GUERRA CIVILE NEL MODENESE
R.S.I. e classe operaia Nell'ambito
della ricerca storiografica sul periodo dei 600 giorni della Repubblica
Sociale Italiana in provincia di Modena è necessario dedicare un po’
di spazio, e di conseguenza tentare un’analisi, del rapporto
intercorso tra la nuova concezione del fascismo repubblicano, scaturita,
o meglio tornata alle origini dopo il tradimento monarchico e badogliano,
e la classe operaia e, in contrapposizione, vedere come si sono
effettivamente svolte le "lotte operaie". Non
è facile interpretare al meglio, e per di più in modo succinto, quel
groviglio d’innovazioni e situazioni ambientali, particolarmente
quando le tensioni ideologiche erano portate all’esasperazione in un
tutt'uno con la guerra all'interno dei nostri confini che andavano
configurandosi sempre più crudele e distruttiva, lasciando poco spazio
alle tensioni sociali ed alle conquiste che si prefiggevano la
costituzione del Partito Fascista Repubblicano depuratosi da tutte le
scorie del ventennio. A
tutt'oggi, nell'ambito della ricerca storiografica di quel periodo,
abbiamo notato una limitatezza d’opere relative a quest’argomento e
nello stesso tempo sono estremamente carenti i dati che si possono
raccogliere da ambedue le fazioni, circa le tensioni sociali e le
proposte di realizzazione di miglioramenti socio-economici voluti ma non
realizzati dal nuovo governo fascista. Da
un versante s’incensano i grandi rinnovamenti portati sul piano
sociale dalle leggi emanate dalla Repubblica mussoliniana a partire dai
18 punti di Verona, e vedremo in quale misura, mentre nell'altro campo
le vicende della classe operaia sono mescolate e non sufficientemente
sviluppate in quella che sino ad oggi è stata una ricerca finalizzata
particolarmente alle vicissitudini politiche e militari della lotta
partigiana. E'
evidente che non può essere possibile, anche per gli storici legati al
più vieto conformismo antifascista, ritenere che gli operai, in quel
periodo, si siano totalmente schierati con la resistenza. Da
parte fascista si dà per scontata la partecipazione alla
"resistenza" di una combattiva minoranza che ha creato, senza
alcun dubbio, difficoltà all'apparato industriale, ma nello stesso
tempo si può affermare che, almeno per un lungo periodo dei 600 giorni,
buona parte della classe operaia, in particolare nelle industrie
modenesi, se non la maggioranza della stessa, era favorevole e
compartecipe alle nuove tematiche operaistiche della socializzazione. Avremo
modo di costatare quanto queste affermazioni, siano anche avvalorate da
quella piccola parte della storiografia resistenziale che ha dedicato
qualche studio, sebbene marginalmente, al problema proposto. Brevi
premesse vanno fatte prima di entrare nell’analisi di quel periodo di
storia modenese ed italiana, e prendere in esame quali sono state le
tendenze dello sviluppo industriale, prima, e poi durante il periodo
fascista, sino al 25 Luglio 1943, nella nostra Provincia. Agli
albori del Fascismo le produzioni prevalenti, in Provincia di Modena,
erano quelle foraggiere e dell'uva; rappresentavano il 65% del reddito
agricolo provinciale con una produzione di foraggi per un importo
globale di 143 milioni di lire annue, di 113 per l'uva, mentre, a
distanza, seguiva il frumento con soli 53 milioni.(1) Vi
era pertanto una ricchissima presenza, sul nostro territorio, di capi di
bestiame, tanto da essere, già a quei tempi Modena, uno dei maggiori
centri d'Europa, con numerosissimi capi di, bovini, cavalli e suini;
mentre in montagna, ovini e caprini davano alla nostra Provincia uno dei
primi posti nelle graduatorie nazionali. Notevoli erano anche le
produzioni di granoturco e fagioli, mentre era relativamente scarsa la
produzione delle barbabietole da zucchero. La
popolazione della Provincia raggiungeva le 395.513 unità(2) e tra
queste, la popolazione attiva si contava su 199.572 persone, delle quali
ben 128.985 erano dedite all'agricoltura, con una percentuale del 65%,
mentre il 20% era dedito all'attività industriale e il 15% ad altre
attività. La
proprietà agricola era distribuita in buona parte tra i grandi e medi
proprietari terrieri, dei quali faceva parte la Chiesa che, con ben 210
parrocchie sparse sul territorio Provinciale e che mediamente
possedevano uno o due poderi condotti a mezzadria, aveva una gran fetta
della proprietà agricola nella nostra Provincia.(3) La
vita nelle campagne era di conseguenza poverissima; braccianti,
mezzadri, fittavoli, salariati fissi ed avventizi tra i quali i
bifolchi, i cavallanti, gli acquaioli ecc. erano malpagati e sfruttati
dalla classe dominante, che, anche per merito dell'influenza dei parroci
su questi inculturati, riusciva a mantenere i lavoratori delle campagne,
anche attraverso i numerosi pregiudizi d’ordine religioso, quali
superstizioni e carenza d’educazione, in uno stato d’arretratezza
endemica.(4) Provincia
dunque particolarmente agricola quella modenese agli albori del
fascismo, con scarsi insediamenti industriali particolarmente
localizzati nel capoluogo e nei centri maggiori; in realtà l'attività
industriale esistente in quegli anni, era sparsa in una miriade di
piccole officine e laboratori a prevalenza artigianale. In città
spiccavano: la Fabbrica Italiana serrature Corni, la Manifattura
Tabacchi, le officine Rizzi e Benassi e in Provincia, la SIPE di
Spilamberto mentre nel carpigiano era fiorente l'attività del truciolo. La
crisi economica, nella quale si venne a trovare la nostra Provincia in
quegli anni, acuì maggiormente le tensioni sociali e la lotta politica
assunse toni, in certi momenti, drammatici.(5) In
breve tempo il movimento fascista seppe coagulare attorno a sé
l’attenzione di grossa parte della classe operaia e della borghesia,
entrambe insoddisfatte della politica del Partito Socialista e del
Partito Popolare, tanto da ottenere un buon successo alle elezioni del
1921, sino a quello clamoroso del 1924.(6) Il
Fascismo trova di conseguenza nella Provincia modenese una situazione
quantomeno delicata; disoccupazione, immigrazioni dalla montagna alla
pianura, aumento della popolazione, piccole e medie industrie in crisi
con il ritorno della mano d'opera alle campagne già sature di braccia,
l'emigrazione delle donne modenesi nelle risaie del novarese e del
vercellese per lavori stagionali,(7) diminuzione dei salari; si andava
dunque incontro, e a grandi passi, alla crisi che sfociò alla fine
degli anni venti e che sconvolse l'economia del mondo occidentale ma che
in Italia venne in parte controllata e ridimensionata in breve volgere
di tempo. Gli
anni trenta furono quelli dell'assestamento sociale, politico ed
economico; furono fatti enormi progressi in tutte le direzioni. Aumentò
la produzione agricola, si aprirono nuove industrie e la disoccupazione
calò sensibilmente; si curò in modo particolare l'edilizia popolare e
le strutture sociali ebbero un notevole impulso, quali, ad esempio,
l'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia; moltissime scuole nuove, dalle
elementari alle superiori, con un sensibile aumento della popolazione
scolastica, iniziando così ad eliminare la piaga dell'analfabetismo
ancora assai consistente nelle nostre zone; si avviò il concetto di
turismo popolare, anche attraverso il potenziamento della rete
ferroviaria e delle strutture alberghiere, sia alpine sia marine; molto
fu fatto per le organizzazioni aziendali e per la costruzione
d’impianti sportivi, data l'enorme arretratezza in questo settore e
per quei tempi, rispetto a molte altre nazioni europee, si ebbe, negli
anni del consenso, un vero progresso sociale ed economico nelle classi
meno abbienti, riconosciuto ormai anche dai maggiori storici siano essi
pure dichiaratamente antifascisti.(8) All’inizio
della seconda guerra mondiale la situazione economica e sociale in
Provincia di Modena la possiamo così brevemente riassumere: il settore
più rilevante per l'occupazione e per il reddito era ancora quello
dell'industria agricola ed alimentare, oltre ad un forte impiego
nell'attività salumiera e molitoria e numerosi erano gli stabilimenti
dell'industria vinicola e dell'alcol, delle acque gassate,
dell'industria dolciaria e d’altre minori.(9) Notevole
in quegli anni era stato lo sviluppo dell'industria meccanica e
metallurgica, sia legata al mondo dell'agricoltura sia ad altri settori
come acciaierie e fonderie, industrie per carrozzerie d’autobus ed
automobili, officine specializzate per la costruzione dei motori diesel,
bilance, impianti di riscaldamento ecc.; a Sassuolo si stava realizzando
l'inizio dell'era della piastrella e della ceramica, mentre nella bassa,
a Mirandola, era stato creato un grosso polo per la lavorazione della
barbabietola da zucchero.(10) L'impulso
industriale dell'economia modenese in questi anni è stato senz'altro
rilevante e in modo particolare : "si
definiscono alcune linee di tendenza molto importanti, e cioè
l'affermazione all'interno di una economia basata prevalentemente
sull'agricoltura, di un primo consistente nucleo industriale che subirà
un ulteriore accelerazione nel periodo bellico registrando, tra l'altro,
un notevole aumento del numero degli addetti."(11) Gli
anni della guerra, ovviamente in rapporto anche alla produzione bellica,
intensificarono l'aumento della mano d'opera nell'industria e, nel
modenese, nell'anno 1941 vi erano impiegati più di trentamila
lavoratori che raggiunsero i quarantamila nel 1944. Fonti
antifasciste, citando anche testimonianze orali, parlano di scioperi ed
agitazioni operaie negli anni di guerra ed in particolare di quello che
sarebbe avvenuto nel marzo del 1943, ma: "dopo
un attento esame di queste ed altre testimonianze, dei documenti coevi
di parte fascista ed antifascista, dopo aver inquadrato complessivamente
le vicende e valutato i tempi di maturazione della coscienza di classe
dei lavoratori modenesi, riteniamo confermato il nostro convincimento
che a Modena nel Marzo del 1943 non si sia scioperato, anche se è
sempre possibile che in qualche azienda in modo spontaneo, vi sia stata
qualche fermata."(12) Agitazioni,
invece, ci furono dopo la caduta del fascismo, durante i 45 giorni
badogliani, anche se non di grossa entità e vanno inquadrati in quel
breve periodo pieno di grosse incognite, poiché non era ben chiara,
anche per la popolazione, quale sarebbe stata, a breve termine, la
posizione dell'Italia nei confronti degli alleati. Di conseguenza, nelle
fabbriche la situazione era, complessivamente, abbastanza tranquilla,
non si notavano i prodromi di particolari lotte antifasciste e non vi
era alcun segno di quei "presupposti resistenziali" di cui è
infarcita la storiografia partigiana; e gli stessi capi del sindacalismo
comunista stentavano: "a
mobilitare i lavoratori soprattutto in modo coordinato."(13) Ci
avviciniamo così al periodo della RSI, la quale, con l'impostazione
della socializzazione delle imprese, ha dato un esempio, valido ancora
oggi, di com’è possibile il superamento dell'antitesi marxista,
classe operaia-capitalismo, in una interpretazione che sceglie la
collaborazione tra le classi e di conseguenza quelle motivazioni, non
solo materiali, ma anche morali, etiche e spirituali che fanno parte
inscindibile dell'uomo. Attualmente
si stanno riscoprendo questi valori seppur ipocritamente mascherati, sia
all'est, dove il crollo del comunismo li ha prepotentemente portati alla
ribalta, sia all'ovest dove la concezione del puro capitalismo,
grettamente materiale e creatore di scompensi incredibili, pone all'uomo
di oggi la rivisitazione di quei concetti d’economia corporativa e di
socializzazione portati avanti dalla lungimiranza politica di un
Mussolini, che condensiamo in una sua dichiarazione del periodo
repubblicano: "L'unico
socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo punto di
confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi privati
rispetto all'interesse collettivo."(14) Nelle
varie ricerche effettuate in tutti questi anni sul fascismo, sia del
ventennio sia della RSI, si è, grosso modo, sempre sostenuta la tesi
che quel movimento rivoluzionario conservò in sé, e se ne fece
garante, le strutture capitaliste in genere. La
propaganda antifascista tutta, ma in particolare quella comunista, ha
sempre sostenuto questa tesi falsa e demagogica, scagliandosi con
violenza contro le avanzatissime teorie sociali postulate in modo
particolare nei 18 punti di Verona, poiché, evidentemente queste
portavano ad un vero e proprio scavalcamento a sinistra. La
Socializzazione, voluta dal nuovo Fascismo Repubblicano, fu approvata
dal Consiglio dei Ministri della RSI il 12 Febbraio 1944 e cominciò ad
entrare nella sua attuazione in varie parti d'Italia, ma ovviamente, tra
moltissime difficoltà comprensibili per la delicata situazione interna
italiana e per le vicende belliche, ma anche per l'ostruzionismo da
parte dei tedeschi che non vedevano di buon occhio, in quel particolare
momento, rivoluzionamenti così profondi della società italiana. Con
queste riforme di grandissima importanza sociale, viste anche alla luce
delle attuali lotte sindacali, pur mantenendo integro il principio della
proprietà privata, anche andando contro a molte tendenze
collettivistiche della stessa sinistra fascista, si dava sostanzialmente
una nuova regolamentazione alla struttura delle aziende, sia private sia
statali. Nelle
amministrazioni delle aziende, attraverso i "consigli di
gestione", erano inseriti i rappresentanti degli operai e degli
impiegati con poteri ben definiti ed importanti, quali la ripartizione
degli utili e la possibilità di partecipare, attraverso le assemblee,
alla nomina del capo dell'azienda. Mussolini, libero dalle imposizioni
monarchiche, clericali e borghesi che lo avevano imbrigliato per venti
anni, porta avanti quelle rivendicazioni sociali che erano parte
integrante dei suoi programmi degli inizi. Quest’aspetto
del nuovo Fascismo Repubblicano non può passare solamente come un
desiderio di rivincita o come una espressione puramente demagogica del
momento. Negli anni precedenti, cioè in quelli del
"ventennio", certe forze economiche hanno, in parte,
condizionato una progressione più rapida delle motivazioni di fondo del
fascismo, e di questo è bene prenderne atto; il capitalismo ha cercato
con tutte le collusioni e con tutte le formule possibili, anche le più
subdole, di piegare attraverso un calcolo che si doveva poi dimostrare
errato, il fascismo; in parte vi è riuscito, ma non completamente e se
anch'esso ha voluto vincere la battaglia con le forze vitali della
nazione si è dovuto accodare ed asservire al capitalismo internazionale
in combutta con il marxismo comunista. E nello stesso tempo è opportuno
sottolineare che il movimento rivoluzionario fascista degli anni venti
è andato al potere, contrariamente a quello che ha fatto l'altro grosso
movimento rivoluzionario del ventesimo secolo , il comunismo, senza le
brutalità e gli eccidi che hanno caratterizzato quest'ultimo. E'
anche vero che, durante il periodo della RSI, la classe industriale e
borghese conservatrice, che in parte o forzatamente aveva dato i suoi
appoggi durante il ventennio, abbandonò completamente il fascismo e
conseguentemente le ipoteche scomparvero: Mussolini poté così
reimpostare la sua rivoluzione non completata agli albori, ma purtroppo
era troppo tardi. In
effetti la RSI, e su questo punto molti storici anche antifascisti
concordano, non fu solo l'ultima trincea dei "fanatici del
manganello", ed al suo interno non ebbero spazio esclusivamente i
cosiddetti "mercenari dell'invasore tedesco".(15) La
RSI fu una sincera aspirazione al rinnovamento sociale, fu slancio verso
le masse popolari, fu istanza anticapitalismo che cercava di darsi
forma, seppure in un periodo difficilissimo; attrasse e galvanizzò
uomini dalle esperienze e dalle provenienze più disparate, quali, ad
esempio, l'ex segretario del Partito Comunista, Nicola Bombici, morto
con Mussolini e con il gruppo di gerarchi fascisti fucilati dai
partigiani comunisti; il socialista Carlo Silvestri, accusatore di
Mussolini ai tempi del delitto Mattatoi e uno degli uomini più vicini
al Capo del fascismo durante il periodo di Salò con il quale ebbe
numerosissimi colloqui, condensati nel dopoguerra in un volume di gran
successo: "Mussolini, Grazianti e l'antifascismo"; l'ex
sindacalista rivoluzionario Nicola Vecchi, del quale riportiamo stralci
di una sua lettera, scritta da Mirandola, dove risiedeva, al Ministro
della RSI Piero Parigi, lettera emblematica di chi aveva conosciuto per
diverso tempo e nella realtà, il "paradiso dei lavoratori"
della Russia sovietica e che anche oggi risulta di grand’attualità: "All'Ecc.
Piero Parigi - Milano -
Mirandola 17.4.44 Solamente
ora ho potuto rendermi libero dagli impegni che avevo assunto con uno
stabilimento meccanico di Roma, di cui ero da cinque anni direttore. E
solo ora mi è stato possibile allontanarmi da Roma, la cui ammorbante
atmosfera di viltà non potevo oltre sopportare. Ritengo
di avere qualche cosa da dire ai lavoratori italiani, ubriacatisi nella
messianica attesa di un comunismo staliniano, che sotto l'orpello di un
barbaro autocrate nasconde la più feroce repressione di un super
capitalismo di stato messo al servizio di un nazionalismo slavo, elevato
all'ennesima potenza, dalla bieca anima di Giuda, e inverniciato per
l'occasione di falsa democrazia operaia. Subito
dopo il 25 Luglio scrissi, non ai giornali per rimettere a lustro il mio
passato di combattente antifascista, ma ad un vecchio sindacalista
milanese, per dirgli che era d'uopo unirci per impedire la
rivalorizzazione di uomini come Buozzi, fuggiti vigliaccamente
all'estero con le ben fornite casse delle federazioni riformiste e di
comunisti calati in Italia, d'ordine di Stalin per ordire la consegna
dei lavoratori italiani, mani e piedi legati, al Budda russo. I
successivi avvenimenti mi hanno maggiormente convinto della necessità
di agire in questo senso. Amici
miei, vecchi organizzatori dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fui
Segretario Generale, si sono dichiarati pronti a seguirmi. Ho
la presunzione di ritenere che gli aderenti dell'Unione Sindacale
Italiana, di cui fece parte Corridoni ed i lavoratori aderenti al
movimento socialista, non abbiano dimenticato la lotta da mè combattuta
contro il fascismo negli anni 19191923; il mio passato di sindacalista
rivoluzionario; l'opera da me svolta quale organizzatore dei sindacati
fascisti milanesi dal 1926 al 1928; l'assistenza da me prestata sempre a
chi fra loro a me si volse, dopo - per dedurne che l'odierno mio
atteggiamento vuol significare che solo difendendo l'Italia e la
Repubblica Sociale, si difendono, oggi, gli interessi e le aspirazioni
dei lavoratori. Conosco
uomini e cose della Russia, ove fui negli anni 1921 e 1922 per
partecipare ai Congressi dell'Internazionale sindacale di cui ero uno
dei Dirigenti - nè mi è nuova l'attuale turpe commedia che la Russia
gioca al Governo Badoglio e l'arlecchinesca ibrida combutta dei partiti
dell'Italia cosidetta liberata; perchè uguale inganno fu contro di me
ordito, allorchè, dopo la Marcia su Roma, il riconoscimento dell'Italia
Mussoliniana, costituiva tale vantaggio da non fare esitare gli uomini
del Cremlino ad abbandonare e tradire i rivoluzionari italiani e ad
irretirne l'azione. Di
ciò parlerò meglio e più ampiamente a suo tempo, per far comprendere
ai lavoratori italiani che la Russia d'oggi non è che la copia riveduta
e scorretta della precedente monarchia, che come questa non persegue
altro scopo che non sia l'attuazione della conquista dell'Europa, per
instaurarvi l'egemonia dello slavismo semibarbaro, semiasiatico, ed
antieuropeo. Le
classi abbienti attendono l'Inghilterra perchè paventano le attuazioni
rivoluzionarie della Repubblica Sociale Italiana. e non hanno torto. Le
classi non abbienti invece, in maggioranza anticomunista, pur diffidando
del comunismo russo, attendono la Russia per la ventennale loro
avversione al fascismo, sperando in realizzazioni rivoluzionarie che
dovrebbero essere loro apportate dalle baionette dello straniero: e
hanno torto. Sono
queste ultime che bisogna conquistare: esse solo potranno dare alla
Patria la forza sufficiente a riscattarsi dall'attuale abbiezione.
Conquista ardua, ma non impossibile. E' duopo però dare ai lavoratori
italiani la sensazione che la rivoluzione è in marcia e che nulla e
nessuno potrà arrestarla. Chiamarli a partecipare alla lotta per le
conquiste rivoluzionarie, che senza il loro apporto non potrebbero
essere conservate ed alla direzione dei Sindacati e delle istituzioni di
previdenza. Sui
muri di Roma, la città più antifascista d'Italia, non vi è una
scritta che dica abbasso Mussolini.....(omissis).....Eccellenza dite a
Mussolini, che io ed i miei amici ci mettiamo a Sua disposizione per
vincere o morire - bruciando i ponti alle nostre spalle per non mai
indietreggiare - che svolgendo, con intensa propaganda i concetti
suesposti, riteniamo possibile conseguire l'unità dei lavoratori e
ricondurli sulla via dell'onore, alla lotta per la difesa della Patria
repubblicana. - F.to (Nicola Vecchi) - Mirandola"(16) A
conferma della validità delle spinte sociali decisamente innovative
della RSI, e proprio in funzione di queste, oltre agli uomini del
fascismo meno legati agli schemi del ventennio e a moltissimi giovani
entusiasti, aderirono alla socializzazione numerosi ex dirigenti
sindacali di estrazione antifascista quali, ad esempio, nel modenese:
l'ex segretario della Camera del Lavoro, Vittorio Messerotti, Anselmo
Forghieri e Carlo Verratti, entrambi questi ultimi ex dirigenti della
Camera del lavoro, oltre all'ex sindacalista anarchico, Vincenzo
Chiossi.(17) La
classe operaia era dunque ben poco favorevole alla lotta armata dei
"partigiani", anche se, nella storiografia antifascista si
cercano dei sottili distinguo quando si affronta questo tema: "Si
trattava di una classe operaia politicizzata, ma ristretta in piccole e
medie aziende dove vigeva naturalmente un rapporto paternalistico che,
nel periodo di formazione della Rsi, era diventato ancor più pericoloso
a causa della nascita di quello strano raggruppamento sindacale facente
capo a "Giustizia Sociale" che interveniva demagogicamente
anche in contrasto con la linea locale della federazione repubblichina,
e agitava rivendicazioni operaie anche sotto la spinta di alcuni ex
sindacalisti anarchici, come Chiossi, che avevano abboccato all'amo
della socializzazione. L'intervento del Pci era stato quindi su un
terreno particolarmente difficile e la richiesta di passare
immediatamente sul terreno della lotta armata, nonostante la
preparazione e la presenza costante degli anni precedenti, era troppo
alta per ottenere risposta adeguata ed immediata, anche perchè il
"sindacato" fascista non peritava di ricorrere agli
specchietti o ai ricatti sul terreno economico per tentare di ottenere,
se non una egemonia o un consenso, perlomeno la neutralità e la pace
sociale."(18) Le
lotte sindacali furono, di conseguenza limitate a poche fabbriche(19), e
nonostante la ristrettezza di quei tempi duri, della guerra, della
presenza tedesca sul nostro territorio che ostacolava la messa in atto
delle avanzatissime teorie sociali della RSI, furono moltissime le
industrie ad aumentare i propri organici tanto da raggiungere la cifra
di quarantamila addetti nel settore.(20) E
tutto questo nonostante i micidiali bombardamenti aerei, come quello del
14 Febbraio 1944 che colpì duramente le Acciaierie, la Corni, la
Fiat-Oci, la Magneti Marelli, e del Maggio dello stesso anno quando
altre fabbriche furono danneggiate, come la Giusti e la Rizzi, oltre
alle officine Maserati, la Ferrari, le Fonderie Riunite, la Fiat Grandi
Motori e le officine Valdevit. Gli
studi che hanno affrontato il contributo dato dagli operai alla
resistenza, seppure come sempre in una visione manicheista e demagogica,
rilevano quanto meno, le difficoltà oggettive nello scorporare in quel
"fenomeno"(della resistenza) il vario ruolo esercitato dalle
componenti sociali che hanno contribuito alla sua realizzazione(21), in
quanto: "...vi
sono stati degli appiattimenti che hanno ricordato ad esempio le lotte
operaie all'interno della politica del CLN, senza cioè analizzare e
quasi negando l'autonomia collettiva della classe operaia.(22) A
prescindere pertanto dalla ristretta minoranza combattiva, che, come
abbiamo già accennato ha partecipato alla resistenza nelle fabbriche
con azioni di sabotaggio, mettendo, in alcuni casi in difficoltà la
produzione e creando non pochi fastidi, ha pure e nello stesso tempo,
creato danni e difficoltà agli altri operai, la maggioranza, che doveva
subire impotente queste azioni, dato che la partecipazione politica di
questi alla resistenza è tutta da riconsiderare: "
non è sempre possibile ricondurre i tempi della lotta operaia alle
scadenze politiche più generali. Lo provano le mancate risposte ad
alcune scadenze politiche, come quelle del Marzo 1943 ed in parte del
Marzo 1944, i ritardi ad accogliere l'invito a dare inizio alla lotta
armata, abbandonando la fabbrica, avanzata nel 1943..ecc".(23) La
storiografia antifascista racconta di occultamenti di macchinari delle
industrie modenesi effettuati da operai con la partecipazione degli
stessi industriali per preservarli dalle razzie tedesche, e questi
episodi si sono effettivamente verificati in molte fabbriche , ma,
bisogna precisarlo, solamente negli ultimissimi giorni quando la guerra
stava concludendosi, e non si è mai fatto cenno, invece, all'intensa
attività svolta in questo senso da tante forze del sindacalismo
repubblicano che operavano attivamente e tra mille difficoltà, affinché
quello che restava di materiali ed attrezzature italiane risparmiate
dalle tremende ferite dei bombardamenti anglo-americani, non fosse
disperso nelle mani fameliche di tedeschi o filo-inglesi che fossero;
tra gli uomini che maggiormente s’interpretarono in questa forma di
protezione delle nostre industrie, ne vogliamo citare uno per tutti: il
noto sindacalista, Nino Saverio Basaglia.(24) Da
questo breve "excursus" sui rapporti tra RSI e classe operaia
si evidenzia quanto sarebbe utile e necessario, per la ricostruzione
storica di quel periodo, uno studio ben più approfondito, che non è
possibile portare avanti nel complesso di questa storia, e che
necessiterebbe di approfondimenti e di reperti d'archivio, e non
esaminati con le formule unilateralistiche con cui si è proceduto sino
ad oggi. Riteniamo
peraltro utile proporre ai lettori e per intero, i 18 Punti di Verona,
che sono alla base di tutta la politica sociale intrapresa, ma appena
abbozzata, dalla RSI nel breve periodo di quei drammatici 600 giorni.
I
18 PUNTI DI VERONA Testo
integrale dei "18 Punti" del Manifesto del Congresso del
Partito Fascista Repubblicano. In
materia costituzionale e interna. 1.
- Sia convocata la Costituente, potere sovrano di origine popolare, che
dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l'ultimo re
traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il
Capo. 2.
- La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le
associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative,
comprendendo i rappresentanti delle provincie invase attraverso le
delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero. Comprenda
altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di
guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani
all'estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro
Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della
Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione. 3.
- La costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato,
lavoratore e contribuente - il diritto di controllo e di responsabile
critica sugli atti della pubblica amministrazione. Ogni
cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del
Capo della Repubblica. Nessun
cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà
essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine dell'autorità
giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni
domiciliari occorrerà un ordine dell'autorità giudiziaria. Nell’esercizio
delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza. 4.
- La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e
l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo
rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che
concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione
popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri per parte
del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di
Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del
Duce) sembra il più consigliabile. 5.
- L'organizzazione a cui compete l'educazione del popolo ai problemi
politici è unica. Nel
Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un
organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode
dell'idea rivoluzionaria. La
sua tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico. 6.
- La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni
altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato. 7.
- Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa
guerra appartengono a nazionalità nemica. IN
POLITICA ESTERA. 8.
- Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere
l'unità, l'indipendenza, l'integrità territoriale della Patria nei
termini marittimi ed alpini segnati dalla Natura, dal sacrificio di
sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l'invasione e
con le promesse ai Governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale
consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali
indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra a un area
insufficiente a nutrirli. Tale
politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità
europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti
principi fondamentali: a)
eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro continente; b)
abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le
plutocrazie mondiali; c)
valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni,
delle risorse naturali dell'Africa, nel rispetto assoluto di quei
popoli, in ispecie mussulmani, come l'Egitto, che, sono già civilmente
e nazionalmente organizzati. IN
MATERIA SOCIALE 9.
- Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro,
tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione. 10.
- La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale,
integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa
non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e
morale di altri uomini attraverso lo sfruttamento del loro lavoro. 11.
- Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce
dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene
alla sfera d'azione che è propria dello Stato. I
pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire
gestiti dallo Stato a mezzo di enti parastatali. 12.
- In ogni azienda ( industriale, privata, parastatale, statale ) le
rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente -
attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione
dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di
riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili
stessi per parte dei lavoratori. In
alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative
delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli
di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e operai
con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di
cooperativa parasindacale. 13.
- Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo
limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare. L'espropriazione
delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla
lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o
alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a
seconda delle varie esigenze dell'economia agricola. Ciò
è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il
Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l'impulso
necessario. 14.
- E' pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai
professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività
produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli
obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita
dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni. 15.
- Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un
diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la
creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale,
assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al massimo l'azione,
provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di
ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o
graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il
principio generale che l'affitto una volta rimborsato il capitale e
pagatone il giusto frutto, costituisce titolo di acquisto. Come
primo compito, l'Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni
di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con
costruzioni provvisorie. 16.
- Il lavoratore è iscritto d'autorità nel sindacato di categoria,
senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne
abbia i requisiti. I sindacati convergono in una unica Confederazione
che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con
esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si
denomina Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti. I
dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici
formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore. Tutte
le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime fascista in un
ventennio restano integre. La carta del Lavoro ne costituisce nella sua
lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il
punto di partenza per l'ulteriore cammino. 17.
- In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento
salariale per i lavoratori attraverso l'adozione di minimi nazionali e
pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati
tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca
inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci
cooperativi, spacci d'azienda estensione dei compiti della
"Provvida", requisizioni dei negozi colpevoli di infrazioni e
loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il risultato di
pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così
si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al
risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli
speculatori - al pari dei traditori e dei disfattisti - rientrino nella
competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di
morte. 18.
- Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto
di andare verso il popolo, ma di stare col popolo. Da
parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un
solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi domani: ributtare
l'invasione schiavistica delle plutocrazie angloamericane, la quale, per
mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita
degli Italiani. V'è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali:
combattere, lavorare, vincere. NOTE 1 cfr. G. Muzzioli : "L'economia e la società
modenese fra le due guerre." pag. 18 2 cfr. Censimento della popolazione italiana del
1921 3 cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 29. 4 cfr. in G. Muzzioli op. di Paolo Riccardi:
"Pregiudizi e superstizioni del popolo modenese" - Firenze
1891 5 A Modena in quegli anni operavano parecchie bande
di banditi che vessavano le popolazioni con, furti, rapine,
taglieggiamenti ecc., si facevano i nomi delle bande di: Adani, Caprari,
Cerchiari, Cipolli, dei fratelli Mazzetti e numerosissimi erano i
piccoli ladruncoli. Alto anche il numero di omicidi e suicidi, la
cronaca nera, in quegli anni, viveva decisamente una stagione
intensissima. Nell'Ottobre
del 1920, in occasione delle elezioni amministrative, fortissime erano
le tensioni tra socialisti e popolari e vi furono parecchi casi di
oratori aggrediti e bastonati; a Mortizzuolo, un giovane cattolico venne
accoltellato, così come a Polinago e anche a Lama Mocogno tre popolari
vennero feriti. Anche molti propagandisti socialisti vennero bastonati
dai cattolici, specie nelle zone di montagna; due socialisti vennero
uccisi dai carabinieri ad Ospitale di Fanano; l'anno seguente, il 1921,
fù ancora più pesante; a Campogalliano venne ucciso un sindacalista
rosso; la sera del 21 Gennaio venne ucciso il fascista, Mario Ruini e ai
suoi funerali, tre giorni dopo, si sparò sulla folla e vennero uccisi
altri due fascisti: Amilcare Baccolini e Orlando Antonini; a Novi il 16
Marzo venne mortalmente ferito il socialista, Celso Piccinini; a Vignola
venne gravemente ferito, da parte dei fascisti bolognesi, il socialista
Vermiglio Bonesi che morirà dopo 30 mesi; il 4 Giugno venne aggredito e
leggermente ferito il Prefetto Carlo Bodo ad opera di alcuni fascisti;
l'8 Agosto, a Stuffione di Ravarino, venne aggredito e pugnalato il
fascista Eliseo Zucchi; il 17 venne ucciso a Mortizzuolo, un popolare,
il 26 Settembre le guardie regie, a Modena, sparano su di un corteo di
fascisti uccidendone otto, ai funerali di questi partecipò lo stesso
Mussolini; il 12 Novembre ancora aggressione ad un fascista, venne
ucciso a rivoltellate, Gino Tabaroni. Anche
nel 1922 vi furono aggressioni e violenze di ogni tipo; a San Venanzio
di Maranello, due giovani cattolici, Adelmo Beneventi e Giovanni Romani,
furono uccisi dai fascisti; si può dire che la lunga catena di violenze
si esaurì dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre. 6 cfr. i dati di queste elezioni riportati nel capitolo:
Il Clero e la rsi. 7 Nel 1925, ben 7.000 donne si recarono in quelle
provincie a lavorare come mondariso. 8 cfr. l'opera di Renzo De Felice su Mussolini. 9 cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 254 10 ibidem 11 cfr. ISR, nuova serie n.5, anno 1985, in:Ennio Resca e
Claudio Silingardi: "Lotte operaie e riorganizzazione sindacale a
Modena (1943-45 )" pag. 63-64. 12 ibidem pag. 77. 13 ibidem pag. 81. 14 dichiarazione di B. Mussolini del 20 Marzo 1945. 15 cfr. : "Storia Contemporanea" ed. Il Mulino n.
2/1977, pag. 259. 16 ibidem 17 cfr. E Resca ecc. op. cit. pag. 82. 18 cfr. L. Casali: "Storia della resistenza a Modena",
pag. 319-320. 19 cfr. E. Resca ecc. op. cit. 20 ibidem pag. 74 21 ibidem pag. 89. 22 ibidem 23 ibidem 24 Dott. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista;
scrisse, tra l'altro, il Diario di guerra delle Camicie Nere modenesi
che combatterono sul fronte greco-albanese, titolato: "Gradinate di
fango e mandorli in fiore" - Edito dalla Soc. Tip. Modenese, nel
1944. Si raccontano, le epiche gesta delle camicie nere che caddero sul
Monte Kosica. Và sottolineato che, probabilmente per una dimenticanza o
per semplice ignoranza, il viale modenese che fiancheggia l'ex ippodromo
e lo Stadio Braglia, non venne mai epurato dalla toponomastica cittadina
dai reggitori del potere comunisti, come invece successe a tutte le
altre strade dedicate ai nomi più famosi del fascismo.
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