanto tempo sede staccata dell’Istituto Industriale “F. Corni”, trovandosi direttamente di fronte alla sede centrale, è stato trasformato in un moderno auditorium dedicato a Marco Biagi (il giuslavorista che insegnava all’università modenese e che fu ucciso dalle Brigate Rosse a Bologna), il gruppo rionale dedicato a “Duilio Sinigaglia” in 24 Marzo 1927 in Via Emilia Est, attualmente sede della Guardia di Finanza, quello titolato a “Gioacchino Gallini” in Via Piave, attualmente sede del circolo “Sirenella”, oltre a quello dedicato a “Gino Tabaroni” in via Giardini, attualmente sede della Polizia Stradale.
In provincia era inaugurato il Rifugio “Duca degli Abruzzi” al lago Scaffaiolo.
Il 18 Luglio, nella sala consiliare del Municipio, si tenne l’ottavo e ultimo Congresso del Fascio modenese poiché, dall’autunno di quell’anno i Segretari delle Federazioni Provinciali erano nominati dal Segretario Nazionale, a norma del nuovo Statuto del PNF e i Segretari così nominati dovevano poi convocare annualmente le Assemblee per trovare i loro collaboratori, dopo aver esposto il programma che intendevano svolgere. Fu riconfermato Segretario Provinciale Guido Corni durante l’Assemblea presieduta da Salesio Schiavi e, membri del Direttorio furono riconfermati: Lelio Burzacchini, Azeglio Bulgarelli, Luigi Cottafavi, Clodo Feltri, Vincenzo Ghibellini, Carlo Alberto Perroux, Luigi Pivetti e Ignazio Setti, rientrarono anche Carlo Ascari e Carlo Zanni.
Il secondo attentato del 1926 a Benito Mussolini avviene l’11 Settembre a Roma per mano dell’anarchico di Massa Carrara, Gino Lucetti. L’attentatore lanciò una bomba contro l’auto di Mussolini mentre transitava in piazzale Porta Pia, ma l’ordigno colpì il vetro della portiera e non lo perforò, cadde a terra dove lì esplose, mentre l’auto proseguiva la sua corsa uscendo dal raggio d’azione dell’esplosione che invece ferì seriamente otto cittadini che si trovavano di passaggio. L’attentatore proveniva dalla Francia, dove era rifugiato e pare vi fossero parecchie collusioni tra il fuoriuscitismo italiano, del cui gruppo faceva parte, con autorità di quel paese, tantoche, anche in seguito a violente dimostrazioni antifrancesi, in molte città italiane e in particolare a Livorno e Venezia, dove vi furono assalti ai consolati, si crearono tensioni e incidenti tra le diplomazie dei due paesi cugini.
Mussolini si presentò, poco dopo l’attentato, al solito balcone romano di Palazzo Chigi, per tenere un discorso alla folla che, radunatasi nella piazza appena saputo del tentativo di uccidere il Capo del Governo, accorsa precipitosamente da tutti quartieri della Capitale, fu invitata a tenere la massima disciplina, inoltre disse:

“Bisogna finirla con certe tolleranze colpevoli e inaudite di oltre frontiera se veramente si tiene all’amicizia del popolo italiano, amicizia che episodi di questo genere potrebbero fatalmente compromettere.”

La folla modenese si radunò, come al solito, nel piazzale ormai deputato alle manifestazioni di massa del fascismo locale, quel Largo Garibaldi che aveva già vissuto momenti similari, per protestare contro coloro che proteggevano, anche all’estero, personaggi come l’anarchico, che cercavano solamente di sconvolgere la vita del nostro paese, il quale, dopo anni di violenze stava ritrovando la pace, la tranquillità e una vita laboriosa.
Qualche incidente si verificò dopo la manifestazione con l’invasione da parte dei fascisti più intransigenti e facinorosi, di alcuni studi legali dai quali gettarono in strada, mobili, documenti e suppelletili varie. Dovettero intervenire, per far cessare gli eccessi commessi i personaggi più influenti, dal Federale Guido Corni oltre all’Onorevole Fausto Bianchi, Carlo Alberto Perrouxe il Segretario del Fascio cittadino, Carlo Zanni.
Il 29 Settembre, una delegazione di fascisti modenesi, guidati dal Federale Guido Corni, è ricevuta da Mussolini a Roma. Presentarono al Capo dello Stato un campione del petrolio estratto a Casalpennato in Comune di Prignano e gli parlarono delle ricerche di rame che si stavano facendo sull’appennino modenese, in particolare a Frassinoro; Mussolini si dimostrò molto interessato e li invitò a proseguire nelle ricerche. Fu presentato anche un prospetto riassuntivo della situazione del PNF nel modenese; sessantotto sezioni di Partito, 7.230 iscritti, tremilaseicento camicie nere iscritte alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, tremila avanguardisti, quattromila i balilla, trecento gli studenti universitari fascisti, trecento le giovani italiane, quattrocento le piccole italiane: inoltre, quarantamila erano gli iscritti ai sindacati dei lavoratori, seicento ai sindacati degli industriali, quattromila ai sindacati degli agricoltori, quattromila ai sindacati dei commercianti per un totale di 67.430 iscritti in Provincia di Modena. Mussolini apprezzò l’operato dei dirigenti e dei rappresentanti delle organizzazioni fasciste sul nostro territorio ed ebbe per loro, parole di grandissimo elogio.
Tra tutti questi dirigenti, che tanto hanno contribuito alla perfetta fascistizzazione della Provincia di Modena in quegli anni, ne vogliamo ricordare alcuni: Carlo Zuccoli, Antonio Rebucci, Federico Rebecchi, l’ing. Ferruccio Magiera, il conte Paolo Pignatti Morano, Guido Bianchi, Roberto Miselli, l’avv. Giuseppe Dalla Fontana, Gustavo Veronesi, Umberto Costanzini, Italo Maffei, l’avv. Leonida Miani, Luigi Montagnani, Gian Paolo Solmi, Franco Allegretti, Wainer Bonomi, Gino Silingardi, il dott. Mirko Manzotti, Luigi Rio, l’avv. Carlo Alberto Perroux, Claudio Casati, Otello Vezzani, Vasco Jann, Nino Nava, Emilio Pucci, Luigi Cottafavi, Ignazio Setti, Vincenzo Ghibellini, Augusto Ascari, Adelmo Cervi, Italo Puviani, Alfonso Vignocchi, Fausto Bianchi, Carlo Benassati, tutti personaggi che ricoprirono importanti cariche nelle giunte comunali, nei direttori della Federazione Fascista, nell’Opera Nazionale Balilla e nei GUF della nostra Provincia.
Alla fine del mese d’Ottobre del 1926, Mussolini viene in visita in Emilia, in particolare per visitare le grandi opere di bonifica che si stavano effettuando, quali: la bonifica di Bentivoglio e quella della Parmigiana-Moglia, per presenziare poi all’inaugurazione, a Bologna, il 31 Ottobre alla presenza di una folla strabocchevole, dello Stadio del Littorio, costruito su iniziativa dei fascisti bolognesi.
Al Littoriale, così sarà chiamato l’impianto bolognese, si presenta in sella ad un cavallo, per parlare alle oltre 50.00 camicie nere, presenti. Quell’immagine equestre sarà poi plasmata in una scultura che resterà all’interno dello stadio per tutto il periodo del regime fascista. Ormai Mussolini è “Il Duce”.
Al pomeriggio di quella giornata, dopo aver visitato la nuova casa del fascio bolognese e dopo aver inaugurato all’Archiginnasio il XV° Congresso delle Scienze, si avvia, sull’auto scoperta, verso la stazione, per far ritorno a Roma. Subito dopo che ebbe svoltato per Via Rizzoli, gli fu sparato un colpo di pistola, la pallottola gli sfiorò il petto e ruppe il “cordone di S. Maurizio e Lazzaro” che portava a tracolla e che finì sulla tuba del Sindaco di Bologna, che gli stava accanto.
Vi fu un’immediata reazione da parte della folla, anche se le origini e i retroscena del gesto rimasero sempre misteriosi, fu immediatamente pugnalato e linciato un giovane, Anteo Zamboni, ritenuto da alcuni storici, un fascista, che in seguito ad una serie di indagini fu giudicato innocente. Sembra che il colpo di pistola sia stato sparato da un uomo che indossava un impermeabile, mentre, nello stesso tempo, un suo compare pugnalava il giovane Zamboni, creando lo scompiglio generale. Furono viste, inoltre, scappare anche due squadre, si disse una veneta e una milanese o cremonese. Insomma un vero e proprio complotto molto ben organizzato, si disse, dagli stessi fascisti in dissenso con Mussolini; si fecero anche i nomi di noti personaggi, quali Leandro Arpinati e Roberto Farinacci. Il fratello di Mussolini, Arnaldo, dichiarò che gli autori dell’attentato fossero da ricercare tra alcuni amici seguaci di Farinacci, in Provincia di Bologna, i quali frequentavano ambienti anarchici e antifascisti.
Fatto è che Mussolini stesso affermò che i disordini nella città felsinea si dovevano imputare a

“elementi di dubbia origine, espulsi dal fascismo e ad agenti provocatori che pescavano nel torbido”.

L’episodio creò anche un piccolo terremoto, il Ministro dell’Interno, Federzoni, diede le dimissioni, e il dicastero passò nelle mani del Capo del Governo. Subito dopo furono emanate, dal Consiglio dei Ministri, Leggi eccezionali, comprese quelle restrittive sulla stampa, lo scioglimento dei Partiti, l’istituzione del “confino”, la revisione dei passaporti e pene severe a chi tentasse di espatriare senza passaporto. Un progetto di legge introdusse, inoltre, la pena di morte per gli attentati alle più alte cariche dello Stato. Si può affermare che, alla fine di quell’anno carico di tensioni, il regime fascista raggiunse il pieno potere, e si passò così alla dittatura.
A Modena, i fascisti che avevano partecipato alla giornata bolognese, riportarono la notizia appena giunti in città, del quarto attentato a Mussolini nell’arco di nemmeno un anno. Solita adunata in Largo Garibaldi e in Duomo, alla presenza del nuovo Arcivescovo, Ferdinando Bussolari che era stato nominato dal Papa dopo la morte di Monsignor Natale Bruni, avvenuta in Aprile, si celebrò un “Te Deum” di ringraziamento per lo scampato pericolo del Duce.
Con l’approvazione delle leggi speciali e in seguito agli avvenimenti degli attentati al Capo del Governo, anche la posizione dei 124 deputati dell’opposizione, ritiratisi sull aventino, apparve compromessa. Non avendo raccolto la sfida di Mussolini per mettere in stato d’accusa il Fascismo alla Camera, si misero di conseguenza in una posizione che permise ad Augusto Turati di chiedere la loro decadenza. Termina il 1926 con il Fascismo padrone assoluto della situazione, mentre a Modena, il 12 Dicembre, prende possesso nel nuovo ruolo di Podestà, l’avv. Guido Sandonnino.
La legge che istituiva la figura del Podestà, al posto del Sindaco, nella guida dei Comuni italiani fu promulgata il 4 Febbraio 1926 ed era stata studiata in funzione di un possibile miglioramento nella conduzione dell’ente locale che, troppo spesso, attraverso le “camarille” per l’elezione di certi personaggi intrallazzati e con i partiti politici e con potentati locali, metteva il Sindaco nella condizione di subirli. La nomina del Podestà, che avveniva dall’alto, e cioè con decreto reale e con madato di cinque anni, dava la possibilità al personaggio investito di tale carica, di agire per il bene della comunità, in modo imparziale. Non aveva, d’altra parte, il Podestà, poteri assoluti, poiché il suo modo di intervenire nella comunità era pur sempre sottoposto a controlli da parte della giunta provinciale amministrativa e controllato dalla Prefettura. Nello stesso tempo era stabilito che questi non venisse remunerato, giusta valutazione dato che sarebbe opportuno che il ruolo del politico nella conduzione della “res pubblica”, ieri come oggi, non dovrebbe esser il motivo per fare scalate economiche e per cercare facili guadagni alle spalle degli amministrati, cioè del popolo. Ugualmente, anche attraverso questa formula qualche limitazione c’era pur sempre, poiché era ovvio che potevano concorrere solamente coloro che disponevano già di loro mezzi, ma che, se fossero stati degli onesti e corretti amministratori, sarebbe stata la soluzione ottimale.
Nelle pagine seguenti elenchiamo i Podestà che furono gradualmente nominati nei Comuni della Provincia di Modena.


home page

 

IMMAGINI

Manifesto fascista dell'epoca Gruppo di tenniste modenesi
Classe seconda elementarre Caserma Mussolini in viale Tassoni
La Santona Istituto climatico Selva dei Pini Largo Garibaldi Stazione di Posta
I Genitori: papà I Genitori: mamma
LA NONNA LA ZIA ADELE
Mamme e bimbi al parco cittadino Lo zio Ruggero
   
   
   
   

home page