Capitolo quarto 1925 – 1926
1925 – Da Governo di transizione a Regime
Il 1925 vede l’inizio della trasformazione giuridica dello Stato.
Continuva, intanto, la sfida dell’aventino e questa aveva sucitato le
passioni rivoluzionarie dei socialisti e dei comunisti ma che quelle
degli stessi fascisti. Il 3 Gennaio, Mussolini iniziò, dopo alcuni mesi
d’incertezze, tentennamenti e attesismi, la sua controffensiva. Il
discorso di quel giorno alla Camera assunse emblematicamente il momento
della rottura con il recente passato e si può ben dire, che diede
l’avvio alla dittatura fascista, venne poi, o incensato o diffamato.
A fronte di tutte le accuse che gli erano state rivolte, anche da parte
di alcuni suoi sostenitori, con quel discorso che parve, rivoluzionario,
in quanto si indicava un totale mutamento di rotta della politica sino a
quel momento perseguita, Mussolini porta veramente un “affondo” ai suoi
avversari. Prometteva si l’uso della forza verso di questi in quanto
bisognava realmente risolvere una situazione rivoluzionaria, quella dei
sovversivi che negli ultimi mesi, in tutta Italia avevano provocato
innumerevoli incidenti, con scontri, incendi, devastazioni, agguati,
pestaggi violentissimi che avevano portato a morte undici fascisti, e
centinaia di feriti.
Scagliò accuse agli aventiniani, socialisti, liberali, comunisti,
popolari per aver, attraverso la loro presa di posizione
anticostituzionale e illegittima, provocato e istigato lo stato di cose.
Si assunse anche tutte le responsabilità di ciò che era stato il
fascismo sino a quel momento, ma nello stesso tempo affermò che era
necessario riportare in Italia, un clima di serenità di tranquillità, di
pace, di compostezza civile.
Modena si era già avviata sulla strada della completa fascistizzazione,
si celebravano, come succede oggi e da oltre sessanta anni con le
celebrazioni resistenziali, le feste che ricordavano le date cruciali
del Fascismo, il 23 Marzo era quella che festeggiava la fondazione del
Fascio di Combattimento nel 1919, il 21 Aprile, Natale di Roma era
diventata la festa del lavoro in sostituzione del 1° Maggio, il 24
Maggio era la data che celebrava l’entrata in guerra dell’Italia nella
prima guerra mondiale, il 28 Ottobre era la volta di celebrare la Marcia
su Roma e il 4 Novembre la Festa della Vittoria, insomma tutte quelle
celebrazioni classiche, ovviamente infarcite di retorica , come succede
oggi, né più né meno, che ci troviamo le feste del 25 Aprile, del 1°
Maggio o del 2 Giugno, Festa della Repubblica. D’altra parte i potenti
devono pur dare al popolo, sotto qualsiasi bandiera, qualche motivo per
interrompere, di tanto in tanto, la settimana lavorativa.
Il 12 Marzo, a Modena si svolse il Congresso Provinciale dopo che, ai
primi di Gennaio si era svolto quello sezionale, nel quale il Segretario
Carlo Zanni tenne la relazione e il componente Alberto Vellani chiese
l’espulsione di coloro che erano iscritti alle “sette segrete”. Il
Fascio modenese diede ampio appoggio alla posizione presa da Roberto
Farinacci, anche dopo l’omicidio Canalini, dimostrando così la posizione
del fascismo locale più intransigente, in quel particolare momento.
A Bologna, il 29 Marzo di quell’anno, si tenne il “Primo Convegno
fascista di cultura”, con la presenza di molti personaggi di spicco
della cultura italiana. Mussolini sentiva che era necessario dare al
fascismo un’unità ideologica e una dottrina, anche per ribattere agli
avversari che criticavano il suo movimento politico di esserne privo. Il
fascismo era nato e cresciuto fondamentalmente come fede ed azione per
rintuzzare le violenze degli avversari, ma in seguito vi aderirono la
maggioranza degli intellettuali e degli uomini di scienza e di cultura.
A Bologna fu stabilita la fondazione di un “Istituto Fascista di
Cultura” e fu stilato un manifesto, diretto alle persone di cultura
delle altre nazioni e dove erano esposte le ragioni storiche ed ideali
del fascismo.
Si affermava che il fascismo:
“Alle sue origini movimento politico e morale, sentiva e propugnava la
politica come palestra di abnegazione e di sacrificio dell’individuo ad
un idea, in cui l’individuo potesse trovare le sue ragioni di vita, la
sua libertà e ogni suo diritto: idea che era Patria, come ideale che si
veniva realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione
determinata e individuata di civiltà, ma tradizione che nella coscienza
del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si faceva
personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e
missione”.
Moltissimi furono gli intellettuali che firmarono il manifesto del
filosofo Giovanni Gentile, tra i quali citiamo: Balbino Giuliano,
Pericle Ducati, Francesco Ercole, Nicola Pende, Alberto Asquini, Arrigo
Solmi, Emilio Bodrero, Salvatore Riccobono, Camillo Pellizzi, Gioacchino
Volpe, Gino Arias, Lionello Venturi, Ugo Spirito, Cesarini Sforza,
Giorgio Del Vecchio, Ernesto Codignola, Antonio Beltramelli, Giuseppe
Ungaretti, Guido da Verona, Bruno Barilli, Ardengo Soffici, Ugo Ojetti,
Lorenzo Giusso, Ildebrando Pizzetti, Fausto Maria Martini, Alfredo
Panzini, Margherita Sarfatti, Francesco Coppola, Curzio Suckert, Dario
Niccodemi, Luigi Pirandello, Corrado Ricci, Guelfo Civinini, Salvatore
di Giacomo, Luigi Barbini. Per i modenesi citiamo la presenza in questa
lista, del finalese, Arrigo Solmi che fu anche, in seguito, Ministro
della Pubblica Istruzione e di Grazia e Giustizia.
Al manifesto Gentile rispose, dopo qualche tempo, il suo acerrimo
rivale, il filosofo, Benedetto Croce che, assieme ai suoi collaboratori
non si sentivano di abbandonare la loro fede liberale, con un altro
manifesto, ma la battaglia del Croce fu sterile e poco incisiva non
riuscendo minimamente a scalfire l’operato mussoliniano. Molti furono
gli uomini di pensiero che si schierarono con il gran pensatore firmando
il suo manifesto. Bisogna però rilevare che, mentre il manifesto Gentile
contiene, salvo rare eccezioni, nomi che rimasero sempre fedeli al
Fascismo, la lista dei Crociani è piena di nomi di persone che, poco
tempo dopo, abbandonarono l’antifascismo, si piegarono al regime
voltando gabbana, ebbero cariche ed onori e si fecero anche
propagandisti di questo. Elenchiamo alcuni tra i firmatari del manifesto
Croce:
Giovanni Ansaldo, Giovanni Amendola, Sem Benelli, Guido De Ruggiero,
Luigi Einaudi, Guglielmo Ferrero, Sibilla Aleramo, Santino Caramella,
Luigi Salvatorelli, Tullio Rossi Doria, Matilde Serao, Gino Luzzati,
Corrado Alvaro, Attilio Momigliano, Epicarpo Corbino, Panfilo Gentile,
Eugenio Montale, Gaetano Salvemini, Adriano Tilgher, Mario Vinciguerra.
Al Congresso bolognese parteciparono parecchi intellettuali e docenti
dell’ateneo modenese, tra i quali il rettore Pio Colombini e i docenti:
Mario Donati, Arrigo Solmi, Arturo Dosaggio oltre ad altri due noti
personaggi di origine modenese quali, Guido da Verona e Lionello Venturi
che firmarono anche il manifesto Gentile.
A Modena non furono molti coloro che si opposero fermamente e
coerentemente, con determinazione ed energia, ma bisogna riconoscere che
questi pochi ebbero veramente il coraggio e la forza di ribellarsi e a
loro bisogna portare rispetto. Alcuni di questi furono colpiti dal
“Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato” seguitando a restare,
socialisti, comunisti, repubblicani, anarchici, popolari; alcuni
finirono nelle patrie galere, altri inviati al confino e pochi presero
l’esilio volontario, tra questi citiamo due tra i più rappresentativi
personaggi dell’antifascismo modenese: il popolare Luigi Francesco
Ferrari e il socialista Pio Donati.
Dopo il discorso del 3 Gennaio, i vari, Giolitti, Orlando e Calandra,
che avevano all’inizio appoggiato il Governo, passarono all’opposizione
e vi fu anche l’uscita dallo stesso, dei Ministri liberali. Una parte
della destra di allora abbandonò il fascismo, quella destra che
riteneva, in fondo, che questo fosse una sua filiazione, per lo meno
ideale e che tutelarlo non sarebbe stato male, pensavano che il fascismo
fosse una destra ammodernata, più giovane e più agile ma presero
lucciole per lanterne, poiché il fascismo che nasceva socialista e con
presenze popolari e sindacali di tutto rispetto, era e sarebbe restato,
semplicemente il fascismo.
Esistevano in realtà, a quel tempo, ma anche successivamente, varie
tendenze all’interno del Partito di Mussolini, che furono enunciate come
le cinque anime del fascismo su “Critica Fascista” del 15 Febbraio 1925,
e cioè:
1) Estrema Sinistra: con Suckert e i repubblicani nazionali che
esprimevano il sindacalismo integrale;
1) Centro-sinistra: con i vari Rossoni, Grandi, Panunzio, Olivetti ecc.
e a quel tempo, in seno al fascismo, il gruppo più numeroso;
1) Estrema Destra: il gruppo de “L’impero”
1) Centro Destro: al quale appartengono gli ex nazionalisti e gli
integralisti facenti capo a Bottai;
1) Revisionismo: dove si ritrova solamente il gruppo fiorentino di
“Rivoluzione Fascista”, che ostentava una rigida intransigenza.
Mussolini, con il suo carisma e con la sua autorità, attraverso
un’evoluzione programmata del suo pensiero, condusse le varie anime
all’unità e seppe tener coeso il Partito Nazionale Fascista, in quei
primi, difficoltosi, anni di Governo.
Il 22 Marzo 1925 a Modena, così come in tutta Italia si celebrò il sesto
anniversario della fondazione dei fasci e Mussolini, da poco guarito da
una malattia, un’ulcera gastroduodenale che lo tenne inoperoso per circa
due mesi, si scatenò, in un discorso dal balcone di Palazzo Chigi a
Roma, contro i suoi avversari che ancora, dall’aventino, gli sferravano
aspri attacchi. Ebbe a dire:
“…Il contrasto storico è insanabile. La lotta deve essere condotta
sistematicamente fino alla definitiva vittoria. Fascisti di tutta
Italia! La celebrazione odierna non è dunque convenzionale e vana
cerimonia, sebbene la rassegna di un esercito ansioso di nuove
battaglie. Issate ai balconi dei vostri tremila municipi, alle sedi dei
vostri novemila fasci, i gagliardetti e le fiamme del Littorio, chiamate
a raccolta nelle piazze delle vostre città, tutto il popolo fascista…..omissis…..
Voglio invece dirvi io, che siamo a primavera e ora viene il bello. Il
bello per me e per voi è la ripresa totale, integrale dell’azione
fascista, sempre e dovunque, contro chiunque.”
Difatti, nell’immediato, seguirono varie misure tendenti a disciplinare
e normalizzare la società italiana. Furono chiamate leggi liberticide
quelle tendenti a limitare, attraverso controlli, l’uso degli organi di
stampa che avrebbero portato, in seguito, alla soppressione dei giornali
d’opposizione e allla trasformazione della maggior parte di questi. La
legge suscitò molte perplessità in tanti ambienti fascisti, ma fu
approvata d’urgenza e poi rigidamente applicata. Altre misure prese
furono: la chiusura di tutti i circoli e ritrovi sospetti dal punto di
vista politico, lo scioglimento delle organizzazioni che, sotto vari
pretesti, raccoglievano elementi turbolenti e sovversivi, fermare gli
elementi sospetti, intensificare le perquisizioni per il rastrellamento
di armi e la chiusura degli esercizi pubblici nei quali si riunivano
elementi sovversivi. Norme di polizia dure, anzi durissime, ma che,
com’ebbe a dire Mussolini, non intendevano violare nessuna legge, ma
interpretare quelle esistenti per cercare di farle rendere al massimo.
Fu presentato, sempre in quel periodo, un progetto di Legge contro le
società segrete. Vi era, in quella normativa, la volontà di portare le
formazioni associative, la massoneria ne era una delle maggiori, ad una
partecipazione aperta e non segreta, della vita associativa che non si
voleva perseguire tantomeno si volevano portare restrizioni al diritto
di associazione, ma tutto si doveva svolgere alla luce del sole; era
inammissibile che funzionari dello Stato partecipassero alle logge
massoniche.
Al momento dello scioglimento della massoneria, il fascismo dichiarò la
netta chiusura ad ogni forma di potere occulto, politico o finanziario
oltre che a certi poteri forti, antinazionali e antistatali. Un
avversario del valore di Antonio Gramsci, ebbe a dichiarare alla Camera,
il 16 Maggio, che il disegno di legge contro la massoneria:
“E’ il primo atto reale del fascismo per affermare quella, che il
Partito Fascista chiama la sua rivoluzione”.
Il Gramsci paventava però che quella fosse un’operazione che faceva il
fascismo per cercare di assorbirla, poiché il deputato comunista,
valutava la massoneria, come:
“L’unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per
lungo tempo.”Questo non avvenne e, per quanto la massoneria continuasse a strisciare
in modo sotterraneo, non riuscì più a rialzare la testa, se non alla
caduta del Fascismo.
A Modena intanto si andavano sempre più rafforzando le posizioni del PNF
malgrado vi fossero ancora all’interno di questo, contrasti di una certa
consistenza che portarono anche a scontri, come ad esempio successe a
Mirandola dove, dopo ennesime liti e scontri anche violenti, furono
espulsi dal partito nove fascisti intemperanti.
Gli iscritti, in quel periodo, erano a Modena oltre seimila e i
sindacati fascisti organizzavano decine di migliaia di aderenti nei vari
settori del mondo del lavoro. La stampa locale contribuiva, ovviamente,
a sostenere le posizioni del partito. Allora vi era, nella nostra citta,
la diffusione quotidiana di molti giornali, come possiamo vedere nelle
tabelle allegate, erano oltre ventiseimila i quotidiani distribuiti ogni
giorno. 17.000 le copie dei periodici distribuiti settimanalmente.
Quotidiani N. Copie Settimanali N. Copie
Corriere della Sera 8.050 Becco Giallo 4.000
Resto del Carlino 8.050 Voce Popolare 1.300
Il Popolo d’Italia 1.550 Il Serenissimo 1.000
Avanti 1.175 Il 420 450
Il Popolo 800
Il Travaso 300
La Giustizia 450 Il Guerin Meschino 125
La Stampa 200 L’Assalto 100
Il Secolo 200 Risorgimento 75
Il Mondo 115 A.B.C. 70
L’Avvenire d’Italia 115 L’Asino 50
Altri – 13 518 Il Taglione 50
TOTALE 21.223 TOTALE 7.720
Stampa locale
Gazzetta dell’Emilia quotidiano 6.300
Il Popolo (cattolico) Settimanale 2.450
Il Frignano (cattolico) Settimanale 2.050
Il Falco (fascista) Settimanale 1.800
L’operaio cattolico Settimanale 1.800
La Squilla (fascista) Settimanale 1.300
TOTALE 15.700
Il 31 Maggio di quell’anno vi furono le dimissioni della giunta Bianchi,
dovuta a crisi amministrativa; fu sostituita da una giunta d’affari, con
pro-Sindaco, Antonio Rizzi, che la resse sino al 12 Maggio 1926.
In questo periodo, nonostante la giunta delle opposizioni, a Roma,
avesse dichiarato di continuare la resistenza ideale, le varie riunioni
dei gruppi politici che la componevano, diedero la dimostrazione di
quanto fossero divisi e, in realtà, incapaci d’ogni azione. Anche i
rapporti con la Monarchia non erano dei migliori, malgrado fossero stati
ricevuti dal Re i maggiori rappresentanti quali, Amendola, De Gasperi e
Calabrò, non ebbero, i loro tentativi, particolare successo. Gli
aventiniani stavano agonizzando e a breve termineranno la loro
contradditoria battaglia contro il Governo Mussolini. I socialisti
contribuirono a dividere le forze dell’aventino, vi fu una defezione dei
massimalisti che, per restare vicini ai comunisti, dichiararono
condizionata la loro secessione, mettendo delle riserve per il ritorno
alla Camera nelle occasioni che a loro fossero tornate opportune. In
questo modo il fronte delle opposizioni, si spezzò
Con la costituzione, il 1° Maggio 1925, dell’Opera Nazionale Dopolavoro
(O.N.D.), il governo diede l’avvio ad una delle grandi istituzioni del
Fascismo poiché si attribuì allo Stato la soluzione dei problemi
riguardanti, l’istruzione, l’attività fisica e l’assistenza sociale dei
lavoratori. Quest’operazione ebbe grandissima importanza in tutto il
ventennio fascista e continuò a svolgere attività, nel tempo, ovviamente
con sigle diverse, anche ben dopo la caduta del regime.
Fu dato, in quei primi tempi di Governo fascista, notevole impulso alla
ricostruzione e all’ammordenamento dell’Aereonautica Italiana, alla
quale Mussolini teneva particolarmente, e che, negli anni a seguire,
contribuì a portare tanti successi alla nostra nazione in campo
internazionale. Il 21 Aprile, l’idrovolante “Gennariello”, partì da
Roma, al comando di De Pinedo per compiere una delle prime crociere e
volare sino in Australia e Giappone, con ritorno a Roma.
Gli ultimi sussulti della violenza che aveva lacerato l’Italia negli
ultimi anni, avvennero in Calabria a San Giovanni in Fiore (Cosenza)
dove vi fu uno scontro di contadini con la forza pubblica, a Bologna
dove i fascisti, in risposta a misure prese dal Prefetto, lo volevano
cacciare, vi furono violenti tafferugli in città che furono sedati dopo
che venne inviato nella città felsinea il vicesegretario del Partito
Augusto Turati, mentre più gravi furono gli sconri in Toscana dove, dopo
l’uccisione di un esponente fascista vi furono ritorsioni che portarono
all’uccisione di due noti antifascisti fiorentini. In un primo tempo fu
inviato, in quelle zone, Italo Balbo per un’inchiesta, mentre lo
scrittore toscano Curzio Suckert Malaparte, scrisse:
”E’ questo il momento di dimostrare che la direzione del partito non è
una dipendenza del Viminale, ma un vero e proprio comitato
rivoluzionario, che vuol finalmente realizzare contro chiunque, la
volontà del fascismo”.
Considerato che l’operato di Italo Balbo non portava a risultati,
Mussolini minacciò di inviare una Divisione dell’esercito. Fece
dimettere il Prefetto e il Questore, e fece riempire le carceri
fiorentine di squadristi “veri o falsi”; inoltre, fece votare dal Gan
Consiglio un ordine del giorno che prescriveva, immediatamente, lo
scioglimento delle squadre pena l’espulsione dal Partito per chi le
volesse riorganizzare. Ribadì inoltre, fortemente, questi concetti
durante una visita in Piemonte, a fine Settembre, dichiarando, tra
l’altro, ad Ivrea:
“Vi sono ancora focolai di infezione, che potrebbero avvelenare la vita
del nostro Paese, focolai massonici, plutocratici, comunisti,
massimalisti, democratici, giornalistici. Il Governo li conosce: li ha
individuati e potrebbe darsi che senta il bisogno di procedere
all’amputazione. Certamente, il Governo sta all’avanguardia e, se è
possibile dirlo, avanti al carro. Si serve dell’opera procedurale dei
Soloni, ma è già innanzi. Noi andiamo verso un periodo autunnale molto
interessante.”
Il 4 Novembre 1925, si verifica il primo tentativo, di una lunga serie,
avvenuti nell’anno successivo, di asssassinare Benito Mussolini; questo
fu ordito dall’ex deputato socialista Tito Zaniboni. A Roma, da un
balcone dell’Albergo Dragoni, si sarebbe dovuto sparare sul Capo del
Governo mentre questi, dal prospiciente Palazzo Chigi, si sarebbe
affacciato per salutare la folla ivi riunita in occasione della
celebrazione della Vittoria. La polizia, informata, anche per una
questione di donne, avendo lo Zaniboni come amante un’attricetta che era
amica di un informatore della stessa, scoprì in tempo la trama
dell’attentato. Fu accertato, anche per confessione dello stesso
Zaniboni, che egli aveva avuto aiuti dalla Francia e dalla Massoneria,
oltre che ad aver ricevuto denaro dalla Cecoslovacchia, dai socialisti
di quel Paese. Mussolini stesso, diede ordini severissimi, affinché non
accadessero rappresaglie. Quell’azione, che se fosse stata portata a
compimento, avrebbe gettato l’Italia nel caos, ebbe un effetto
pesantissimo sull’antifascismo. Il clima in italia, in quel periodo
contario a certe libertà, si fece più pesante. Furono sospese le
pubblicazioni di giornali come l’”Avanti”, l’”Unità, la “Voce
Repubblicana” e furono chiuse le logge massoniche, oltre a molte Camere
del Lavoro.
A Modena, la notizia arrivò il giorno dopo, e i giornali diedero ampio
risalto all’avvenimento, la “Gazzetta di Modena” uscì con questo titolo:
“La scoperta di un complotto contro la persona dell’on. Mussolini. Si
sarebbe dovuto effettuare durante una delle cerimonie del 4 Novembre.
Arrestato l’on.Zaniboni ex deputato socialista.”
Vi fu una grossa manifestazione di protesta e, migliaia di fascisti
modenesi si riunirono in Largo Garibaldi per portare la loro solidarietà
al Capo del Governo. Manifesti tappezzarono i muri della città mentre le
strade furono imbandierate per manifestare lo scampato pericolo del Capo
del Fascismo.
Il 22 Novembre 1925, a conclusione del settimo Congresso Provinciale del
Partito, fu rieletto, all’unanimità, Guido Corni che si circondò di
validi collaboratori così distribuiti su tutto il territorio della
Provincia di Modena: Cavezzo (Augusto Ascari), Concordia (Lelio
Burzacchini), Mirandola (Azeglio Bulgarelli) Sassuolo, (Adelmo Cervi)
Serramazzoni (Onorio Castelli), Carpi ( Emilio Pucci e Clodo Feltri),
Frassinoro (Dante Fontanini), Pavullo (Vincenzo Ghibellini), Vignola (
Bruno Minguzzi), Varana ( Luigi Franchini), Frignano (Luigi Pivetti),
Zocca (Arnaldo Serra), San Felice sul Panaro (Ignazio Setti), Medolla
(Anselmo Tosatti), Sestola (Fernando Zona) mentre a Modena collaboravano
con il Federale: Carlo Alberto Perroux, Luigi Cottafavi, Cesare
Manicardi, Antonio Rizzi e Erio Tannini.
Il 1° Dicembre 1925, con legge dello Stato, fu costituita “L’Opera per
la protezione e l’assistenza della maternità ed infanzia” (O.N.M.I.). Fu
questa un’operazione che, essendo andata veramente incontro al popolo,
servì assieme alle altre, a legare sempre più le masse al regime
fascista. A Modena la sede principale dell’OMNI, si trovava sull’attuale
Viale Iacopo Barozzi, prima dell’immissione su Via Giardini, si trattava
di un classico edificio dello stile razionalista del ventennio, ancor
oggi esistente.
ANNO 1926
Fu chiamato l’anno degli attentati a Mussolini in quanto, dopo quello
fallito, dello Zaniboni, ebbe a subirne altri tre, ma fondamentalmente
fu l’anno della trasformazione dello Stato Italiano e ci si avviò
rapidamente alla dittatura del fascismo.
Mussolini era riuscito a superare la fase di disordine e, purtroppo, di
decadenza dello Stato, aveva creato in pochi mesi di permanenza al
Governo, leggi apprezzate dal popolo che furono tenute in gran
considerazione anche all’estero, aveva risolto incredibili crisi
politiche e posto le premesse per uno svolgimento pragmatico di quella
che per lui era una vera rivoluzione. Chiedeva sì, ma in realtà gli è
stata data, fede assoluta e particolare fedeltà, era intransigente, sia
con gli avversari sia con gli stessi fascisti.
Non volle allora la dittatura per la dittatura e ancora i suoi
comportamenti non erano quelli che gradualmente lo trasformarono nel
Duce del Fascismo, in effetti, fu costretto dagli eventi a portarsi su
quella strada.
Va, inoltre, rilevato che, sia in questo periodo sia in quello
successivo, ogni suprema direttiva e qualunque riforma messe in atto dal
fascismo, derivarono sempre dal Gran Consiglio, dal Governo e dal
Parlamento, e non dal PNF, anche se, in realtà, erano sempre uomini
fascisti che componevano quegli organi nazionali.
Vi erano, pur sempre, diverbi anche al massimo vertice: Farinacci contro
Federzoni, tanto per fare un esempio, e altre beghe, fecero sì che a
Marzo di quell’anno venne destituito dalla carica di Segretario del
Partito l’irrequito ras di Cremona, Roberto Farinacci per dar posto al
bresciano Augusto Turati che aveva dimostrato una grande sensibilità
politica, specialmente in campo sociale. In quell’Assemblea del Gran
Consiglio, Mussolini defini il PNF, come
“Un aristocrazia discriminata di volontari pronti a confessare la loro
fede anche con il sacrificio”.
Nella nostra città i seguaci di Farinacci, decisamente radicali nel
sostenere la visione di un fascismo intransigente, dovettero segnare il
passo anche quando, durante le celebrazioni del quarto anniversario
dell’uccisione di Mario Ruini, il 21 Gennaio 1926 presso la Sala di San
Vicenzo in Corso Canalgrande, il Segretario politico Antonio Rizzi, che
era in quel momento, anche Pro Sindaco della città, dichiarò che oltre
ad essere fieri oppositori degli “aventiniani” e degli antifascisti in
genere, bisognava esserlo anche con i “cattivi fascisti”. Malgrado i
contrasti ancora presenti nel Fascio locale, si diede avvio alla
costituzione di una Società cooperativa, denominata, “Casa del Fascio
Mario Ruini” onde dare una giusta collocazione ai vari organismi del
Fascio cittadino e che venne trovata nell’ex mulino San Pietro, di
proprietà comunale, tra Via Saragozza e il Parco delle Rimembranze. Fu
indetta anche una sottoscrizione, attraverso l’emissione di azioni, tra
i modenesi e la casa fu inaugurata dal Segretario Nazionale del Partito,
Augusto Turati il 6 Febbraio 1927, praticamente dopo nemmeno un anno
dalla sua programmazione e rimanendo sede del Fascio Provincialesino
all’inizio del 1930, quando la sede si trasferì in Corso Vittorio
Emanuele II°, nel Palazzo Coccapani-D’Aragona, da allora sempre
chiamato: “Palazzo Littorio”.
A Modena si stava lavorando alacremente per mettere in atto le nuove
strutture create dal Governo Fascista quali, ad esempio, l’Opera
Nazionale Dopolavoro, che era presieduta a livello nazionale dal Duca
d’Aosta; nella nostra città tra le prime iniziative intraprese da quest’ente
vi fu quella della trasformazione della “Società di Ginnastica e Scherma
del Panaro”. Presidente era l’ing. Antonio Rizzi che in quel periodo
aveva anche la carica di pro-sindaco; in verità poi l’operazione fallì,
in parte, poiché, dopo poco più di un anno, la Società Panaro ritornò a
prendere la sua vecchia denominazione e non quella di “Dopolavoro
Panaro”, come invece fu chiamata, per quel periodo, ma rimase, pur
sempre affiliata all’OND.
Il giorno 7 Marzo, a sanzionare quella prima fusione, arrivò in città il
Ministro degli Interni Federzoni; presenziò, nella sede della Società
Panaro, in Via Fonteraso, all’inaugurazione del “Dopolavoro Panaro”, con
la presenza delle maggiori autorità cittadine, fu scoperto anche un
monumento in bronzo, a ricordo dei soci della società caduti in guerra,
opera del Prof. Roncaglia e dono del dott. Guido Corni.
L’Opera Nazionale Balilla (ONB), è stata un'altra delle grandi
realizzazioni del regime fascista a favore della gioventù:
organizzazione che venne presa in gran considerazione e copiata in molti
stati in tutto il mondo.
Fu creata con legge del 3 Aprile 1926 e per undici anni, sino alla
sostituzione con la Gioventù Italiana del Littorio (GIL), con un altra
legge dell’Ottobre 1937, operò in favore delle nuove generazioni; ebbe
come suo fondatore, organizzatore, animatore e Presidente l’on. Renato
Ricci, raccolse nelle sue strutture, tutta la gioventù italiana che
finalmente aveva il modo di riscattarsi da quell’analfabetismo del
corpo, non meno deleterio di quello intellettuale, nel quale era stata
tenuta, da sempre.
In breve tempo assorbì anche l’Ente Nazionale per l’Educazione Fisica,
assumendosi così anche l’onere dell’insegnamento dell’attività motoria
scolastica e, contemporaneamente, fu dato il via alle Accademie di
Educazione Fisica della Farnesina a Roma, per i maschi e a Orvieto per
le femmine oltre che alla costruzione dello splendido Foro Mussolini,
ora chiamato Foro Italico, impianti e edifici da sempre invidiatici da
tutto il mondo per la loro eleganza e funzionalità
A Modena come nel resto d’Italia, i giovani e i giovanissimi erano
inquadrati nelle varie categorie e cioe i “Figli della Lupa” i bimbi
delle prime classi della scuola elementare, i “Balilla” dai nove ai
tredici anni, i bambini delle ultime classi elementari e delle medie,
poi il grado di “Balilla Moschettiere” per i più grandicelli e infine
gli “Avanguardisti” per i ragazzi delle ultime classi delle scuole
superiori. Ovviamente, in tutte le manifestazioni ufficiali e non, erano
sempre presenti le rappresentanze di queste organizzazioni e i non più
giovani si ricorderanno, chi con piacere, chi con disapprovazione, delle
esercitazioni e delle attività che, “volenti o nolenti” i giovani
andavano a svolgere nelle palestre o nei campi sportivi durante i
pomeriggi del cosiddetto, “Sabato Fascista”.
Erano si coercitive, ma in modo molto blando, inoltre non si possono
demonizzare alla luce dei giorni nostri, poiché la società di allora non
è, nemmeno lontanamente, paragonabile a quella di oggi, dove regna
l’individualismo, l’arrivismo sfrenato, la visione esclusiva del danaro
e delle manovre per accappararselo; allora i giovani ricevevano
un’educazione ed una visione del mondo completamente diversa, erano
entusiasti e vincenti, guardavano al domani, al domani prossimo che
avrebbe dovuto veder risorgere la Patria, abbattere le barriere sociali
e, come traguardo, un programma sociale e morale, nel nome della dignità
e della giustizia, in poche parole, onestà, educazione, rispetto dei
valori naturali, tutti valori che oggi è molto difficile trovare.
In fondo, tutto l’operato del Fascismo fu rivolto alla ricerca della
giustizia sociale e sicuramente possiamo dire, che l’unico periodo di
concreto socialismo in Italia è stato offerto da quel regime, è stato
l’unico momento storico in cui potevi girare per il mondo a testa alta e
orgogliosi d’essere italiani.
Vi è stato un netto distacco, in realtà, nella sua permanenza al potere,
tra la generazione che aveva creato alla rivoluzione fascista e quella
che avrebbe poi combattuto per l’onore al Nord e sulla linea gotica alla
fine della seconda guerra mondiale. Indubbiamente, in quel frattempo, e
per gli anni che andiamo prendendo in considerazione, si sono trovate,
in seno al fascismo, anche le mele marce, i gerarchi arrivisti, gli
adulatori d’accatto, gli uomini che si definivano e si atteggiavano a
guerrieri per il solo spirito di retorica, tutta gente che al momento di
affrontare dignitosamente la dura realtà dei fatti, si sbriciolò, dando
un pessimo esempio, degno di quello che ha realizzato Casa Savoia. Di
certo non possiamo disprezzare il “Ventennio” e il fascismo “Regime” in
modo semplicistico poiché, come andiamo via via analizzando, quegli anni
portarono un grosso contributo al progresso dell’Italia attraverso tante
conquiste e tanti valori.
Il 7 Aprile 1926, l’anno degli attentati, a Roma mentre Mussolini stava
uscendo dal Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di medici,
fu avvicianato da una vecchia irlandese, tale Violet Gibson, che gli
sparò una rivoltellata: miracolosamente il colpo lo ferì leggermente al
naso, era diretto alla tempia, in quanto, in quel preciso istante girò
il capo di scatto per salutare un gruppo di amici, evitando così un
colpo che poteva esser mortale. La Gibson, dopo essere stata arrestata,
si rivelò, si disse, una semidemente e, dopo aver scontato una breve
pena, fu mandata a casa sua.
A Modena, venuti a conoscenza dell’episodio, i fascisti si radunarono in
Largo Garibaldi per sfilare sino al Teatro Comunale dove il Senatore
Marco Arturo Vicini, tenne un discorso di solidarietà al Capo del
Governo dicendo, tra l’altro:
” Rinnoviamo il giuramento di fedeltà, l’invito alla disciplina, al
sacrificio per la vita e per la morte, sempre per Benito Mussolini,
sempre per l’Italia”.
Intanto a Roma, Mussolini che era rimasto calmissimo, coprì con un
cerotto la ferita e non interruppe il suo lavoro, dopo aver impedito il
linciaggio della donna, recandosi a palazzo Vidoni per la riunione del
direttorio del partito, il quale prendeva una nuova composizione: alla
guida di Augusto Turati come Segretario Generale e di: Leandro Arpinati,
Alessandro Melchiorri, Renato Ricci, Achille Starace in qualità di
vice-segretari: componevano inoltre il Direttorio, Gerardo Borelli, Lare
Marghinotti, Alberto Blanc e Giovanni Marinelli, quest’ultimo inviso a
Turati che lo considerava un personaggio, quantomeno, “discutibile”.
Il giorno seguente l’attentato, il Capo del Governo s’imbarcò sulla nave
“Cavour” per recarsi in Libia dove, a Tripoli, dopo aver incontrato i
maggiorenti della Tripolitania, tenne un discorso parlando in sella ad
un cavallo, alla popolazione di quella città.
Si andavano maturando, nel frattempo, le varie leggi preparate nel 1925,
come la legge sui prefetti che aumentava di molto le loro competenze, la
legge sulla pubblica sicurezza, il regolamento della legge sulla stampa
e, dopo lungo iter, tra Camera e Senato, fu pubblicata la legge sulla
disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, chiamata legge del 3 Aprile
1926. Questa riforma mise fine al lungo disinteresse dello Stato in
materia di conflitti tra le classi e le categorie, dovendosi considerare
l’attuazione della giustizia sociale come un problema che si doveva
risolvere nel suo ambito. Questa legge contribuì, indubbiamente, a dare
allo Stato fascista e all’azione che andava intraprendendo, un concreto
contributo sociale.
Il 12 Maggio, in consiglio comunale a Modena, la giunta guidata da
Antonio Rizzi lasciava la guida della città per dare spazio alla nuova
figura del Podestà, istituzione dotata di maggiori poteri, al posto
della figura del Sindaco, ruolo che fu occupato poi dall’avv. Guido
Sandonnino.
Proseguivano alacremente, sia in città sia in Provincia, le nuove opere
del regime attraverso la costruzione e la costituzione dei vari gruppi
rionali con le relative “Case del Fascio”. Queste strutture furono
dedicate ai “Martiri Fascisti” come il gruppo rionale “Mario Ruini”, il
gruppo rionale “26 Settembre 1921” che ultimamente, dopo essere stato
nel dopoguerra, per tanto tempo sede staccata dell’Istituto Industriale
“F. Corni”, trovandosi direttamente di fronte alla sede centrale, è
stato trasformato in un moderno auditorium dedicato a Marco Biagi (il
giuslavorista che insegnava all’università modenese e che fu ucciso
dalle Brigate Rosse a Bologna), il gruppo rionale dedicato a “Duilio
Sinigaglia” in 24 Marzo 1927 in Via Emilia Est, attualmente sede della
Guardia di Finanza, quello titolato a “Gioacchino Gallini” in Via Piave,
attualmente sede del circolo “Sirenella”, oltre a quello dedicato a
“Gino Tabaroni” in via Giardini, attualmente sede della Polizia
Stradale.
In provincia era inaugurato il Rifugio “Duca degli Abruzzi” al lago
Scaffaiolo.
Il 18 Luglio, nella sala consiliare del Municipio, si tenne l’ottavo e
ultimo Congresso del Fascio modenese poiché, dall’autunno di quell’anno
i Segretari delle Federazioni Provinciali erano nominati dal Segretario
Nazionale, a norma del nuovo Statuto del PNF e i Segretari così nominati
dovevano poi convocare annualmente le Assemblee per trovare i loro
collaboratori, dopo aver esposto il programma che intendevano svolgere.
Fu riconfermato Segretario Provinciale Guido Corni durante l’Assemblea
presieduta da Salesio Schiavi e, membri del Direttorio furono
riconfermati: Lelio Burzacchini, Azeglio Bulgarelli, Luigi Cottafavi,
Clodo Feltri, Vincenzo Ghibellini, Carlo Alberto Perroux, Luigi Pivetti
e Ignazio Setti, rientrarono anche Carlo Ascari e Carlo Zanni.
Il secondo attentato del 1926 a Benito Mussolini avviene l’11 Settembre
a Roma per mano dell’anarchico di Massa Carrara, Gino Lucetti.
L’attentatore lanciò una bomba contro l’auto di Mussolini mentre
transitava in piazzale Porta Pia, ma l’ordigno colpì il vetro della
portiera e non lo perforò, cadde a terra dove lì esplose, mentre l’auto
proseguiva la sua corsa uscendo dal raggio d’azione dell’esplosione che
invece ferì seriamente otto cittadini che si trovavano di passaggio.
L’attentatore proveniva dalla Francia, dove era rifugiato e pare vi
fossero parecchie collusioni tra il fuoriuscitismo italiano, del cui
gruppo faceva parte, con autorità di quel paese, tantoche, anche in
seguito a violente dimostrazioni antifrancesi, in molte città italiane e
in particolare a Livorno e Venezia, dove vi furono assalti ai consolati,
si crearono tensioni e incidenti tra le diplomazie dei due paesi cugini.
Mussolini si presentò, poco dopo l’attentato, al solito balcone romano
di Palazzo Chigi, per tenere un discorso alla folla che, radunatasi
nella piazza appena saputo del tentativo di uccidere il Capo del
Governo, accorsa precipitosamente da tutti quartieri della Capitale, fu
invitata a tenere la massima disciplina, inoltre disse:
“Bisogna finirla con certe tolleranze colpevoli e inaudite di oltre
frontiera se veramente si tiene all’amicizia del popolo italiano,
amicizia che episodi di questo genere potrebbero fatalmente
compromettere.”
La folla modenese si radunò, come al solito, nel piazzale ormai deputato
alle manifestazioni di massa del fascismo locale, quel Largo Garibaldi
che aveva già vissuto momenti similari, per protestare contro coloro che
proteggevano, anche all’estero, personaggi come l’anarchico, che
cercavano solamente di sconvolgere la vita del nostro paese, il quale,
dopo anni di violenze stava ritrovando la pace, la tranquillità e una
vita laboriosa.
Qualche incidente si verificò dopo la manifestazione con l’invasione da
parte dei fascisti più intransigenti e facinorosi, di alcuni studi
legali dai quali gettarono in strada, mobili, documenti e suppelletili
varie. Dovettero intervenire, per far cessare gli eccessi commessi i
personaggi più influenti, dal Federale Guido Corni oltre all’Onorevole
Fausto Bianchi, Carlo Alberto Perrouxe il Segretario del Fascio
cittadino, Carlo Zanni.
Il 29 Settembre, una delegazione di fascisti modenesi, guidati dal
Federale Guido Corni, è ricevuta da Mussolini a Roma. Presentarono al
Capo dello Stato un campione del petrolio estratto a Casalpennato in
Comune di Prignano e gli parlarono delle ricerche di rame che si stavano
facendo sull’appennino modenese, in particolare a Frassinoro; Mussolini
si dimostrò molto interessato e li invitò a proseguire nelle ricerche.
Fu presentato anche un prospetto riassuntivo della situazione del PNF
nel modenese; sessantotto sezioni di Partito, 7.230 iscritti,
tremilaseicento camicie nere iscritte alla Milizia Volontaria per la
Sicurezza Nazionale, tremila avanguardisti, quattromila i balilla,
trecento gli studenti universitari fascisti, trecento le giovani
italiane, quattrocento le piccole italiane: inoltre, quarantamila erano
gli iscritti ai sindacati dei lavoratori, seicento ai sindacati degli
industriali, quattromila ai sindacati degli agricoltori, quattromila ai
sindacati dei commercianti per un totale di 67.430 iscritti in Provincia
di Modena. Mussolini apprezzò l’operato dei dirigenti e dei
rappresentanti delle organizzazioni fasciste sul nostro territorio ed
ebbe per loro, parole di grandissimo elogio.
Tra tutti questi dirigenti, che tanto hanno contribuito alla perfetta
fascistizzazione della Provincia di Modena in quegli anni, ne vogliamo
ricordare alcuni: Carlo Zuccoli, Antonio Rebucci, Federico Rebecchi,
l’ing. Ferruccio Magiera, il conte Paolo Pignatti Morano, Guido Bianchi,
Roberto Miselli, l’avv. Giuseppe Dalla Fontana, Gustavo Veronesi,
Umberto Costanzini, Italo Maffei, l’avv. Leonida Miani, Luigi Montagnani,
Gian Paolo Solmi, Franco Allegretti, Wainer Bonomi, Gino Silingardi, il
dott. Mirko Manzotti, Luigi Rio, l’avv. Carlo Alberto Perroux, Claudio
Casati, Otello Vezzani, Vasco Jann, Nino Nava, Emilio Pucci, Luigi
Cottafavi, Ignazio Setti, Vincenzo Ghibellini, Augusto Ascari, Adelmo
Cervi, Italo Puviani, Alfonso Vignocchi, Fausto Bianchi, Carlo Benassati,
tutti personaggi che ricoprirono importanti cariche nelle giunte
comunali, nei direttori della Federazione Fascista, nell’Opera Nazionale
Balilla e nei GUF della nostra Provincia.
Alla fine del mese d’Ottobre del 1926, Mussolini viene in visita in
Emilia, in particolare per visitare le grandi opere di bonifica che si
stavano effettuando, quali: la bonifica di Bentivoglio e quella della
Parmigiana-Moglia, per presenziare poi all’inaugurazione, a Bologna, il
31 Ottobre alla presenza di una folla strabocchevole, dello Stadio del
Littorio, costruito su iniziativa dei fascisti bolognesi.
Al Littoriale, così sarà chiamato l’impianto bolognese, si presenta in
sella ad un cavallo, per parlare alle oltre 50.00 camicie nere,
presenti. Quell’immagine equestre sarà poi plasmata in una scultura che
resterà all’interno dello stadio per tutto il periodo del regime
fascista. Ormai Mussolini è “Il Duce”.
Al pomeriggio di quella giornata, dopo aver visitato la nuova casa del
fascio bolognese e dopo aver inaugurato all’Archiginnasio il XV°
Congresso delle Scienze, si avvia, sull’auto scoperta, verso la
stazione, per far ritorno a Roma. Subito dopo che ebbe svoltato per Via
Rizzoli, gli fu sparato un colpo di pistola, la pallottola gli sfiorò il
petto e ruppe il “cordone di S. Maurizio e Lazzaro” che portava a
tracolla e che finì sulla tuba del Sindaco di Bologna, che gli stava
accanto.
Vi fu un’immediata reazione da parte della folla, anche se le origini e
i retroscena del gesto rimasero sempre misteriosi, fu immediatamente
pugnalato e linciato un giovane, Anteo Zamboni, ritenuto da alcuni
storici, un fascista, che in seguito ad una serie di indagini fu
giudicato innocente. Sembra che il colpo di pistola sia stato sparato da
un uomo che indossava un impermeabile, mentre, nello stesso tempo, un
suo compare pugnalava il giovane Zamboni, creando lo scompiglio
generale. Furono viste, inoltre, scappare anche due squadre, si disse
una veneta e una milanese o cremonese. Insomma un vero e proprio
complotto molto ben organizzato, si disse, dagli stessi fascisti in
dissenso con Mussolini; si fecero anche i nomi di noti personaggi, quali
Leandro Arpinati e Roberto Farinacci. Il fratello di Mussolini, Arnaldo,
dichiarò che gli autori dell’attentato fossero da ricercare tra alcuni
amici seguaci di Farinacci, in Provincia di Bologna, i quali
frequentavano ambienti anarchici e antifascisti.
Fatto è che Mussolini stesso affermò che i disordini nella città
felsinea si dovevano imputare a
“elementi di dubbia origine, espulsi dal fascismo e ad agenti
provocatori che pescavano nel torbido”.
L’episodio creò anche un piccolo terremoto, il Ministro dell’Interno,
Federzoni, diede le dimissioni, e il dicastero passò nelle mani del Capo
del Governo. Subito dopo furono emanate, dal Consiglio dei Ministri,
Leggi eccezionali, comprese quelle restrittive sulla stampa, lo
scioglimento dei Partiti, l’istituzione del “confino”, la revisione dei
passaporti e pene severe a chi tentasse di espatriare senza passaporto.
Un progetto di legge introdusse, inoltre, la pena di morte per gli
attentati alle più alte cariche dello Stato. Si può affermare che, alla
fine di quell’anno carico di tensioni, il regime fascista raggiunse il
pieno potere, e si passò così alla dittatura.
A Modena, i fascisti che avevano partecipato alla giornata bolognese,
riportarono la notizia appena giunti in città, del quarto attentato a
Mussolini nell’arco di nemmeno un anno. Solita adunata in Largo
Garibaldi e in Duomo, alla presenza del nuovo Arcivescovo, Ferdinando
Bussolari che era stato nominato dal Papa dopo la morte di Monsignor
Natale Bruni, avvenuta in Aprile, si celebrò un “Te Deum” di
ringraziamento per lo scampato pericolo del Duce.
Con l’approvazione delle leggi speciali e in seguito agli avvenimenti
degli attentati al Capo del Governo, anche la posizione dei 124 deputati
dell’opposizione, ritiratisi sull aventino, apparve compromessa. Non
avendo raccolto la sfida di Mussolini per mettere in stato d’accusa il
Fascismo alla Camera, si misero di conseguenza in una posizione che
permise ad Augusto Turati di chiedere la loro decadenza. Termina il 1926
con il Fascismo padrone assoluto della situazione, mentre a Modena, il
12 Dicembre, prende possesso nel nuovo ruolo di Podestà, l’avv. Guido
Sandonnino.
La legge che istituiva la figura del Podestà, al posto del Sindaco,
nella guida dei Comuni italiani fu promulgata il 4 Febbraio 1926 ed era
stata studiata in funzione di un possibile miglioramento nella
conduzione dell’ente locale che, troppo spesso, attraverso le
“camarille” per l’elezione di certi personaggi intrallazzati e con i
partiti politici e con potentati locali, metteva il Sindaco nella
condizione di subirli. La nomina del Podestà, che avveniva dall’alto, e
cioè con decreto reale e con madato di cinque anni, dava la possibilità
al personaggio investito di tale carica, di agire per il bene della
comunità, in modo imparziale. Non aveva, d’altra parte, il Podestà,
poteri assoluti, poiché il suo modo di intervenire nella comunità era
pur sempre sottoposto a controlli da parte della giunta provinciale
amministrativa e controllato dalla Prefettura. Nello stesso tempo era
stabilito che questi non venisse remunerato, giusta valutazione dato che
sarebbe opportuno che il ruolo del politico nella conduzione della “res
pubblica”, ieri come oggi, non dovrebbe esser il motivo per fare scalate
economiche e per cercare facili guadagni alle spalle degli amministrati,
cioè del popolo. Ugualmente, anche attraverso questa formula qualche
limitazione c’era pur sempre, poiché era ovvio che potevano concorrere
solamente coloro che disponevano già di loro mezzi, ma che, se fossero
stati degli onesti e corretti amministratori, sarebbe stata la soluzione
ottimale.
Nelle pagine seguenti elenchiamo i Podestà che furono gradualmente
nominati nei Comuni della Provincia di Modena.
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